venerdì 31 ottobre 2014

LA MIA TERRA, un legame d'amore



Quando ero piccolo passavo le giornate, le ore a guardare tra la natura, il cambiamento delle stagioni, il cielo con i suoi colori in base al tempo. La bellezza di aver passato infanzia e gioventù in campagna credo sia stata una fortuna. Una grande campagna naturale, spesso bistrattata da chi non ci ha mai abitato o anche da chi ci vive e ci ha vissuto nonostante non riuscisse a trasferirsi altrove.
Una immensa campagna chiamata Pianura Padana, dove a scuola ti insegnavano i fiumi, le città, i laghi che la solcavano, attraversavano e tanto altro.

Nei viaggi in auto o in treno con i miei, quando passavamo per queste rigogliose, paludose, nebbiose, soleggiate terre, mi immaginavo posti incantati e mi meravigliavo dei colori, dei profumi, dei tetti rossi delle città e degli alti campanili, dei castelli e dei grandi cascinali immersi nel verde, tutto sembrava stupendo.
E' vero tutta l'Italia è bellissima ed ognuno "campanilisticamente" (perdonatemi la parola) preferisce il proprio luogo, chi la Cociaria, chi il Campidano, chi le Murge e così via... Ed io ho amato ed amo tuttora la pianura padana.
Le sue cascine, i suoi boschi, i suoi torrenti e fiumi, i suoi laghi e persino le albe ed i tramonti che finivano dietro le alte Alpi  piemontesi avevano qualcosa di magico, però sentivo che stava cambiando qualcosa.
La città di Milano s'ingrandiva a dismisura nel corso degli anni, la campagna veniva sempre di più invasa, deturpata, poi nel corso dei decenni l'erba, le coltivazioni fecero posto a palazzi a grandi magazzini e fabbriche che formano così un complesso urbano attorno alla metropoli, di otto milioni di abitanti, uno dei più grandi europei e mondiali. Ma pur non vedendo le campagne di prima qualcosa era rimasto, la naturalezza non trasformata di alcuni luoghi, l'arte che veniva conservata insieme ad un piano sull'ecologia dopo anni di costruzioni e brutture.
Mi dissi forse è finita qui, forse ritorneremo alla normalità, alla terra che amavo molto e che fece dei miei anni infantili felicità e gioia assoluta.
Ma come sempre non tutto prosegue come dovrebbe, un giorno una persona mi disse "Sai la nostra Padania..." e quel nome mi mise in allerta, al che risposi "Vorrai dire valle padana".
Dall'altra parte un no secco, la Padania, un futuro stato formato da regioni produttive che mantengono l'Italia che ruba... Cercai di capire cosa fosse.
Iniziai a comprendere che un nuovo vento politico voleva fare di quella terra di tutti e di nessuno, così bella, uno stato. Un luogo con confini, dove dovrebbero esserci nuove leggi e tanto altro...
Cercai di capire tra tv, giornali, interviste a chi fondò quella nuova cosa, devo dire che mi inquietai parecchio e molte cose non mi piacquero. anche io non sono d'accordo che la locomotiva del nord traini tutto lo stato ma pensandoci bene non traina  l'Italia delle persone e regioni, ma chi governa mentre le regioni del sud rimangono "povere" per chissà quale programma ed intenzioni. In effetti tutto sparisce al governo, non dico Roma perché è troppo bella per accusarla di tutto ciò.
Io pensavo ai tempi in cui la pianura padana era solo pianura amata o odiata quanto vuoi, ora sembra diventata una terra che vuole l'indipendenza e spesso con parole dure ed inconciliabili, anzi non è lei che sembra diventata, lei è sempre la stessa... Sono gli esseri umani che vorrebbero cambiasse. Ho letto cose incredibili per il secolo in cui viviamo e sentito cose che potevano appartenere all'ottocento se non al medio evo.
Questi esseri umani che nel corso degli anni hanno commesso errori in quel programma, che solo al pensiero ci sarebbe da rinunciare a questo sogno, a questa Padania.
Tutto ciò potrebbe ora essere intrapreso come uno sfogo politico il mio, lo potrà anche essere sotto alcuni aspetti, però io non voglio che la mia pianura diventi terra di confine, terra dove la gente che nei secoli e decenni scorsi hanno prodotto ed aiutato a far crescere tutto, dove la gente viveva semplicemente e anche serenamente in paesi e città storiche, bellissime con tradizioni e tanto altro.
Non mi piace l'idea di una cittadinanza diversa, di una divisione così drastica, "perderei" molti amici di regioni lontane, vorrei invece che ci sia collaborazione ed uguaglianza e giustizia quella vera. Sono state fatte lotte enormi per unire un Paese che non è mai stato unito, oggi ne abbiamo continuamente prove, ed ora dovrebbe esserci uno stato nuovo chiamato Padania...
Eppure io mi ritrovo coi pensieri a tornare piccolo dove tutto sembrava semplice, dove le albe e i tramonti erano fantastici in ogni stagione, dove campi di grano e mais facevano gara con quelli dell risaie a chi produceva di più, dove il sole cocente dell'estate afosa litigava con le nebbie e il gelo dell'inverno per far si che le persone non vedessero l'ora dell'arrivo della primavera con i suoi fiori o dell'autunno con i suoi colori intensi. 
Vorrei solo che la pianura padana restasse pianura e non Padania, ma soprattutto che restasse italiana.


