venerdì 31 maggio 2019

LETTER OF LOVE OF GRANDPA PAOLO TO GRANDMA VITTORIA




Milan, April 23, 1929

For you, my beloved
My sweet Victoria
In that morning from the blue sky,
while the golden rays of the sun
they peeked from the shutters
and you had opened your eyes on me
for the first time, I knew immediately that,
I would never have left you from my heart again.

It had always begun to beat
more in my chest
as soon as you smiled at me and
kissing you gently, I thought:
I finally have in my arms
the brightest star in the universe.

My mind, looking at you,
wandered in distant fantasies:
I saw myself running with you on the lawns,
hugging each other sitting on the grass by the river
and let the cool water
lapping at us gently,
while I ardently kissed your lips
so sweet, tender and passionate.

Dear my love, my passion
my heart, my Victory,
you were mine, you were my soul, my woman,
my everything and my salvation.
I dreamed of having so many children,
a house of our own,
to give you everything that I feel in my soul,
I wanted to give my life for you.

I had always heard a beating of wings in my heart
as soon as I heard your voice,
like a dream of love
suddenly bloomed,
on that morning three years ago,
when we first saw each other.

You, my star, my everything,
you gave yourself to me
after our church promise,
with all the love and passion
and from this love I am sure,
other wonderful stars will be born
that will brighten our lives.

The happiness of having you, of knowing you are close,
to find you every time I come home,
see your smile, your blue eyes
and your hugs, make me feel unique,
a man who was lucky
to have found the star in his life.

I would like to ask you to love me forever
despite my sometimes difficult nature.
To love me forever because
my heart and my soul
without you it would be destroyed with pain,
because all my thoughts
they are turned to our immense love.

I thank you for what you have given me,
give me and you will give me forever,
thank you my love, my heart
for the dedication, for the abnegation,
for all this love,
so sweet and so immense.

I would like to write you many more things, but ...
I would just like to say two words,
sweet, like a flight of angels,
like a ray of summer sun,
like a spring breeze.

Only two words that enclose the immense
and the joy I feel standing by you
everyday:
I LOVE YOU

Yours forever, Paolo.


(Revised by Giampaolo Daccò Dos Lerèn)
(Photo Unknown)

domenica 26 maggio 2019

MAGIA DI UN TRAMONTO DI SETA




MAGIA IN UN TRAMONTO DI SETA

La bianca lambretta sfrecciava per le stradine scoscese di quel grande paese di mare, abbarbicato tra basse colline e la distesa d'acqua blu mentre all'orizzonte le isole Eolie facevano da cornice a quel paesaggio.
Lui che guidava il suo motorino non vedeva l'ora che fosse arrivato davanti all'ospedale dove lavorava quella ragazza di cui si era innamorato.
Il caldo dell'estate si faceva sentire ma quel venticello portato sia dal mare che dalla velocità della moto tra le strade, donavano frescura al ragazzo in jeans con la maglietta a righe bianca e blu.

"Eccola, sta uscendo ora... Oh no è con le sue amiche come faccio ora a fermarla? Sono giorni che la punto e tutte le volte c'è qualcuno con lei accidenti." il pensiero di lui si era incupito dopo varie fantasie sognate durante la strada per l'ospedale, fantasie sul come e cosa dire a quella bella ragazza mora dagli occhi intensi per conoscerla.

Proprio non sapeva come fare, non che sia sempre stato timidissimo con le altre ma questa volta era diverso: quando il cuore si mette di mezzo, ragionare è tanto difficile e poi lei era troppo bella. Sfiduciato per l'ennesima volta, stava per rimettere in moto la lambretta quando davanti a lui un'ombra gli era passata davanti.
Aveva alzato gli occhi ed aveva visto che era lei, camminava davanti a lui di spalle, la giovane lentamente prima aveva attraversato la strada da sola ed ora lo stava precedendo camminando lentamente, nel suo vestito leggero color della notte. Era un segnale?
Istintivamente aveva guardato dall'altra parte e gli era sembrato che le sue due amiche e college se la ridessero alla grande... Vuoi vedere che...

"Ci... Ciao. Scusa ma... Sono senza fiato." la voce di Tony tradiva la corsa fatta a piedi mentre la sua moto era ferma almeno trecento metri nel posto davanti all'ospedale.
Lei si era girata guardandolo negli occhi mentre lui sudando copiosamente, si era piegato con le mani sulle ginocchia ansimando, la ragazza era scoppiata improvvisamente a ridere in modo simpatico.
Tony allora aveva alzato la testa abbozzando un sorriso strano  guardandola negli occhi e si era sentito avvampare.

"Sono almeno tre settimane che ti vedo appostato davanti al cancello del Cutroni-Zodda con la tua moto ed ora per conoscermi hai fatto lo scatto di Mennea lasciandola ferma davanti al cancello?" aveva una bella voce lieve.
Lei rideva e rideva ma i suoi occhi sembravano guardarlo teneramente, così Tony aveva sorriso a lei scuotendo la testa.

"Che figuraccia vero? Non ho più fiato nonostante..."
"Nonostante tu faccia palestra e sei sportivo... Lo so."
"Lo sai?"
"Certo ti avevo già visto un giorno in palestra tempo fa anche se abbiamo orari diversi."
"Orari diversi?" aveva chiesto Tony dandosi subito dell'idiota per la sua sciocca domanda, ma lei sorrideva ancora ferma nella sua posizione, in quell'istante il ragazzo aveva compreso che quella giovane dagli occhi di fuoco aveva una simpatia per lui e forse qualcosa di più.

Più tardi passeggiavano sul marciapiede della strada che conduceva verso la casa di lei, il suo nome era Nadia. Tony portava di lato la sua lambretta, non ha voluto chiderle di farla salire per tornare a casa, magari i suoi non avrebbero approvato.
Così faticando non poco l'aveva accompagnata a piedi, tanto non erano molto lontano ma era anche un modo per avere un po' più di tempo per parlare e conoscersi e soprattutto... Sperare.

Aveva scoperto che lei era studentessa e stava facendo tirocinio nella clinica, poi col tempo avrebbe deciso cosa fare per il suo futuro. Lui invece le aveva raccontato la sua vita in poco tempo tant'è che quando si salutarono davanti al cancelletto della casa di Nadia, aveva avuto il dubbio di aver parlato troppo e magari di averla annoiata, dentro di lui la sensazione strana che mancasse qualcosa.

"Che strano Tony..."
"Cos'è strano cosa Nadia?"
"Che tu non mi abbia chiesto il numero del telefono oppure se ci potevamo vederci ancora."
Mio Dio che stupida figura, aveva pensato Tony in quel momento ma era accaduto tutto in fretta che gli sembrava fin troppo eccessivo chiederle un appuntamento nonostante lei avesse mostrato una certa simpatia.
"Usciresti con me qualche volta?" le aveva detto in un fiato.

Era già passato un anno da quella sera d'estate, due ragazzi abbracciati sulla rena davanti al mare, guardavano quel tramonto che sembrava fatto di seta, tinto un colore dorato quasi magico.
La lambretta era di fianco a loro, aveva "visto" le loro giornate ed avventure quando viaggiavano su di essa alla ricerca di posti carini da vedere, quando lui  l'accompagnava al lavoro e parlavano di progetti futuri oppure quando si vedevano con amici e tanto altro.

"Ti amo Nadia, più della mia vita."
"Ti amo anch'io zuccone." le aveva detto lei accarezzandogli il viso fresco, lo aveva chiamato così fin dal primo istante per la sua caparbietà e ambizione nel portare avanti i suoi progetti ma ne era fiera del suo ragazzo.
Il loro bacio appassionato era sovrastato da stridii di gabbiani che volavano sopra di loro e mentre il tramonto si faceva più scuro, le sagome lontane delle isole Eolie davano un senso di fatato al loro amore.

Sono passati alcuni anni, da quei giorni del primo amore. Il matrimonio, la nascita di due stupende crature hanno rinsaldato quell'amore nato in una sera d'estate, dove per l'emozione una lambretta era stata dimenticata davanti ad un cancello d'ospedale.
Tony ha dato tutto il suo amore, la sua abnegazione ed aiuto alle persone della sua vita e ne è stato ripagato riempiendogli il cuore, eppure questa sera un pizzico di nostalgia di quegli anni, gli aveva fatto aprire uno degli album di foto che aveva scattato nel corso dei primi tempi del suo amore verso Nadia.
Sapeva di essere un ottimo fotografo come suo padre, sapeva di aver scattato immagini meravigliose, molto di più di quella che ora sta nelle sue mani:
una lambretta bianca in mezzo alla spiaggia, fotografata poco prima del bacio appassionato dato alla sua donna.

Una voce all'improvviso lo fa sobbalzare.
"Amore, te la ricordi ancora quella sera?"
Nadia lo ha spiato leggera da lontano e con tenerezza vedeva la sua testa china e le dita accarezzare quella fotografia, un impulso forte dettato dal cuore, le si è avvicinata mettendo la mano sulla spalla di Tony, il quale gliela bacia con dolcezza.
Nadia si siede accanto a lui appoggiando la testa sulla spalla del marito.
"Tesoro ricordi il magnifico tramonto di quella sera? Sembrava un velo di seta dorata. Non riuscirò mai a dimenticarlo era stato in quel momento che ho sentito... No non sono le parole giuste. E' stato in quel momento che avevo capito che saresti stata tu la donna della mia vita per sempre."
Nadia alza il viso e con gli stessi occhi di fuoco di allora lo guarda nei suoi ed un bacio appassionato, sta suggellando ancora il loro intatto amore.

All'improvviso due urla alle loro spalle, li fece quasi sobbalzare e in un secondo i loro figli erano abbracciati a loro.

"Papà ce la racconti la storia della lambretta e di come hai conosciuto mamma?" gli occhi della figlia maggiore erano luminosi ed allegri.
"Ancora? Ma la conoscete già, eppoi..."
"Dai ti prego papà, ancora una volta... Oddio adoro quella lambretta, ti prego...."
Nadia sorride a Tony. 
"Su caro per una volta ancora, questa sera riviviamo tutti insieme questo ricordo, non senti il profumo del mare arrivare dalla finestra e portato dall'aria fino a noi? Sembra suggerirci di farlo."

