martedì 19 ottobre 2021

ONCE AGAIN



ONCE AGAIN

(text and photo by
Giampaolo Daccò)
As always. Once again. I find myself here, under a shelter waiting for the bus to take me home, it is true that I could walk the way, four stops don't kill anyone. But I'm tired, it's raining, it's dark early, it's cold. I hate autumn. The lights of the cars on the wet asphalt look like long bands of light reflecting a flat, black tide. Black as some of the women next to me are dressed. The oldest talks about work, the other about her children, a third of her writes on her cell phone, nodding to the others every now and then. Two guys argue about the new mayor-elect and I'm tired of hearing the same old things. See the usual faces. And in the meantime it rains once again, the arrival of three soaked, screaming kids with backpacks on their shoulders who rudely collide with those like me who are waiting for that bus not yet arriving. Despite the protests of adults, they demonstrate what most of the kids have become: indifferent, rude and indifferent. Maybe, and just maybe, it's not even their fault. I open the umbrella and escape from this annoyance. I decided to walk home, four stops won't kill me even if it's raining and cold. I don't know if I was right to do it, the people I meet despite the wide sidewalk do not move, some do not lift or move the umbrella as I do and I find myself stuck to the wall crawling with my body and my rain cover while these four anonymous faces and rude pass by as if they were an impassable wall. No sign of moving and letting other people pass, they continued their arrogant walk not giving a damn about who had to get off the sidewalk and ended up in dirty puddles. No, I don't have to get nervous and I resume walking among shops full of people and trees that follow the avenue. One ... Two ... Three. Three stops have passed, at two hundred or perhaps a little more there is mine and the building where I live. I no longer thought about the rude children, the four people who occupied the sidewalk forcing others to either get off or hug the wall. I no longer thought about the road in the rain or even in the cold, but one thing I could not help thinking about: that once again it is autumn. I hate autumn. Finally at home, in front of the door I fall the keys, the umbrella and the work bag and a tenant goes out without saying anything, slamming the door almost in my face. Should I swear? Should I tell him something? Can rudeness and indifference be tolerated or should it be taught that education or respect are the basis for sympathetic cohabitation? Bullshit! No, I don't even think about it. I pick up my things, open the gate door and enter. I'm finally home or almost. I approach the elevator and once again it is blocked who knows where, let's resign ourselves and go up the floors on foot. Finally in the house the warmth of the radiators welcome me with the lights in the living room on, a good smell comes from the kitchen and a dark-haired head looks out: "Are you okay honey? Got a lot of rain?" "A little yes but that's okay, I took a few steps on foot but it was worth it. What's good for tonight? ..." I wanted to say: once again I ran into a season I hate, a time that bores me, rude kids just as much as the adults on the sidewalk were. That the elevator is still stopped and that before entering a tenant instead of giving me a hand slammed the door of the gate in my face but ... I'm not saying that. It doesn't matter now, it doesn't really matter anymore. Once again I approach his face while he is cooking a very tasty main course and touch his cheek with a kiss. "Go wash your hands silly! Soon we go to the table." I smile in the mirror as hot water flows through my soapy hands. Once again I am here in my house, among the things I love but I have no longer thought of hating autumn. I am now in the spring of my refuge.
Giampaolo Daccò

ANCORA UNA VOLTA


 ANCORA UNA VOLTA

(testo e foto di

Giampaolo Daccò)


Come sempre.

Ancora una volta.

Mi ritrovo qui, sotto una pensilina aspettando l'autobus che mi riporti a casa, è vero che potrei far la strada a piedi, quattro fermate non uccidono nessuno.

Ma sono stanco, piove, è buio presto, fa freddo. Odio l'autunno.

Le luci delle auto sull'asfalto bagnato sembrano fasce lunghe luminose che riflettono una marea piatta e nera. Nera come sono vestite alcune donne accanto a me.

La più anziana parla del lavoro, l'altra dei figli, una terza scrive sul suo cellulare annuendo alle altre ogni tanto. Due tizi discutono sul nuovo sindaco eletto ed io sono stanco di sentire le solite cose. Vedere le solite facce.

E intanto ancora una volta piove, l'arrivo di tre ragazzini fradici, urlanti con zaini sulle spalle che maleducatamente si scontrano con chi come me aspetta quell'autobus non ancora in arrivo.

Nonostante le proteste degli adulti, questi dimostrano ciò che la maggor parte dei ragazzini sono diventati: menefreghisti, maleducati ed indifferenti.

Forse, e dico forse, non è neanche colpa loro. Apro l'ombrello e fuggo da questo fastidio. Ho deciso torno a casa a piedi, quattro fermate non mi ammazzeranno anche se piove e fa freddo.