giovedì 16 ottobre 2014

16 OTTOBRE



16 Ottobre 2014
16 Ottobre 1991

Quanto possono essere importanti le date nei ricordi? Molto? Poco? In maniera insignificante oppure sono fondamentali? Eppure oggi 16 ottobre guardando il cielo ed il viale vicino a casa mia, un ricordo improvviso si fa strada nella mente. 
Poco fa camminavo in questo viale coperto di foglie rosse e gialle cadute dagli ippocastani che ne seguono il corso, come giganti protettori di quella strada importante e vidi per terra ricci e castagne "matte" (come le chiamava la mia nonna materna), castagne che se le metti in un sacchettino, in borsa oppure in tasca e spesso in qualche ninnolo in casa, portano fortuna e salute.

Lodi
16 ottobre 1991, ore 11.35

"Paolo guarda due castagne matte!" la voce di Francesca mi fece distogliere lo sguardo dalla stupenda villa in uno dei viali alberati di Lodi, vedo lei chinarsi e raccoglierle porgendomene una sorridendo. 
"Ecco tienila, io tengo questa, mettila in tasca della giacca porterà fortuna e salute... Basta crederci."
La guardai e sorrisi, era bellissima quel mattino di primo autunno non tanto freddo con il cielo leggermente coperto, esattamente come ora. I capelli finalmente cresciuti dopo periodi di chemioterapia, erano sulle spalle, i riflessi ramati facevano risaltare i suoi grandi occhi verdi ed il maglione rosa con camicia bianca, facevano risplendere il volto colorito pieno di lentiggini.
"Certo che oggi si sta proprio bene..." dissi prendendola per mano per attraversare quasi di corsa l'incrocio col semaforo giallo "Qualche nuvola, temperatura tiepida e questi colori, non sembra neanche autunno."
Eravamo andati a Lodi per alcuni documenti e dopo aver espletato tutte le incombenze necessarie, avevamo deciso di prenderci qualcosa di caldo e di fare una bella passeggiata in attesa del nostro autobus che ci riportasse a casa.
"Hai visto che ho corso senza fiatone?" mi disse improvvisamente, non so se il mio sguardo tradisse allora qualche segno di preoccupazione o di gioia "Bene sono contenta, vuol dire che tutto sta migliorando e che tra un po' quando tutto sarà pronto, potremo fare quella cosa..."
"Aspetta guarda là che meraviglia quel negozio d'antiquariato." cambiai discorso cercando di non pensare a quello che aveva detto poc'anzi "Vieni a vedere, ci sono quelle lampade art-noveau che mi piacciono tanto."
Sentivo che mi stava osservando e quasi le leggevo nel pensiero, ma continuavo a parlare dando notizie e pareri sui bellissimi mobili in quelle vetrine illuminate.
"Perché cambi continuamente discorso ogni volta che..."
"Non cambio discorso." dissi mentendo "Sarebbe la solita tiritera da tre anni a questa parte. Anzi io sono seccato per averci fatto aspettare tutto questo tempo. Si poteva fare tutto prima..."
Lei per un attimo si era zittita, poi la sua voce calma parlò nuovamente "Certo, ma si vede che non era il momento... No so che cosa stai dicendo e che sei arrabbiato, fossimo in altre condizioni economiche ed il viaggio a Parigi due anni fa avrebbe risolto tutto molto prima... Ma ora ci siamo e poi..."
"Poi?..." chiesi guardando l'orologio e si era fatto pure tardi, affrettammo il passo verso la fermata degli autobus.
"Beh poi abbiamo queste ora..." rispose mostrando nella mano una delle due castagne "Lo sai che portano fortuna..."
Più tardi un leggero sole spuntato da qualche nuvola grigia, illuminava il nostro pullman che si stava avviando verso casa.