Tony annuisce, guarda la moglie, i suoi tesori, alza la foto con la lambretta appoggiata sulla sabbia ed incomincia:

"C'era una volta..."

Story -  J.P. Dos Lerèn
Photo - Tony Milone.










giovedì 23 maggio 2019

A SWEET STORY LIKE A COUP OF TEA




A SWEET STORY LIKE A COUP OF TEA  


Moneglia (Ge), August 1969.

A warm summer, full of colors, of perfumes, a small town full of tourists, music, party nights.
One of the many wonderful holidays of the sixties of the economic boom, of people who needed a cheerful little tune to start a special day.
A nice vacation, in a quiet hotel in the middle of the green, near a small road that led to a mountain resort and the green river a short distance away, made her gurgling in the silence of sunny afternoons.

We, two carefree and lively children, Elida and Giampaolo, at 17.00 on that afternoon of August 1st, we had not gone to the beach, the heat was really torrid, our dads and mothers, they wanted to make an excursion only for adults up to Lemeglio, the village not far from the top of the mountain above Moneglia.
We children stayed with my grandmother in the hotel almost happy to be without the reproaches and duties dictated by our loved ones.
Elegant as they used to be in the sixties with the dress of the afternoon, she in a blue dress with pink flowers, with the headband on her black hair and the dancers with a bow at her feet. I wore a white linen shirt with light blue profiles and light blue shorts with a belt the same as a shirt and with light white leather sandals, obviously with strictly embroidered white socks.
We sat like two sweethearts under the umbrellas in the garden. The owner's daughter brought us two cups of hot tea and some cream biscuits along with two glasses of water to cool that spicy and good tea.
We sit on the Liberty style chairs under the palms and start our conversations of little summer vacation sweethearts. Important conversations other than toys and children's stuff: the existence on other planets and stars, under the watchful and amused eyes of my grandmother who sipped her juniper-flavored tea.
How beautiful and tanned her grandmother was, with those dark eyes and very black hair gathered behind her neck.
He had a white smile that stood out on that bright green dress, he smiled at us but his eyes betrayed malice, love and sweetness.
She laughed hearing us talk about vague stars and strange forms of life, with aliens with yellow or blue bodies, Elida said they had red blond hair like mine but green eyes like her beautiful dad.
I was sure that their bitches were tall, blackberries with a pink mouth like her, Elida ...
Grandmother was joined by her boyfriend and together they enjoyed our speeches, their embrace started mine towards the child in front of me, spilling a glass of water, Elida was quicker gave me a kiss on the cheek: "Do not you I'll never forget, "he said as I felt my face burn ... A warm breeze brought us a light scent of oleander between us.
It had been a beautiful and sweet holiday with the aroma of spicy tea with a slight scent of Oleander ... Unforgettable.
I didn't see her again, I know she lived in Milan, my city; in via Padova or Palmanova ...
Sometimes I wonder where it ended up. Who knows what will have happened?
But perhaps it is more beautiful to remember that moment as a picture painted in memory, forever.

Giampaolo Daccò Dos Lerèn

martedì 21 maggio 2019

WHITE HOUSES AND WINDOWS ON THE SEA



WHITE HOUSES AND BLUE WINDOWS ON THE SEA

Greece, June 1982.

A few hours before, the landing plane that took me to Athens was a distant memory. The ferry that crossed that sea so intense and dark, full of tourists, saw me sitting on the sidelines, with my suitcase and a bag at my feet, to observe the nearby islands that loomed during these hours of travel.
The island that awaited me would soon appear on the horizon and in fact from a distance, after a few minutes, the first rocks of the hills began to be seen. The blinding light of the sun despite the dark glasses prevented me from seeing anything more than a few patches of green vegetation on those light rocks, then the closer we got to the harbor the clearer the spots had become.
Dark green Mediterranean bushes with some yellow and red flowers sprouting up between the hills, a few small olive trees peeked out on roads invisible to the eye and every now and then a white house with all-colored windows and finally, the ferry turned to the right quickly it was approached the port.
There were no more white and green spots, but lots of people, lots of houses, lots of wild flowers, a few cars and taxis waiting for someone: after docking at the pier, while we were standing in line to get down, in front of and behind me a shouting of people, a shouting of children and some push due to suitcases or travel bags.
Finally arrived in a small square with white tiles with strange designs, after a long pause under a blinding sun, it was finally my turn to get on that old-fashioned taxi driven by a man with a mustache with a radiant smile.
He knew Italian and it was easy for me to tell him where my accommodation was: a rented house or rather a part of a family home that was given as an apartment to those who wanted to take a vacation away from it all. The road that led to that house was uphill, not far from a street not far from a small church surrounded by Mediterranean-style houses that resembled our south, and with surprise the road continued towards the sea, descending in gentle curves to the east.
I arrived in front of that simple but wonderful structure for its colors: white, of a blinding white and the front door with the door next to Boungavillee and the window shutters were tinged with a vivid blue and a flat terrace for solarium. it was the roof.
Having paid the taxi and got off with my bags, a very kind lady came up to me and, speaking to me, a rather strange Italian took me home where he introduced me to her husband and one of the three children.
After the various presentations, various signatures and my documents given to them for an almost absent-minded check, we had crossed a small courtyard full of red Boungavilee, cedar plants and some white-flowered vines surrounded at the base by the Alyssum of each color, the other side of the house showed two floors with an external brick staircase painted white and blue. The lady told me that there were four English girls underneath, at the first a Turkish gentleman who spent the summer there writing stories, a German student ...
Then we went up the stairs, my room was on the second and last floor, the woman kept talking, saying that in the room next to mine there was a French boy named Louis (who over time had become one of my closest friends with I had spent some holidays in Paris as guests of his, holidays already described long ago).
Once in the room, I immediately saw a small living room with a table and two chairs, a buffet, beside the wooden double bed with white embroidered sheets and bedspreads, a bedside table, a wardrobe. The bathroom on each floor was common, with shower and perfect sanitary facilities in Greek style, adorned with cobalt-colored designs. Everything seemed perfect except me.
I had waited for the lady to make sure that everything was fine and I liked the room, then she went out in silence with a sweet smile.
The large window that swept towards the sea had immediately attracted me, once opened, before my eyes there was that magnificent panorama that I would never have forgotten: the sun was behind us and it was almost sunset now, the lights of the town were beginning to lighting up and a light air coming from the east, he began to give a light coolness to that torrid, long and tiring day.
I had decided to take a shower and entered the bathroom convinced there was no one, so the door was open and instead I found myself in front of a completely naked Louis who was singing a soaping song, he had not closed the door convinced that there was no one else guest on our floor ...
In practice we had frightened each other so much that he had slipped into the cup hitting the bottom on the ceramic, while with a jump back I had dropped the hanger resting on the wall.
after a few seconds of silence we burst into laughter. I no longer knew how to apologize and I had left by closing the door behind me. What a figure.
We were found two hours later at dinner table neighbors, in a small restaurant next to that beautiful white house with blue windows; before leaving I wanted to be in the company of myself but then that evening I decided that at least for that time I would not be alone, I would have tasted my solitude in the following days.
With Louis we understood each other immediately, so much so that the day after we happened to meet again at the beach, near a small cove one kilometer from the town, at first we talked about stupid things, then each of us had begun to tell his own story and it was there that I discovered that it was the same as mine.
Unbelievable, but it seemed a sign of destiny:
two boys in their early twenties who lived in two different cities, more or less physically equal, the same type of school they attended, a sister both, two parents who had recently announced their separation, the same hobby of astronomy and painting and finally the most important thing we had escaped from a love story that ended very painfully.
I thought of having a bohemian vacation, where my heart had to be destroyed by lost love, where the stab wounds I had in my chest had to make me cry and think about what I had lost, where the future separation of my parents would have torn my mind from a thousand bad thoughts and instead ... Louis and I found ourselves having an amazing, fun and unforgettable vacation.
You dance in discos, we met nice girls and boys, some excursions to various islands and baths in the sea while white houses with blue shutters were the backdrop to everything. Milan and Italy were so far away that they seemed to no longer exist. Louis and I talked about everything about our problems except for our private stories that had made us suffer.
One evening the penultimate holiday of the two of us, we had found ourselves alone on the roof terrace, thousands of lights were shining on our heads, the lamps of the boats in the Aegean sea looked like fireflies in the dark, the distant echo of shouting people in the street and dance music did not disturb the peace where we were.
We were sitting close together and we were drinking two cool drinks when he didn't look at me and started telling me a story, his, the one that had tormented him for some time: I heard his voice crack but what made me shiver was that his was so similar to mine .
He worked in French national TV and had met a famous person, also known in Italy, and from there the story began a few months later, like mine and in the same way:
"My agent does not want" or so. We weren't anyone for them and so continuing something important was not worth it. When he had finished telling, he had turned his face to me, I think mine looked like a ghost and without looking at his friend at the side, I began my turn, to recontact him with my story.
Louis was speechless, how could such a thing be true? We looked like each other's mirror, I found myself crying silently, but I don't know if it's because of the painful memory or what was happening at that moment.
A plane passed over us and Louis, he had approached, embracing me, crying.
After days of joy that hid a pain that was dormant from distractions, it had now burst for both of them, the embrace of that friend had given me the feeling of embracing myself, a fraternal embrace of those women exchange to console themselves with great affection and that only they know how to do.
A liberating cry when behind us a calm, calm male voice had made us turn around without detaching ourselves, the owner was in the shadows near us, he had been there for so long that he had heard all our speeches.
His words with a light and hoarse voice had been: "Apparently a nice evening for everyone."
We smiled at him and broke away from the embrace, he looked at us like we were two children, his children and he began to tell another story, a strange story, his that resembled so much to our ... Only different in the choice of the partner.
We had spent part of the evening with him listening to him, his smile shone in the dark, at the end of the story, he had taken us down to our rooms, it was very late and his story had helped us to understand, to endure and to look away , that man was Nesios, a great man.
Two days later Louis and I were at the Athens airport, exchanging our addresses, telephone numbers and I was sure (as it happened then) we would meet again, I wanted it at all costs.
I had found the brother that I had missed so much, after half an hour the speaker had announced the flight to Milan and we greeted each other with a big hug.
Before passing the customs I turned to him and with a wave of his hand I had raised him again, Louis had smiled, squeezing an eye.
Later on the plane I had thought of the whole vacation, one of the strangest that had happened to me in my life, but Louis will always be a special person for me, as that vacation had been.
I had closed my eyes and while the plane was turning towards the Ionian Sea, with the thought I had seen that beautiful white house with blue windows in front of that unforgettable sea.

