domenica 16 dicembre 2018

Piccola fiamma di luce.




PICCOLA FIAMMA DI LUCE

La signora dai capelli castani con il vestito scuro dalla finestra della camera da letto di sua madre, che spazia sui campi attorno al paese, non crede ai suoi occhi, non crede a ciò che vede aldilà dei vetri. Li richiude e li riapre per essere sicura di aver visto bene.
Un bimbo dal cappotto rosso sulla sterrata coperta di bianco, sta portando in mezzo ad una tormenta di neve, un cavallo chiaro verso alle stalle di Peppino.
Allarmata, vedendo quella piccola figura avanzare lentamente con quella candida bestia verso quei casolari, si mette in spalla un pesante scialle azzurro coprendosi la testa, infilati gli stivali pesanti di pelle imbottita, si precipita giù dalle scale di servizio uscendo dalla porta di legno massiccio verso quella sterrata, dove il bimbo dal cappotto rosso sta camminando trascinanado un cavallo quieto.
"Mio Dio ma che sta facendo e dov'è zio Peppino?" si domanda quasi corrrendo in mezzo a quel freddo e bufera.
"Paolino!" urla. Ma il piccolo sembra non sentirla, il suo fiato bianco esce dalla bocca, sembra un nuvoletta che si perde nella tormenta. Ancora pochi metri e sarà vicino a lui.
"Paolino!" urla ancora e questa volta il faccino arrossato del bimbo si volta a guardare in quella direzione, a lei sembra che il piccolo stia sorridendo.
"Dio mio che fai qui da solo? Con questo cavallo in mezzo alla tormenta? E dov'è lo zio Peppino? E i tuoi genitori? La nonna?"
"Angelina quante domande mi fai?" urla il piccolo fermandosi davanti alla donna ormai senza fiato per la corsa "Non posso risponderti a tutte queste cose".
La sua vocina le ha messo quasi allegria con quell'espresisone buffa che hanno i bambini quando si stupiscono, Angelina prende le redini del cavallo e per mano il bambino, si dirige verso le stalle dello zio Peppino.
"Ora che stiamo andando lì" dice Angelina a Paolino con aria tranquilla, sospirando per la non gravità della situazione ma per essersi assicurata che il bimbo fosse coperto bene "Mi devi raccontare come mai stai portando Tabacco, alle stalle di zio Peppino e non lui anche se..."
"Oh lo sai Angelina, zio Peppino sta dormendo alla grossa, forse ha bevuto e la nonna è andata a comperare qualcosa da mangiare per lui e così quando mi sono messo alla finestra vicino alla stufa di carbone, ho visto Tabacco fermo in messo al cortile, ho pensato che aveva freddo ma, non sapevo che cosa fare visto che lo zio non vuole che gli animali vengano in casa."
Ad Angelina le viene da ridere ma resta comunque preoccupata anche per il fatto che il fiume pieno di gorghi era a due passi e con questa tormenta non si vedeva molto la strada e neanche la riva. Sta per dire qualcosa quando Paolino prosegue il suo racconto.
"Poi mi sono girato verso lo zio che sul divano dormiva con la bocca aperta, ho cercato di smuoverlo ma lui si è girato dicendo: - Oh si la vedo, vedo la piccola fiamma di luce laggiù... Mamma - Io so che sua mamma è in cielo da tanto tempo ma ho pensato che dentro la stalla c'era una piccola fiamma per scaldare Tabacco, così mi sono messo il cappotto rosso, i guanti, il cappello e sono andato a slegarlo per portarlo nella stalla."
"Grazie a Dio ci sono io ora" pensa Angelina, vedendo con la mente il volto di sua nonna Anna e di suo figlio lo zio Peppino.
"Senti Paolino, ora che siamo arrivati alle stalle mettiamo Tabacco nel suo giaciglio vicino a Giannina l'asinello e poi ti preparo una cioccolata a casa della mia mamma, aspettiamo tua nonna e cercheremo di mettere a letto zio Peppino, ma penso che quello dello zio era un sogno, e che la fiamma di fuoco è soltanto una..." si interrompe di colpo non appena i due entrano nella stalla principale, quella dove contiene le bestie da lavoro.
Un fuoco in mezzo a delle pietre per non attaccare il fieno all'interno era in mezzo allo stanzone di legno e Giannina l'asinello distesa accanto, si scaldava al calore di quelle fiamme.
"Ma come?"
"Visto Angelina che c'è la fiamma di fuoco come aveva detto lo zio?" l'allegra voce del piccolo la distoglie da tanti pensieri ed istintivamente si gira verso la porta d'entrata, in mezzo alla neve le sembra di vedere la figura di una piccola donna vestita di scuro con in testa uno scialle viola come quella di sua nonna Anna. 
Scrolla la testa e guardando di nuovo in quella direzione, vede solo la neve scendere. Con Paolino avvicina il cavallo al suo giaciglio e lo rinchiude nel suo fienile, mentre Giannina viene abbracciata dal bambino.
Una voce da lontano chiama il piccolo e Angelina prendedolo per mano, si avvia verso l'uscita, nonna Maria era tornata dalla spesa e stava cercando il nipote con voce preoccupata, presto l'avrebbbero incontrata fuori nella neve. 
Prima di chiudere la stalla, Angelina si volta verso l'interno, il fuoco tra le pietre si sta spegnendo lentamente, sente tirare la sua mano e vede il musino del bimbo guardarla con gli occhi blu ed un sorriso stampato sulle labbra.
"Angelina, secondo me è stata nonna Annetta ad accenderlo anche se lei è in cielo... Tu che pensi?
"Credo proprio si di caro, nonna Maria ci aspetta preoccupata e  devo prepararti la cioccolata. Che ne dici andiamo?"
"Siiii..." fa eco Paolino.
Intanto dietro loro accanto alle stalle in mezzo alla tormenta una piccola figura vestita di nero con in testa uno scialle viola li sta guardando, mentre di fretta raggiungono la fattoria. La neve continua a cadere ma ora sembra più luminosa del solito.