Milano
16 Ottobre 2014, ore 11.35

Tornato al posto di lavoro dieci minuti fa e seduto davanti alla mia scrivania, davanti al computer mentre curiosavo tra facebook ed internet avevo visto in fotografia un viale e delle castagne e subito istintivamente guardai il calendario alla mia sinistra, 16 ottobre...
Che coincidenza, forse la fortuna di avere una memoria formidabile, forse di vivere le proprie emozioni, la propria vita intensamente anche nelle cose banali, spesso mi ritrovo a ricordare cose vissute che per alcuni sono normali ma per chi e vive sono tutt'altro. 

Penso ora alle due castagne di quel giorno che sono le stesse, chiuse in una barattolo colorato a casa mia, quando lei se ne andò dodici giorni dopo, vidi in camera sua appoggiata sul comodino la castagna che avevamo colto insieme pochi giorni prima e la presi.
Ora tutte e due sono insieme ma sono sicuro che quando andrò via anch'io, gliele porterò, dicendole non appena sarà davanti ai miei occhi "Ecco le ricordi? Sono le castagne della fortuna e della salute. La tua l'avevi dimenticata tantissimo tempo fa, ma ora è di nuovo con te."
Sarà suggestione, ma in questo momento alle mie spalle dalla finestra, è spuntato un pallido sole come quello che apparve mentre eravamo sull'autobus di ritorno, l'autobus delle 12.30, proprio come ora.
Che sia un suo modo di farmi capire che lo sapeva già?



lunedì 13 ottobre 2014

Ricordo di un'estate lontana

Una canzone ascolta per caso e subito un ricordo bellissimo di un'estate ormai lontana






(La foto ritrae mia madre, io e dietro la mia prozia che ci accompagnava in quella vacanza a Lavagna nel 1964)

Lavagna, Agosto 1964.

I juke box imperversavano dai bar lungo le strade illuminate di quell'estate calda, piena di colori e profumi ed in pieno boom economico. Le persone in abiti colorati camminavano per queste vie soffermandosi davanti a locali e vetrine. Io ero piccolissimo e mi ricordo dal passeggino una marea di gambe e tante voci di cui non capivo nulla, poi infine a passi frettolosi, con i miei girammo in una via e finalmente da lontano il mare, il dancing "Chez Vous" e le rotaie del treno  che dividevano la strada dalla spiaggia ghiaiosa.
Ricordo vagamente poi un profumo forte di fiori, in braccio a mamma che aveva di fianco papà, nonna, zia e prozia. Ricordo molte persone che ascoltavano una musica in quella piazza all'aperto vicino al mare, il cielo pieno di stelle ed una luna incredibile. 
Guardavo una coppia ballare questa canzone che, ricordo perfettamente cantata da un gruppo su un palco vicino a delle palme: lei aveva una scollatura dietro la schiena che mostrava un'abbronzatura invidiabile 
su quel vestito blu notte e lui con camicia chiara e pantaloni neri con i capelli impomatati. 
Ricordo che girai il visino verso la nonna che sorrideva e mi mandava un bacio e dietro di lei una bellissima ragazza che mi colpì talmente, da vederne ancora oggi il volto nella mente. Pensavo che fosse cinese e quando lo chiesi alla nonna, mi rispose che era olandese e il fatto di sembrare cinese era dovuto solo al trucco, un riga fatta con la matita nera, una riga rivolta all'insù sulle palpebre che le conferivano un'aria vagamente orientale.
Era bello vedere le signore tutte agghindate ed ognuna con un vestito diverso, un'acconciatura molto spesso cotonata che la differenziava dalle altre e i colori di quegli abiti estivi così alla moda e spesso strani. Solo gli uomini si concedevano al massimo pantaloni bianchi o azzurri e camicie chiare, ma sempre solo d'estate ed in vacanza.
Che anni furono i '60, li ho vissuti da piccolo ma per me furono indimenticabili, ricordarli ora come un sogno o una nostalgia è strano però, se ancora ci fosse quell'atmosfera e la positività di quegli anni, forse, staremmo di nuovo tutti bene.

