mercoledì 8 ottobre 2014

UNA SERA SENZA STELLE



QUELLA SERA SENZA STELLE





(Oggi si parla di mobbing molto più apertamente, se ne discute, forse qualcosa si sta facendo ma non è mai abbastanza. Quando lo si subisce da grandi o da adulti, si ha la capacità se non di difendersi, almeno di provvedere per chiedere un supporto o aiuto. Quando si è piccoli è diverso, subentra paura, orrore e incapacità di comprendere, ed è qui che "dentro" nel proprio io un ragazzino o ragazzina pensa di essere sbagliato e non capisce che è solo colpa degli altri. L'accanimento contro persone è originato da cattiveria, da senso di superiorità, da una possibile diversità di ogni tipo, chi l'ha subito se lo porta dietro per tutta la vita, vincendolo o rilegandolo in una parte della propria mente fingendo che non sia mai esistito oppure lo subisce ancora fino alla fine, generando paure e voglia di morire... In alcuni casi è stata l'unica - sbagliata e non capita - soluzione possibile. Perché sto scrivendo tutto questo? Perché ho letto per caso una storia poco fa, una storia vera di una bambina vessata da persone orribili e che ora, adulta, sta pagando ancora le conseguenze di quell'odio, di quell'astio inconcepibile e nei suoi pensieri c'è ancor oggi la voglia di morire. La storia che racconterò ora è vera ed è mia, alcuni diranno ma quante cose gli sono capitate a questo? Io solo posso dire che ognuno di noi ha vissuto, vive e vivrà esperienze che nessun altra persona farà, certo potranno essere simili queste vicende ma mai uguali, soprattutto mai vissute psicologicamente in maniera identica. Non starò a mettere in discussione il come, il perché e chi ha contribuito ai fatti che sono successi allora, ma vorrei far capire a chi sta subendo le stesse esperienze anche in maniera diversa, che con forza, abnegazione e coraggio tutto si può se non risolvere almeno vincere in parte e ritrovare se stessi ed una serenità rubata. Non è facile raccontare tutto questo per me, la decisione di farlo è stata tormentata e lunga ma trovo sia giusto e forse anche dare un aiuto per chi non ce la fa a sopportare il male che viene fatto loro, soprattutto se giovanissimi.