Giampaolo Daccò

martedì 27 novembre 2018

LA SIGNORA CON IL CAGNOLINO




LA SIGNORA CON IL CAGNOLINO

Tanti anni fa, dalla fine degli anni sessanta a quella dei settanta, da marzo a fine settembre, quando allora abitavo con i miei in una cittadina del basso milanese, con altri bambini della mia via, giocavamo nei cortili e sulla riva del fiume. 
Erano primavere ed estati spensierate, sove la sera con il chiaro i nostri genitori ci facevano stare fuori a giocare.
A quel tempo le auto non erano tantissime e la zona del centro storico era tranquilla, il castello con le sue mura ed i cortili con case abitate, l'asilo nido, i campi dello studio di Genetica e la via che porta al fiume, facevano da paesaggio intimo come un quadro di altri tempi.
I "nostri" cortili con le case a ringhiera, erano i luoghi sicuri potevi giocare fino a quanto volevi. Dopo cena con mamme, nonne, zie di altri amichetti ci si sedeva sul portone del cortile di fronte casa, per chiacchierare, raccontare le storie di una volta e d'estate quando arrivavano le zanzare si accende un braciere di fuoco per allontanarle.
Allora si cantava, si rideva, si giocava a nascondino e tutto questo era capitato per decenni e per generazioni dalgli anni venti fino alla fine della guerra e poi ancora arrivando agli anni ottanta.
I bambini di allora erano diventati adulti e i loro figli con gli anni pure e poi i figli dei figli, come un giro di ruota continuo che ormai si è perso con gli anni della tecnologia.
Tutto sembrava una routine fino a che, in quella sera calda me mezza primavera era apparsa sull'angolo del corso che portava nella grande piazza del castello LEI:
Lei una signora molto giovanile, elegante, raffinata, sui quatantacinque anni, capelli ed occhi scuri e con se un cagnolino scuro, sia di Lei che del cane non ricordo il nome perché da quella sera, come tutte le sere seguenti per noi era la signora del cagnolino.
Mamma aveva scoperto pochi giorni dopo che, quella donna era con il marito, i proprietari della farmacia in piazza del castello e provenivano da Piacenza.
Si erano traferiti nella nostra cittadina grazie alla loro nuova attività e non avendo figli, avevano adottato questo simpaticissimo cagnolino.
La sera dopo, con un generale "buonasera signora e che bel cagnolino ha", da quel momento Lei tutte le sere dopo cena, da marzo a fine settembre si fermava a parlare con noi.
Poi tutti noi ragazzini più grandi, Gina, Luciana, Maria Grazia, Claudio, Gigi ed io, a volte anche le nostre mamme con i nostri fratellini Marco, Francesca e Luca, la seguivano sulla strada del fiume dove con il cagnolino si recava per la passeggiata serale.
Era colta, dolce, ci raccontava molte storie e notizie mai ascoltate e conosciute. Una voce calda e due occhi vivaci e sempre sorridente, ci aveva preso in simpatia e probabilmente mancandole un figlio, noi eravamo i suoi ragazzi, ogni tanto si percepiva nella voce nostalgica quel dono mancatole.
Per qualche anno immancabilmente la signora del cagnolino, tutte le sere era con noi, poi implacabile come sempre la ruota del tempo aveva girato velocemente: noi ragazzini più grandi eravamo cresciuti e le nostre esigenze diventate diverse, ci avevano allontano da quella abitudine, così la signora aveva incominciato a passeggiare con gli altri bimbi cresciuti, Francesca, Luca, Marco e con loro di erano unite le mamme.
Poi era passato ancora del tempo e la signora del cagnolino era rimasta vedova e venduta la sua farmacia, era ritornata nella sua città natale, così era finito quel tempo dove tutte le sere di primavera e d'estate per molti anni, erano state speciali.
Ho voluto ricordare quella signora prepotentemente venuta in mente, quando questa mattina ho visto dall'altra parte della strana una donna molto somigliante esteticamente a lei, ed aveva al guinzaglio un cagnolino scuro come il suo.
E' stato un attimo di nostalgia.
Non amo dimenticare le persone che in un modo o in un altro hanno fatto parte di un periodo più o meno lungo della mia vita, persone che hanno lasciato qualcosa di bello e positivo dentro.
Lei, la signora del cagnolino ci aveva donato: simpatia, comprensione, intelligenza, conoscenza e soprattutto dolcezza.
Non so che fine abbia fatto dopo che si era ritrasferita nella sua città ma il suo volto ed i capelli neri, lisci a caschetto e quegli occhi scuri e vivaci sono ancor oggi nei miei più piacevoli ricordi.

