venerdì 3 maggio 2019

PARIS ADIEU! JE REVIENDRAI



PARIS ADIEU! JE REVIENDRAI


Parigi, molti anni fa.
La pioggerellina scendeva lenta sui tetti e nei viali, le bancarelle dei fiori e dei libri sul Boulevard dell'Ile Saint-Louis, erano quasi deserte. Mi fermai davanti ad una boulangerie, avevo fame, quando sentii una voce alle spalle.
- Bonjour, je suis désolé pour le retard Jeanpaul -
- Pas de problème, Louis. Je suis ici depuis quelques minutes. -
Il mio amico parigino, non sapeva più come scusarsi. Allora dopo aver chiuso i nostri ombrelli, l'ho "obbligato" visto il ritardo, ad offrirmi la colazione.
Ridendo siamo entrati in un bar pasticceria e ci siamo seduti vicino ad una finestra sulla strada. E davanti a due tazze di latte e caffè con croissants, pain et beurre et confiture, facemmo una grande colazione.
Ero ospite da lui per una breve vacanza e quel mattino avevamo deciso di fare una visita al Louvre.
Alle nove e trenta ci raggiunsero tre coppie di suoi amici. Una sposata, una fidanzata da una vita ed una coppia di ragazze gay. Martine, Lorraine, Didier, Jiulienne, Jean Marc e Francine.
Mentre la pioggia cadeva ancora lenta visitammo una parte del museo, pranzato in una brasserie e infine una passeggiata lunghissima a Montparnasse.
Mentre Louis mi raccontava della sua storia un po' incasinata, vedevo le tre coppie sotto gli ombrelli colorati davanti a noi e le invidiavo un po'. Ogni tanto la risata di Martine risuonava cristallina alle battute della sua compagna Lorraine.
Che atmosfera stupenda di fine estate, poi la brillante idea di prenderci una cioccolata, Louis ci portò in una pasticceria nei pressi del Boulevard De Clichy, decidendo di offrire per questa volta.
All'interno le note di una canzone di Yves Montand proveniva da una radio nascosta dietro al bancone. Una bella ragazza dagli occhi blu ed i capelli neri, sorrideva dalla cassa dove andai ad ordinare. Lei mi sorrise ed alla fine dopo aver pagato disse.
- Monsieur, êtes-vous italien? -
- Il savait de mon accent? - le risposi
- Non seulement cela, mais son visage en dit. Bienvenue à Paris alors.- continuò simpaticamente
- Merci, elle est très gentil mademoiselle ...? -
- Claudine, je m'appelle Claudine - sorrise alla grande.
- Giampaolo, plaisir. - dissi un po' imbarazzato.
Lei continuava a guardarmi al tavolo con i miei amici, mi girai verso la strada, la pioggia continuava a cadere, un'altra coppia sotto l'ombrello correva sul marciapiede per raggiungere un portone.
All'orecchio giunse una musica bellissima "Le foglie morte", voltai lo sguardo verso Claudine e ricambiai un sorriso.
"Benvenuto a Parigi"... mi dissi da solo. Louis mi guardò con aria interrogativa, presi un pasticcino al cioccolato e me lo gustai tranquillo,
mentre la pioggia continuava a cedere davanti a noi.

II°
La mia vacanza dal mio amico francese Louis continuava tra passeggiate, visite a musei, chiese, giardini tant'è che non me ne sarei andato più via da quella luminosa città. Non che Milano non mi piacesse più, ma l'atmosfera era sublime, l'aria più leggera e i palazzi nella luce dorata del tramonto, mi davano la sensazione di essere in un posto da favola. Ricordai vedendo una pasticceria con esposte delle torte fantastiche, quella giornata passata con i suoi amici, una giornata piovosa ma allegra.
Quel giorno avevamo deciso di visitare la zona de la Bastille, Louis ed io dopo aver camminato tutta la mattina tra la Place de Bastille con la sua Opera e l'attiguo canale Gare de L'Arsenal con una capatina veloce nella Bibliothèque di quest'ultima, ci fermammo in un bistrot sulla Senna davanti all'Ile de Saint Louis, dopo aver mangiato qualcosa ci accorgemmo che un signore anziano vestito con un soprabito verde ed un basco beige, continuava a fissarmi.
Louis si stava seccando perchè odiava le persone che fissavano gli altri senza un motivo e dopo aver pagato al cameriere il conto ci stavamo alzando dal nostro tavolo, quando il signore anziano si avvicinò a noi:
- Perdonatemi la maleducazione ma vorrei fare una domanda al ragazzo biondo. Se posso... -
- Spero non sia una seccatura - rispose a denti stretti il mio amico mostrando il suo disappunto.
- No no... - l'altro rispose gentilmente con un sorriso - Volevo chiedere solo se il suo amico fosse tedesco.
- No sono italiano - dissi nel mio francese stentato.
- Che strano avrei giurato che lo fosse... Ma vorrei spiegarmi meglio., se volete seguirmi, giuro che vi farò perdere solo qualche minuto del vostro tempo, parola di Didier Rainer, che sono io poi. Mi piace dipingere e volevo mostrarvi una cosa e poi capirete. -
Non so perchè uscimmo insieme e quell'uomo che si rivelò discreto e gentile e senza secondi fini, mentre ci incamminavamo tra le vie parigine, ci parlò di un suo amico conosciuto nella seconda guerra mondiale, un dissidente tedesco che odiava Hitler e che trovando rifugio in Francia venne protetto e nascosto dalla famiglia di questo anziano signore. Ci parlò della sua amicizia, di ciò che avevano passato insieme e che non si videro più quasi subito dopo la guerra quando quel suo amico tedesco partì per gli Stati Uniti con un passaporto falso.