mercoledì 8 ottobre 2014

UNA SERA SENZA STELLE



QUELLA SERA SENZA STELLE





(Oggi si parla di mobbing molto più apertamente, se ne discute, forse qualcosa si sta facendo ma non è mai abbastanza. Quando lo si subisce da grandi o da adulti, si ha la capacità se non di difendersi, almeno di provvedere per chiedere un supporto o aiuto. Quando si è piccoli è diverso, subentra paura, orrore e incapacità di comprendere, ed è qui che "dentro" nel proprio io un ragazzino o ragazzina pensa di essere sbagliato e non capisce che è solo colpa degli altri. L'accanimento contro persone è originato da cattiveria, da senso di superiorità, da una possibile diversità di ogni tipo, chi l'ha subito se lo porta dietro per tutta la vita, vincendolo o rilegandolo in una parte della propria mente fingendo che non sia mai esistito oppure lo subisce ancora fino alla fine, generando paure e voglia di morire... In alcuni casi è stata l'unica - sbagliata e non capita - soluzione possibile. Perché sto scrivendo tutto questo? Perché ho letto per caso una storia poco fa, una storia vera di una bambina vessata da persone orribili e che ora, adulta, sta pagando ancora le conseguenze di quell'odio, di quell'astio inconcepibile e nei suoi pensieri c'è ancor oggi la voglia di morire. La storia che racconterò ora è vera ed è mia, alcuni diranno ma quante cose gli sono capitate a questo? Io solo posso dire che ognuno di noi ha vissuto, vive e vivrà esperienze che nessun altra persona farà, certo potranno essere simili queste vicende ma mai uguali, soprattutto mai vissute psicologicamente in maniera identica. Non starò a mettere in discussione il come, il perché e chi ha contribuito ai fatti che sono successi allora, ma vorrei far capire a chi sta subendo le stesse esperienze anche in maniera diversa, che con forza, abnegazione e coraggio tutto si può se non risolvere almeno vincere in parte e ritrovare se stessi ed una serenità rubata. Non è facile raccontare tutto questo per me, la decisione di farlo è stata tormentata e lunga ma trovo sia giusto e forse anche dare un aiuto per chi non ce la fa a sopportare il male che viene fatto loro, soprattutto se giovanissimi.

