martedì 30 ottobre 2018

UNA STORIA VERA... UNA STORIA "D'AMORE"




"UNA VERA STORIA...
UNA STORIA D'AMORE"

Era un maggio di tanti anni fa, avevo 9 anni e per la mia salute, il dottore aveva consigliato ai miei di portarmi al mare in una stagione ne troppo calda ne fredda.
Nonna si era offerta ad accompagnarmi per quel mese fuori stagione, il lavoro dei miei genitori avrebbe impedito loro di seguirmi, avevo finita scuola in anticipo con pieni voti, uno strappo alle regole per ragioni più che evidenti.
Eravamo arrivati ai primi di maggio in quella località sul mare, dove ancora non c'erano i grandi alberghi, le super spiagge attrezzate, feste notturne e musiche assordanti.
Poche sere prima della partenza, avendo visto immagini alla televisione di posti esotici, ricordo che allora avevo pensato di essere arrivato in un posto bello come lo era il Libano o Isreaele allora.
Palme e mare.
Ingenuità e fantasia di bambino? Non saprei dirlo ma per me era così. Il mare era ancora un poco freddo anche se il sole brillava caldissimo nel cielo e qualche tedesco faceva il bagno tra le onde del verde mare.
Eravamo ospiti in una pensione molto carina dove la conduzione famigliare ed il buon cibo ti faceva sembrare di stare da amici.
Nonna con il suo carattere aperto, simile al mio aveva già fatto amicizia, dopo pochi giorni, con molte persone sia tra gli ospiti dell'albergo che i proprietari ed il loro personale.
Ma da quando frequentavamo la spiaggia, lei aveva subito intrapreso amicizia con una famigliola ebraico-araba, ospite anche loro nel nostro hotel.
Non ricordo di guerre se non quella del 1967 di due anni prima tra alcuni paesi medio orientali, ma Laylah e i suoi tre bambini erano in vacanza in quella località, il marito un ingegnere libanese era in tour per alcuni convegni in regioni vicine e lei, la moglie, aveva deciso di stare in vacanza non troppo lontano, con i loro figli.
Nonna mi aveva spiegato che quella signora e suo marito erano arabi ebraici, avevo fatto fatica a capire bene come stavano le cose, ma sinceramente potevano essere degli eschimesi che proprio tutto ciò non mi importava.
Il figlio maggiore di quella bella e giovane signora dagli occhi neri, nel giro
di poco era diventato un fratello per me.
Laylah pensava che nonna, vista la giovane età fosse mia madre così tra loro era nata una bell'amicizia, nonna aveva ancora nel cuore, il dolore di aver perso Helena la sua amica greca e Laylah gliela ricordava pur essendo, come età sua figlia.
Boaz Hamir era il nome del ragazzino, il figlio di Laylah, avevamo la stessa età... 
In principio la nostra amicizia era nata tra piccoli castelli di sabbia umida. Poi arrivarono gli indiani e cow boys, poi ancora estcontro ovest, poi ancora iniziarono i giochi come la dama, le carte, il nascondino.... Fino ad arrivare a noi due.
Seduti per la prima volta in silenzio sulla piccola duna di sabbia, guardavamo il mare e le barche veleggiare su quella distesa illuminata dal sole.
Le nostre famiglie sulla rena sotto gli ombrelloni ci guardavano a vista, da lontano potevano vedere due bambini seduti di spalle con due magliette una gialla e l'altra azzurra, due teste rivolte verso il mare: una era scurissima e riccia e l'altra rossa dai capelli diritti, mentre un vento caldo faceva ondeggiare quelle folte chiome come bandiere.
Boaz mi aveva raccontato della sua casa vicino ad Haifa, di suo padre che viaggiava molto e delle due sorelline piccole che piangevano sempre. Mi aveva raccontato della sua scuola dove c'erano altri bambini italiani ed è per quello che lo parlava un poco.
Amava andare al mare con i suoi nonni e giocare a pallavolo.
Così gli avevo raccontato la mia piccola storia di bambino sognatore, a cui piaceva leggere, disegnare, scrivere e guardare le cartine geografiche. Si era stupito della mia conoscenza di Beirut, Haifa e Tripoli.
All'improvviso mi aveva detto "Vieni".
E presomi per mano e trascinandomi sulla sabbia con alle spalle la voce di nonna che urlava "Non allontanatevi troppo.", eravamo arrivati in pochi secondi vicino ad una specie di baracca in pietra vicino a delle piccole dune di sabbia.
Entrati, ci siamo seduti davanti alla porta aperta, una porta di legno rovinata dal tempo e dipinta di verde, probabilmente un vecchio ripostiglio per pescatori.
"Ti piace il mare a quanto vedo." mi aveva detto guardandomi con quegli occhi neri e profondi, mi avevano fatto effetto, quasi di paura mista a una sensazione di magia. Avevo annuito sorridendo.
"Hai gli occhi dello stesso colore del mare Paulo, hai anche delle cose sul naso e viso sembrano ..."
"Sono lentiggini." gli avevo risposto ridendo, aveva riso anche lui. Poi aveva guardato davanti a se e per la prima volta, non appena aveva ricominciato a parlare, avevo compreso qualcosa che non conoscevo, la paura della guerra.
Mi aveva raccontato dei suoi nonni materni che vivevano in un posto chiamato Palestina, erano fuggiti dopo unaguerra... Mentre descriveva quella terribile storia, i suoi occhierano diventati lucidi.
Io non sapevo che cosa dire, lui continuava a narrare quella avventura, i suoi nonni si erano salvati fuggendo in Libano grazie ad una famiglia inglese, ma la colpa era di tutti come sosteneva suo padre ed ora aveva paura che poteva
essercene un'altra.
La sua mano aveva incontrato la mia, me la strinse forte ed io lo abbracciai. Avevo sentito qualcosa nel cuore, sentivo di doverlo fare, di dover abbracciare quell'amico dalla pelle scura e gli occhi neri.
Le sue braccia si strinsero al mio collo, tremava, mi ero spaventato al fatto di quello che aveva vissuto... Da lontano le voci di sua madre e di nonna ci chiamavano per il ritorno in albergo.
Boaz si era alzato per primo e allungando il braccio mi prese la mano e mi aveva aiutato ad alzarmi, stavamo per uscire dalla baracca, ma lui di scatto si era girato e mi aveva stretto a se forte. Mi era venuto da piangere e non capivo il perché.
"Saremo sempre amici vero?"
"Sempre anche quando saremo lontani."
"Ti darò il mio indirizzo di Haifa così potremo scriverci." avevo annuito.
"Il telefono non so, penso che costi molto chiamarsi ma dovremmo chiederlo ai nostri genitori... Andiamo ora, ma prima una cosa." mi pose le sue labbra sulla guancia "Ti voglio bene amico mio..."
Mi ero toccato il viso in quel punto, nessun bambino mi aveva dato un bacio, solo le bambine della scuola che facevano le smorfiose, avevo sorriso di sorpresa. Per mano avevamo incominciato a correre verso i nostri famigliari.
"Ricordati Paolo, saremo sempre amici, un giorno ti ritroverò."