Louis ed io rimanemmo affascinati dal suo racconto finché quest'uomo ci condusse prima attraverso Rue St. Paul, poi Rue de St. Antoine e nella piccola Rue de Birague fino a sbucare nella più bella piazza che ebbi mai visto Place de Vosges.
Non l'avevo mai vista e rimasi incantato dalla sua architettura così sublime e magnifica che rimasi a bocca aperta con un tuffo al cuore. Louis rise guardando la mia espressione, l'altro signore sorrise dicendo:
- La stessa faccia che ebbe Erik quando vide questa meraviglia. Potete aspettarmi qui per favore? Arrivo tra cinque minuti vi devo mostrare una cosa. -
Louis ed io ci guardammo facemmo col capo un cenno di si e in un secondo questi sparì in un portone poco distante, chissà che cosa doveva mostrarci quell'uomo, eravamo incuriositi e mentre il mio amico rimase in piedi a fumarsi una sigaretta, io sempre più estasiato da questa bellissima piazza, entrai nei suoi giardini, dopo poco mi sentii chiamare e vidi Louis con quell'uomo sotto il portico. Mi avvicinai e mentre il mio amico si stava nuovamente mettendo in bocca la sigaretta, l'altro mostrò un quadro che fino a poco prima era coperto da un pezzo di stoffa.
La sigaretta di Louis cadde dalle sue labbra non appena vide il ritratto disegnato sopra:
- Merd... pardon Mon Dieu, non è possibile. Paolo guarda! -
Mi avvicinai e impallidii, quel volto davanti a me era il mio. Sembravo io, aveva solo un po' il naso diverso ma ero io. Guardai gli occhi di quell'uomo.
- Capisce perchè ho sentito il desiderio di fermarmi e farvi conoscere questo? -
Guardavo quel ritratto, mi assomigliava davvero e chissà cosa ho suscitato in quell'uomo quando mi vide in quel bistrot, ero imbarazzato e nello stesso tempo sorpreso piacevolmente.
Volle farmi una foto in quella piazza nella stessa posizione del giovane nel ritratto ma quella foto non la vidi mai, non so perchè ma non siamo più passati da quelle parti nei giorni successivi, avevo sempre sperato che quel signore, Monsieur Rainer col tempo avesse ritrovato quel suo amico o almeno sue notizie. Chissà forse il destino....

III°
Tramonto rosso fuoco, la Tour Eiffel si stagliava tra il rosso del sole e il rosato ed oro del cielo, Venere era là, splendida e luminosa poco più in alto, Louis ed io eravamo appoggiati con le braccia sul Pont de Carrousel, sulla sinistra due signori anziani guardavano il battello scivolare sotto di noi sulla Seine, alla nostra destra il Louvre, imbrunito dalle ombre della sera, sembrava quasi un ombra minacciosa.
Era uno dei miei ultimi giorni di vacanza a Parigi, a casa del mio amico Louis, i nostri volti erano verso quella torre così alta e scura, i pensieri persi chissà dove. Improvvisamente sentii il suo sguardo su di me, non capivo il perché ma quando voltai il mio verso il suo viso, mi sembrò che gli occhi fossero lucidi.
"Che c'è?" chiesi girandomi con la schiena appoggiata al ponte.
"Nulla... Nulla..." la sua voce mi sembrava triste, all'improvviso mi abbracciò forte... Mi preoccupai, pensavo che non stesse bene, poi si staccò chiedendomi scusa per il gesto magari frainteso.
"Frainteso?" Mi chiesi... Era solo un abbraccio dato da un amico magari in difficoltà per qualcosa che non sapevo forse, avevamo dormito nello stesso letto in quella mansarda dove abitava, c'era pura amicizia tra noi. Una di quelle vere, di quelle poche che appagano il cuore e la mente.
"Mi... mi dispiace che tu te ne vada... Che ritorni in Italia tra pochi giorni."
"Tra cinque giorni Louis..." sdrammatizzai abbozzando un sorriso, lui mi prese per un braccio e mi condusse in silenzio verso Rue de Saints Pères, e quasi correndo ci ritrovammo in Boulevard Saint Germain.
"Preferisco stare in mezzo alla gente, non soli su quel ponte a guardare quel tramonto, la Senna e tu pensieroso. Tutto questo mi aveva messo addosso una tristezza... Almeno qui in mezzo a tutta la gente mi sembra di stare meglio."
"Louis davvero non capisco, non è la prima volta che vengo a Parigi, che ci vediamo... Mi hai promesso di venire a Milano a casa mia ad aprile del prossimo anno... Non dovresti essere triste."
"Ma questa volta è diverso." concluse sedendosi ad un tavolino di un bar, mi sedetti anch'io.
"Come sarebbe a dire: questa volta è diverso?"
Il suo sguardo era oltre il mio...
"Partiamo per il Canada, con i miei, partiremo tra due mesi, l'ho saputo stamattina da papà... Ci trasferiamo lì per tre anni. Papà ha avuto un incarico di lavoro per la sua società..."
Mi venne un colpo, tre anni lontani e un aprile, il prossimo, senza la sua visita che avrebbe fatto piacere a mia madre e a mia sorella.
"Beh c'è il telefono, ci potremmo scrivere..."
"Si ma non è la stessa cosa Jean (mi chiamava così quando era arrabbiato o triste), lo sai che sei un fratello per me, un fratello che non ho mai avuto, sei molto di più degli amici che ho qui, neanche Francine, Robert e Didier, sono come lo sei tu per me!"