Giampaolo Daccò Dos Lerèn

giovedì 16 maggio 2019

WIND OF AUTUMN



WIND OF AUTUMN

Den Haag / The Hague, autumn of many years ago.
   I knew that sooner or later it would be over, I knew that with the bad season something would change.
I could feel it in the air, in the things that surrounded me, in the shadows of the evening here in the north, they arrived earlier than in my country, Italy.
I had left R. at home while reading a book in front of the already lit fireplace, slipped on my red anorak and took the road to the beach.
I had turned for a moment to look at our house a few hundred meters from the sea, on the outskirts of Den Haag, almost two years had passed since the beginning of our history and only one from living together.
The first times we went back and forth between each other between our countries, with the joy of seeing each other, of embracing, of making love. Then my stroke of luck: a job in an Italian restaurant near home and go to live permanently together.
Arrived at the beach, the white sand rose to that cold wind coming from the Atlantic, the sky was gray but still did not threaten rain, few were the people on the sand to walk or sit and watch that green sea with foamy waves.
I had sat on a small rise near the wooden structure, where lifeguards in the summer controlled people in the water and the shoreline visible.
A hand had waved to me, the two nice old ladies, neighbors with their dogs were walking not far away.
I smiled at them, returning the gesture, but then my gaze turned again to the sea and to the memories.
They were beautiful in the early days, we were often in Amsterdam at the home of friends, who lived in boats on the canals of the center, how wonderful it seemed to me to live a dream, almost an ancient fable.
In the summer we went hiking on the canals traveling on barges or floating barges, stopping to sleep in small hotels surrounded by flowers and perfumes.
Rotterdam, so modern and terrible with its port, then the largest in the world, then the flower festivals in the various towns that looked like little treasure chests from what they were in order and beautiful, our bicycle rides through the narrow streets between green fields and mills to wind.
Often the inhabitants mistook me for a Dutch like them, like R., I had grown long hair, dressed badly or haphazardly, a hint of red beard, just to give, together with my freckles, an idea of ​​the Nordic boy (idea that I always liked), but I never managed to learn that strange language, mixed between German, English and something Flemish.
But the whole year, lived fully in that beautiful land, had marked me in the soul, I would never have wanted to leave there again.
A ray of sunshine had peeked through the clouds of the sunset, I hadn't noticed the passing of time, I stood up quickly and returned home, in that white house with green shutters and from the now barren garden for the autumn season.
The wind was still blowing and it had become colder, when I had the door behind me, R. was in front of me with his slightly sad smile, my suitcases were under the stairs that went up to the first floor, while the other my stuff, it had been sent a few days before to Italy, at that moment we had looked at both of them.
Our eyes had met for a moment longer, I had seen on his face a range of expressions, I had the illusion of having read: I was wrong, let's get back together and stay here ... But in fact, it was just my illusion.
"Paul, het spijt me zo te zijn, zodat meer dan voor ons" I had looked seriously at his firm face.
"Oh sorry me, Paul, I'm so sorry to be so over for us."
What was there to apologize for now? By now it was all over, I didn't care about his displeasure, I just had my heart broken but I still smiled.
"R. does not have to worry. Everything will be fine ..." I had said as I moved into the kitchen and then I was pouring tea into a cup, dimi had said:
"I'll take you to the airport tomorrow morning, Jim will not like, do not have time ..."
I had answered with a strange smile and with a thank you, by now there was nothing else to say, finished, everything.
The day after I took off from the plane, I started reading a book, when we were already in Germany, I was reminded that I had left there a photo that I really wanted, the two of us on the beach in the previous autumn, sitting on the rise with the wind in your hair.
With a gesture of anger I had closed the book suddenly, suddenly a corner of an envelope appeared between the last page and the back cover, an envelope that I had opened as soon as I realized that there was a photo inside, my photo , our photo, the one I thought I had left in the white house with green shutters and the barren garden, near the sea.
An inscription behind the photo.
"To never forget our love, a copy is in my memories. R."
To never forget our love, a copy is among my memories. R.
I tried to hold back the crying that was coming, only a few drops of tears had fallen on my face, while I was holding the photo on my heart.
The plane was lowering in altitude and the announcement of the next landing at Linate had distracted me from the thought, I looked out the window, a large lake and snowy mountains had taken the place of the expanse of flowered fields, of the North Sea and of my two years lived in a magical country.
Now a new chapter was about to begin.

Giamapolo Daccò Dos Lerèn (J.P.)

domenica 12 maggio 2019

FAR DAYS




Dedicated to my very friend and stepfather
JOHN HARPER
(and Uncle Gandalle "Alle")
with all my love "dad" John


FAR DAYS
- Do you resent that rush on the lighthouse deck while that giant wave is taking up all the space? -
- Hahaha yes, yes, but I remember being breathless when we arrived on the side of the mainland, I was in a sweat or seawater bath? -
- Witty, it was a mixture. I remember feeling the salty taste on my lips and the scent of the ocean that seemed terribly big to me. -
- It's still frighteningly big, can't you see? -
- Oh you are right but it is so blue and calm comparison then that gives me another feeling ... Why are you laughing silly? -
- I laugh because we see it with old eyes .... -
- Old you will be John ... -
- But if we do two hundred and sixty years in two, Alle ... Of a little, would you go back? -
- Never, I like memories. I would return only if I could be reborn and not like ... I meant not to go back just a few decades. I would like to start a different life and you know it well. -
- I know my dear friend, but now our moons are many, maybe and who knows if tomorrow we will return here or on another planet, when we leave from the beloved land. -
- Who knows ... Look at John that sail over there, it looks like the one that had put Giampaolo in Karuv ... Hahaha but what am I saying? That was a game. -
- For us it wasn't and maybe not even for Giampaolo and Stuart ... It was like they were my children, I don't know there was anything in that game that made me feel good ... Giampaolo and Stuart, they're fine, they sent me some mail the other day. -
- Who do you say John, I was the real Alle ... Really? Say hi to them, tell them ... Uncle Alle always thinks about them even though I became Methuselah-
- Change address otherwise I cry drowned by memories, Giampaolo now lives by the sea as well as Stuart ... -
- Strangely, we too, by the way, thanks for coming here to visit me, I don't know how many moons we'll have in front of but it's always nice to meet friends of a lifetime, or rather two different lives hahaha. -
- You are right! Listen, do we take a run on the jetty like that? -
- Come on, you'll never make it, you're too old hahaha. -
- Well I'll walk fast with you like that then ok? -
- Okay my dear friend ... Ready and go. -
John gets up and grabs the wheelchair where Alle is sitting and where he has spent his whole life and with a slow walk, they go towards the pier with the lighthouse of that time, always the same. Towards the smell of the sea, towards the smell of salt air and towards distant memories.
Giampaolo Daccò Dos Lerèn.