Giampaolo Daccò

giovedì 22 novembre 2018

LA DONNA, IL SUO POTERE ED IL MATRIARCATO




LA DONNA, IL SUO POTERE ED IL MATRIARCATO

Premetto che non esistono uomini più intelligenti delle donne e viceversa, in quanto esseri umani, abbiamo anzi dovremmo avere le stesse capacità (a parte la forza fisica marziale dell'uomo in confronto a quella psichica lunare della donna) e mi scuso per il lungo discorso che vorrei fare qui Probabilmente sarà un po' confuso forse ma sento di scrivere tutto questo, dopo quello che ho letto sui giornali e visto in TV (violenze varie) e questa mattina al bar dove volutamente non sono intervenuto, in quando come uomo mi ritengo più "mentalmente donna" (è un gioco di parole) che marziano (quindi violento-volgare-rozzo), ho udito un discorso su VOI donne davvero vomitevole (e tralascio il solito discorso delle donne orientali con burqa e relegate in casa altrimenti mi si da del razzista, con la scusa delle regole delle religioni orribili e patriarcali 3 in tutto e tutte e 3 terribili). A parte che sono cresciuto con donne speciali (e non perché erano le mie nonne zie mamma e prozie e cugine - famiglia matriarcale per fortuna). 
Besta ora, davvero basta, non si possono più sentire certe cose sulle donne (ma anche su gay e persone di colore), la "grande civiltà patriarcale che è iniziata con Abramo e che continua ora e dove la donna (la maggior parte) odiando la donna stessa si è conformata allo status vir che impera da anni anzi da millenni. Cito la traduzione della commedia "LISISTRATA" (una delle ultime commedie brillantemente e sottilmente a favore della donna-diavolo, dove stava sopraggiungendo definitivamente la misoginia patriarcale deleteria oltre che per la donna anche per l'uomo) di Aristofane fatta dal grande Cantarella che aveva un rispetto incredibile per il sesso femminile ed è questa:
"... e mentre la città, creazione degli uomini, perisce, l'eterno irrazionale che è la donna, riprende il sopravvento, anullando di colpo millenni di civiltà: e non senza ragione, forse, tra le opere di questo periogo greco, prevalgono le commedie "femminili" tra cui Donne all'Assemblea, Lisistrata e Tesmoforiazuse. Così, abdicata la città in mano alle donne, i nepoiti dei maratonomachi e dei Leonida, i concittadini di Pericle e di Brasida, sono costretti a ostentare sulla scena il turgore dei "protesi nervi". In una frenetica esibizione del sesso sfrenato, in una pura tensione d'istinto animale incurante di ogni altra cosa. Atene (la donna) intelligenza e luce, scompare dalla storia. E' la tragica realtà si dissolve ne cachinno dell'ultimo poema d'Atene."
In poche parole la DONNA è descritta come FONTE DI OGNI ROVINA distruttrice di città o regni (o meglio opere dell'uomo-maschio) e suscitatrice di bassi istinti e bollata come essere irrazionale e stupida..
IO ora dico: basta davvero, i vari politici e religiosi (la donne è il focolare, la nonna deve curare i nipoti) negli ultimi due decenni hanno rinvigorito, per paura del sopravvento femminile che giungerà presto e ne sono convinto. questo odio femminile circondandosi (i politici) di finte femministe e progressiste asservite ai loro dediseri politici e (i religiosi) dove la donna è l''angelo (schiava) del focolare famigliare, dove arrossisce al complimento e deve usare abiti e linguaggio appropriato, pena l'inferno. STOP, basta, tutto ciò ha avvelenato il cervello dei maschi anche quelli evoluti che sotto sotto accettano l'idea della femmina provocatrice. Mi chiedo quando davvero VOI vi ribellerete? Soprattutto ora che il sesso maschile nel mondo ha superato quello femminile di 300 milioni di unità (tutti nei paesi poveri dell'Africa e Asia). Io credo che la natura insita nell'umanità indipendente dal sesso si stia ribellando ed inconsciamente stiamo andando verso una rovina patriarcale-falllica sperando possa tra le macerie, esserci la rivincita della psiche-luna-donna, allora si che davvero la Terra potrà risollevarsi senza le pietre create dall'uomo per mostrare il potere fallico e forzuto controla paura della femmina "irrazionale". Grazie per lapazienza e per aver letto il mio pensiero, un abbraccio.

Giampaolo Daccò

mercoledì 21 novembre 2018

RISVEGLIO




RISVEGLIO 

Un freddo mattino autunnale
risveglia la mente assonnata
con il corpo ancora intorpidito
dal caldo e profondo sonno.

Accorgersi guardando il cielo,
di un manto azzurro venato di rosa
sopra la propria testa mentre piano,
le luci cdella metropoli si spengono.

Passi fretttolosi, rombi di automobili
passano accanto velocemente
l'appuntamento con la vita d'ogni dì
scandisce il suo ritmo impacabile.

Vetrine illuminate di locali vivaci
all'interno persone sedute, in piedi
che fanno colazione, che leggono,
che parlano o stanno in silenzio.

Un'aria frizzante ti coglie improvvisa
ricordandoti che la tua giornata
ti aspetta con i propri doveri
implacabili da svolgere fino a sera.

Eppure come ogni giorno, è sempre
un risveglio, una nuova conoscenza,
un nuovo mattino pieno di incognite,
una vita che si rinnova inconsciamente.

Correre incontro a questo risveglio
assaporare senza pensare al dovere
quest'aria vibrante, questo cielo venato,
e sorridere a questo nuovo giorno.

Giampaolo Daccò
(photo G. Daccò)

venerdì 16 novembre 2018

UNA FOTO, UN RICORDO



UNA FOTO... UN RICORDO


1968, estate in campagna.

"Ricordi. le nostre folli corse
su quella strada sterrata
dove il fiume seguiva lento
il suo corso verso il ponte
che scorgevamo lontano?
I nostri aquiloni giallo e blu
che volavano ne cielo
legati ai nostri polsi 
sperando di non vederli volare via?
Ricordi le risate ed il fiatone,
"A chi arriva ultimo è un asino"
e noi due arrivavamo 
insieme al traguardo
tenendoci per mano?
Ed il profumo dell'erba
una volta distesi mentre
il fiatone ed il sudore
erano i nostri padroni 
fino a che ci giravamo
e a pancia in giù e
cogliendo piccoli fiori gialli,
parlavamo di tante sciocchezze
di bambini ingenui e belli?
Oggi ho rivisto per caso
una nostra foto in un album
e mi sei tornato in mente.
Una bella amicizia
durata qualche anno
poi le strade si sono divise.
Spero che ogni tanto
tu possa ricordarre
quelle corse e i giochi
pensandomi come faccio con te."