Mi venne addosso una tristezza infinita, un altro amico che se ne va lontano e chissà quando l'avrei rivisto ancora, cercai di sorridere nuovamente ma lui mi fissò serio.
"Voi italiani pensate sempre male..." rimasi basito, aveva interpretato male il mio sorriso? Cercava di ferirmi o di sfogare qualcosa per non soffrire troppo?
"So cosa pensate se un uomo dice queste cose ad un altro uomo..."
"Ma sei matto Louis? Ma che dici? Volersi bene non significa chissà..." Non mi fece finire la frase, si scusò per la sciocchezza detta. Pensava che avessi capito male il suo abbraccio e la sua commozione, ma un'amicizia che durava da qualche anno non lasciava spazio a dubbi, però vidi davvero la sofferenza negli occhi del mio amico.
Dopo aver bevuto qualcosa e mangiato un panino, ci avviammo a piedi verso casa, avevamo un appuntamento con Didier e Marcel un loro amico di Tours ospite come me a casa dell'altro.
La serata passò serena, avevamo ascoltato musica e cantato, ci siamo rimpinzati di dolci e bibite... Un gioco a carte e mezzanotte si era fatta vicina, gli altri due amici dovevano tornare a casa, il padre di Didier era piuttosto severo e aveva dato loro un orario preciso.
Più tardi in camera, stavo scrivendo un paio di cartoline sulla scrivania davanti al letto, Louis era già dalla sua parte e stava leggendo un libro. Poco dopo sua madre venne a darci la buona notte e ci augurò una buona visita per l'indomani a Versailles, una gita di due giorni già organizzata insieme a Didier, Marcel e Robert.
Appena finito di scrivere mi misi a letto, non avevo acceso l'abat-jour perchè avevo sonno. Louis si girò a guardarmi, aveva messo il libro sul comodino e spento la luce. Dalla finestra i fiochi raggi di una luna lontana davano in quella stanza un alone da fiaba.
"Ti posso abbracciare?" mi chiese titubante Louis, lo feci io per lui, si mise a piangere con la testa sul mio petto, mi sembrava un bambino... Doveva sfogarsi, avevo capito il dolore che lo attanagliava e non era solo per me, io potevo essere una delle tante cose che non avrebbe più visto per tre lunghi anni, lunghi per la nostra età, per i nostri vent'anni.
Restammo abbracciati così mentre lui mi parlava delle sue cose, delle sue avventure da piccolo. In quel momento ero quel fratello che gli mancava, non vedeva le mie di lacrime per fortuna, in quel momento dovevo essere il più forte...
Si addormentò piano vicino a me, sentivo la sua spalla vicino alla mia e pensai a quanto erano stati belli quegli anni, quelle vacanze fatte insieme. Gli sfiorai la testa con la mano "Mi mancherai molto anche tu." pensai e come lui avrei voluto un fratello maggiore con cui giocare e confrontarmi. Il sonno prese il sopravvento anche per me e la notte passò veloce.
La luce del sole mi abbagliò il viso il mattino dopo, spalancai gli occhi, Louis era in piedi davanti alla finestra, mi sorrise e mi schiacciò un'occhio.
"Forza pigrone, Versailles ci aspetta e così gli altri... Voglio godermi come non mai questi nostri cinque giorni di felicità. Vediamo chi arriva per primo in bagno".
Ci arrivò lui ovviamente e intanto che aspettavo il mio turno, pensai alla nostra amicizia e mentre stavo per commuovermi, prontamente mi alzai e aprii le finestre, una giornata limpida e stupenda ci aspettava, un forte respiro e nulla ci avrebbe più fermato.

IV°
Paris, un maggio di tanti anni fa.
Erano passati tre anni che non ritornavo a Parigi, tre anni da quando Louis con la sua famiglia si erano trasferiti in Canada.
I primi mesi arrivarono le telefonate, poi le lettere e negli ultimi tempi più nulla... Ogni tanto Nadine o Robert mi scrivevano per farmi avere loro notizie e notizie del nostro amico, poi anche loro avevano perso le sue tracce e tra noi piano piano la corrispondenza si fece sempre più rara, fino a scomparire incominciando dalle cartoline di buon Natale.
Avevo ancora una settimana di ferie da finire, la decisione fu presa improvvisa: partire per Parigi e ritrovare qualcosa del passato, qualcosa che mi facesse star bene, qualcosa che non ho più avuto e che a quel tempo rimpiangevo molto.
Tre anni prima, dopo il mio ritorno a casa e aver dato addio a Louis, molte cose erano cambiate nella mia famiglia e la spensieratezza, la felicità e tanto altro erano sparite in qualche meandro oscuro tramato del destino...
Fu allora che mi accorsi nella mia solitudine che mi mancava, mi mancavano quegli anni spensierati e soprattutto quei viaggi e vacanze nella città luminosa, divertente e romantica, mi mancavano quei ragazzi e soprattutto Louis.
Mi ero svegliato presto il mattino successivo al mio arrivo a Parigi, avevo trovato un bell'albergo nei pressi di Avenue Marceau, volevo il meglio e godermi questi giorni prima di ritornare alla mia vita.
Dopo essermi preparato per scendere e gustarmi la prima colazione, mi ero affacciato alla finestra: davanti a me la Tour Eiffel si stagliava in tutta la sua bellezza, il cielo era di un azzurro chiaro e i palazzi color avorio dai tetti così particolari incorniciavano quel paesaggio.
Più tardi ero già tra la folla, guardavo i volti delle persone come se cercassi qualcuno per ritrovare quel passato, osservavo le vetrine, gli alberi che ombreggiavano dal sole caldo di quel maggio luminoso come solo Parigi poteva avere.