IT WAS JUST A DREAM




I hope I have written appropriately, I am not yet perfectly ready to write English correctly, but I think I did a fair amount of work with this story. Thank you
IT WAS JUST A DREAM
She is there, behind a column of a building in the center of Milan, in front of the beautiful place where he works.
It is not much that he waits and he knows that soon he will come out, as soon as he sees him he will show himself to him, as beautiful as he ever was.
Laura had gone into crisis a few months before, her children had grown up and gone to study at two universities far away abroad.
Edoardo her husband, with the new political post she was now traveling the whole world leaving her alone for a long time.
Yet they were, are and will be a special couple, she certainly knows, she always knew ...
She knows that she has loved Edoardo immensely since they had seen each other thirty years before, when she was just nineteen years old, she had met with friends that handsome young graduate at Bocconi, that young dark-eyed and fiery skin.
Then the marriage, the two sons and a lot of love between them, until that day when he told her the job he had and went on a trip around the world.
Laura could have followed him but did not feel like leaving her job as a woman manager with children to be tossed from one school to another or leave them alone in some horrible school.
So by mutual agreement they had decided to manage their couple in the best possible way, she would stay in Milan and he would be away.
From the first days of their marriage, they had made the habit of having breakfast or having a drink in that luxurious restaurant in the center of Milan.
She was not jealous when the girls who worked in that place looked at her husband in a strange way because of her beauty and charm, she knew that Edward was turning heads to many but had always been faithful to her and so was she.
He adored Sandra, the pastry girl because she reminded him of Laura in her twenties and had been a little disappointed when she left to work in another prestigious club nearby.
They had joked about it, but Edoardo pointed out to her that handsome young man with the same dark eyes that he always observed turning red as Laura asked him for coffee or something else.
In fact she, beautiful, tall, blonde with blue eyes, Laura looked more than ten years younger than her real age, Edoardo exhibited her as a jewel and in intimacy despite all the years of marriage, there was still passion.
The two of them were too similar, united, accomplices to allow someone else or another to break into their lives.
But as always the destiny sometimes tends to invisible traps.
Her husband had been away too long, they felt twice a day but Laura was alone, too lonely.
When Edoardo was returning home was it still night or was she at work, did Laura begin to be in crisis: leave her job and follow him or accept a situation that was dragging on for at least five years?
The end of spring had arrived and she had taken weeks off and not a day went by that alone or with some friends, she had breakfast in the room where there was that boy of just thirty, the boy with eyes of fire like her husband.
She had not noticed that over time those eyes were dragging her into an impossible dream: he seemed more bold with her, an extra chocolate donated, a sweet smile, a joke, his warm hand touching her while she takes the cup of his coffee.
By now it was evident to Laura that something had sprung up between them, something that she had rejected with her mind and heart but ...
This morning he had whispered to her among dozens of clients, who were doing the double shift and unfortunately finished work at twenty and winked at her smiling. She had turned red like a high school student at that gesture.
When she was about to leave he had greeted her by name "Hi Laura ..." leaving something hanging, not the usual goodbye, Mrs. Laura.
From the window, outside she had looked inside, he had watched her, sending her a kiss to her lips.
She had found herself in the office out of breath and scared, she had jumped when the phone rang:
"Dear ..." it was Edward from the other end "Unfortunately I will return to Milan on Sunday, I can't do it tomorrow, I'm sorry to leave you alone a few more days ..."
Before saying goodbye she told him something like "Don't worry love, Luca comes back from London on Saturday, I'll stay with our son and we'll wait for you." while his head was on fire and the thought towards Mirko.
Was Mirko's invitation an invitation?
Why didn't Edward return tomorrow?
Why did she now feel alone to cry?
What was happening to her?
And so in the late afternoon she had made her decision: she would wait for Mirko outside the club, her disappointment was stronger than her, anger with herself and against her husband.
Something that has never happened in thirty years.
She had prepared herself carefully and in front of the mirror there was now a beautiful girl with wavy blond hair, a veil of makeup to bring out the blue eyes, the blue dress that gave her a luminous tone of the skin, the high heel, the pink fleshy lipstick that made her look very young, would not have noticed the age difference who would have them look at yourself.
He knew, he knew it was all wrong and that maybe Mirko hadn't made her understand what he was mulling over all day.
He had thought of it during the journey on foot from home to the room, where many men turned to look at it on the street, beautiful in the sunset.
Here now Laura is there hidden behind a column not far away, no one should have seen her and for Mirko perhaps a pleasant surprise.
After a few minutes he sees Mirko greeting his colleagues inside and comes out smartly dressed, she feels her heart skip and as she is about to cross the street towards him, a beautiful girl with long, black hair descends from a car parked in front.
Mirko meets her hugs and kisses her on the mouth and at that moment she raises her eyes and sees her.
He sees petrified Laura, beautiful on the opposite sidewalk, she feels herself whitening and her heart beating fast.
He doesn't even know how he managed to invent an excuse for his girlfriend who gets in the car waiting for him, while he sees Laura flee towards Piazza Meda.
He runs after her in the astonished crowd, manages to reach her in an instant and stop her with one hand on his arm.
"Laura ..."
She exhausted turns to him with tears on her face.
"Sorry, I'm sorry, Mirko, I'm an idiot ... I thought that ... You didn't have to see me and I didn't have to be there, but ..."
He closes her mouth with two fingers "Don't say anything Laura, I don't know what happened ... Why you're here now ..."
She looks at him sadly with blue eyes full of tears ... "Let me go home, let this stupid go away ..."
"My God, I understand! It's for this morning ..." his eyes are lowered and his hands leave the woman's arms but both of them remain standing there.
Mirko finds the courage to talk even if he is in a hurry to return to the other.
"Laura I had seen you sad for some time, I felt you were away because of your husband, we talked about memories of it? So I felt the desire to make you feel desired, beautiful, unique .. You really are, I know I wouldn't had to do it ... The stupendous ... "
He did not finish the sentence he realized only at that moment that Laura was no longer in front of him swallowed by the crowd and by his shame, he feels a worm but he had not deceived her this morning, he had wanted to make her feel good.
His footsteps sound like hammered in the arcades as he reaches his girlfriend's car, climbs up and she kisses him passionately on the mouth. Then the car leaves in the intense traffic of that Tuesday evening in Milan.
The clock radio marks midnight in the dark in the room, while Laura had just finished crying and giving herself a silly fool who wanted an adventure with a boy and feeling guilty about Edward,
"Stupid, stupid, stupid, with one who could be your son almost and he was just nice to you. Stupid!"
Piano takes his cell phone.
"Love were you sleeping?" her husband's calm voice almost makes her jump.
"No dear, I had just dozed off just waiting for your call."
"Honey I hope it wasn't a heavy day for you today. I'm almost done with my job and ..."
"Heavy? No it wasn't heavy, just a little sad without you ..." interrupts him thinking - I'm stupid, I'm stupid -
"I understand love, now I let you sleep, I'm tired too, I just went to bed and I need to rest. I adore you my Laura ..."
"I too, darling, but you have a strange voice, .. Is there nothing you say? Okay, Edward, I wait for Sunday when you come back. I love you soon."
He puts the phone on the bed next to her and, turning on his side, starts crying again.
The spire of the Madonnina del Duomo stands out from the hotel window in Piazza della Repubblica while Sandra is leaving the bathroom of that beautiful hotel room, Edoardo is standing in front of the window. She hugs him hard.
"It's the last time we meet Sandra, I don't feel it anymore ... I keep seeing Laura's eyes every time and every time it's a blow to the heart."
He turns to her smiling "We both knew our story would be just a pleasant adventure until one of us decided to stop ... We established it."
He looks at her, she's so beautiful since that day that he had seen her in the room where they had breakfast with Laura and they had met in Rome by chance after she had left that place.
From that moment, although Sandra was engaged to be married, they had started dating when he was in Italy, making his wife believe the opposite.
"We have ... I've got it all wrong ... Maybe I'd better get home now, pretending to surprise her."
He lowers and hugs the girl's legs "I'm sorry Sandra, a real man doesn't behave like that, he doesn't leave you alone in this room in the middle of the night to go back to his wife with guilt ...
"Shut up!" she says putting her fingers on his mouth "You're a treasure and you will always be so even if I'm sorry it's over, but I think it's right so I too wrong too, we'll come back together with ... - Milan - now inside of me Edoardo, I have been well, even too much ".
Laura now sitting on the living room sofa hears the elevator stop on her single floor, immediately after the doorbell rings and as she approaches she hears Edward calling her, a blow to the heart and runs to open it.
Outside the windows of that attic, a white moon illuminates Milan from above, while on the streets below thousands of red and yellow lights run through the streets of the metropolis.

Giampaolo Daccò Dos Lerèn

giovedì 9 maggio 2019

WAITING - ATTESA





WAITING
ATTESA

Iseo, Autumn 2018
In the silver of the expeanse
a seagull rests
waiting for the flight
towards its rock.
Like a man who seeks
an impossible arrival
while the goal
it is within itself

Iseo, autunno 2018.
Nell'argento della distesa
un gabbiano riposa
nell'attesa del volo
verso il suo scoglio.
Come un uomo che cerca
un arrivo impossibile
mentre la meta
è dentro se stesso

Words and photo
J.P. Dos Lerèn

venerdì 3 maggio 2019

PARIS ADIEU! JE REVIENDRAI



PARIS ADIEU! JE REVIENDRAI


Parigi, molti anni fa.
La pioggerellina scendeva lenta sui tetti e nei viali, le bancarelle dei fiori e dei libri sul Boulevard dell'Ile Saint-Louis, erano quasi deserte. Mi fermai davanti ad una boulangerie, avevo fame, quando sentii una voce alle spalle.
- Bonjour, je suis désolé pour le retard Jeanpaul -
- Pas de problème, Louis. Je suis ici depuis quelques minutes. -
Il mio amico parigino, non sapeva più come scusarsi. Allora dopo aver chiuso i nostri ombrelli, l'ho "obbligato" visto il ritardo, ad offrirmi la colazione.
Ridendo siamo entrati in un bar pasticceria e ci siamo seduti vicino ad una finestra sulla strada. E davanti a due tazze di latte e caffè con croissants, pain et beurre et confiture, facemmo una grande colazione.
Ero ospite da lui per una breve vacanza e quel mattino avevamo deciso di fare una visita al Louvre.
Alle nove e trenta ci raggiunsero tre coppie di suoi amici. Una sposata, una fidanzata da una vita ed una coppia di ragazze gay. Martine, Lorraine, Didier, Jiulienne, Jean Marc e Francine.
Mentre la pioggia cadeva ancora lenta visitammo una parte del museo, pranzato in una brasserie e infine una passeggiata lunghissima a Montparnasse.
Mentre Louis mi raccontava della sua storia un po' incasinata, vedevo le tre coppie sotto gli ombrelli colorati davanti a noi e le invidiavo un po'. Ogni tanto la risata di Martine risuonava cristallina alle battute della sua compagna Lorraine.
Che atmosfera stupenda di fine estate, poi la brillante idea di prenderci una cioccolata, Louis ci portò in una pasticceria nei pressi del Boulevard De Clichy, decidendo di offrire per questa volta.
All'interno le note di una canzone di Yves Montand proveniva da una radio nascosta dietro al bancone. Una bella ragazza dagli occhi blu ed i capelli neri, sorrideva dalla cassa dove andai ad ordinare. Lei mi sorrise ed alla fine dopo aver pagato disse.
- Monsieur, êtes-vous italien? -
- Il savait de mon accent? - le risposi
- Non seulement cela, mais son visage en dit. Bienvenue à Paris alors.- continuò simpaticamente
- Merci, elle est très gentil mademoiselle ...? -
- Claudine, je m'appelle Claudine - sorrise alla grande.
- Giampaolo, plaisir. - dissi un po' imbarazzato.
Lei continuava a guardarmi al tavolo con i miei amici, mi girai verso la strada, la pioggia continuava a cadere, un'altra coppia sotto l'ombrello correva sul marciapiede per raggiungere un portone.
All'orecchio giunse una musica bellissima "Le foglie morte", voltai lo sguardo verso Claudine e ricambiai un sorriso.
"Benvenuto a Parigi"... mi dissi da solo. Louis mi guardò con aria interrogativa, presi un pasticcino al cioccolato e me lo gustai tranquillo,
mentre la pioggia continuava a cedere davanti a noi.