Giampaolo Daccò

mercoledì 7 novembre 2018

BAMBINI




"Bambini"
(pensieri e foto di Giampaolo Daccò)
Una frase letta poco fa per caso di Giacomo Leopardi:
"I fanciulli trovano tutto nel nulla, gli uomini il nulla nel tutto."
Quanta verità in questa semplice frase.
Francesca e Giampaolo molti anni fa erano tutto questo, ricordo che anche un fiore diventata una bacchetta magica per realizzare i sogni.
In campagna per lei avevo intrecciato papaveri facendo una corona per la mia piccola principessa.
Francesca aveva fatto una buona minestra con una ricetta ifallibile: acqua di roggia, sabbia, sassolini colorati e erba profumata e fingendo di gustarla... Era proprio buona.
Non era stupidità od ingenuità ma crescita, fantasia, sperimento...
Si cresceva così con tutto nel nulla, dove un muro bianco o un cielo azzurro si riempivano di fiori, di angeli, di fate. Una scodella diventava un elmo per difendere le principesse in pericolo e un lenzuolo colorato il vestito di una fatina piccola.
"I fanciulli trovano tutto nel nulla, questo nulla è invece un mondo meraviglioso.
Giampaolo Daccò.

martedì 30 ottobre 2018

UNA STORIA VERA... UNA STORIA "D'AMORE"




"UNA VERA STORIA...
UNA STORIA D'AMORE"

Era un maggio di tanti anni fa, avevo 9 anni e per la mia salute, il dottore aveva consigliato ai miei di portarmi al mare in una stagione ne troppo calda ne fredda.
Nonna si era offerta ad accompagnarmi per quel mese fuori stagione, il lavoro dei miei genitori avrebbe impedito loro di seguirmi, avevo finita scuola in anticipo con pieni voti, uno strappo alle regole per ragioni più che evidenti.
Eravamo arrivati ai primi di maggio in quella località sul mare, dove ancora non c'erano i grandi alberghi, le super spiagge attrezzate, feste notturne e musiche assordanti.
Poche sere prima della partenza, avendo visto immagini alla televisione di posti esotici, ricordo che allora avevo pensato di essere arrivato in un posto bello come lo era il Libano o Isreaele allora.
Palme e mare.
Ingenuità e fantasia di bambino? Non saprei dirlo ma per me era così. Il mare era ancora un poco freddo anche se il sole brillava caldissimo nel cielo e qualche tedesco faceva il bagno tra le onde del verde mare.
Eravamo ospiti in una pensione molto carina dove la conduzione famigliare ed il buon cibo ti faceva sembrare di stare da amici.
Nonna con il suo carattere aperto, simile al mio aveva già fatto amicizia, dopo pochi giorni, con molte persone sia tra gli ospiti dell'albergo che i proprietari ed il loro personale.
Ma da quando frequentavamo la spiaggia, lei aveva subito intrapreso amicizia con una famigliola ebraico-araba, ospite anche loro nel nostro hotel.
Non ricordo di guerre se non quella del 1967 di due anni prima tra alcuni paesi medio orientali, ma Laylah e i suoi tre bambini erano in vacanza in quella località, il marito un ingegnere libanese era in tour per alcuni convegni in regioni vicine e lei, la moglie, aveva deciso di stare in vacanza non troppo lontano, con i loro figli.
Nonna mi aveva spiegato che quella signora e suo marito erano arabi ebraici, avevo fatto fatica a capire bene come stavano le cose, ma sinceramente potevano essere degli eschimesi che proprio tutto ciò non mi importava.
Il figlio maggiore di quella bella e giovane signora dagli occhi neri, nel giro
di poco era diventato un fratello per me.
Laylah pensava che nonna, vista la giovane età fosse mia madre così tra loro era nata una bell'amicizia, nonna aveva ancora nel cuore, il dolore di aver perso Helena la sua amica greca e Laylah gliela ricordava pur essendo, come età sua figlia.
Boaz Hamir era il nome del ragazzino, il figlio di Laylah, avevamo la stessa età... 
In principio la nostra amicizia era nata tra piccoli castelli di sabbia umida. Poi arrivarono gli indiani e cow boys, poi ancora estcontro ovest, poi ancora iniziarono i giochi come la dama, le carte, il nascondino.... Fino ad arrivare a noi due.
Seduti per la prima volta in silenzio sulla piccola duna di sabbia, guardavamo il mare e le barche veleggiare su quella distesa illuminata dal sole.
Le nostre famiglie sulla rena sotto gli ombrelloni ci guardavano a vista, da lontano potevano vedere due bambini seduti di spalle con due magliette una gialla e l'altra azzurra, due teste rivolte verso il mare: una era scurissima e riccia e l'altra rossa dai capelli diritti, mentre un vento caldo faceva ondeggiare quelle folte chiome come bandiere.
Boaz mi aveva raccontato della sua casa vicino ad Haifa, di suo padre che viaggiava molto e delle due sorelline piccole che piangevano sempre. Mi aveva raccontato della sua scuola dove c'erano altri bambini italiani ed è per quello che lo parlava un poco.
Amava andare al mare con i suoi nonni e giocare a pallavolo.
Così gli avevo raccontato la mia piccola storia di bambino sognatore, a cui piaceva leggere, disegnare, scrivere e guardare le cartine geografiche. Si era stupito della mia conoscenza di Beirut, Haifa e Tripoli.
All'improvviso mi aveva detto "Vieni".
E presomi per mano e trascinandomi sulla sabbia con alle spalle la voce di nonna che urlava "Non allontanatevi troppo.", eravamo arrivati in pochi secondi vicino ad una specie di baracca in pietra vicino a delle piccole dune di sabbia.
Entrati, ci siamo seduti davanti alla porta aperta, una porta di legno rovinata dal tempo e dipinta di verde, probabilmente un vecchio ripostiglio per pescatori.
"Ti piace il mare a quanto vedo." mi aveva detto guardandomi con quegli occhi neri e profondi, mi avevano fatto effetto, quasi di paura mista a una sensazione di magia. Avevo annuito sorridendo.
"Hai gli occhi dello stesso colore del mare Paulo, hai anche delle cose sul naso e viso sembrano ..."
"Sono lentiggini." gli avevo risposto ridendo, aveva riso anche lui. Poi aveva guardato davanti a se e per la prima volta, non appena aveva ricominciato a parlare, avevo compreso qualcosa che non conoscevo, la paura della guerra.
Mi aveva raccontato dei suoi nonni materni che vivevano in un posto chiamato Palestina, erano fuggiti dopo unaguerra... Mentre descriveva quella terribile storia, i suoi occhierano diventati lucidi.
Io non sapevo che cosa dire, lui continuava a narrare quella avventura, i suoi nonni si erano salvati fuggendo in Libano grazie ad una famiglia inglese, ma la colpa era di tutti come sosteneva suo padre ed ora aveva paura che poteva
essercene un'altra.
La sua mano aveva incontrato la mia, me la strinse forte ed io lo abbracciai. Avevo sentito qualcosa nel cuore, sentivo di doverlo fare, di dover abbracciare quell'amico dalla pelle scura e gli occhi neri.
Le sue braccia si strinsero al mio collo, tremava, mi ero spaventato al fatto di quello che aveva vissuto... Da lontano le voci di sua madre e di nonna ci chiamavano per il ritorno in albergo.
Boaz si era alzato per primo e allungando il braccio mi prese la mano e mi aveva aiutato ad alzarmi, stavamo per uscire dalla baracca, ma lui di scatto si era girato e mi aveva stretto a se forte. Mi era venuto da piangere e non capivo il perché.
"Saremo sempre amici vero?"
"Sempre anche quando saremo lontani."
"Ti darò il mio indirizzo di Haifa così potremo scriverci." avevo annuito.
"Il telefono non so, penso che costi molto chiamarsi ma dovremmo chiederlo ai nostri genitori... Andiamo ora, ma prima una cosa." mi pose le sue labbra sulla guancia "Ti voglio bene amico mio..."
Mi ero toccato il viso in quel punto, nessun bambino mi aveva dato un bacio, solo le bambine della scuola che facevano le smorfiose, avevo sorriso di sorpresa. Per mano avevamo incominciato a correre verso i nostri famigliari.
"Ricordati Paolo, saremo sempre amici, un giorno ti ritroverò."