SENZA CUORE
SENZA AMORE
SENZA STELLE

Di nascosto dietro alla porta della mia cameretta sentire la voce di tuo padre che dice: "Non vado a seguire quello di là (cioè io) alle gare di quello sport da femminucce." mentre stavo reparando la mia borsa con la divisa della mia squadra, era stato davvero doloroso, avevo ricacciato le lacrime in gola piuttosto che farmi vedere piangere.
"Fare atletica e corpo libero non è da femminucce..." gli aveva risposto arrabbiata mia madre mentre stava dando la pappa alla mia sorellina nel seggiolone "Ci sarei andata anche io ma con la piccola come faccio?"
Era stata quella frase detta dall'uomo che mi ha generato a farmi capire quando non si è accettati e da quel momento avevo ripensato a ciò che mi aveva fatto subire fin da piccolo, fin da quando avevo avuto i primi ricordi. 
Mi domandavo, mentre cercavo di dare il massimo dell'impegno nella gara, arrivando a prendere una modesta medaglia di bronzo, se tuo padre non ti vuole, ti detesta solo perché sei nato ed in quel momento non ti voleva, non ti ama, chi altro avrebbe potuto amarti?
Cercavo nelle tribune qualcuno dei miei ma c'erano solo i genitori e parenti degli altri ragazzi, dei miei amici che gareggiavano con me e mi sentivo solo, ma poi avevo deciso di concentrarmi su quello che stavo facendo.
Più tardi ero tornato a casa con due amichetti: Marco e Pierfrancesco, una volta entrato nel nostro appartamento, solo la mamma mi aveva chiesto com'era andata e tutto finì lì, sotto lo sguardo gelido dell'uomo seduto sulla poltrona con in mano un quotidiano.
A scuola era una tragedia che pochi ricordano o meglio, molti fingono di non ricordarsi, la colpa? Solo per il fatto di avere avuto un aspetto dolce, un bel bambino un po' strano che invece di giocare al pallone, a fare la lotta, diventare cow boy o indiano preferiva leggere, dipingere, girare in bicicletta e peggio ancora cantare nel coro dell'oratorio. 
Le vessazioni subite erano all'ordine del giorno, ricordo i nomi di quelli che mi facevano dispetti, insulti, fino ad arrivare alle mani... 
"La difesa è l'unica cosa che può farti vincere, non permetterlo a nessuno di piegarti... Se la parola non vince, vince la mano.." diceva mia nonna materna e presi in parola tutto.
Tornavo a casa con il labbro gonfio per un calcio, oppure un occhio pesto per un pugno, la maestra a volte interveniva quando vedeva i litigi nel cortile della scuola Morzenti, ma più spesso succedeva fuori dall'orario di scuola o in giro per strada, dove incontravo per caso le solite piccole bande di ragazzini asociali.
Da mio padre nessuna difesa o commento, dalla mamma si... Certo avevo amici e soprattutto molte amiche con cui mi trovavo bene ma spesso dovevo fare strade secondarie per non farmi vedere per la paura di trovare la solita banda e da solo contro loro, non ce l'avrei mai fatta.
Le parolacce più divertenti al mio indirizzo erano "Faccia da culo" (ovvio mica avevo il viso di terminator e poi non giocavo al pallone quindi davano per scontato chissà cosa, a otto o nove anni???), oppure nel gruppo di ricerche scolastiche, il "maschiaccio", il "figo" della classe o dei giochi in strada diceva sempre "Io quello non ce lo voglio vicino"... 
Gli altri insulti li lascio alla vostra immaginazione, esagerando pure.
Un giorno mi ero slogato sun piede per un'aggressione, un'altra volta il labbro tagliato all'interno da un pugno, poi un calcio negli stinchi mentre stavo passando vicino a dei ragazzi che ridevano fino a che un pomeriggio, in una zona popolare della città dove vivevo, non avevo visto due della "banda" uscire da un angolo della strada. 
Botte e provocazioni fatte così come se per loro fosse acqua fresca da bere, ma per me no. Ogni volta era una lama che tagliava un pezzo del cuore.
Piangevo? Si spesso, poi non più e chiuso nella mia cameretta pensavo a come poter morire senza soffrire troppo, confesso che mi vien da ridere a pensarci: 
mi vedevo gettarmi dal ponte dentro al fiume, appeso alla pianta di ciliege dello zio Peppino in fattoria, oppure dopo aver bevuto 100 pillole per il cuore della nonna o magari con la lametta tagliarmi le vene e via di seguito... 
Ed intanto il tempo passava e le cose non cambiavano. Non riuscivo a capire il perché di questo odio da una parte di alcuni e tanta amicizia da parte di quei pochissimi amici più grandi di me ma soprattutto quella di  tante ragazzine.
La banda era cresciuta con me, alcuni di loro superavano i quindici anni mentre io ne avevo solo tredici quando un giorno passando (sempre per non farmi vedere) nelle strade secondarie, soprattutto quelle situate dietro al castello, mi ero trovato di fronte tre di loro.
"Questo è il nostro territorio ora, se passi ancora una volta di qui ti spezziamo le gambe"... 
Spaventato avevo accelarato il passo e quasi fuggendo avevo avuto modo di sentire le loro risate alle mie spalle ed un sasso sfiorarmi la testa. 
Perché lo avevano fatto? Ora anche nell'unica zona in cui potevo passare tranquillamente ora non potevo più farlo. Non avevo detto nulla  a nessuno ma non ero più passato da quelle parti se non con i miei.
Un mattino in bagno mentre mi facevo la doccia, era arrivato improvvisamente quel pensiero: "Io ci passo, succeda quel che succeda ora basta..." avevo deciso che quel giorno avrei preso la mia bicicletta e di fare la "provocazione" passando dalle vie proibite, volevo vincere ed ero sicuro di farcela.
Per puro caso mia madre proprio quel tardo pomeriggio, doveva portare delle camicie da sistemare ad una sarta che abitava in una di quelle vie e così avevo preso la palla al balzo, ci sarei andato io. 
Era sceso il buio presto, eravamo ancora in marzo e stranamente non faceva freddo, un cielo nuvoloso e grigio come la pietra su di me che con la bicicletta rossa e mi ero avviato sulla strada dietro il castello, fatta poi la mia commissione, avevo voglia di fare un giro in centro e mi sono immesso sulla salita chiamata pontino, non c'era nessuno.