Arrivai fino al Pont de l'Almà, era quasi ora di pranzo, ma mi fermai a metà per guardare la Senna ed i battelli che la solcavano, mi venne in mente quel giorno in cui Louis era disperato e mi confessò la sua prossima partenza per l'America...
In quell'attimo mi era assalita una tristezza che quasi ero corso dall'altra parte del ponte, magicamente mi trovai in Rue de l'Universitè davanti ad un bar, avevo sete e fame. Entrai.
Seduto ad un tavolino stavo gustandomi un leggero pranzo, guardando la folla dalla vetrina di fianco a me, quando una voce alle mie spalle mi aveva fatto trasalire:
"Il est incroyable, je ne peux pas y croire, mais ... Jean Paul!"
Rimasi con il pane a metà tra la bocca ed il piatto, vi voltai di scatto, Didier era davanti a me, in piedi ed allibito.
"Mon Dieu quanto tempo caro amico..." disse, mi alzai e Didier mi abbracciò talmente forte che sentivo quasi le costole incrinarsi. Era un rugbista e ovviamente poco conscio della sua forza.
Era incredibile, un segno del destino... Il primo ricordo del passato che si faceva vivo durante quella vacanza, eravamo strabiliati. Lui era cambiato in tre anni: si era fatto crescere la barbetta biondiccia sul volto, i tratti erano più adulti, i capelli lunghi e ricci incorniciavano quel sorriso ancora da bambino nonostante la mole.
Ci raccontammo per un'ora tutto quello che ci era accaduto nei tre anni passati senza vederci ne scriverci, si era scusato molto ma con la sua squadra viaggiava spesso e gli allenamenti lo occupavano tanto ma mi aveva sempre pensato. Dissi così anche io, tralasciai di metterlo al corrente delle cose spiacevoli capitatemi... Poi mi disse che aveva tutta la giornata disposizione e voleva dedicarmela, così accettai.
Finimmo ormai sera poi a casa sua dove viveva con sua madre, una signora che conobbi anni prima, simpatica di origini fiamminghe e cenammo lì, tra i fiori su un terrazzo piastrellato di azulejos e vasi in coccio.
Dopo cena e prima di riaccompagnarmi in albergo, in camera sua incominciò a raccontarmi di tutti gli altri, seppi della scomparsa in un incidente di Marcel, che dispiacere fu per me saperlo... Seppi anche del trasferimento a Saint-Etienne di Nadine e del matrimonio di Robert, poi silenzio...
Sapeva che volevo parlare di Louis, avevo un brutto presentimento ma i suoi occhi allegri e il sorriso simpatico mi fece tirare un sospiro di sollievo.
"Louis, vive in Australia ora... Suo padre ha avuto un incarico speciale a Perth e si sono trasferiti in quella città più di otto mesi fa, l'avevo incontrato qui poco prima e come al solito non ci siamo scambiati i recapiti... Capisci? Odio gli addii..."
Lo sapevo ed era per quello che il giorno della mia definitiva partenza tre anni prima, non si fece vedere ma mi mandò i saluti da Robert.
"Mi aveva chiesto di te e non seppi dargli l'indirizzo, perdonami Jean, mi dispiace..."
"Non fa nulla" gli risposi "L'importante è che stia bene e magari un domani chissà.... Forse ci ritroveremo tutti quanti."
Il suo volto si era rabbuiato, Didier era troppo sensibile, riviveva ad ogni addio o allontanamento di qualcuno, il trauma dell'abbandono del padre quand'era piccolo. Sentiva il distacco come un rifiuto, non continuai oltre, poi si era alzato improvvisamente e da un cassetto della sua scrivania prese una lettera.
"Tieni è per te, me l'aveva data Louis l'ultima volta, dicendomi che se ti avessi incontrato un domani... Avrei dovuto dartela, quasi se lo sentiva quel testone. Tieni è tua, la leggerai da solo in camera dell'albergo."
Avevo quella busta in mano, una busta color avorio con scritto in blu "Pour mon ami JP", sentivo le lacrime agli occhi.
Dopo aver salutato sua madre madame De Claudet, Didier mi riaccompagnò in auto fino all'Hotel.
"Jean mi dispiace ma domani parto per Lilla, ho gli allenamenti per la fine del campionato e starò via una settimana..."
Non importa gli dissi e ci abbracciammo forte, mi prese una mano come non volesse lasciarmi andare, lo guardai e negli occhi vidi tutta la sua solitudine.
"Cerca la tua felicità..." gli dissi scendendo dall'auto.
"Lo farò te lo prometto, è ora anche per me.Ciao caro amico mio..." fu l'ultima volta che vidi anche lui.
La Tour Eiffel si stagliava illuminata davanti ai miei occhi, seduto al tavolino sul terrazzino della mia camera, rigiravo la busta che mi aveva lasciato Louis, avevo paura ad aprirla e non ne capivo il perché.
Poi sentii un profumo di fiori dal balcone vicino al mio e l'aprii.
Lessi quelle parole scritte in cinque pagine, parole fitte, dove mi raccontava tutto... Dove ogni lettera si scolpiva nella mente e nel cuore. quando finii mi accorsi di piangere, appoggiai la testa sul tavolino e mi sfogai...
La settimana passò in fretta, avevo deciso la mattina dopo, di fare solo il turista e non pensare ad altro, avevo capito che il passato dovevo lasciarlo andare, di rilegarlo in una parte del mio cuore e della mente.
Quando finita la vacanza, partii per l'italia, dall'aereo vidi la grande città dall'alto, sentii nell'anima che quella era l'ultima volta, sentii che l'avrei rivista dopo tantissimi anni ma non avrei rivisto più le persone che in quegli anni fecero parte della mia vita...