Son passati cinquant'anni, non ci siamo mai più visti, qualche lettera fino al 1974, un anno terribile per il Libano ed Israele. Non voglio pensare che Boaz e la sua famiglia possano essere state vittime di quella guerra, ancora oggi penso che sia in America o in chissà quale altra parte del mondo con i suoi o con moglie figli... Ricordo quel giorno di quel terribile anno, era stato da quel momento che nessuno aveva mai risposto più alle mie lettere.
Mi piace pensare che da qualche altra parte ci sia Boaz che pensi a me, a quella vacanza in cui ho scoperto per la prima volta l'amore. L'amore che provano i bambini verso un amico con cui in un attimo avevano diviso la loro breve vita.
Un amore pulito ed ingenuo che rimarrà per sempre come una pietra miliare nella propria vita.

Giampoalo Daccò



domenica 21 ottobre 2018

NESSUN COLORE




NESSUN COLORE

Dal passato immagini,
immagini senza colori,
ricordi in bianco e nero,
rivivono nella mente.

Mari, montagne, pianure,
tutto rivisto senza arcobaleno,
come se volti e persone e cose
fossero stampati su pietra.

Strano, allora tutto
era tinto di vivaci colori,
come quadri di Dalì
come opere di Monet.

Eppure voltandosi indietro,
nelle mente le immagini
scorrono in bianco e nero
come vecchi film muti.

Nessuna tristezza infinita,
nessun dolore atroce,
nessun rimpianto ma
solo belli o tristi ricordi.

Un passato come una mostra,
una vetrina di scene e fotografie
che appartengono a una vita,
un'esistenza lontana.

Seppur tua ancor oggi, 
ma questi ricordi rivissuti
sono in bianco e nero...
I colori del passato.

Chiudere la propria mente
a quei pensieri lontani
gli occhi vedono il presente
tinto di colori sgargianti.

Ma anche questo presente, 
domani, tornerà ad essere
un recente passato tinto di
bianco, grigio e nero.

Loro resteranno per sempre
semi di vita senza colore
addormentati nel tuo giardino
fino a che li ridesterai.


Giampaolo Daccò








lunedì 15 ottobre 2018

NEL SILENZIO... IL VENTO


Dedicato a due persone speciali.