SENZA CUORE
SENZA AMORE
SENZA STELLE

Di nascosto dietro alla porta della mia cameretta sentire la voce di tuo padre che dice: "Non vado a seguire quello di là (cioè io) alle gare di quello sport da femminucce." mentre stavo reparando la mia borsa con la divisa della mia squadra, era stato davvero doloroso, avevo ricacciato le lacrime in gola piuttosto che farmi vedere piangere.
"Fare atletica e corpo libero non è da femminucce..." gli aveva risposto arrabbiata mia madre mentre stava dando la pappa alla mia sorellina nel seggiolone "Ci sarei andata anche io ma con la piccola come faccio?"
Era stata quella frase detta dall'uomo che mi ha generato a farmi capire quando non si è accettati e da quel momento avevo ripensato a ciò che mi aveva fatto subire fin da piccolo, fin da quando avevo avuto i primi ricordi. 
Mi domandavo, mentre cercavo di dare il massimo dell'impegno nella gara, arrivando a prendere una modesta medaglia di bronzo, se tuo padre non ti vuole, ti detesta solo perché sei nato ed in quel momento non ti voleva, non ti ama, chi altro avrebbe potuto amarti?
Cercavo nelle tribune qualcuno dei miei ma c'erano solo i genitori e parenti degli altri ragazzi, dei miei amici che gareggiavano con me e mi sentivo solo, ma poi avevo deciso di concentrarmi su quello che stavo facendo.
Più tardi ero tornato a casa con due amichetti: Marco e Pierfrancesco, una volta entrato nel nostro appartamento, solo la mamma mi aveva chiesto com'era andata e tutto finì lì, sotto lo sguardo gelido dell'uomo seduto sulla poltrona con in mano un quotidiano.
A scuola era una tragedia che pochi ricordano o meglio, molti fingono di non ricordarsi, la colpa? Solo per il fatto di avere avuto un aspetto dolce, un bel bambino un po' strano che invece di giocare al pallone, a fare la lotta, diventare cow boy o indiano preferiva leggere, dipingere, girare in bicicletta e peggio ancora cantare nel coro dell'oratorio. 
Le vessazioni subite erano all'ordine del giorno, ricordo i nomi di quelli che mi facevano dispetti, insulti, fino ad arrivare alle mani... 
"La difesa è l'unica cosa che può farti vincere, non permetterlo a nessuno di piegarti... Se la parola non vince, vince la mano.." diceva mia nonna materna e presi in parola tutto.
Tornavo a casa con il labbro gonfio per un calcio, oppure un occhio pesto per un pugno, la maestra a volte interveniva quando vedeva i litigi nel cortile della scuola Morzenti, ma più spesso succedeva fuori dall'orario di scuola o in giro per strada, dove incontravo per caso le solite piccole bande di ragazzini asociali.
Da mio padre nessuna difesa o commento, dalla mamma si... Certo avevo amici e soprattutto molte amiche con cui mi trovavo bene ma spesso dovevo fare strade secondarie per non farmi vedere per la paura di trovare la solita banda e da solo contro loro, non ce l'avrei mai fatta.
Le parolacce più divertenti al mio indirizzo erano "Faccia da culo" (ovvio mica avevo il viso di terminator e poi non giocavo al pallone quindi davano per scontato chissà cosa, a otto o nove anni???), oppure nel gruppo di ricerche scolastiche, il "maschiaccio", il "figo" della classe o dei giochi in strada diceva sempre "Io quello non ce lo voglio vicino"... 
Gli altri insulti li lascio alla vostra immaginazione, esagerando pure.
Un giorno mi ero slogato sun piede per un'aggressione, un'altra volta il labbro tagliato all'interno da un pugno, poi un calcio negli stinchi mentre stavo passando vicino a dei ragazzi che ridevano fino a che un pomeriggio, in una zona popolare della città dove vivevo, non avevo visto due della "banda" uscire da un angolo della strada. 
Botte e provocazioni fatte così come se per loro fosse acqua fresca da bere, ma per me no. Ogni volta era una lama che tagliava un pezzo del cuore.
Piangevo? Si spesso, poi non più e chiuso nella mia cameretta pensavo a come poter morire senza soffrire troppo, confesso che mi vien da ridere a pensarci: 
mi vedevo gettarmi dal ponte dentro al fiume, appeso alla pianta di ciliege dello zio Peppino in fattoria, oppure dopo aver bevuto 100 pillole per il cuore della nonna o magari con la lametta tagliarmi le vene e via di seguito... 
Ed intanto il tempo passava e le cose non cambiavano. Non riuscivo a capire il perché di questo odio da una parte di alcuni e tanta amicizia da parte di quei pochissimi amici più grandi di me ma soprattutto quella di  tante ragazzine.
La banda era cresciuta con me, alcuni di loro superavano i quindici anni mentre io ne avevo solo tredici quando un giorno passando (sempre per non farmi vedere) nelle strade secondarie, soprattutto quelle situate dietro al castello, mi ero trovato di fronte tre di loro.
"Questo è il nostro territorio ora, se passi ancora una volta di qui ti spezziamo le gambe"... 
Spaventato avevo accelarato il passo e quasi fuggendo avevo avuto modo di sentire le loro risate alle mie spalle ed un sasso sfiorarmi la testa. 
Perché lo avevano fatto? Ora anche nell'unica zona in cui potevo passare tranquillamente ora non potevo più farlo. Non avevo detto nulla  a nessuno ma non ero più passato da quelle parti se non con i miei.
Un mattino in bagno mentre mi facevo la doccia, era arrivato improvvisamente quel pensiero: "Io ci passo, succeda quel che succeda ora basta..." avevo deciso che quel giorno avrei preso la mia bicicletta e di fare la "provocazione" passando dalle vie proibite, volevo vincere ed ero sicuro di farcela.
Per puro caso mia madre proprio quel tardo pomeriggio, doveva portare delle camicie da sistemare ad una sarta che abitava in una di quelle vie e così avevo preso la palla al balzo, ci sarei andato io. 
