martedì 28 luglio 2020

ANDARE VIA DA TE




ANDARE VIA DA TE

Vedo la tua figura andare via, eri sceso dall'auto poco prima ed ora sei davanti a me, i tuoi passi ti allontanano sempre di più dal mio sguardo.
La strada bagnata dalla pioggia che non scende da qualche minuto e le luci dei lampioni allungano la tua ombra mentre si sbiadisce sempre di più, mentre sei ormai lontano.
Una piccola figura scura che in pochi istanti scompare dietro l'angolo.
Non è il tergicristallo bagnato dalla pioggia che impedisce di vedere bene ciò che ho davanti, ma sono i miei occhi, le mie lacrime. Appoggio la testa sul volante e sfogo il mio pianto, aspetto che il dolore finisca, che riesca ancora a calmare il mio cuore, che possa tornare a casa guidando senza paura.
Eppure non sembrava dovesse finire il nostro amore, la nostra storia, ma questa sera, anche se avrei dovuto aspettarmelo, ancora non potevo crederci:

- Mi dispiace, non possiamo andare avanti così... 

- Non puoi farlo, non puoi buttare tre anni in questo modo, non possono non essere contati e io ti amo sempre forse ancora di più.

- Io no... ti amavo, ti voglio bene ma... Non è più come prima. - la mazzata è stata forte ma era quello che voleva, colpire diritto al cuore per non trascinare nulla.

- Ma come puoi essere così crudele? -

- Crudele? Io ti sto dicendo la verità, la poesia è finita, la mia passione anche e non riesco a vederti più come la mia metà, la parte mancante che mi riempiva l'anima ed il cuore. Mi dispiace. -

- Ti disp... C'è un'altra persona nella tua vita! - era un'affermazione la mia, quasi una sicurezza nel suo lungo silenzio.

- Che importanza ha se c'è o non c'è? Non ti amo più, ti voglio solo bene e non credere che non stia soffrendo. Non pensare che non ricordi i nostri momenti come magia, come qualcosa di speciale... Però qualche tempo fa dentro di me è successo qualcosa che... - con le dita cerca di asciugarmi le lacrime che incominciano a scendere sul mio volto -  Dio santo ti prego non fare così. -

- Non toccarmi! Non fare così? E cosa dovrei fare? Dirti grazie di avermelo detto prima di aver scoperto qualcosa che non avrei dovuto sapere? Ma come fai ad essere così cattivo. -

- Tesoro ti prego. Non dire così e lo sai che non è vero. Non sono cattivo ma devo farlo, io non ce la faccio a continuare in questo modo, non è più ciò che voglio. -

- Dove ho sbagliato? - 

In silenzio ognuno di noi dopo la mia frase, pensava a ciò che abbiamo vissuto:


L'incontro quasi scontro in quella libreria in Piazza del Duomo, le scuse e l'offerta del caffè per aver sottratto l'ultima copia del libro che cercavamo.
L'appuntamento a teatro, l'aperitivo su quella famosa terrazza in centro, la cena con alcuni amici e infine quel bacio dato tardi, in auto sotto casa mia.
Da quel giorno era iniziata la nostra storia fatta di risate, baci, corse, viaggi, mostre, amici, intimità e soprattutto passione.
Un senso di appartenenza non appena i nostri corpi nudi si stringevano tra quelle lenzuola candide, di sentirsi una cosa sola quando i sensi ci portavano all'apice dell'amore.
I risvegli e le nostre colazioni, i commenti sulle notizie dei giornali, le passeggiate nel parco vicino a casa sua.
Quante cose ci sono state in questi tre anni, tre anni pieni di tutto ciò che amavamo e volevano e forse per lui troppo intensi, i quali in poco tempo hanno stancato ciò che provava per me mentre io continuavo ignorando, questo sogno, questo amore incredibile.
Forse lo sbaglio è stato aver vissuto troppo in tre anni, una vita in poco tempo, un tempo che ti aveva stancato senza che io ne me accorgessi.
Forse...