NEL SILENZIO... ILVENTO

Un silenzio ovattato portato da leggere folate di un vento freddo d'inverno, la spiaggia davanti ai suoi occhi, grigia come il cielo non lo aiuta a rendere serena quella sua giornata.
Un pomeriggio strano, dove D. aveva preso un permesso da quel posto dove doveva svolgere un lavoro se non pesante, almeno difficile da sopportare.
Si era svegliato presto quel mattino, con l'idea fissa di passeggiare solitario sulla spiaggia del mare poco distante, dopo aver attraversato i binari del treno, mentre la stazione pesarese era piena di frettolosi pendolari.
E' il giorno del suo diciannovesimo compleanno.
Lontano da una famiglia disastrata, lontano dai suoi pochi amici e da una cittaidna ipocrita piena di preconcetti, una scelta la sua di incominciare una nuova vita nonostante la sua igovane età, tanto nessuno lo avrebbe ne cercato ne rimpianto. 
La sabbia umida, i gabbiani nel cielo e poco lontano alcune barche che partono dai loro moli verso quella distesa d'acqua stranamente calma.
Le cabine di legno colorate di un indaco leggero, di una stazione balneare sono vicine e come attratto da qualcosa, D. si avvia verso la loro direzione.
Una panca azzurra riparata dal vento tra il porticato del bar e quella cabina chiusa del bagno sono ora il suo riparo, il suo rifugio, il lato dove può guardare il mare livido lasciandosi cadere una lacrima.
"Buon compleanno D., diciannove anni e sembrano un'eternità."
Mentre pensa a questo si mette il volto tra le mani, sapore amaro di gocce che dai suoi occhi verdi scendono sulle labbra e sulle gote cadendo poi per terra.
Nessun ragazzo così giovane dovrebbe stare solo, nessuno dovrebbe piangere di dolore e di solitudine nel giorno del suo compleanno.
All'improvviso una mano lieve, una dolce carezza arriva silenziosa come il vento, sui suoi capelli.
Nessuno spavento ma subito togliendo le mani dal viso alza lo sguardo verso chi ha fatto improvvisamente quel gesto così tenero.
"Non volevo spaventarti D., vedendoti da lontano ti ho seguito... Sapendo che oggi per te è un giorno particolare, volevo capire il perché ed il come avresti passato questa giornata di permesso visto che qui sei solo e la tua famiglia è lontana. Perdonami ma è stato un mio gesto istintivo prima."
D. guarda quel l'uomo, uno dei suoi datori di lavoro, il più giovane, quello dal sorriso brillante ed il meno dispotico e rigido.
"Grazie signore, non mi sono spaventato ma non mi aspettavo ne lei ne... la sua carezza. Credevo di essere solo." gli risponde con un sorriso strano.
F. guarda quel ragazzo, lo aveva sempre tenuto d'occhio e din considerazione da quando pochi mesi prima era entrato a far parte di quella società di cui lui, era uno dei fondatori.
"Sua moglie non c'è?"
F. sorride: "No è andata dai suoi con i ragazzi, avevano faccende da sbrigare e non ne avevo voglia di sorbirmi mia suocera e le sue lamentele."
D. sorride, quell'uomo dagli occhi penetranti e dai modi di fare decisi era davvero un esempio per lui, D. ha sempre pensato che vita e che percorso abbia avuto F. nella sua vita per diventare a soli trentaquattro anni l'uomo che è ora e come abbia creato quell'importante società, ciò rappresenta nell'ambito sociale.
La suaammiraizone per F. va oltre al semplice rispetto, voglia di arrivare come lui ed invidia bonaria, no era qualcosa di più... Forse. 
alzo lo guardo verso il cielo ed all'improvviso sente tra le mani un oggetto leggero racchiuso in un involucro di velluto sottile.
I suoi occhi guardano ora quel pacchetto tra le sue dita e di scatto si volta verso quell'uomo.
"Buon compleanno ragazzo mio, un piccolo gesto da parte mia. Non si passa una giornata così da soli e senza regali, ti pare?"
"Io... Io non so che dire dott..."
"Nessun dottore o signor in questo momento, sarò  per te sempre d'ora in avanti F., ma solo solo in privato." d'istinto l'uomo accarezza una guancia del giovane.
In un istante una volata fredda di vento scompiglia i capelli di entrambi e si ritrovano abbracciati stretti mente le loro labbra si sfiorano.
"Ed ora?" pensa D. guardando quel giovane uomo negli occhi, quell'uomo le cui guance si sono leggermente arrossite da quell'inaspettato gesto fatto da entrambi.
"Ed ora?"
Da lontano lassù nel cielo, solo i gabbiani possono vedere nuovamente un abbraccio tenero tra i due, chissà cosa stanno dicendosi in quel momento.
Intanto nel silenzio... il vento continua il suo percorso tra la spiaggia ed il mare,  con le sue folate leggere.

Giampaolo D.


giovedì 4 ottobre 2018

GIORNI LONTANI




GIORNI LONTANI

- Ti ridordi quella corsa sul pontile del faro mentre quell'onda gigantesca sta prendendosi tutto lo spazio? -

- Ahahah si, si ma ricordo di essere rimasto senza fiato quando eravamo arrivati sul lato della terra ferma, ero in un bagno di sudore o di acqua di mare? -

- Spiritoso, era un misto. Ricordo che mi piaceva sentire il salmastro sulle labbra e quel profumo dell'oceano che mi sembrava spaventosamente grande. -

- Lo è ancora spaventosamente grande, non vedi? -

- Oh si hai ragione ma è talmente blu e calmo confronto allora che mi da un'altra sensazione... Perché ridi sciocco? -

- Rido perchè lo vediamo con gli occhi da vecchi.... - 

- Vecchio sarai tu John... - 

- Ma se facciamo centosessant'anni in due, Alle... Di un po', tornaresti indietro? -

- Mai, mi piacciono i ricordi. Tornerei solo se potessi rinascere e non come... Volevo dire non ritornare indietro solo di qualche decennio. Vorrei incominciare una vita diversa e tu lo sai bene. -