II°
La mia vacanza dal mio amico francese Louis continuava tra passeggiate, visite a musei, chiese, giardini tant'è che non me ne sarei andato più via da quella luminosa città. Non che Milano non mi piacesse più, ma l'atmosfera era sublime, l'aria più leggera e i palazzi nella luce dorata del tramonto, mi davano la sensazione di essere in un posto da favola. Ricordai vedendo una pasticceria con esposte delle torte fantastiche, quella giornata passata con i suoi amici, una giornata piovosa ma allegra.
Quel giorno avevamo deciso di visitare la zona de la Bastille, Louis ed io dopo aver camminato tutta la mattina tra la Place de Bastille con la sua Opera e l'attiguo canale Gare de L'Arsenal con una capatina veloce nella Bibliothèque di quest'ultima, ci fermammo in un bistrot sulla Senna davanti all'Ile de Saint Louis, dopo aver mangiato qualcosa ci accorgemmo che un signore anziano vestito con un soprabito verde ed un basco beige, continuava a fissarmi.
Louis si stava seccando perchè odiava le persone che fissavano gli altri senza un motivo e dopo aver pagato al cameriere il conto ci stavamo alzando dal nostro tavolo, quando il signore anziano si avvicinò a noi:
- Perdonatemi la maleducazione ma vorrei fare una domanda al ragazzo biondo. Se posso... -
- Spero non sia una seccatura - rispose a denti stretti il mio amico mostrando il suo disappunto.
- No no... - l'altro rispose gentilmente con un sorriso - Volevo chiedere solo se il suo amico fosse tedesco.
- No sono italiano - dissi nel mio francese stentato.
- Che strano avrei giurato che lo fosse... Ma vorrei spiegarmi meglio., se volete seguirmi, giuro che vi farò perdere solo qualche minuto del vostro tempo, parola di Didier Rainer, che sono io poi. Mi piace dipingere e volevo mostrarvi una cosa e poi capirete. -
Non so perchè uscimmo insieme e quell'uomo che si rivelò discreto e gentile e senza secondi fini, mentre ci incamminavamo tra le vie parigine, ci parlò di un suo amico conosciuto nella seconda guerra mondiale, un dissidente tedesco che odiava Hitler e che trovando rifugio in Francia venne protetto e nascosto dalla famiglia di questo anziano signore. Ci parlò della sua amicizia, di ciò che avevano passato insieme e che non si videro più quasi subito dopo la guerra quando quel suo amico tedesco partì per gli Stati Uniti con un passaporto falso.
Louis ed io rimanemmo affascinati dal suo racconto finché quest'uomo ci condusse prima attraverso Rue St. Paul, poi Rue de St. Antoine e nella piccola Rue de Birague fino a sbucare nella più bella piazza che ebbi mai visto Place de Vosges.
Non l'avevo mai vista e rimasi incantato dalla sua architettura così sublime e magnifica che rimasi a bocca aperta con un tuffo al cuore. Louis rise guardando la mia espressione, l'altro signore sorrise dicendo:
- La stessa faccia che ebbe Erik quando vide questa meraviglia. Potete aspettarmi qui per favore? Arrivo tra cinque minuti vi devo mostrare una cosa. -
Louis ed io ci guardammo facemmo col capo un cenno di si e in un secondo questi sparì in un portone poco distante, chissà che cosa doveva mostrarci quell'uomo, eravamo incuriositi e mentre il mio amico rimase in piedi a fumarsi una sigaretta, io sempre più estasiato da questa bellissima piazza, entrai nei suoi giardini, dopo poco mi sentii chiamare e vidi Louis con quell'uomo sotto il portico. Mi avvicinai e mentre il mio amico si stava nuovamente mettendo in bocca la sigaretta, l'altro mostrò un quadro che fino a poco prima era coperto da un pezzo di stoffa.
La sigaretta di Louis cadde dalle sue labbra non appena vide il ritratto disegnato sopra:
- Merd... pardon Mon Dieu, non è possibile. Paolo guarda! -
Mi avvicinai e impallidii, quel volto davanti a me era il mio. Sembravo io, aveva solo un po' il naso diverso ma ero io. Guardai gli occhi di quell'uomo.
- Capisce perchè ho sentito il desiderio di fermarmi e farvi conoscere questo? -
Guardavo quel ritratto, mi assomigliava davvero e chissà cosa ho suscitato in quell'uomo quando mi vide in quel bistrot, ero imbarazzato e nello stesso tempo sorpreso piacevolmente.
Volle farmi una foto in quella piazza nella stessa posizione del giovane nel ritratto ma quella foto non la vidi mai, non so perchè ma non siamo più passati da quelle parti nei giorni successivi, avevo sempre sperato che quel signore, Monsieur Rainer col tempo avesse ritrovato quel suo amico o almeno sue notizie. Chissà forse il destino....

III°
Tramonto rosso fuoco, la Tour Eiffel si stagliava tra il rosso del sole e il rosato ed oro del cielo, Venere era là, splendida e luminosa poco più in alto, Louis ed io eravamo appoggiati con le braccia sul Pont de Carrousel, sulla sinistra due signori anziani guardavano il battello scivolare sotto di noi sulla Seine, alla nostra destra il Louvre, imbrunito dalle ombre della sera, sembrava quasi un ombra minacciosa.
Era uno dei miei ultimi giorni di vacanza a Parigi, a casa del mio amico Louis, i nostri volti erano verso quella torre così alta e scura, i pensieri persi chissà dove. Improvvisamente sentii il suo sguardo su di me, non capivo il perché ma quando voltai il mio verso il suo viso, mi sembrò che gli occhi fossero lucidi.
"Che c'è?" chiesi girandomi con la schiena appoggiata al ponte.
"Nulla... Nulla..." la sua voce mi sembrava triste, all'improvviso mi abbracciò forte... Mi preoccupai, pensavo che non stesse bene, poi si staccò chiedendomi scusa per il gesto magari frainteso.
"Frainteso?" Mi chiesi... Era solo un abbraccio dato da un amico magari in difficoltà per qualcosa che non sapevo forse, avevamo dormito nello stesso letto in quella mansarda dove abitava, c'era pura amicizia tra noi. Una di quelle vere, di quelle poche che appagano il cuore e la mente.
"Mi... mi dispiace che tu te ne vada... Che ritorni in Italia tra pochi giorni."
"Tra cinque giorni Louis..." sdrammatizzai abbozzando un sorriso, lui mi prese per un braccio e mi condusse in silenzio verso Rue de Saints Pères, e quasi correndo ci ritrovammo in Boulevard Saint Germain.
"Preferisco stare in mezzo alla gente, non soli su quel ponte a guardare quel tramonto, la Senna e tu pensieroso. Tutto questo mi aveva messo addosso una tristezza... Almeno qui in mezzo a tutta la gente mi sembra di stare meglio."
"Louis davvero non capisco, non è la prima volta che vengo a Parigi, che ci vediamo... Mi hai promesso di venire a Milano a casa mia ad aprile del prossimo anno... Non dovresti essere triste."
"Ma questa volta è diverso." concluse sedendosi ad un tavolino di un bar, mi sedetti anch'io.
"Come sarebbe a dire: questa volta è diverso?"
Il suo sguardo era oltre il mio...
"Partiamo per il Canada, con i miei, partiremo tra due mesi, l'ho saputo stamattina da papà... Ci trasferiamo lì per tre anni. Papà ha avuto un incarico di lavoro per la sua società..."
Mi venne un colpo, tre anni lontani e un aprile, il prossimo, senza la sua visita che avrebbe fatto piacere a mia madre e a mia sorella.
"Beh c'è il telefono, ci potremmo scrivere..."
"Si ma non è la stessa cosa Jean (mi chiamava così quando era arrabbiato o triste), lo sai che sei un fratello per me, un fratello che non ho mai avuto, sei molto di più degli amici che ho qui, neanche Francine, Robert e Didier, sono come lo sei tu per me!"
Mi venne addosso una tristezza infinita, un altro amico che se ne va lontano e chissà quando l'avrei rivisto ancora, cercai di sorridere nuovamente ma lui mi fissò serio.
"Voi italiani pensate sempre male..." rimasi basito, aveva interpretato male il mio sorriso? Cercava di ferirmi o di sfogare qualcosa per non soffrire troppo?
"So cosa pensate se un uomo dice queste cose ad un altro uomo..."
"Ma sei matto Louis? Ma che dici? Volersi bene non significa chissà..." Non mi fece finire la frase, si scusò per la sciocchezza detta. Pensava che avessi capito male il suo abbraccio e la sua commozione, ma un'amicizia che durava da qualche anno non lasciava spazio a dubbi, però vidi davvero la sofferenza negli occhi del mio amico.
Dopo aver bevuto qualcosa e mangiato un panino, ci avviammo a piedi verso casa, avevamo un appuntamento con Didier e Marcel un loro amico di Tours ospite come me a casa dell'altro.
La serata passò serena, avevamo ascoltato musica e cantato, ci siamo rimpinzati di dolci e bibite... Un gioco a carte e mezzanotte si era fatta vicina, gli altri due amici dovevano tornare a casa, il padre di Didier era piuttosto severo e aveva dato loro un orario preciso.
Più tardi in camera, stavo scrivendo un paio di cartoline sulla scrivania davanti al letto, Louis era già dalla sua parte e stava leggendo un libro. Poco dopo sua madre venne a darci la buona notte e ci augurò una buona visita per l'indomani a Versailles, una gita di due giorni già organizzata insieme a Didier, Marcel e Robert.
Appena finito di scrivere mi misi a letto, non avevo acceso l'abat-jour perchè avevo sonno. Louis si girò a guardarmi, aveva messo il libro sul comodino e spento la luce. Dalla finestra i fiochi raggi di una luna lontana davano in quella stanza un alone da fiaba.
"Ti posso abbracciare?" mi chiese titubante Louis, lo feci io per lui, si mise a piangere con la testa sul mio petto, mi sembrava un bambino... Doveva sfogarsi, avevo capito il dolore che lo attanagliava e non era solo per me, io potevo essere una delle tante cose che non avrebbe più visto per tre lunghi anni, lunghi per la nostra età, per i nostri vent'anni.
Restammo abbracciati così mentre lui mi parlava delle sue cose, delle sue avventure da piccolo. In quel momento ero quel fratello che gli mancava, non vedeva le mie di lacrime per fortuna, in quel momento dovevo essere il più forte...
Si addormentò piano vicino a me, sentivo la sua spalla vicino alla mia e pensai a quanto erano stati belli quegli anni, quelle vacanze fatte insieme. Gli sfiorai la testa con la mano "Mi mancherai molto anche tu." pensai e come lui avrei voluto un fratello maggiore con cui giocare e confrontarmi. Il sonno prese il sopravvento anche per me e la notte passò veloce.
La luce del sole mi abbagliò il viso il mattino dopo, spalancai gli occhi, Louis era in piedi davanti alla finestra, mi sorrise e mi schiacciò un'occhio.
"Forza pigrone, Versailles ci aspetta e così gli altri... Voglio godermi come non mai questi nostri cinque giorni di felicità. Vediamo chi arriva per primo in bagno".
Ci arrivò lui ovviamente e intanto che aspettavo il mio turno, pensai alla nostra amicizia e mentre stavo per commuovermi, prontamente mi alzai e aprii le finestre, una giornata limpida e stupenda ci aspettava, un forte respiro e nulla ci avrebbe più fermato.