Era sceso il buio presto, eravamo ancora in marzo e stranamente non faceva freddo, un cielo nuvoloso e grigio come la pietra su di me che con la bicicletta rossa e mi ero avviato sulla strada dietro il castello, fatta poi la mia commissione, avevo voglia di fare un giro in centro e mi sono immesso sulla salita chiamata pontino, non c'era nessuno.
Non riuscivo a capire se ne ero felice oppure no, se comunque si fossero presentati li avrei affrontati e in quel momento mi era venuto un coraggio, apparente, da leone finché un rumore sordo aveva colpito il mio udito, i miei sensi  verso la mia destra.
Mi ero fermato e voltata la faccia forse senza sorpresa avevo visto loro. erano li fermi in piedi con un sorriso terribile sulle labbra.
Erano in sei, li ricordo tutti uno ad uno, viso per viso... Il più grande mi guardava come fossi una bestia da schiacciare, dentro mi tremava tutto.
"Che ti avevamo detto tempo fa?" aveva detto con una strana voce con lo sguardo di un gatto selvatico ed io zitto, si era avvicinato... troppo, mi sovrastava di almeno quindici centimetri, avevo la sua bocca davanti agli occhi e mi vera venuto da vomitare. 
"Allora? Stronzetto di merda dalla faccia da culo che fai qui?." non avevo detto nulla, ma sentiva il mio tremore e la mia paura, mi aveva preso per il maglione e giacca:
"Ti do due secondi per sparire, la merda come te qui non la vogliamo vedere, capito stronzetto?" mi aveva lasciato di colpo ma in tempo a reggermi al manubrio per non cadere mentre gli altri ridevano.
Non so con che sguardo lo avevo fissato e lui strinse di più gli occhi, volevo dire qualcosa ma avevo girato il volto verso la salita, sedutomi sulla bicicletta avevo iniziato a pedalare ma dalla mia bocca uscì "Vaffanculo"... 
Tremavo e non pensavo mi che avessero sentito, non andavo veloce tant'è che di nuovo qualcosa si era mosso alle spalle, avevo girato la faccia all'indietro pur pedalando e me li ero ritrovati di fianco a pochi centimetri.
Lui, il capo aveva fatto un cenno due altri che si erano messi subito davanti a me impedendomi di proseguire. Mi si era avvicinato sempre di più, nessuna mossa da parte mia, mi aspettavo di tutto ormai fino a quando arrivò quel pugno. 
Un pugno violento sulla schiena che mi aveva piegato in due facendomi sbattere lo sterno sul manubrio cadendo per terra.
"Questo è per il vaffanculo..." poi non mezzo intontito non avevo compreso le altre parole anche perché stavano scappando via, forse anche impauriti vedendomi per terra fermo, scomparendo dietro ad una curva.
Non so quanti minuti erano passati o forse erano secondi, in quel momento mi mancava il fiato, non avevo più il respiro per la botta contro il manubrio e mi faceva male pure la schiena. 
Rialzandomi vedevo i miei pantaloni sporchi di terra umda e mi bruciava il ginocchio destro. Con la bici per mano mi ero avviato piano verso la strada che costeggiava il fiume... 
Sentivo il sangue colare dal ginocchio nel calzone... Quando mi ero ritrovato vicino ad una delle piante di sambuco che costeggiavano la via davanti a quell'acqua... Osservavo come ipnotizzato quel fiume scuro ed  invitante, se mi fossi buttato avrei risolto tutto.
Invece ero scoppiato in lacrime scivolando per terra appoggiato al muro dell'ultima officina prima delle rive di erba rasate che portano giù al Lambro. 
Avevo pianto non so quanto con la testa tra le mani... Non erano lacrime di dolore per il pugno, la botta allo sterno oppure per il ginocchio, ma piangevo per il male che avevo dentro, per i perché di queste cose che non capivo, per i miei tredici anni buttati al vento per colpa di altri ragazzi cattivi.
Il cielo mi sembrava sempre più buio, non c'era una stella, solo la luce di un lampione poco distante sopra la mia testa, avevo messo il capo sulle ginocchia ed ero rimasto li a pensare, mia madre mi aspettava sicuramente spaventata per il ritardo.
Poi un auto si era fermata vicino a me, una voce che mi chiamava, quando avevo alzato lo sguardo con gli occhi rossi mi era apparso dal finestrino un volto quasi spaventato, conoscevo quella persona.
"Dio mio che è successo? Paolo rispondi..." la mamma di un amico di scuola era scesa dall'auto in fretta, per aiutarmi.
Voleva portarmi a casa mia, a pochi passi da quel luogo isolato, ma io le avevo detto di no, dovevo riprendermi ancora ne avevo bisogno. Mi aveva fatto salire in macchina dopo aver legato la mia bicicletta al palo della luce e ci eravamo avviati verso la sua villa più avanti.
Nel tragitto la donna aveva ascoltato tutta la storia e siccome conosceva bene i miei, aveva deciso di raccontare tramite una telefonata a mia madre, una storiella inventata lì per lì, non appena saremmo arrivati a casa sua, per non spaventarla ulteriormente.
Ero rimasto a casa sua fino alle sette di sera e guardavo la tv con suo figlio, sentivo lei al telefono con la mamma e quindi tutto era a posto almeno esteriormente. 
Da donna intellgente mi aveva di nuovo fatto raccontare la storia e mi aveva aiutato a capire, a comprendere che purtroppo ci sono persone con grossi problemi nel relazionarsi con gli altri e sfogano la loro mancanza e frustrazione con atteggiamenti di superiorità e cattiveria per poi agire in gruppo dove si sentono più forti, attaccando chi, secondo loro erano deboli mentre sono proprio loro i meno forti. 
Quando fissandomi negli occhi mi aveva detto: "Farò qualcosa contro loro perché conosco i genitori di uno di quei bulli..." l'avevo implorata di no.
Lei aveva insistito ma io ero riuscito a siegarle il perche: mi ero reso conto di aver trovato il coraggio di vincere le paure e le persone cattive affrontandole a qualsiasi costo.
Più tardi mentre tornavo a casa da solo, dopo averla dissuasa nell'accompagnarmi, avevo deciso che mai più sarebbe stato come prima. 
E così fu.