Non so se ho fatto bene a farlo, le persone che incontro nonostante il largo marciapiede non si spostano, alcune non alzano o spostano  l'ombrello come faccioio  e mi ritrovo appiccicato al muro strsciando con il corpo e il mio parapioggia mentre queste quattro facce anonime e maleducate passano di fianco come fossero un muro invalicabile.

Nessun segno di spostarsi e far passare altre persone, hanno continuato il loro arrogante cammino fottendosene di chi doveva scendere dal marciapiede finendo in pozzanghere sporche.

No, non mi devo far prendere dal nervoso e riprendo la camminata tra negozi pieni di persone ed alberi che seguono il viale.

Una... Due... Tre. Tre fermate sono passate, a duecento o forse poco più c'è la mia e il palazzo dove abito.

Non ho più pensato ai bambini maleducati, alle quattroeprsone che occupavano il marciapiede costringendo gli altri o a scendere o rasentare il muro.

Non ho più pensato alla strada sotto la pioggia e neanche al freddo ma una cosa non sono riuscito a non pensare: che ancora una volta è autunno.

Che odio l'autunno.

Finalmente a casa, davanti al portone mi cadono le chiavi, l'ombrello e la borsa di lavoro ed un inquilino esce senza dire nulla, sbattendomi il portoncino quasi in faccia.

Dovrei imprecare? Dovrei dirgli qualcosa?

La maleducazione ed il menefreghismo si possono tollerare o si deve insegnare che l'educazione o il rispetto, sono le basi di convivenze simpatiche? Balle!

No, non ci penso neanche. Riprendo in mano le mie cose, apro la porta del cancello ed entro. finalmente sono a casa o quasi.

Mi avvicino all'ascensore ed ancora una volta è bloccato chissà dove, rassegnamoci e saliamo i piani a piedi.

Finalmente in casa il tepore dei termosifoni mi accolgono con le luci del soggiorno accese, un buon profumino arriva dalla cucina ed una testa dai capelli scuri si affaccia:

"Tutto bene tesoro? Presa tanta pioggia?"

"Un poco si ma va bene, ho fatto due passi a piedi ma ne è valsa la pena. Che c'è di buono per stasera?..."

Avrei voluto dire: ancora una volta mi sono imbattuto in una stagione che odio, in un tempo che mi tedia, in ragazzini maleducati tanto quanto lo sono stati gli adulti sul marciapiede. Che l'ascensore è ancora fermo e che prima di entrare un inquilino invece di darmi una mano mi ha sbattuto il porticino del cancello in faccia ma... Non lo dico.

Non ha importanza ora, non ne ha più davvero.

Ancora una volta mi avvicino al suo viso mentre sta cucinando un secondo piatto molto gustoso e sfioro la sua guancia con un bacio.

"Vai a lavarti le mani sciocco! Tra poco si va in tavola."

Sorrido allo specchio mentre l'acqua calda scorre tra le mie mani insaponate.

Ancora una volta sono qui a casa mia, tra le cose che amo ma non ho più pensato di odiare l'autunno. Ora sono nella primavera del mio rifugio.

Giampaolo Daccò


mercoledì 6 ottobre 2021

UN LIBRO, TANTE STORIE


UN LIBRO, TANTE STORIE
(Testo e storia di
Giampaolo Daccò)

Non è un racconto, una poesia, ne un piccolo pensiero dedicato ad un libro che ho letto quasi tutto d'un fiato, ma è qualcosa che ha fatto riaffiorare alla mia mente, un pezzo della mia vita.

Non sono Violette e ne Julien e neanche Irène o Paul eppure in questa magnifica storia, fatta di tante altre che nell'arco di anni si sono intrecciate, sviscerando le vite dei protagonisti, i loro sentimenti, le paure, le gioie, i misteri, le tragedie... Il dolore.

Come Violette ho rivissuto dei drammi che il tempo ha aiutato se non a superare, a vederli in un'ottica diversa, stupendomi di chi si trascina nella propria vita, per decenni e fino alla fine, quel "lutto", quella sofferenza indicibile quasi fosse una gioia nel soffrire per punirsinirsi, per farsi compatire, per crogiolarsi in un dolore che invece di curare, lo si fa incancrenire per vedere negli occhi degli altri la comprensione o peggio... La pietà.

No, no la vita non funziona così, siamo già vittime di noi stessi, vittime di altri, vittime del destino che potremmo modificare in alcuni punti ed in altri no, dove un periodo nero potrebbe diventare bianco, azzurro, giallo, verde o anche un grigio ma brillante... Se lo si vuole.

Perché questi pensieri? Perché mi sono ritrovato nei tanti dolori e nelle poche gioie ma anche nelle "ressurrezioni" di Violette, dove invece di essere madre, sono stato un figlio-fratello padre di mamma, sorella, nonna, prozia.