Son passati cinquant'anni, non ci siamo mai più visti, qualche lettera fino al 1974, un anno terribile per il Libano ed Israele. Non voglio pensare che Boaz e la sua famiglia possano essere state vittime di quella guerra, ancora oggi penso che sia in America o in chissà quale altra parte del mondo con i suoi o con moglie figli... Ricordo quel giorno di quel terribile anno, era stato da quel momento che nessuno aveva mai risposto più alle mie lettere.
Mi piace pensare che da qualche altra parte ci sia Boaz che pensi a me, a quella vacanza in cui ho scoperto per la prima volta l'amore. L'amore che provano i bambini verso un amico con cui in un attimo avevano diviso la loro breve vita.
Un amore pulito ed ingenuo che rimarrà per sempre come una pietra miliare nella propria vita.

Giampoalo Daccò



domenica 21 ottobre 2018

NESSUN COLORE




NESSUN COLORE

Dal passato immagini,
immagini senza colori,
ricordi in bianco e nero,
rivivono nella mente.

Mari, montagne, pianure,
tutto rivisto senza arcobaleno,
come se volti e persone e cose
fossero stampati su pietra.

Strano, allora tutto
era tinto di vivaci colori,
come quadri di Dalì
come opere di Monet.

Eppure voltandosi indietro,
nelle mente le immagini
scorrono in bianco e nero
come vecchi film muti.