- Ma che dici? Dove hai sbagliato? In nulla, era tutto perfetto, forse troppo e questo non so il perché mi ha allontanato. - I miei occhi ora lo fissavano mentre i suoi erano umidi, sentivo che stava soffrendo ma erano così determinati che non osavo dire qualcosa. - Va bene non posso mentirti, non l'ho fatto mai e ne lo farò ora: ho conosciuto un'altra persona un paio di mesi fa e piano ne è nato qualcosa ma non... Ma che importa non mi crederai mai... -

- Ti crederò... - avevo risposto ormai con rassegnazione, sapendo di non mentire e sapendo che lui non avrebbe mentito. Un respiro profondo di lui mi aveva messo a disagio e allo stesso tempo quasi in sollievo.

- Non ti ho mai tradito, solo qualche bacio e sono stato chiaro, fino a che non te lo avrei detto e sistemato tutto non avrei avuto nessun rapporto e... -

- Grazie. - avevo sentito la mia voce dire questa parola mentre avevo il pianto in gola. - Non dire più nulla, cerco di comprendere ma penso che adesso dovresti andartene. Non riesco più ad ascoltarti, non voglio farmi vedere piangere, sei stato onesto anche se terribile, non avrei mai immaginato. -

La sua mano aveva sfiorato i miei capelli, sapevo che stava piangendo in silenzio, gli addii sono così terribili anche per chi li provoca. La sua bocca aveva sfiorato il mio viso, lo avevo lasciato fare era il nostro ultimo bacio anche se solo un soffio.

- Mi hai dato molto e resterà sempre nel mio cuore, non lo meritavi ma, non so forse il destino ha voluto così. Sei una persona speciale e anche se ti sto facendo soffrire non cambiare quello che sei, ti prego. - avevo fatto un cenno di assenso con la testa, non riuscivo più a guardarlo. - Le mie cose che ho da te verrò a prenderle quando sarai fuori, credo sia meglio così e le chiavi le lascerò in portineria. Mi dispiace davvero tesoro... -

- Ora ti prego vai. - avevo detto girandomi verso di lui - Non ce la faccio a stare qui voglio andare via, voglio andare a casa. - mi aveva fatto un'ultima carezza che avevo voluto sentirla come ultimo suo regalo, sapevo di averlo già perdonato nonostante avrei voluto urlare, ma era l'unica scelta da fare. Mi era sembrato sentirgli dire "Abbi cura di te, ti vorrò sempre bene." 
Subito la portiera si era chiusa e lui si era allontanato davanti ai miei occhi.

Ecco ora sono qui ancora davanti a quella strada bagnata dall'umidità, la sera si è fatta più scura e le luci dei lampioni più fioche, capisco che è ora di tornare a casa. Lontano da te per ricominciare di nuovo.
Accendo il motore e riparto, ma so che dietro di me in quel parcheggio ho lasciato per sempre il ricordo di questa sera. Del suo addio, del suo andare via da me... Per sempre.

Giampaolo Daccò.







mercoledì 8 luglio 2020

MATISSE, GAUGUIN O MONET?



MATISSE

GAUGUIN

MONET



Potrebbe sembrare una comica di Stanlio ed Ollio oppure di Jerry Louis e Dean Martin ma, giuro, è tutto vero.

Estate 1979, Milano

Un'imperdibile mostra di pittura di grandi maestri, la fine del Liceo Artistico, la voglia di mostrare ciò che si è imparato, un giugno soleggiato, caldo ma pieno di profumi e di fiori ai balconi e finestre dei palazzi e migliaia di persone per il centro città della metropoli.
Vi prego non ridete ma c'erano tre ragazzi appena diplomati che sognavano il loro futuro chi di architetto, chi interior designer e chi docente all'università.

Giambattista, Giampaolo e Giampietro, tutto vero, inoltre e non sghignazzate vi prego, uno con i capelli rossi, uno biondo ed uno scurissimo e tutti con la M al posto della N nel nome.
Come? Ah si ci prendevano in giro spesso, quando entravamo a scuola o eravamo in giro per la città, si sentivano risatine e la  solita sciocca frase: "Oh guarda passa la pubblicità di United Colors of Benetton" oppure "Moschino ha liberato i suoi modelli".