Riconosciuto nell'abbandono, nel rifiuto, nell'incolparmi di colpe altrui, dove è stato più facile nascondere la faccia e lasciar si che quello (cioè io) imparasse a cavarsela da solo oppure che si arrangi con la famiglia che si ritrova.

Ho assistito più a malattie e morti che viaggi e divertimenti, ho passato come Violette a centellinare il denaro e privarmi per far star bene chi ha avuto bisogno di me. Non c'era nessuno la sera del funerale di Francesca a casa nostra, ma come Violette con Celìa ho avuto Angela e Marco con la cena pronta mentre tutti erano spariti.

Non ho avuto un Philippe o una Françoise che mi hanno amato nella loro maniera o fatto a pezzi per non averlo saputo fare incolpandomi di questo, almeno avrei avuto di che piangere per  essermi sentito solo, ero un usa e getta secondo il caso, secondo le voglie, secondo il copione, secondo il godimento pur di non prendersi almeno un po' di cura di un tipo strano di nome Giampaolo.

Lèonine era mia sorella invece di mia figlia, era anche mia madre... Nessuno e lo dico senza che qualcuno mi possa smentire, nessuno ho avuto vicino se non qualcuno che da estraneo era diventato un amico o amica, per pietà o per generosità innata e che con il suo aiuto hanno evitato che una sera di novembre avessi posto fine a tutto.

Come Violette ci si rialza dopo il crollo e non una volta ma più volte, anche se hai perso molti treni oppure sei stato sfruttato o vilipeso, la forza che si è accumulata negli anni ha fatto si che le ombre, le ferite sparissero o si cicatrizzassero stringendo i denti e lottando continuamente.

Questo libro ha portato a galla storie e fantasmi del passato che in questo momento sono diventati lo sfogo, pensieri buttati a casaccio su questo foglio bianco ma che mi hano fatto riflettere. Riflettere sulle piccole cose che mi hanno aiutato a ricominciare ogni volta: che sia stato un sorriso, un fiore, un regalo, una "spinta" ad agire e che mi hanno permesso di essere ciò che sono ora.

Fortuantamente non sono Philippe, ne suo padre, forse nella mia storia in parte lo è stato il mio di padre, ma sono stato da solo ad affrontare tutto prima, ora con la persona che condivide con me vita, lavoro, sogni, figli adottivi... Tutto.

Adesso come Violette posso donare una tazza di tè profumato, un libro, una frase, un abbraccio a chi ne ha bisogno e chiede aiuto, una parola o un sorriso per poter far capire che tutto passa e che si possa andare avanti. Ho "dimenticato" chi ha fatto del male chiedendomi a cosa serve non farlo? Ricordare con piacere chi si è perso per strade diverse dimenticandosi di te e tu di loro. Assaporare la gioia di un raggio di sole e vedere nella nebbia o nell'oscurità scintille di luce.

Cosa sono diventato ora? Come Violette, un uomo che ragiona, che cerca di sopravvivere in un mondo diventato sterile di amore ai fatti ma molto prolisso a parole. Un uomo che è curioso del futuro e che il suo passato è servito e serve per migliorare il presente, un uomo che ama tutto e che le riserve le lascia apparire quando sono evidenti e cambia strada senza spiegazioni, perché se ti giustifichi oltre a quello che si aspettano gli altri per togliersi il peso del torto, manchi di rispetto verso te stesso.

Lo so sembra una confessione anche se in parte lo è, non mi importa di ciò che si possa pensare o immaginare sulla mia persona o su cosa possa aver passato, so solo che la storia di Violette non è una storia finta, un romanzo inventato così... E' la vita di tanti di noi che la maggior parte non riconosce o si rifiuta di comprenderla e pochi la affrontato nel modo vero e giusto che sia. A volte questi si incontrano in chissà quale vagone di un treno, in un locale bevendo del tè oppure su una spiaggia o come 
Violette con Cèlia in un passaggio a livello bloccato da uno sciopero.

Nascono così grandi amicizie ed amori, storie che possono durare una vita o solo pochi giorni. Ogni giorno che passa potrebbe sembrare più difficile del primo ma può essere anche l'opportunità di prendere al volo l'occasione aparentemente negativa e trasformarla in un sogno colorato, non è difficile e neanche facile.

Basta guardarsi dentro, il nostro cuore e la nostra anima hanno bisogno di nutrirsi d'amore, di bellezza e di armonia... ed allora innaffiamole come si fa con la natura. Basta "Cambiare l'acqua ai fiori", a questi fiori dentro di noi... Tutto, forse, sarà diverso.

Giampaolo Daccò