IV°
Paris, un maggio di tanti anni fa.
Erano passati tre anni che non ritornavo a Parigi, tre anni da quando Louis con la sua famiglia si erano trasferiti in Canada.
I primi mesi arrivarono le telefonate, poi le lettere e negli ultimi tempi più nulla... Ogni tanto Nadine o Robert mi scrivevano per farmi avere loro notizie e notizie del nostro amico, poi anche loro avevano perso le sue tracce e tra noi piano piano la corrispondenza si fece sempre più rara, fino a scomparire incominciando dalle cartoline di buon Natale.
Avevo ancora una settimana di ferie da finire, la decisione fu presa improvvisa: partire per Parigi e ritrovare qualcosa del passato, qualcosa che mi facesse star bene, qualcosa che non ho più avuto e che a quel tempo rimpiangevo molto.
Tre anni prima, dopo il mio ritorno a casa e aver dato addio a Louis, molte cose erano cambiate nella mia famiglia e la spensieratezza, la felicità e tanto altro erano sparite in qualche meandro oscuro tramato del destino...
Fu allora che mi accorsi nella mia solitudine che mi mancava, mi mancavano quegli anni spensierati e soprattutto quei viaggi e vacanze nella città luminosa, divertente e romantica, mi mancavano quei ragazzi e soprattutto Louis.
Mi ero svegliato presto il mattino successivo al mio arrivo a Parigi, avevo trovato un bell'albergo nei pressi di Avenue Marceau, volevo il meglio e godermi questi giorni prima di ritornare alla mia vita.
Dopo essermi preparato per scendere e gustarmi la prima colazione, mi ero affacciato alla finestra: davanti a me la Tour Eiffel si stagliava in tutta la sua bellezza, il cielo era di un azzurro chiaro e i palazzi color avorio dai tetti così particolari incorniciavano quel paesaggio.
Più tardi ero già tra la folla, guardavo i volti delle persone come se cercassi qualcuno per ritrovare quel passato, osservavo le vetrine, gli alberi che ombreggiavano dal sole caldo di quel maggio luminoso come solo Parigi poteva avere.
Arrivai fino al Pont de l'Almà, era quasi ora di pranzo, ma mi fermai a metà per guardare la Senna ed i battelli che la solcavano, mi venne in mente quel giorno in cui Louis era disperato e mi confessò la sua prossima partenza per l'America...
In quell'attimo mi era assalita una tristezza che quasi ero corso dall'altra parte del ponte, magicamente mi trovai in Rue de l'Universitè davanti ad un bar, avevo sete e fame. Entrai.
Seduto ad un tavolino stavo gustandomi un leggero pranzo, guardando la folla dalla vetrina di fianco a me, quando una voce alle mie spalle mi aveva fatto trasalire:
"Il est incroyable, je ne peux pas y croire, mais ... Jean Paul!"
Rimasi con il pane a metà tra la bocca ed il piatto, vi voltai di scatto, Didier era davanti a me, in piedi ed allibito.
"Mon Dieu quanto tempo caro amico..." disse, mi alzai e Didier mi abbracciò talmente forte che sentivo quasi le costole incrinarsi. Era un rugbista e ovviamente poco conscio della sua forza.
Era incredibile, un segno del destino... Il primo ricordo del passato che si faceva vivo durante quella vacanza, eravamo strabiliati. Lui era cambiato in tre anni: si era fatto crescere la barbetta biondiccia sul volto, i tratti erano più adulti, i capelli lunghi e ricci incorniciavano quel sorriso ancora da bambino nonostante la mole.
Ci raccontammo per un'ora tutto quello che ci era accaduto nei tre anni passati senza vederci ne scriverci, si era scusato molto ma con la sua squadra viaggiava spesso e gli allenamenti lo occupavano tanto ma mi aveva sempre pensato. Dissi così anche io, tralasciai di metterlo al corrente delle cose spiacevoli capitatemi... Poi mi disse che aveva tutta la giornata disposizione e voleva dedicarmela, così accettai.
Finimmo ormai sera poi a casa sua dove viveva con sua madre, una signora che conobbi anni prima, simpatica di origini fiamminghe e cenammo lì, tra i fiori su un terrazzo piastrellato di azulejos e vasi in coccio.
Dopo cena e prima di riaccompagnarmi in albergo, in camera sua incominciò a raccontarmi di tutti gli altri, seppi della scomparsa in un incidente di Marcel, che dispiacere fu per me saperlo... Seppi anche del trasferimento a Saint-Etienne di Nadine e del matrimonio di Robert, poi silenzio...
Sapeva che volevo parlare di Louis, avevo un brutto presentimento ma i suoi occhi allegri e il sorriso simpatico mi fece tirare un sospiro di sollievo.
"Louis, vive in Australia ora... Suo padre ha avuto un incarico speciale a Perth e si sono trasferiti in quella città più di otto mesi fa, l'avevo incontrato qui poco prima e come al solito non ci siamo scambiati i recapiti... Capisci? Odio gli addii..."
Lo sapevo ed era per quello che il giorno della mia definitiva partenza tre anni prima, non si fece vedere ma mi mandò i saluti da Robert.
"Mi aveva chiesto di te e non seppi dargli l'indirizzo, perdonami Jean, mi dispiace..."
"Non fa nulla" gli risposi "L'importante è che stia bene e magari un domani chissà.... Forse ci ritroveremo tutti quanti."
Il suo volto si era rabbuiato, Didier era troppo sensibile, riviveva ad ogni addio o allontanamento di qualcuno, il trauma dell'abbandono del padre quand'era piccolo. Sentiva il distacco come un rifiuto, non continuai oltre, poi si era alzato improvvisamente e da un cassetto della sua scrivania prese una lettera.
"Tieni è per te, me l'aveva data Louis l'ultima volta, dicendomi che se ti avessi incontrato un domani... Avrei dovuto dartela, quasi se lo sentiva quel testone. Tieni è tua, la leggerai da solo in camera dell'albergo."
Avevo quella busta in mano, una busta color avorio con scritto in blu "Pour mon ami JP", sentivo le lacrime agli occhi.
Dopo aver salutato sua madre madame De Claudet, Didier mi riaccompagnò in auto fino all'Hotel.
"Jean mi dispiace ma domani parto per Lilla, ho gli allenamenti per la fine del campionato e starò via una settimana..."
Non importa gli dissi e ci abbracciammo forte, mi prese una mano come non volesse lasciarmi andare, lo guardai e negli occhi vidi tutta la sua solitudine.
"Cerca la tua felicità..." gli dissi scendendo dall'auto.
"Lo farò te lo prometto, è ora anche per me.Ciao caro amico mio..." fu l'ultima volta che vidi anche lui.
La Tour Eiffel si stagliava illuminata davanti ai miei occhi, seduto al tavolino sul terrazzino della mia camera, rigiravo la busta che mi aveva lasciato Louis, avevo paura ad aprirla e non ne capivo il perché.
Poi sentii un profumo di fiori dal balcone vicino al mio e l'aprii.
Lessi quelle parole scritte in cinque pagine, parole fitte, dove mi raccontava tutto... Dove ogni lettera si scolpiva nella mente e nel cuore. quando finii mi accorsi di piangere, appoggiai la testa sul tavolino e mi sfogai...
La settimana passò in fretta, avevo deciso la mattina dopo, di fare solo il turista e non pensare ad altro, avevo capito che il passato dovevo lasciarlo andare, di rilegarlo in una parte del mio cuore e della mente.
Quando finita la vacanza, partii per l'italia, dall'aereo vidi la grande città dall'alto, sentii nell'anima che quella era l'ultima volta, sentii che l'avrei rivista dopo tantissimi anni ma non avrei rivisto più le persone che in quegli anni fecero parte della mia vita...
E così fu
Giampaolo
Parigi, molti anni fa.
La pioggerellina scendeva lenta sui tetti e nei viali, le bancarelle dei fiori e dei libri sul Boulevard dell'Ile Saint-Louis, erano quasi deserte. Mi fermai davanti ad una boulangerie, avevo fame, quando sentii una voce alle spalle.
- Bonjour, je suis désolé pour le retard Jeanpaul -
- Pas de problème, Louis. Je suis ici depuis quelques minutes. -
Il mio amico parigino, non sapeva più come scusarsi. Allora dopo aver chiuso i nostri ombrelli, l'ho "obbligato" visto il ritardo, ad offrirmi la colazione.
Ridendo siamo entrati in un bar pasticceria e ci siamo seduti vicino ad una finestra sulla strada. E davanti a due tazze di latte e caffè con croissants, pain et beurre et confiture, facemmo una grande colazione.
Ero ospite da lui per una breve vacanza e quel mattino avevamo deciso di fare una visita al Louvre.
Alle nove e trenta ci raggiunsero tre coppie di suoi amici. Una sposata, una fidanzata da una vita ed una coppia di ragazze gay. Martine, Lorraine, Didier, Jiulienne, Jean Marc e Francine.
Mentre la pioggia cadeva ancora lenta visitammo una parte del museo, pranzato in una brasserie e infine una passeggiata lunghissima a Montparnasse.
Mentre Louis mi raccontava della sua storia un po' incasinata, vedevo le tre coppie sotto gli ombrelli colorati davanti a noi e le invidiavo un po'. Ogni tanto la risata di Martine risuonava cristallina alle battute della sua compagna Lorraine.
Che atmosfera stupenda di fine estate, poi la brillante idea di prenderci una cioccolata, Louis ci portò in una pasticceria nei pressi del Boulevard De Clichy, decidendo di offrire per questa volta.
All'interno le note di una canzone di Yves Montand proveniva da una radio nascosta dietro al bancone. Una bella ragazza dagli occhi blu ed i capelli neri, sorrideva dalla cassa dove andai ad ordinare. Lei mi sorrise ed alla fine dopo aver pagato disse.
- Monsieur, êtes-vous italien? -
- Il savait de mon accent? - le risposi
- Non seulement cela, mais son visage en dit. Bienvenue à Paris alors.- continuò simpaticamente
- Merci, elle est très gentil mademoiselle ...? -
- Claudine, je m'appelle Claudine - sorrise alla grande.
- Giampaolo, plaisir. - dissi un po' imbarazzato.
Lei continuava a guardarmi al tavolo con i miei amici, mi girai verso la strada, la pioggia continuava a cadere, un'altra coppia sotto l'ombrello correva sul marciapiede per raggiungere un portone.
All'orecchio giunse una musica bellissima "Le foglie morte", voltai lo sguardo verso Claudine e ricambiai un sorriso.
"Benvenuto a Parigi"... mi dissi da solo. Louis mi guardò con aria interrogativa, presi un pasticcino al cioccolato e me lo gustai tranquillo,
mentre la pioggia continuava a cedere davanti a noi.