E così fu
Giampaolo
Parigi, molti anni fa.
La pioggerellina scendeva lenta sui tetti e nei viali, le bancarelle dei fiori e dei libri sul Boulevard dell'Ile Saint-Louis, erano quasi deserte. Mi fermai davanti ad una boulangerie, avevo fame, quando sentii una voce alle spalle.
- Bonjour, je suis désolé pour le retard Jeanpaul -
- Pas de problème, Louis. Je suis ici depuis quelques minutes. -
Il mio amico parigino, non sapeva più come scusarsi. Allora dopo aver chiuso i nostri ombrelli, l'ho "obbligato" visto il ritardo, ad offrirmi la colazione.
Ridendo siamo entrati in un bar pasticceria e ci siamo seduti vicino ad una finestra sulla strada. E davanti a due tazze di latte e caffè con croissants, pain et beurre et confiture, facemmo una grande colazione.
Ero ospite da lui per una breve vacanza e quel mattino avevamo deciso di fare una visita al Louvre.
Alle nove e trenta ci raggiunsero tre coppie di suoi amici. Una sposata, una fidanzata da una vita ed una coppia di ragazze gay. Martine, Lorraine, Didier, Jiulienne, Jean Marc e Francine.
Mentre la pioggia cadeva ancora lenta visitammo una parte del museo, pranzato in una brasserie e infine una passeggiata lunghissima a Montparnasse.
Mentre Louis mi raccontava della sua storia un po' incasinata, vedevo le tre coppie sotto gli ombrelli colorati davanti a noi e le invidiavo un po'. Ogni tanto la risata di Martine risuonava cristallina alle battute della sua compagna Lorraine.
Che atmosfera stupenda di fine estate, poi la brillante idea di prenderci una cioccolata, Louis ci portò in una pasticceria nei pressi del Boulevard De Clichy, decidendo di offrire per questa volta.
All'interno le note di una canzone di Yves Montand proveniva da una radio nascosta dietro al bancone. Una bella ragazza dagli occhi blu ed i capelli neri, sorrideva dalla cassa dove andai ad ordinare. Lei mi sorrise ed alla fine dopo aver pagato disse.
- Monsieur, êtes-vous italien? -
- Il savait de mon accent? - le risposi
- Non seulement cela, mais son visage en dit. Bienvenue à Paris alors.- continuò simpaticamente
- Merci, elle est très gentil mademoiselle ...? -
- Claudine, je m'appelle Claudine - sorrise alla grande.
- Giampaolo, plaisir. - dissi un po' imbarazzato.
Lei continuava a guardarmi al tavolo con i miei amici, mi girai verso la strada, la pioggia continuava a cadere, un'altra coppia sotto l'ombrello correva sul marciapiede per raggiungere un portone.
All'orecchio giunse una musica bellissima "Le foglie morte", voltai lo sguardo verso Claudine e ricambiai un sorriso.
"Benvenuto a Parigi"... mi dissi da solo. Louis mi guardò con aria interrogativa, presi un pasticcino al cioccolato e me lo gustai tranquillo,
mentre la pioggia continuava a cedere davanti a noi.

II°
La mia vacanza dal mio amico francese Louis continuava tra passeggiate, visite a musei, chiese, giardini tant'è che non me ne sarei andato più via da quella luminosa città. Non che Milano non mi piacesse più, ma l'atmosfera era sublime, l'aria più leggera e i palazzi nella luce dorata del tramonto, mi davano la sensazione di essere in un posto da favola. Ricordai vedendo una pasticceria con esposte delle torte fantastiche, quella giornata passata con i suoi amici, una giornata piovosa ma allegra.
Quel giorno avevamo deciso di visitare la zona de la Bastille, Louis ed io dopo aver camminato tutta la mattina tra la Place de Bastille con la sua Opera e l'attiguo canale Gare de L'Arsenal con una capatina veloce nella Bibliothèque di quest'ultima, ci fermammo in un bistrot sulla Senna davanti all'Ile de Saint Louis, dopo aver mangiato qualcosa ci accorgemmo che un signore anziano vestito con un soprabito verde ed un basco beige, continuava a fissarmi.
Louis si stava seccando perchè odiava le persone che fissavano gli altri senza un motivo e dopo aver pagato al cameriere il conto ci stavamo alzando dal nostro tavolo, quando il signore anziano si avvicinò a noi:
- Perdonatemi la maleducazione ma vorrei fare una domanda al ragazzo biondo. Se posso... -
- Spero non sia una seccatura - rispose a denti stretti il mio amico mostrando il suo disappunto.
- No no... - l'altro rispose gentilmente con un sorriso - Volevo chiedere solo se il suo amico fosse tedesco.
- No sono italiano - dissi nel mio francese stentato.
- Che strano avrei giurato che lo fosse... Ma vorrei spiegarmi meglio., se volete seguirmi, giuro che vi farò perdere solo qualche minuto del vostro tempo, parola di Didier Rainer, che sono io poi. Mi piace dipingere e volevo mostrarvi una cosa e poi capirete. -
Non so perchè uscimmo insieme e quell'uomo che si rivelò discreto e gentile e senza secondi fini, mentre ci incamminavamo tra le vie parigine, ci parlò di un suo amico conosciuto nella seconda guerra mondiale, un dissidente tedesco che odiava Hitler e che trovando rifugio in Francia venne protetto e nascosto dalla famiglia di questo anziano signore. Ci parlò della sua amicizia, di ciò che avevano passato insieme e che non si videro più quasi subito dopo la guerra quando quel suo amico tedesco partì per gli Stati Uniti con un passaporto falso.