Giampaolo Daccò Dos Lerèn

giovedì 2 ottobre 2014

Un mattino di primo Ottobre nella mia MILANO





















MILANO 2014

Svegliarsi presto in un mattino d'autunno, per poi immergersi nelle strade della grande città ancora quasi dormiente e percorrere il breve tratto del viale che divide la propria casa dal posto di lavoro.

In quel momento, vedendo le luci soffuse dei lampioni, l'alba rosata che illumina il cielo dal colore incerto e le poche auto che corrono veloci chissà dove, ti assale la voglia di immortalare quell'immagine quasi romantica, dal sapore vagamente retrò, una old-fashiond melody quasi come tornare negli anni sessanta da bambino e subito parte il clic.

La voglia di immaginare questo scatto in mille modi, mi ha subito costretto non appena sono arrivato in ufficio, a modificare quello che ho immortalato, in varie fotografie dal sapore diverso, seppur con la medesima immagine. 

Mentre le osservavo sullo schermo, con la mente immaginavo gli anni passati e di come poteva essere in quel momento la via fotografata da un normale telefonino: anni cinquanta? Un ritratto quasi impressionista? Una giornata piovosa d'autunno oppure moderna ed attuale? E perché no? Magari tutt'e quattro insieme per dare un'immagine diversa alla stessa città.

Ogni foto un'emozione, un pensiero ed un ricordo:
Quella colorata e moderna degli anni 80, dove tutto sembrava spensierato, dove l'apparenza regnava sovrana e la superficialità non mostrava ciò che sarebbe successo poi, ma era la Milano da bere, della moda, della bellezza, dei paninari, dei capelli alla punk, spalle larghe ed imbottite e pantaloni ascellari, dove tutti facevano a gara nel farsi notare e vivere alla grande, spesso a dispetto di ciò che nascondevano in realtà nella vita privata.

Magari quella con la pioggia tipica degli anni 70 dove si andava a scuola in eskimo, jeans, maglione e capelli lunghi se eri di sinistra o col giubbotto trapuntato e nero possibilmente, con i capelli rasati o ben pettinati, se eri destra, i "sanbabilini" dovevano ancora arrivare.
Oppure quando percorrevi i viali per andare a scuola e la pioggia batteva forte sui tetti, sulle auto e tu un giorno si ed un giorno no in piazza a protestare, chi con la bandiera rossa ed il Che disegnato in prima linea, chi con la bandiera nera con la croce nel cerchio... Spesso finiva a scazzottate, molte volte soltanto scontri con la polizia e poi le bombe che cambiarono tutto, ma questa è un'altra storia.