Nessuna tristezza infinita,
nessun dolore atroce,
nessun rimpianto ma
solo belli o tristi ricordi.

Un passato come una mostra,
una vetrina di scene e fotografie
che appartengono a una vita,
un'esistenza lontana.

Seppur tua ancor oggi, 
ma questi ricordi rivissuti
sono in bianco e nero...
I colori del passato.

Chiudere la propria mente
a quei pensieri lontani
gli occhi vedono il presente
tinto di colori sgargianti.

Ma anche questo presente, 
domani, tornerà ad essere
un recente passato tinto di
bianco, grigio e nero.

Loro resteranno per sempre
semi di vita senza colore
addormentati nel tuo giardino
fino a che li ridesterai.


Giampaolo Daccò








lunedì 15 ottobre 2018

NEL SILENZIO... IL VENTO


Dedicato a due persone speciali.

NEL SILENZIO... ILVENTO

Un silenzio ovattato portato da leggere folate di un vento freddo d'inverno, la spiaggia davanti ai suoi occhi, grigia come il cielo non lo aiuta a rendere serena quella sua giornata.
Un pomeriggio strano, dove D. aveva preso un permesso da quel posto dove doveva svolgere un lavoro se non pesante, almeno difficile da sopportare.
Si era svegliato presto quel mattino, con l'idea fissa di passeggiare solitario sulla spiaggia del mare poco distante, dopo aver attraversato i binari del treno, mentre la stazione pesarese era piena di frettolosi pendolari.
E' il giorno del suo diciannovesimo compleanno.
Lontano da una famiglia disastrata, lontano dai suoi pochi amici e da una cittaidna ipocrita piena di preconcetti, una scelta la sua di incominciare una nuova vita nonostante la sua igovane età, tanto nessuno lo avrebbe ne cercato ne rimpianto. 
La sabbia umida, i gabbiani nel cielo e poco lontano alcune barche che partono dai loro moli verso quella distesa d'acqua stranamente calma.
Le cabine di legno colorate di un indaco leggero, di una stazione balneare sono vicine e come attratto da qualcosa, D. si avvia verso la loro direzione.
Una panca azzurra riparata dal vento tra il porticato del bar e quella cabina chiusa del bagno sono ora il suo riparo, il suo rifugio, il lato dove può guardare il mare livido lasciandosi cadere una lacrima.
"Buon compleanno D., diciannove anni e sembrano un'eternità."
Mentre pensa a questo si mette il volto tra le mani, sapore amaro di gocce che dai suoi occhi verdi scendono sulle labbra e sulle gote cadendo poi per terra.
Nessun ragazzo così giovane dovrebbe stare solo, nessuno dovrebbe piangere di dolore e di solitudine nel giorno del suo compleanno.
All'improvviso una mano lieve, una dolce carezza arriva silenziosa come il vento, sui suoi capelli.
Nessuno spavento ma subito togliendo le mani dal viso alza lo sguardo verso chi ha fatto improvvisamente quel gesto così tenero.
"Non volevo spaventarti D., vedendoti da lontano ti ho seguito... Sapendo che oggi per te è un giorno particolare, volevo capire il perché ed il come avresti passato questa giornata di permesso visto che qui sei solo e la tua famiglia è lontana. Perdonami ma è stato un mio gesto istintivo prima."
D. guarda quel l'uomo, uno dei suoi datori di lavoro, il più giovane, quello dal sorriso brillante ed il meno dispotico e rigido.
"Grazie signore, non mi sono spaventato ma non mi aspettavo ne lei ne... la sua carezza. Credevo di essere solo." gli risponde con un sorriso strano.
F. guarda quel ragazzo, lo aveva sempre tenuto d'occhio e din considerazione da quando pochi mesi prima era entrato a far parte di quella società di cui lui, era uno dei fondatori.
"Sua moglie non c'è?"
F. sorride: "No è andata dai suoi con i ragazzi, avevano faccende da sbrigare e non ne avevo voglia di sorbirmi mia suocera e le sue lamentele."
D. sorride, quell'uomo dagli occhi penetranti e dai modi di fare decisi era davvero un esempio per lui, D. ha sempre pensato che vita e che percorso abbia avuto F. nella sua vita per diventare a soli trentaquattro anni l'uomo che è ora e come abbia creato quell'importante società, ciò rappresenta nell'ambito sociale.
La suaammiraizone per F. va oltre al semplice rispetto, voglia di arrivare come lui ed invidia bonaria, no era qualcosa di più... Forse. 
alzo lo guardo verso il cielo ed all'improvviso sente tra le mani un oggetto leggero racchiuso in un involucro di velluto sottile.
I suoi occhi guardano ora quel pacchetto tra le sue dita e di scatto si volta verso quell'uomo.
"Buon compleanno ragazzo mio, un piccolo gesto da parte mia. Non si passa una giornata così da soli e senza regali, ti pare?"
"Io... Io non so che dire dott..."
"Nessun dottore o signor in questo momento, sarò  per te sempre d'ora in avanti F., ma solo solo in privato." d'istinto l'uomo accarezza una guancia del giovane.
In un istante una volata fredda di vento scompiglia i capelli di entrambi e si ritrovano abbracciati stretti mente le loro labbra si sfiorano.
"Ed ora?" pensa D. guardando quel giovane uomo negli occhi, quell'uomo le cui guance si sono leggermente arrossite da quell'inaspettato gesto fatto da entrambi.
"Ed ora?"
Da lontano lassù nel cielo, solo i gabbiani possono vedere nuovamente un abbraccio tenero tra i due, chissà cosa stanno dicendosi in quel momento.
Intanto nel silenzio... il vento continua il suo percorso tra la spiaggia ed il mare,  con le sue folate leggere.