Louis ed io rimanemmo affascinati dal suo racconto finché quest'uomo ci condusse prima attraverso Rue St. Paul, poi Rue de St. Antoine e nella piccola Rue de Birague fino a sbucare nella più bella piazza che ebbi mai visto Place de Vosges.
Non l'avevo mai vista e rimasi incantato dalla sua architettura così sublime e magnifica che rimasi a bocca aperta con un tuffo al cuore. Louis rise guardando la mia espressione, l'altro signore sorrise dicendo:
- La stessa faccia che ebbe Erik quando vide questa meraviglia. Potete aspettarmi qui per favore? Arrivo tra cinque minuti vi devo mostrare una cosa. -
Louis ed io ci guardammo facemmo col capo un cenno di si e in un secondo questi sparì in un portone poco distante, chissà che cosa doveva mostrarci quell'uomo, eravamo incuriositi e mentre il mio amico rimase in piedi a fumarsi una sigaretta, io sempre più estasiato da questa bellissima piazza, entrai nei suoi giardini, dopo poco mi sentii chiamare e vidi Louis con quell'uomo sotto il portico. Mi avvicinai e mentre il mio amico si stava nuovamente mettendo in bocca la sigaretta, l'altro mostrò un quadro che fino a poco prima era coperto da un pezzo di stoffa.
La sigaretta di Louis cadde dalle sue labbra non appena vide il ritratto disegnato sopra:
- Merd... pardon Mon Dieu, non è possibile. Paolo guarda! -
Mi avvicinai e impallidii, quel volto davanti a me era il mio. Sembravo io, aveva solo un po' il naso diverso ma ero io. Guardai gli occhi di quell'uomo.
- Capisce perchè ho sentito il desiderio di fermarmi e farvi conoscere questo? -
Guardavo quel ritratto, mi assomigliava davvero e chissà cosa ho suscitato in quell'uomo quando mi vide in quel bistrot, ero imbarazzato e nello stesso tempo sorpreso piacevolmente.
Volle farmi una foto in quella piazza nella stessa posizione del giovane nel ritratto ma quella foto non la vidi mai, non so perchè ma non siamo più passati da quelle parti nei giorni successivi, avevo sempre sperato che quel signore, Monsieur Rainer col tempo avesse ritrovato quel suo amico o almeno sue notizie. Chissà forse il destino....

III°
Tramonto rosso fuoco, la Tour Eiffel si stagliava tra il rosso del sole e il rosato ed oro del cielo, Venere era là, splendida e luminosa poco più in alto, Louis ed io eravamo appoggiati con le braccia sul Pont de Carrousel, sulla sinistra due signori anziani guardavano il battello scivolare sotto di noi sulla Seine, alla nostra destra il Louvre, imbrunito dalle ombre della sera, sembrava quasi un ombra minacciosa.
Era uno dei miei ultimi giorni di vacanza a Parigi, a casa del mio amico Louis, i nostri volti erano verso quella torre così alta e scura, i pensieri persi chissà dove. Improvvisamente sentii il suo sguardo su di me, non capivo il perché ma quando voltai il mio verso il suo viso, mi sembrò che gli occhi fossero lucidi.
"Che c'è?" chiesi girandomi con la schiena appoggiata al ponte.
"Nulla... Nulla..." la sua voce mi sembrava triste, all'improvviso mi abbracciò forte... Mi preoccupai, pensavo che non stesse bene, poi si staccò chiedendomi scusa per il gesto magari frainteso.
"Frainteso?" Mi chiesi... Era solo un abbraccio dato da un amico magari in difficoltà per qualcosa che non sapevo forse, avevamo dormito nello stesso letto in quella mansarda dove abitava, c'era pura amicizia tra noi. Una di quelle vere, di quelle poche che appagano il cuore e la mente.
"Mi... mi dispiace che tu te ne vada... Che ritorni in Italia tra pochi giorni."
"Tra cinque giorni Louis..." sdrammatizzai abbozzando un sorriso, lui mi prese per un braccio e mi condusse in silenzio verso Rue de Saints Pères, e quasi correndo ci ritrovammo in Boulevard Saint Germain.
"Preferisco stare in mezzo alla gente, non soli su quel ponte a guardare quel tramonto, la Senna e tu pensieroso. Tutto questo mi aveva messo addosso una tristezza... Almeno qui in mezzo a tutta la gente mi sembra di stare meglio."
"Louis davvero non capisco, non è la prima volta che vengo a Parigi, che ci vediamo... Mi hai promesso di venire a Milano a casa mia ad aprile del prossimo anno... Non dovresti essere triste."
"Ma questa volta è diverso." concluse sedendosi ad un tavolino di un bar, mi sedetti anch'io.
"Come sarebbe a dire: questa volta è diverso?"
Il suo sguardo era oltre il mio...
"Partiamo per il Canada, con i miei, partiremo tra due mesi, l'ho saputo stamattina da papà... Ci trasferiamo lì per tre anni. Papà ha avuto un incarico di lavoro per la sua società..."
Mi venne un colpo, tre anni lontani e un aprile, il prossimo, senza la sua visita che avrebbe fatto piacere a mia madre e a mia sorella.
"Beh c'è il telefono, ci potremmo scrivere..."
"Si ma non è la stessa cosa Jean (mi chiamava così quando era arrabbiato o triste), lo sai che sei un fratello per me, un fratello che non ho mai avuto, sei molto di più degli amici che ho qui, neanche Francine, Robert e Didier, sono come lo sei tu per me!"
Mi venne addosso una tristezza infinita, un altro amico che se ne va lontano e chissà quando l'avrei rivisto ancora, cercai di sorridere nuovamente ma lui mi fissò serio.