II°
La mia vacanza dal mio amico francese Louis continuava tra passeggiate, visite a musei, chiese, giardini tant'è che non me ne sarei andato più via da quella luminosa città. Non che Milano non mi piacesse più, ma l'atmosfera era sublime, l'aria più leggera e i palazzi nella luce dorata del tramonto, mi davano la sensazione di essere in un posto da favola. Ricordai vedendo una pasticceria con esposte delle torte fantastiche, quella giornata passata con i suoi amici, una giornata piovosa ma allegra.
Quel giorno avevamo deciso di visitare la zona de la Bastille, Louis ed io dopo aver camminato tutta la mattina tra la Place de Bastille con la sua Opera e l'attiguo canale Gare de L'Arsenal con una capatina veloce nella Bibliothèque di quest'ultima, ci fermammo in un bistrot sulla Senna davanti all'Ile de Saint Louis, dopo aver mangiato qualcosa ci accorgemmo che un signore anziano vestito con un soprabito verde ed un basco beige, continuava a fissarmi.
Louis si stava seccando perchè odiava le persone che fissavano gli altri senza un motivo e dopo aver pagato al cameriere il conto ci stavamo alzando dal nostro tavolo, quando il signore anziano si avvicinò a noi:
- Perdonatemi la maleducazione ma vorrei fare una domanda al ragazzo biondo. Se posso... -
- Spero non sia una seccatura - rispose a denti stretti il mio amico mostrando il suo disappunto.
- No no... - l'altro rispose gentilmente con un sorriso - Volevo chiedere solo se il suo amico fosse tedesco.
- No sono italiano - dissi nel mio francese stentato.
- Che strano avrei giurato che lo fosse... Ma vorrei spiegarmi meglio., se volete seguirmi, giuro che vi farò perdere solo qualche minuto del vostro tempo, parola di Didier Rainer, che sono io poi. Mi piace dipingere e volevo mostrarvi una cosa e poi capirete. -
Non so perchè uscimmo insieme e quell'uomo che si rivelò discreto e gentile e senza secondi fini, mentre ci incamminavamo tra le vie parigine, ci parlò di un suo amico conosciuto nella seconda guerra mondiale, un dissidente tedesco che odiava Hitler e che trovando rifugio in Francia venne protetto e nascosto dalla famiglia di questo anziano signore. Ci parlò della sua amicizia, di ciò che avevano passato insieme e che non si videro più quasi subito dopo la guerra quando quel suo amico tedesco partì per gli Stati Uniti con un passaporto falso.
Louis ed io rimanemmo affascinati dal suo racconto finché quest'uomo ci condusse prima attraverso Rue St. Paul, poi Rue de St. Antoine e nella piccola Rue de Birague fino a sbucare nella più bella piazza che ebbi mai visto Place de Vosges.
Non l'avevo mai vista e rimasi incantato dalla sua architettura così sublime e magnifica che rimasi a bocca aperta con un tuffo al cuore. Louis rise guardando la mia espressione, l'altro signore sorrise dicendo:
- La stessa faccia che ebbe Erik quando vide questa meraviglia. Potete aspettarmi qui per favore? Arrivo tra cinque minuti vi devo mostrare una cosa. -
Louis ed io ci guardammo facemmo col capo un cenno di si e in un secondo questi sparì in un portone poco distante, chissà che cosa doveva mostrarci quell'uomo, eravamo incuriositi e mentre il mio amico rimase in piedi a fumarsi una sigaretta, io sempre più estasiato da questa bellissima piazza, entrai nei suoi giardini, dopo poco mi sentii chiamare e vidi Louis con quell'uomo sotto il portico. Mi avvicinai e mentre il mio amico si stava nuovamente mettendo in bocca la sigaretta, l'altro mostrò un quadro che fino a poco prima era coperto da un pezzo di stoffa.
La sigaretta di Louis cadde dalle sue labbra non appena vide il ritratto disegnato sopra:
- Merd... pardon Mon Dieu, non è possibile. Paolo guarda! -
Mi avvicinai e impallidii, quel volto davanti a me era il mio. Sembravo io, aveva solo un po' il naso diverso ma ero io. Guardai gli occhi di quell'uomo.
- Capisce perchè ho sentito il desiderio di fermarmi e farvi conoscere questo? -
Guardavo quel ritratto, mi assomigliava davvero e chissà cosa ho suscitato in quell'uomo quando mi vide in quel bistrot, ero imbarazzato e nello stesso tempo sorpreso piacevolmente.
Volle farmi una foto in quella piazza nella stessa posizione del giovane nel ritratto ma quella foto non la vidi mai, non so perchè ma non siamo più passati da quelle parti nei giorni successivi, avevo sempre sperato che quel signore, Monsieur Rainer col tempo avesse ritrovato quel suo amico o almeno sue notizie. Chissà forse il destino....