- Lo so caro amico mio, ma ormai le nostre lune sono tante, forse e chissà se un domani ritorneremo qui o su un altro pianeta, quando partiremo dalla amata terra. -

- Chissà... Guarda John quella vela laggiù, sembra quella che aveva messo Giampaolo a Karuv... Ahahah ma che sto dicendo? Quello era un gioco. -

- Per noi non lo era e neanche per Giampaolo e Stuart forse... Era come fossero miei figli, non so c'era qualcosa in quel gioco che mi faceva stare bene...  Giampaolo e Stuart, stanno bene, mi hanno spedito delle mail l'altro giorno. -

- A chi lo dici John, io ero Alle il vero Alle... Davvero? Salutameli, digli che... Lo zio Alle li pensa sempre anche se sono diventato Matusalemme-

- Cambio discorso altrimenti piango affogato dai ricordi, Giampaolo ora vive in riva al mare così anche Stuart... -

- Stranamente anche noi, a proposito grazie per essere venuto qui a farmi visita, non so quante lune avremo davanti ma è sempre bello incontrare gli amici di una vita, anzi di due vite diverse ahahah. - 

- Hai ragione! Senti Alle facciamo una corsa sul pontile come allora? -

- Ma dai, non ce la farai mai sei troppo vecchio ahahah. -

- Bene camminerò veloce con te come allora ok? -

- Ok caro amico mio... Pronti e via. -

John si alza e afferra la carrozzina dove siede Alle e dove ha passato tutta la sua vita e con una camminata lenta, vanno verso il pontile con il faro di allora, sempre uguale. Verso l'odore del mare, verso il profumo di salsedine e verso ricordi lontani.

Giampaolo Daccò.






domenica 23 settembre 2018

LA RECITA



LA RECITA

L'insegnante volta le spalle alla platea vuota, il suo sguardo è sugli allievi seduti per terra davanti a lui, poi alza leggermente il capo verso lo sfondo nero, chiuso da tendaggi rossi e pesanti.
In silenzio scruta i suoi giovani studenti, uno ad uno negli occhi, sta osservando i loro invisibili gesti delle mani, della bocca, delle posizioni del corpo, rivelando di ognuno, il proprio carattere, la sensazione d'attesa, il sentimento suscitato in quell'istante dai suoi occhi azzurri, quasi magici puntati su di loro.
L'insegnate, alto bello, dai capelli ricci e brizzolati, grande doppiatore, attore e soggettista questa volta sorride loro, nell'aria si respira già un clima più disteso ed i gesti o i segni che gli allievi mostrano ora, sono di rilassamento e di curiosità, mentre sente la sua voce quasi baritonale rimbombare nel teatro vuoto, prossimo per un loro esperimento di recitazione:

"Nella vita la maggior parte delle persone
recita un ruolo, un personaggio.
Un po' come voi che siete qui per imparare
la difficile arte dell'interpretazione
di personaggi teatrali caratterialmente
più o meno particolari.
Ogni essere umano, noi compresi ovviamente,
si sono creati un personaggio
nella propria esistenza
convincendosi che sia reale per tanti motivi
che possono arrivare sia dal subconscio
sia dall'esperienze della propria vita."

Ora lo sguardo dell'insegnante si posa su quello di un ragazzo seduto alla sua destra, un giovane bellissimo dagli occhi verdi, intelligenti e dal ciuffo ribelle, il ragazzo che aveva avuto già plausi durante alcune prove nel corso dell'anno e che, indubbiamente era quello più dotato come attore. Dentro di se, il professore prova un brivido, si è rivisto in quel giovane, se stesso vent'anni prima e per lui era scattata l'attrazione mai esibita verso quegli occhi verdi.
Un piccolo segreto, un'altra recita.

"Chi diventa carnefice o sadico in famiglia,
con il prossimo, con i sottoposti,
chi recita il ruolo della casalinga
vittima sacrificale dei propri cari,
chi si lamenta dei propri malanni
e ammorba il prossimo allontanandolo,
pur sapendo che le sue malattie
sono solo fisime per attirare l'attenzione.
C'è chi si sente maestro di vita
bacchettando chi gli è vicino
con rimproveri saccenti ed inutili,
chi invece assume il ruolo della donna fatale
e molto altro."

Il professore guarda l'allieva biondina seduta accanto ad un giovane barbuto, la ragazza sente un brivido e pensa già che le domanderà qualcosa.
Infatti lui le rivolge lo sguardo e con un sorriso impercettibile le chiede qual'è la sua finzione, se c'è, nella sua giovane vita.

"Professore, io veramente non saprei..."
gli risponde alzandosi in piedi
"Forse... a volte... Io..."

"Forse a volte o sempre?"
chiede lui abbassando gli occhi su un libro appoggiato nel leggio davanti a se.

"Ha ragione professore, ragionando,
per un attimo, ho voluto sempre
fare la dolce e buona bambina,
a volte e lo riconosco quasi melensa
con i miei famigliari, amici,
a scuola e mi sono sentita definire poi:
gatta morta o la biondina timida che invece
nasconde chissà quali segreti.
Ecco forse anzi certamente
questo è il ruolo che reci...
Che ho recitato."

L'insegnante sorride guardando tutti anche immaginando anche se stesso, percepisce quello del giovane dagli occhi verdi.

"Vedete ragazzi, a volte la mancanza di affetto,
una vita solitaria che sia volontaria
o creata dagli altri, poco importa
ma questo è un discorso difficile da affrontare.
Un complesso d'inferiorità nei confronti
degli amici o colleghi,
un difetto fisico più o meno evidente,
possono far si che la nostra mente,
crei un ruolo di difesa
e da qui nasce la nostra recita pubblica
ed il confronto degli altri e partendo da questo
la nostra immagine ed il nostro io
assumono ciò che vorremmo essere."