"Voi italiani pensate sempre male..." rimasi basito, aveva interpretato male il mio sorriso? Cercava di ferirmi o di sfogare qualcosa per non soffrire troppo?
"So cosa pensate se un uomo dice queste cose ad un altro uomo..."
"Ma sei matto Louis? Ma che dici? Volersi bene non significa chissà..." Non mi fece finire la frase, si scusò per la sciocchezza detta. Pensava che avessi capito male il suo abbraccio e la sua commozione, ma un'amicizia che durava da qualche anno non lasciava spazio a dubbi, però vidi davvero la sofferenza negli occhi del mio amico.
Dopo aver bevuto qualcosa e mangiato un panino, ci avviammo a piedi verso casa, avevamo un appuntamento con Didier e Marcel un loro amico di Tours ospite come me a casa dell'altro.
La serata passò serena, avevamo ascoltato musica e cantato, ci siamo rimpinzati di dolci e bibite... Un gioco a carte e mezzanotte si era fatta vicina, gli altri due amici dovevano tornare a casa, il padre di Didier era piuttosto severo e aveva dato loro un orario preciso.
Più tardi in camera, stavo scrivendo un paio di cartoline sulla scrivania davanti al letto, Louis era già dalla sua parte e stava leggendo un libro. Poco dopo sua madre venne a darci la buona notte e ci augurò una buona visita per l'indomani a Versailles, una gita di due giorni già organizzata insieme a Didier, Marcel e Robert.
Appena finito di scrivere mi misi a letto, non avevo acceso l'abat-jour perchè avevo sonno. Louis si girò a guardarmi, aveva messo il libro sul comodino e spento la luce. Dalla finestra i fiochi raggi di una luna lontana davano in quella stanza un alone da fiaba.
"Ti posso abbracciare?" mi chiese titubante Louis, lo feci io per lui, si mise a piangere con la testa sul mio petto, mi sembrava un bambino... Doveva sfogarsi, avevo capito il dolore che lo attanagliava e non era solo per me, io potevo essere una delle tante cose che non avrebbe più visto per tre lunghi anni, lunghi per la nostra età, per i nostri vent'anni.
Restammo abbracciati così mentre lui mi parlava delle sue cose, delle sue avventure da piccolo. In quel momento ero quel fratello che gli mancava, non vedeva le mie di lacrime per fortuna, in quel momento dovevo essere il più forte...
Si addormentò piano vicino a me, sentivo la sua spalla vicino alla mia e pensai a quanto erano stati belli quegli anni, quelle vacanze fatte insieme. Gli sfiorai la testa con la mano "Mi mancherai molto anche tu." pensai e come lui avrei voluto un fratello maggiore con cui giocare e confrontarmi. Il sonno prese il sopravvento anche per me e la notte passò veloce.
La luce del sole mi abbagliò il viso il mattino dopo, spalancai gli occhi, Louis era in piedi davanti alla finestra, mi sorrise e mi schiacciò un'occhio.
"Forza pigrone, Versailles ci aspetta e così gli altri... Voglio godermi come non mai questi nostri cinque giorni di felicità. Vediamo chi arriva per primo in bagno".
Ci arrivò lui ovviamente e intanto che aspettavo il mio turno, pensai alla nostra amicizia e mentre stavo per commuovermi, prontamente mi alzai e aprii le finestre, una giornata limpida e stupenda ci aspettava, un forte respiro e nulla ci avrebbe più fermato.
IV°
Paris, un maggio di tanti anni fa.
Erano passati tre anni che non ritornavo a Parigi, tre anni da quando Louis con la sua famiglia si erano trasferiti in Canada.
I primi mesi arrivarono le telefonate, poi le lettere e negli ultimi tempi più nulla... Ogni tanto Nadine o Robert mi scrivevano per farmi avere loro notizie e notizie del nostro amico, poi anche loro avevano perso le sue tracce e tra noi piano piano la corrispondenza si fece sempre più rara, fino a scomparire incominciando dalle cartoline di buon Natale.
Avevo ancora una settimana di ferie da finire, la decisione fu presa improvvisa: partire per Parigi e ritrovare qualcosa del passato, qualcosa che mi facesse star bene, qualcosa che non ho più avuto e che a quel tempo rimpiangevo molto.
Tre anni prima, dopo il mio ritorno a casa e aver dato addio a Louis, molte cose erano cambiate nella mia famiglia e la spensieratezza, la felicità e tanto altro erano sparite in qualche meandro oscuro tramato del destino...
Fu allora che mi accorsi nella mia solitudine che mi mancava, mi mancavano quegli anni spensierati e soprattutto quei viaggi e vacanze nella città luminosa, divertente e romantica, mi mancavano quei ragazzi e soprattutto Louis.
Mi ero svegliato presto il mattino successivo al mio arrivo a Parigi, avevo trovato un bell'albergo nei pressi di Avenue Marceau, volevo il meglio e godermi questi giorni prima di ritornare alla mia vita.
Dopo essermi preparato per scendere e gustarmi la prima colazione, mi ero affacciato alla finestra: davanti a me la Tour Eiffel si stagliava in tutta la sua bellezza, il cielo era di un azzurro chiaro e i palazzi color avorio dai tetti così particolari incorniciavano quel paesaggio.
Più tardi ero già tra la folla, guardavo i volti delle persone come se cercassi qualcuno per ritrovare quel passato, osservavo le vetrine, gli alberi che ombreggiavano dal sole caldo di quel maggio luminoso come solo Parigi poteva avere.