Certo che Gianpietro ci metteva del suo, pur essendo un bravissimo pittore non azzeccava i colori dei vestiti e quindi potevano festeggiare il carnevale in ogni periodo dell'anno quando eravamo con lui, così evitavamo vestiti troppo colorati. 
Comunque dicevo che in quei giorni c'era a Milano una grande mostra dedicata ai pittori stranieri e ovviamente avevamo fatto il diavolo a quattro per andarci, così un sabato mattina eravamo già davanti al portone del palazzo dove si svolgeva l'esposizione.

Eravamo davvero eccitati e felici, non capitava tutti i giorni una cosa del genere ma neanche gli sguardi di alcune persone in fila con noi. 
Occhi sgranati sulla maglietta rosso-verde-gialla di Giampietro, sui miei capelli biondi lunghi fin sotto le spalle, gli orecchini di ematite di Giambattista che risaltavano sui capelli color fuoco.
Percependo poi qualche frase oltre alla risatina di ragazzine deficienti dietro di noi, del tipo "Hanno aperto le gabbie." - "Toh il circo Orfei è arrivato in città." - "Ma i loro genitori li fanno uscire così?" - "Cos'è la fiera di Sinigallia sui Navigli?"

Finché la voce squillante della professoressa Mafessoni era giunta alle nostre spalle facendoci voltare verso di lei. "Oh c'è la pubblicità di U.C. of B." l'avevamo guardata non so come ma lei ridendo ci abbracciò forte.
"I miei più bizzarri studenti, mi spiace davvero che non sarete più nella mia classe ma sono felice della vostra promozione e futura vita... Bla, bla, bla..."

Le sue chiacchiere erano durate parecchio perché dopo almeno venti minuti (non ne potevamo più), eravamo già nei saloni dove splendevano quei dipinti incredibili. Ovviamente non erano tutti i quadri di ogni singolo pittore ma i più famosi, poi la prof. ci aveva lasciato raggiunta da un'amica e noi finalmente liberi dai suoi bla bla bla, avevamo attraversato quelle sale con occhi sgranati pieni di emozioni, commentando sottovoce le nostre impressioni.
Avevamo ognuno di noi, i nostri autori preferiti: Giambattista amava Matisse e Bizet, Giampietro Gauguin, io invece oscillavo tra Monet, Rubens e Klimt, tre stili diversi ma unici.

Finita la visita e i nostri aah, ohhh, wow, acc, mamma mia, oh guarda qui, omg (esclamazioni di sorpresa a tanta bellezza), eravamo usciti dalla mostra dopo più di due ore, ore passate troppo in fretta così un po' accaldati dal sole e avendo fame ci eravamo rifugiati in una paninoteca vicino al Duomo, sedendoci poi fuori vicino a vasi di fiori che dividevano due proprietà. Intanto che mangiavamo qualcosa le nostre frasi echeggiavano in strada sotto gli ombrelloni e tavoli di quel locale pieno di turisti e tante persone che passeggiavano in Corso Vittorio Emanuele.

- No senti Giampy secondo me Matisse ha quel "qualcosa" che rende la sua pittura forte ed unica, sembra quasi... -

- Un cartone animato, ma dai Giamba, che dici - risponde ridendo dopo aver bevuto la sua  bibita Giampietro - vuoi mettere Gauguin? Le sue tele sanno di mari lontani, di voglia di vivere in isole piene di palme e gente vestita colorata... -

- Si con le scimmie che ti tirano le banane in testa dalle palme... - aveva risposto stizzito Giambattista - Senti Giamper (tanto per differenziarsi da me chiamato Giampy, si lo so fa ridere), anche a scuola non capivi niente di cromature, sfumature e stili... -

- Ah si Giamba, perché tu te ne intendi vero? E poi perché le banane e non le noci di cocco... - gli aveva risposto l'altro indicando con gli occhi la maglietta rossa-verde-gialla indosso a questi.