III°
Tramonto rosso fuoco, la Tour Eiffel si stagliava tra il rosso del sole e il rosato ed oro del cielo, Venere era là, splendida e luminosa poco più in alto, Louis ed io eravamo appoggiati con le braccia sul Pont de Carrousel, sulla sinistra due signori anziani guardavano il battello scivolare sotto di noi sulla Seine, alla nostra destra il Louvre, imbrunito dalle ombre della sera, sembrava quasi un ombra minacciosa.
Era uno dei miei ultimi giorni di vacanza a Parigi, a casa del mio amico Louis, i nostri volti erano verso quella torre così alta e scura, i pensieri persi chissà dove. Improvvisamente sentii il suo sguardo su di me, non capivo il perché ma quando voltai il mio verso il suo viso, mi sembrò che gli occhi fossero lucidi.
"Che c'è?" chiesi girandomi con la schiena appoggiata al ponte.
"Nulla... Nulla..." la sua voce mi sembrava triste, all'improvviso mi abbracciò forte... Mi preoccupai, pensavo che non stesse bene, poi si staccò chiedendomi scusa per il gesto magari frainteso.
"Frainteso?" Mi chiesi... Era solo un abbraccio dato da un amico magari in difficoltà per qualcosa che non sapevo forse, avevamo dormito nello stesso letto in quella mansarda dove abitava, c'era pura amicizia tra noi. Una di quelle vere, di quelle poche che appagano il cuore e la mente.
"Mi... mi dispiace che tu te ne vada... Che ritorni in Italia tra pochi giorni."
"Tra cinque giorni Louis..." sdrammatizzai abbozzando un sorriso, lui mi prese per un braccio e mi condusse in silenzio verso Rue de Saints Pères, e quasi correndo ci ritrovammo in Boulevard Saint Germain.
"Preferisco stare in mezzo alla gente, non soli su quel ponte a guardare quel tramonto, la Senna e tu pensieroso. Tutto questo mi aveva messo addosso una tristezza... Almeno qui in mezzo a tutta la gente mi sembra di stare meglio."
"Louis davvero non capisco, non è la prima volta che vengo a Parigi, che ci vediamo... Mi hai promesso di venire a Milano a casa mia ad aprile del prossimo anno... Non dovresti essere triste."
"Ma questa volta è diverso." concluse sedendosi ad un tavolino di un bar, mi sedetti anch'io.
"Come sarebbe a dire: questa volta è diverso?"
Il suo sguardo era oltre il mio...
"Partiamo per il Canada, con i miei, partiremo tra due mesi, l'ho saputo stamattina da papà... Ci trasferiamo lì per tre anni. Papà ha avuto un incarico di lavoro per la sua società..."
Mi venne un colpo, tre anni lontani e un aprile, il prossimo, senza la sua visita che avrebbe fatto piacere a mia madre e a mia sorella.
"Beh c'è il telefono, ci potremmo scrivere..."
"Si ma non è la stessa cosa Jean (mi chiamava così quando era arrabbiato o triste), lo sai che sei un fratello per me, un fratello che non ho mai avuto, sei molto di più degli amici che ho qui, neanche Francine, Robert e Didier, sono come lo sei tu per me!"
Mi venne addosso una tristezza infinita, un altro amico che se ne va lontano e chissà quando l'avrei rivisto ancora, cercai di sorridere nuovamente ma lui mi fissò serio.
"Voi italiani pensate sempre male..." rimasi basito, aveva interpretato male il mio sorriso? Cercava di ferirmi o di sfogare qualcosa per non soffrire troppo?
"So cosa pensate se un uomo dice queste cose ad un altro uomo..."
"Ma sei matto Louis? Ma che dici? Volersi bene non significa chissà..." Non mi fece finire la frase, si scusò per la sciocchezza detta. Pensava che avessi capito male il suo abbraccio e la sua commozione, ma un'amicizia che durava da qualche anno non lasciava spazio a dubbi, però vidi davvero la sofferenza negli occhi del mio amico.
Dopo aver bevuto qualcosa e mangiato un panino, ci avviammo a piedi verso casa, avevamo un appuntamento con Didier e Marcel un loro amico di Tours ospite come me a casa dell'altro.
La serata passò serena, avevamo ascoltato musica e cantato, ci siamo rimpinzati di dolci e bibite... Un gioco a carte e mezzanotte si era fatta vicina, gli altri due amici dovevano tornare a casa, il padre di Didier era piuttosto severo e aveva dato loro un orario preciso.
Più tardi in camera, stavo scrivendo un paio di cartoline sulla scrivania davanti al letto, Louis era già dalla sua parte e stava leggendo un libro. Poco dopo sua madre venne a darci la buona notte e ci augurò una buona visita per l'indomani a Versailles, una gita di due giorni già organizzata insieme a Didier, Marcel e Robert.
Appena finito di scrivere mi misi a letto, non avevo acceso l'abat-jour perchè avevo sonno. Louis si girò a guardarmi, aveva messo il libro sul comodino e spento la luce. Dalla finestra i fiochi raggi di una luna lontana davano in quella stanza un alone da fiaba.
"Ti posso abbracciare?" mi chiese titubante Louis, lo feci io per lui, si mise a piangere con la testa sul mio petto, mi sembrava un bambino... Doveva sfogarsi, avevo capito il dolore che lo attanagliava e non era solo per me, io potevo essere una delle tante cose che non avrebbe più visto per tre lunghi anni, lunghi per la nostra età, per i nostri vent'anni.
Restammo abbracciati così mentre lui mi parlava delle sue cose, delle sue avventure da piccolo. In quel momento ero quel fratello che gli mancava, non vedeva le mie di lacrime per fortuna, in quel momento dovevo essere il più forte...
Si addormentò piano vicino a me, sentivo la sua spalla vicino alla mia e pensai a quanto erano stati belli quegli anni, quelle vacanze fatte insieme. Gli sfiorai la testa con la mano "Mi mancherai molto anche tu." pensai e come lui avrei voluto un fratello maggiore con cui giocare e confrontarmi. Il sonno prese il sopravvento anche per me e la notte passò veloce.
La luce del sole mi abbagliò il viso il mattino dopo, spalancai gli occhi, Louis era in piedi davanti alla finestra, mi sorrise e mi schiacciò un'occhio.
"Forza pigrone, Versailles ci aspetta e così gli altri... Voglio godermi come non mai questi nostri cinque giorni di felicità. Vediamo chi arriva per primo in bagno".
Ci arrivò lui ovviamente e intanto che aspettavo il mio turno, pensai alla nostra amicizia e mentre stavo per commuovermi, prontamente mi alzai e aprii le finestre, una giornata limpida e stupenda ci aspettava, un forte respiro e nulla ci avrebbe più fermato.
IV°
Paris, un maggio di tanti anni fa.
Erano passati tre anni che non ritornavo a Parigi, tre anni da quando Louis con la sua famiglia si erano trasferiti in Canada.
I primi mesi arrivarono le telefonate, poi le lettere e negli ultimi tempi più nulla... Ogni tanto Nadine o Robert mi scrivevano per farmi avere loro notizie e notizie del nostro amico, poi anche loro avevano perso le sue tracce e tra noi piano piano la corrispondenza si fece sempre più rara, fino a scomparire incominciando dalle cartoline di buon Natale.
Avevo ancora una settimana di ferie da finire, la decisione fu presa improvvisa: partire per Parigi e ritrovare qualcosa del passato, qualcosa che mi facesse star bene, qualcosa che non ho più avuto e che a quel tempo rimpiangevo molto.
Tre anni prima, dopo il mio ritorno a casa e aver dato addio a Louis, molte cose erano cambiate nella mia famiglia e la spensieratezza, la felicità e tanto altro erano sparite in qualche meandro oscuro tramato del destino...
Fu allora che mi accorsi nella mia solitudine che mi mancava, mi mancavano quegli anni spensierati e soprattutto quei viaggi e vacanze nella città luminosa, divertente e romantica, mi mancavano quei ragazzi e soprattutto Louis.
Mi ero svegliato presto il mattino successivo al mio arrivo a Parigi, avevo trovato un bell'albergo nei pressi di Avenue Marceau, volevo il meglio e godermi questi giorni prima di ritornare alla mia vita.
Dopo essermi preparato per scendere e gustarmi la prima colazione, mi ero affacciato alla finestra: davanti a me la Tour Eiffel si stagliava in tutta la sua bellezza, il cielo era di un azzurro chiaro e i palazzi color avorio dai tetti così particolari incorniciavano quel paesaggio.
Più tardi ero già tra la folla, guardavo i volti delle persone come se cercassi qualcuno per ritrovare quel passato, osservavo le vetrine, gli alberi che ombreggiavano dal sole caldo di quel maggio luminoso come solo Parigi poteva avere.
Arrivai fino al Pont de l'Almà, era quasi ora di pranzo, ma mi fermai a metà per guardare la Senna ed i battelli che la solcavano, mi venne in mente quel giorno in cui Louis era disperato e mi confessò la sua prossima partenza per l'America...
In quell'attimo mi era assalita una tristezza che quasi ero corso dall'altra parte del ponte, magicamente mi trovai in Rue de l'Universitè davanti ad un bar, avevo sete e fame. Entrai.
Seduto ad un tavolino stavo gustandomi un leggero pranzo, guardando la folla dalla vetrina di fianco a me, quando una voce alle mie spalle mi aveva fatto trasalire:
"Il est incroyable, je ne peux pas y croire, mais ... Jean Paul!"
Rimasi con il pane a metà tra la bocca ed il piatto, vi voltai di scatto, Didier era davanti a me, in piedi ed allibito.
"Mon Dieu quanto tempo caro amico..." disse, mi alzai e Didier mi abbracciò talmente forte che sentivo quasi le costole incrinarsi. Era un rugbista e ovviamente poco conscio della sua forza.
Era incredibile, un segno del destino... Il primo ricordo del passato che si faceva vivo durante quella vacanza, eravamo strabiliati. Lui era cambiato in tre anni: si era fatto crescere la barbetta biondiccia sul volto, i tratti erano più adulti, i capelli lunghi e ricci incorniciavano quel sorriso ancora da bambino nonostante la mole.
Ci raccontammo per un'ora tutto quello che ci era accaduto nei tre anni passati senza vederci ne scriverci, si era scusato molto ma con la sua squadra viaggiava spesso e gli allenamenti lo occupavano tanto ma mi aveva sempre pensato. Dissi così anche io, tralasciai di metterlo al corrente delle cose spiacevoli capitatemi... Poi mi disse che aveva tutta la giornata disposizione e voleva dedicarmela, così accettai.
Finimmo ormai sera poi a casa sua dove viveva con sua madre, una signora che conobbi anni prima, simpatica di origini fiamminghe e cenammo lì, tra i fiori su un terrazzo piastrellato di azulejos e vasi in coccio.
Dopo cena e prima di riaccompagnarmi in albergo, in camera sua incominciò a raccontarmi di tutti gli altri, seppi della scomparsa in un incidente di Marcel, che dispiacere fu per me saperlo... Seppi anche del trasferimento a Saint-Etienne di Nadine e del matrimonio di Robert, poi silenzio...
Sapeva che volevo parlare di Louis, avevo un brutto presentimento ma i suoi occhi allegri e il sorriso simpatico mi fece tirare un sospiro di sollievo.
"Louis, vive in Australia ora... Suo padre ha avuto un incarico speciale a Perth e si sono trasferiti in quella città più di otto mesi fa, l'avevo incontrato qui poco prima e come al solito non ci siamo scambiati i recapiti... Capisci? Odio gli addii..."
Lo sapevo ed era per quello che il giorno della mia definitiva partenza tre anni prima, non si fece vedere ma mi mandò i saluti da Robert.
"Mi aveva chiesto di te e non seppi dargli l'indirizzo, perdonami Jean, mi dispiace..."
"Non fa nulla" gli risposi "L'importante è che stia bene e magari un domani chissà.... Forse ci ritroveremo tutti quanti."
Il suo volto si era rabbuiato, Didier era troppo sensibile, riviveva ad ogni addio o allontanamento di qualcuno, il trauma dell'abbandono del padre quand'era piccolo. Sentiva il distacco come un rifiuto, non continuai oltre, poi si era alzato improvvisamente e da un cassetto della sua scrivania prese una lettera.
"Tieni è per te, me l'aveva data Louis l'ultima volta, dicendomi che se ti avessi incontrato un domani... Avrei dovuto dartela, quasi se lo sentiva quel testone. Tieni è tua, la leggerai da solo in camera dell'albergo."
Avevo quella busta in mano, una busta color avorio con scritto in blu "Pour mon ami JP", sentivo le lacrime agli occhi.
Dopo aver salutato sua madre madame De Claudet, Didier mi riaccompagnò in auto fino all'Hotel.
"Jean mi dispiace ma domani parto per Lilla, ho gli allenamenti per la fine del campionato e starò via una settimana..."
Non importa gli dissi e ci abbracciammo forte, mi prese una mano come non volesse lasciarmi andare, lo guardai e negli occhi vidi tutta la sua solitudine.
"Cerca la tua felicità..." gli dissi scendendo dall'auto.
"Lo farò te lo prometto, è ora anche per me.Ciao caro amico mio..." fu l'ultima volta che vidi anche lui.
La Tour Eiffel si stagliava illuminata davanti ai miei occhi, seduto al tavolino sul terrazzino della mia camera, rigiravo la busta che mi aveva lasciato Louis, avevo paura ad aprirla e non ne capivo il perché.
Poi sentii un profumo di fiori dal balcone vicino al mio e l'aprii.
Lessi quelle parole scritte in cinque pagine, parole fitte, dove mi raccontava tutto... Dove ogni lettera si scolpiva nella mente e nel cuore. quando finii mi accorsi di piangere, appoggiai la testa sul tavolino e mi sfogai...
La settimana passò in fretta, avevo deciso la mattina dopo, di fare solo il turista e non pensare ad altro, avevo capito che il passato dovevo lasciarlo andare, di rilegarlo in una parte del mio cuore e della mente.
Quando finita la vacanza, partii per l'italia, dall'aereo vidi la grande città dall'alto, sentii nell'anima che quella era l'ultima volta, sentii che l'avrei rivista dopo tantissimi anni ma non avrei rivisto più le persone che in quegli anni fecero parte della mia vita...
E così fu
Giampaolo