Arrivai fino al Pont de l'Almà, era quasi ora di pranzo, ma mi fermai a metà per guardare la Senna ed i battelli che la solcavano, mi venne in mente quel giorno in cui Louis era disperato e mi confessò la sua prossima partenza per l'America...
In quell'attimo mi era assalita una tristezza che quasi ero corso dall'altra parte del ponte, magicamente mi trovai in Rue de l'Universitè davanti ad un bar, avevo sete e fame. Entrai.
Seduto ad un tavolino stavo gustandomi un leggero pranzo, guardando la folla dalla vetrina di fianco a me, quando una voce alle mie spalle mi aveva fatto trasalire:
"Il est incroyable, je ne peux pas y croire, mais ... Jean Paul!"
Rimasi con il pane a metà tra la bocca ed il piatto, vi voltai di scatto, Didier era davanti a me, in piedi ed allibito.
"Mon Dieu quanto tempo caro amico..." disse, mi alzai e Didier mi abbracciò talmente forte che sentivo quasi le costole incrinarsi. Era un rugbista e ovviamente poco conscio della sua forza.
Era incredibile, un segno del destino... Il primo ricordo del passato che si faceva vivo durante quella vacanza, eravamo strabiliati. Lui era cambiato in tre anni: si era fatto crescere la barbetta biondiccia sul volto, i tratti erano più adulti, i capelli lunghi e ricci incorniciavano quel sorriso ancora da bambino nonostante la mole.
Ci raccontammo per un'ora tutto quello che ci era accaduto nei tre anni passati senza vederci ne scriverci, si era scusato molto ma con la sua squadra viaggiava spesso e gli allenamenti lo occupavano tanto ma mi aveva sempre pensato. Dissi così anche io, tralasciai di metterlo al corrente delle cose spiacevoli capitatemi... Poi mi disse che aveva tutta la giornata disposizione e voleva dedicarmela, così accettai.
Finimmo ormai sera poi a casa sua dove viveva con sua madre, una signora che conobbi anni prima, simpatica di origini fiamminghe e cenammo lì, tra i fiori su un terrazzo piastrellato di azulejos e vasi in coccio.
Dopo cena e prima di riaccompagnarmi in albergo, in camera sua incominciò a raccontarmi di tutti gli altri, seppi della scomparsa in un incidente di Marcel, che dispiacere fu per me saperlo... Seppi anche del trasferimento a Saint-Etienne di Nadine e del matrimonio di Robert, poi silenzio...
Sapeva che volevo parlare di Louis, avevo un brutto presentimento ma i suoi occhi allegri e il sorriso simpatico mi fece tirare un sospiro di sollievo.
"Louis, vive in Australia ora... Suo padre ha avuto un incarico speciale a Perth e si sono trasferiti in quella città più di otto mesi fa, l'avevo incontrato qui poco prima e come al solito non ci siamo scambiati i recapiti... Capisci? Odio gli addii..."
Lo sapevo ed era per quello che il giorno della mia definitiva partenza tre anni prima, non si fece vedere ma mi mandò i saluti da Robert.
"Mi aveva chiesto di te e non seppi dargli l'indirizzo, perdonami Jean, mi dispiace..."
"Non fa nulla" gli risposi "L'importante è che stia bene e magari un domani chissà.... Forse ci ritroveremo tutti quanti."
Il suo volto si era rabbuiato, Didier era troppo sensibile, riviveva ad ogni addio o allontanamento di qualcuno, il trauma dell'abbandono del padre quand'era piccolo. Sentiva il distacco come un rifiuto, non continuai oltre, poi si era alzato improvvisamente e da un cassetto della sua scrivania prese una lettera.
"Tieni è per te, me l'aveva data Louis l'ultima volta, dicendomi che se ti avessi incontrato un domani... Avrei dovuto dartela, quasi se lo sentiva quel testone. Tieni è tua, la leggerai da solo in camera dell'albergo."
Avevo quella busta in mano, una busta color avorio con scritto in blu "Pour mon ami JP", sentivo le lacrime agli occhi.
Dopo aver salutato sua madre madame De Claudet, Didier mi riaccompagnò in auto fino all'Hotel.
"Jean mi dispiace ma domani parto per Lilla, ho gli allenamenti per la fine del campionato e starò via una settimana..."
Non importa gli dissi e ci abbracciammo forte, mi prese una mano come non volesse lasciarmi andare, lo guardai e negli occhi vidi tutta la sua solitudine.
"Cerca la tua felicità..." gli dissi scendendo dall'auto.
"Lo farò te lo prometto, è ora anche per me.Ciao caro amico mio..." fu l'ultima volta che vidi anche lui.
La Tour Eiffel si stagliava illuminata davanti ai miei occhi, seduto al tavolino sul terrazzino della mia camera, rigiravo la busta che mi aveva lasciato Louis, avevo paura ad aprirla e non ne capivo il perché.
Poi sentii un profumo di fiori dal balcone vicino al mio e l'aprii.
Lessi quelle parole scritte in cinque pagine, parole fitte, dove mi raccontava tutto... Dove ogni lettera si scolpiva nella mente e nel cuore. quando finii mi accorsi di piangere, appoggiai la testa sul tavolino e mi sfogai...
La settimana passò in fretta, avevo deciso la mattina dopo, di fare solo il turista e non pensare ad altro, avevo capito che il passato dovevo lasciarlo andare, di rilegarlo in una parte del mio cuore e della mente.
Quando finita la vacanza, partii per l'italia, dall'aereo vidi la grande città dall'alto, sentii nell'anima che quella era l'ultima volta, sentii che l'avrei rivista dopo tantissimi anni ma non avrei rivisto più le persone che in quegli anni fecero parte della mia vita...
E così fu
Giampaolo

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