- Troppo molli per la tua testa quelle noci carotina, le banane? Boh dici che erano meglio i mango o le... -

- Stop calma... - ero intervenuto non appena avevo visto Giambattista guardare il suo bicchiere pieno di aranciata, prevedendo la sua volata addosso all'altro - Stop! Ragazzi ognuno ama uno stile, Gauguin è sognante e a volte malinconico come te - avevo detto guardando Giamper - e Matisse è vivace, colorato e imprevedibile come lo sei tu Giamba. Io amo i paesaggi tenui di Monet, le ombre e le tinte decise di Rubens e la fantasia di Klimt... -

- Come sei tu insomma, un miscuglio di roba. - avevano risposto insieme ridendo.

Ero riuscito a stemperare il clima un poco teso tra loro e i loro gusti quando una voce maschile profonda era pervenuta dietro le nostre spalle facendoci girare la testa verso quell'uomo.

- Biondino (biondino a me??? Ma come si permette), dovresti frequentare l'università di psicologia, vista la tua capacità di dare un equilibrio alle persone... - lo avevamo guardato tutti e tre con occhi stupiti, un bell'uomo sui quarant'anni, occhi azzurri, ciuffo sulla fronte, abito blu e di fianco la professoressa Mafessoni piegata in due dalle risate, smarrimento dei tre Giam.

Lei era bellissima con quel vestito chiaro e leggero e anche lui lo era, ed era per quello che le voci di corridoio fatte dalle nostre compagne (ed anche qualche compagno) di scuola che lo avevano visto,  parlavano del marito di lei come fosse Adone, un bellissimo professore di... Oh mamma... di psicologia? Un dottore strizzacervelli che mi aveva fatto un complimento.

- Caro, ti presento tre dei miei studenti più... più... vivaci. - aveva detto poi lei ricomponendosi mentre il bel marito le aveva preso la mano - Spero che mi facciano visita ancora qualche volta ora che prenderanno le loro strade, le mie tre G. - Ci aveva guardati con affetto tutti e tre.

- Cosa pensate di fare dopo il liceo artistico ragazzi? - aveva chiesto il professore mentre finiva il suo caffè.

- Oh io ho scelto la facoltà di architettura. - aveva detto prontamente Giamba.

- Anche io ma preferirei come docente universitario. - aveva continuato Giamper sorridendo alla prof, che sicuramente aveva pensato "questo vuole rubare il posto a mia sorella - docente di architettura)".

Poi tutti e quattro mi avevano fissato negli occhi e no so perché ero arrossito come una damigella del 1700.

- Ecco io vorrei fare l'interior designer, mi piace arredare le ville, case ma anche giardini. -

- E si - aveva espresso subito il suo parere la prof. - il nostro Giampy è molto bravo in quel campo, alcuni lavori suoi mi erano piaciuti e gli ho consigliato di proseguire questa strada. -

- Sei sicura cara? Io negli occhi del biondino (e di nuovo) vedo qualcosa di più. Giampaolo giusto? (avevo annuito), iscriviti a psicologia, penso sia ancora più adatta. Bene ragazzi io e la mia principessa dobbiamo andare. Vi auguro un buon proseguimento per i vostri studi ma anche per la vostra vita, mi raccomando... Ah psicologia Giampy - aveva finito la frase ridendo mentre la prof. sorrideva mandandoci un bacio.

- Buon fortuna ragazzi miei, vi aspetto qualche volta. -

Li avevano osservati andar via in silenzio, che bella coppia e soprattutto molto simpatici e gentili, ne ero sicuro, lei la Mafessoni, l'avremmo ricordata per sempre, la migliore insegnante del nostro liceo.
Spariti i due tra la folla, avevamo finito il nostro caffè quando all'improvviso e purtroppo Giamper aveva aperto la bocca per dire le sue solite scemate:

- Hey professor Daccò, il mio cane Bubu ha problemi di autostima che mi sai dire? -

- Che gli hai dato un nome scemo e si vergogna... povero BUBU... - aveva fatto ecco Giamba.

Oh no si rieccoci di nuovo...

- Ehm, ragazzi io direi che... Ma mi ascoltate? - Avevo messo il denaro del conto sul tavolino mentre loro due già avanti a dirsi stupidaggini, li vedevo agitare le mani e mi ero messo a ridere - Aspettatemiiii... -

Giampaolo Daccò.