Giampaolo D.


giovedì 4 ottobre 2018

GIORNI LONTANI




GIORNI LONTANI

- Ti ridordi quella corsa sul pontile del faro mentre quell'onda gigantesca sta prendendosi tutto lo spazio? -

- Ahahah si, si ma ricordo di essere rimasto senza fiato quando eravamo arrivati sul lato della terra ferma, ero in un bagno di sudore o di acqua di mare? -

- Spiritoso, era un misto. Ricordo che mi piaceva sentire il salmastro sulle labbra e quel profumo dell'oceano che mi sembrava spaventosamente grande. -

- Lo è ancora spaventosamente grande, non vedi? -

- Oh si hai ragione ma è talmente blu e calmo confronto allora che mi da un'altra sensazione... Perché ridi sciocco? -

- Rido perchè lo vediamo con gli occhi da vecchi.... - 

- Vecchio sarai tu John... - 

- Ma se facciamo centosessant'anni in due, Alle... Di un po', tornaresti indietro? -

- Mai, mi piacciono i ricordi. Tornerei solo se potessi rinascere e non come... Volevo dire non ritornare indietro solo di qualche decennio. Vorrei incominciare una vita diversa e tu lo sai bene. -

- Lo so caro amico mio, ma ormai le nostre lune sono tante, forse e chissà se un domani ritorneremo qui o su un altro pianeta, quando partiremo dalla amata terra. -

- Chissà... Guarda John quella vela laggiù, sembra quella che aveva messo Giampaolo a Karuv... Ahahah ma che sto dicendo? Quello era un gioco. -

- Per noi non lo era e neanche per Giampaolo e Stuart forse... Era come fossero miei figli, non so c'era qualcosa in quel gioco che mi faceva stare bene...  Giampaolo e Stuart, stanno bene, mi hanno spedito delle mail l'altro giorno. -

- A chi lo dici John, io ero Alle il vero Alle... Davvero? Salutameli, digli che... Lo zio Alle li pensa sempre anche se sono diventato Matusalemme-

- Cambio discorso altrimenti piango affogato dai ricordi, Giampaolo ora vive in riva al mare così anche Stuart... -

- Stranamente anche noi, a proposito grazie per essere venuto qui a farmi visita, non so quante lune avremo davanti ma è sempre bello incontrare gli amici di una vita, anzi di due vite diverse ahahah. - 

- Hai ragione! Senti Alle facciamo una corsa sul pontile come allora? -

- Ma dai, non ce la farai mai sei troppo vecchio ahahah. -

- Bene camminerò veloce con te come allora ok? -

- Ok caro amico mio... Pronti e via. -

John si alza e afferra la carrozzina dove siede Alle e dove ha passato tutta la sua vita e con una camminata lenta, vanno verso il pontile con il faro di allora, sempre uguale. Verso l'odore del mare, verso il profumo di salsedine e verso ricordi lontani.

Giampaolo Daccò.