Oppure la foto retrò in stile anni cinquanta, con i colori sul mattone (chissà perché quando si pensa al passato le immagini scorrono o in bianco e nero oppure in colori sul rosso mattone con punte di giallo scuro come fossero ricordi sbiaditi o ingialliti dal tempo), 
dove quando si entrava nei negozi o in qualche locale si salutava, dove su un marciapiede stretto l'uomo lasciava il passo alla donna che proveniva di fronte magari salutandola alzando il cappello.
Il periodo dove il per favore, il grazie ed il prego regnavano sovrani ed i bambini, temendo punizioni dai grandi, cercavano di non commettere (almeno quando non erano soli) le cosiddette allora marachelle.
Dove gli anziani avevano posti garantiti sui mezzi pubblici e non si sentivano schiamazzi ed urla nelle orecchie come oggi. E soprattutto non c'erano gli squilli continui dei cellulari e gente che chiedeva carità (anche quando non ne avrebbero davvero bisogno) in ogni angolo delle strade e chi c'era su quei marciapiedi grigi, allora povero lo era davvero.

O per finire la Milano in bianco e nero degli anni sessanta, dove i Beatles, Rolling Stone, mini gonna, beat generation e balli sfrenati hanno conquistato tutti? Era il boom tanto decantato.

Ricordo bellissime ragazze con minigonne vertiginose e gli occhi bistrati, i ragazzi con pantaloni colorati a zampa d'elefante, capelli lunghi per tutti. Ricordo qualche matusa vestito seriamente dove il grigio, il blu ed il nero col marrone erano gli unici colori che potevano indossare contestando i giovani che osavano di più (allora a quarant'anni eri matusa-vecchio-stantio, mentre attualmente gli ottantenni si fidanzano, si amano e vanno a ballare a discapito dei ragazzini che girano in branco vestiti tutti uguali e chiusi nelle loro camere a chattare con gli altri con il proprio computer). 

Anni di rivolte studentesche, dove il vecchio veniva spazzato via senza pietà, dove i lavoratori urlavano ed ottenevano i loro diritti e così le donne, le femministe con i loro slogan che scandalizzavano i benpensanti, ma anche anni dove la Chiesa si era modernizzata, inserendo durante le messe, complessi e band che cantavano si inni al Signore ma inni moderni nuovi (tutto perso con l'arrivo del nuovo papa alla fine degli anni 70, portando tutto indietro come decine di anni prima).
 Anni lontani che non tornano più.

Perché ho scritto tutto questo? Non lo saprei dire, non è neanche nostalgia (negli anni cinquanta non ero ancora nato) o voler a tutti costi ricordare il bel tempo che fu, difetto tipicamente italiano dove siamo ancorati ai vecchi ricordi ed alle vecchie usanze, perdendo spesso treni che altri Paesi prendono al volo, migliorando e avanzando a dispetto del povero Paese nostro. 

O meglio lo so il perché l'ho scritto: colpa di questa foto anzi di queste foto realizzate da me, un po' per gioco, un po' per curiosità ed alla fine hanno innestato nella mia mente una serie di ricordi e fotografie di una Milano che non c'è più ma che ora, con la nuova area metropolitana si sta proiettando verso il futuro (anche se solo tecnologicamente come tutte le metropoli mondiali occidentali che nonostante si sta avvicinando la decadenza, continuano a mostrarsi giovani, forti e belle, come le ragazze di Miss Italia, altre vittime del progresso). 

Una Milano che tra poco "senza confini comunali" avrà più di tre milioni e mezzo di abitanti, dove con l'hinterland ne supera già gli undici milioni inglobando città partendo da Novara fino alle cittadine del lago di Garda da ovest ad est, 
da Lodi-Pavia fino a Lugano e Varese da nord a sud, formando una megalopoli tra le più cementificate del mondo.
Ma che importa è il progresso, è il futuro, è ciò che stanno creando per "noi" ed i nostri figli. 

Mi chiedo quale futuro mentre guardo di nuovo queste immagini così semplici di un viale immerso nelle luci del primo mattino di un autunno qualsiasi, semplici ma intense come dovrebbe essere la vita di ognuno di noi.

Giampaolo Daccò Dos Lerèn