Non riuscivo a capire se ne ero felice oppure no, se comunque si fossero presentati li avrei affrontati e in quel momento mi era venuto un coraggio, apparente, da leone finché un rumore sordo aveva colpito il mio udito, i miei sensi  verso la mia destra.
Mi ero fermato e voltata la faccia forse senza sorpresa avevo visto loro. erano li fermi in piedi con un sorriso terribile sulle labbra.
Erano in sei, li ricordo tutti uno ad uno, viso per viso... Il più grande mi guardava come fossi una bestia da schiacciare, dentro mi tremava tutto.
"Che ti avevamo detto tempo fa?" aveva detto con una strana voce con lo sguardo di un gatto selvatico ed io zitto, si era avvicinato... troppo, mi sovrastava di almeno quindici centimetri, avevo la sua bocca davanti agli occhi e mi vera venuto da vomitare. 
"Allora? Stronzetto di merda dalla faccia da culo che fai qui?." non avevo detto nulla, ma sentiva il mio tremore e la mia paura, mi aveva preso per il maglione e giacca:
"Ti do due secondi per sparire, la merda come te qui non la vogliamo vedere, capito stronzetto?" mi aveva lasciato di colpo ma in tempo a reggermi al manubrio per non cadere mentre gli altri ridevano.
Non so con che sguardo lo avevo fissato e lui strinse di più gli occhi, volevo dire qualcosa ma avevo girato il volto verso la salita, sedutomi sulla bicicletta avevo iniziato a pedalare ma dalla mia bocca uscì "Vaffanculo"... 
Tremavo e non pensavo mi che avessero sentito, non andavo veloce tant'è che di nuovo qualcosa si era mosso alle spalle, avevo girato la faccia all'indietro pur pedalando e me li ero ritrovati di fianco a pochi centimetri.
Lui, il capo aveva fatto un cenno due altri che si erano messi subito davanti a me impedendomi di proseguire. Mi si era avvicinato sempre di più, nessuna mossa da parte mia, mi aspettavo di tutto ormai fino a quando arrivò quel pugno. 
Un pugno violento sulla schiena che mi aveva piegato in due facendomi sbattere lo sterno sul manubrio cadendo per terra.
"Questo è per il vaffanculo..." poi non mezzo intontito non avevo compreso le altre parole anche perché stavano scappando via, forse anche impauriti vedendomi per terra fermo, scomparendo dietro ad una curva.
Non so quanti minuti erano passati o forse erano secondi, in quel momento mi mancava il fiato, non avevo più il respiro per la botta contro il manubrio e mi faceva male pure la schiena. 
Rialzandomi vedevo i miei pantaloni sporchi di terra umda e mi bruciava il ginocchio destro. Con la bici per mano mi ero avviato piano verso la strada che costeggiava il fiume... 
Sentivo il sangue colare dal ginocchio nel calzone... Quando mi ero ritrovato vicino ad una delle piante di sambuco che costeggiavano la via davanti a quell'acqua... Osservavo come ipnotizzato quel fiume scuro ed  invitante, se mi fossi buttato avrei risolto tutto.
Invece ero scoppiato in lacrime scivolando per terra appoggiato al muro dell'ultima officina prima delle rive di erba rasate che portano giù al Lambro. 
Avevo pianto non so quanto con la testa tra le mani... Non erano lacrime di dolore per il pugno, la botta allo sterno oppure per il ginocchio, ma piangevo per il male che avevo dentro, per i perché di queste cose che non capivo, per i miei tredici anni buttati al vento per colpa di altri ragazzi cattivi.
Il cielo mi sembrava sempre più buio, non c'era una stella, solo la luce di un lampione poco distante sopra la mia testa, avevo messo il capo sulle ginocchia ed ero rimasto li a pensare, mia madre mi aspettava sicuramente spaventata per il ritardo.
Poi un auto si era fermata vicino a me, una voce che mi chiamava, quando avevo alzato lo sguardo con gli occhi rossi mi era apparso dal finestrino un volto quasi spaventato, conoscevo quella persona.
"Dio mio che è successo? Paolo rispondi..." la mamma di un amico di scuola era scesa dall'auto in fretta, per aiutarmi.
Voleva portarmi a casa mia, a pochi passi da quel luogo isolato, ma io le avevo detto di no, dovevo riprendermi ancora ne avevo bisogno. Mi aveva fatto salire in macchina dopo aver legato la mia bicicletta al palo della luce e ci eravamo avviati verso la sua villa più avanti.
Nel tragitto la donna aveva ascoltato tutta la storia e siccome conosceva bene i miei, aveva deciso di raccontare tramite una telefonata a mia madre, una storiella inventata lì per lì, non appena saremmo arrivati a casa sua, per non spaventarla ulteriormente.
Ero rimasto a casa sua fino alle sette di sera e guardavo la tv con suo figlio, sentivo lei al telefono con la mamma e quindi tutto era a posto almeno esteriormente. 
Da donna intellgente mi aveva di nuovo fatto raccontare la storia e mi aveva aiutato a capire, a comprendere che purtroppo ci sono persone con grossi problemi nel relazionarsi con gli altri e sfogano la loro mancanza e frustrazione con atteggiamenti di superiorità e cattiveria per poi agire in gruppo dove si sentono più forti, attaccando chi, secondo loro erano deboli mentre sono proprio loro i meno forti. 
Quando fissandomi negli occhi mi aveva detto: "Farò qualcosa contro loro perché conosco i genitori di uno di quei bulli..." l'avevo implorata di no.
Lei aveva insistito ma io ero riuscito a siegarle il perche: mi ero reso conto di aver trovato il coraggio di vincere le paure e le persone cattive affrontandole a qualsiasi costo.
Più tardi mentre tornavo a casa da solo, dopo averla dissuasa nell'accompagnarmi, avevo deciso che mai più sarebbe stato come prima. 
E così fu.

Giampaolo Daccò Dos Lerèn

1 commento:

  1. Accidenti Giamp 😪😪😪😪perché esistono persone così? Come possono bambini e poi ragazzi essere così cattivi? Non li capirò mai

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