Brusii di approvazione, lui intanto domanda le stesse cose a vari studenti, ma la sua intenzione è poi di chiedere al ragazzo dagli occhi verdi qual'è il suo ruolo, sente che quel giovane abbia dentro di più di quel che espone verso gli altri, finalmente la domanda di turno arriva allo studente seduto alla sua destra.
Il giovane si alza ed osserva tutti i suoi colleghi che lo fissano incuriositi, Bruno è davvero un bel ragazzo, è diventato un ottimo interprete di vari ruoli affidatigli in questi tre anni di studio.
Alza il volto verso l'insegnante, i suoi occhi di mare incontrano quelli dell'altro, impercettibilmente arrossisce ed il cuore incomincia a battergli più forte.

"Professore potrei dire molte cose,
forse non saprei da che parte cominciare.
Da piccolo ero un bambino chiuso e
come forse pensa lei
recitavo il ruolo dell'incompreso.
Poi col tempo. crescendo, avevo capito
che per me tutto questo era un rifugio,
un riparo da tutto ciò che non mi piaceva.
Dove vivevo allora con la mia famiglia,
le regole di quel paesino di campagna
erano ancora legate ai ruoli tipici dove
il padre era il padre che lavorava
e a cui non si doveva dar fastidio
al suo ritorno perché stanco.
La madre era la regina e schiava della casa,
se non giocavi al pallone eri una femminuccia,
il parroco si intrufolava nelle case di tutti
per conoscere ogni cosa,
i bambini di ceto inferiore dovevano
stare con i propri simili e via dicendo."

L'insegnate sorride di nascosto mettendo la mano davanti alla bocca, ha capito che stava confessando la sua vita ma recitandola in modo quasi drammatico e sofferto, ne era sicuro, lo era sempre stato su quel giovane: sarebbe stato in futuro, un grande attore di successo grazie alle sua capacità interpretative e grazie ai suoi sentimenti interiori vissuti con passione.

"Fino al giorno in cui, dopo il liceo classico
decisi di iscrivermi al vostro corso di recitazione.
Avevo imparato nelle commediole a scuola,
poi nel teatro del paese quando organizzavano
recite o spettacoli d'intrattenimento,
ad assumere vari ruoli, da allora
avevo capito che la mia strada poteva...
(un attimo di silenzio carico di passione)
Anzi no, la mia strada è questa,
era quella che volevo da sempre.
Ecco forse il mio personaggio
che ho creato sin dall'infanzia
quello dell'attore,
attore di vari ruoli di cui uno,
non è ancora uscito dalla mia anima.
Ma so che si tratta di amore...
Sotto ogni forma."

Un applauso dai suoi colleghi, lui si siede arrossendo un poco ma con lo sguardo di nuovo posato sul professore. L'insegnante non lo sta guardando in quel momento, ma qualcosa di magico, un filo invisibile si è creato tra loro ed entrambi ne sono ormai consapevoli.
Bruno ha confessato inconsciamente qualcosa che ancora non lo aveva fatto con se stesso.
L'amore.
L'insegnante ha percepito questo verso di lui, lo sentiva già da tanto tempo, ma non era ancora il momento adatto per le confessioni fino ad oggi.
Provenienti dal suo cuore, pronuncia lentamente ora, le parole gli escono dalla bocca con un tono pacato quasi dolce.

"Non è mai facile guardare dentro se stessi,
far emergere ciò che si è e si prova
ed è per questo, forse,
che recitiamo le nostre parti,
i nostri ruoli adattandoli agli altri
ed alla vita che in teoria viviamo
ma che in pratica non è la nostra.
Accettare i propri limiti,
i propri sentimenti,
spesso ci vuole coraggio,
come pure ci vuol coraggio
accettarne sia le conseguenze,
sia ciò che di bello o brutto ci offrono."

Per un attimo l'insegnante fissa il volto di Bruno e con un sorriso si rivolge poi a tutti i presenti che in quell'attimo, nessuno di loro ha colto quella scia di sentimenti che è balenata tra di loro due.

"Oltre a questo sipario,
oltre ai nostri ruoli personali e di lavoro,
oltre ai "camerini" dove da soli
ci cambiano togliendo varie maschere,
c'è l'uscita, quella che serve per rinunciare
alle parti che ci siamo costruiti.
Dove finalmente con coraggio,
possiamo essere noi stessi.
Basta una corsa fuori dall'ultima
parte del corridoio per ritrovarci
sulla vera strada delle nostre vite,
dove spesso ci aspetta l'amore e tanto altro.
Questo amore poi oltre che dividerlo
con la persona che c'è o ci sarà accanto,
lo si dovrà portare su questi palcoscenici
per farlo vivere agli altri, agli spettatori
che non aspettano nient'altro che questo.
Aprite, apriamo la porta del nostro cuore
e solo così noi saremo veri attori in teatro
e protagonisti della nostra vita.
Bruno ha confessato ciò che tutti noi
dovremmo fare, aprirsi all'amore."

Le stelle viste da quel terrazzo sembrano immense nel blu del cielo, sotto le luci di auto e lampioni della metropoli, disegnano una scacchiera sfavillante, mentre da quell'attico il rumore della città arriva ovattato quasi cullando le persone.
Bruno e l'insegnate sono seduti su un divano tra i fiori del terrazzo della casa di quest'ultimo, uniti con le mani e gli occhi rivolti verso le stelle.
Finalmente la recita di oggi è finita e quel sentimento importante che è l'Amore è uscito dai loro cuori.

Giampaolo Daccò