"UNA VERA STORIA...
UNA STORIA D'AMORE"
Era un maggio di tanti anni fa, avevo 9 anni e per la mia salute, il dottore aveva consigliato ai miei di portarmi al mare in una stagione ne troppo calda ne fredda.
Nonna si era offerta ad accompagnarmi per quel mese fuori stagione, il lavoro dei miei genitori avrebbe impedito loro di seguirmi, avevo finita scuola in anticipo con pieni voti, uno strappo alle regole per ragioni più che evidenti.
Eravamo arrivati ai primi di maggio in quella località sul mare, dove ancora non c'erano i grandi alberghi, le super spiagge attrezzate, feste notturne e musiche assordanti.
Poche sere prima della partenza, avendo visto immagini alla televisione di posti esotici, ricordo che allora avevo pensato di essere arrivato in un posto bello come lo era il Libano o Isreaele allora.
Palme e mare.
Ingenuità e fantasia di bambino? Non saprei dirlo ma per me era così. Il mare era ancora un poco freddo anche se il sole brillava caldissimo nel cielo e qualche tedesco faceva il bagno tra le onde del verde mare.
Eravamo ospiti in una pensione molto carina dove la conduzione famigliare ed il buon cibo ti faceva sembrare di stare da amici.
Nonna con il suo carattere aperto, simile al mio aveva già fatto amicizia, dopo pochi giorni, con molte persone sia tra gli ospiti dell'albergo che i proprietari ed il loro personale.
Ma da quando frequentavamo la spiaggia, lei aveva subito intrapreso amicizia con una famigliola ebraico-araba, ospite anche loro nel nostro hotel.
Non ricordo di guerre se non quella del 1967 di due anni prima tra alcuni paesi medio orientali, ma Laylah e i suoi tre bambini erano in vacanza in quella località, il marito un ingegnere libanese era in tour per alcuni convegni in regioni vicine e lei, la moglie, aveva deciso di stare in vacanza non troppo lontano, con i loro figli.
Nonna mi aveva spiegato che quella signora e suo marito erano arabi ebraici, avevo fatto fatica a capire bene come stavano le cose, ma sinceramente potevano essere degli eschimesi che proprio tutto ciò non mi importava.
Il figlio maggiore di quella bella e giovane signora dagli occhi neri, nel giro
di poco era diventato un fratello per me.
Laylah pensava che nonna, vista la giovane età fosse mia madre così tra loro era nata una bell'amicizia, nonna aveva ancora nel cuore, il dolore di aver perso Helena la sua amica greca e Laylah gliela ricordava pur essendo, come età sua figlia.
Boaz Hamir era il nome del ragazzino, il figlio di Laylah, avevamo la stessa età...
In principio la nostra amicizia era nata tra piccoli castelli di sabbia umida. Poi arrivarono gli indiani e cow boys, poi ancora estcontro ovest, poi ancora iniziarono i giochi come la dama, le carte, il nascondino.... Fino ad arrivare a noi due.
Seduti per la prima volta in silenzio sulla piccola duna di sabbia, guardavamo il mare e le barche veleggiare su quella distesa illuminata dal sole.
Le nostre famiglie sulla rena sotto gli ombrelloni ci guardavano a vista, da lontano potevano vedere due bambini seduti di spalle con due magliette una gialla e l'altra azzurra, due teste rivolte verso il mare: una era scurissima e riccia e l'altra rossa dai capelli diritti, mentre un vento caldo faceva ondeggiare quelle folte chiome come bandiere.
Boaz mi aveva raccontato della sua casa vicino ad Haifa, di suo padre che viaggiava molto e delle due sorelline piccole che piangevano sempre. Mi aveva raccontato della sua scuola dove c'erano altri bambini italiani ed è per quello che lo parlava un poco.
Amava andare al mare con i suoi nonni e giocare a pallavolo.
Così gli avevo raccontato la mia piccola storia di bambino sognatore, a cui piaceva leggere, disegnare, scrivere e guardare le cartine geografiche. Si era stupito della mia conoscenza di Beirut, Haifa e Tripoli.
All'improvviso mi aveva detto "Vieni".
E presomi per mano e trascinandomi sulla sabbia con alle spalle la voce di nonna che urlava "Non allontanatevi troppo.", eravamo arrivati in pochi secondi vicino ad una specie di baracca in pietra vicino a delle piccole dune di sabbia.
Entrati, ci siamo seduti davanti alla porta aperta, una porta di legno rovinata dal tempo e dipinta di verde, probabilmente un vecchio ripostiglio per pescatori.
"Ti piace il mare a quanto vedo." mi aveva detto guardandomi con quegli occhi neri e profondi, mi avevano fatto effetto, quasi di paura mista a una sensazione di magia. Avevo annuito sorridendo.
"Hai gli occhi dello stesso colore del mare Paulo, hai anche delle cose sul naso e viso sembrano ..."
"Sono lentiggini." gli avevo risposto ridendo, aveva riso anche lui. Poi aveva guardato davanti a se e per la prima volta, non appena aveva ricominciato a parlare, avevo compreso qualcosa che non conoscevo, la paura della guerra.
Mi aveva raccontato dei suoi nonni materni che vivevano in un posto chiamato Palestina, erano fuggiti dopo unaguerra... Mentre descriveva quella terribile storia, i suoi occhierano diventati lucidi.
Io non sapevo che cosa dire, lui continuava a narrare quella avventura, i suoi nonni si erano salvati fuggendo in Libano grazie ad una famiglia inglese, ma la colpa era di tutti come sosteneva suo padre ed ora aveva paura che poteva
essercene un'altra.
La sua mano aveva incontrato la mia, me la strinse forte ed io lo abbracciai. Avevo sentito qualcosa nel cuore, sentivo di doverlo fare, di dover abbracciare quell'amico dalla pelle scura e gli occhi neri.
Le sue braccia si strinsero al mio collo, tremava, mi ero spaventato al fatto di quello che aveva vissuto... Da lontano le voci di sua madre e di nonna ci chiamavano per il ritorno in albergo.
Boaz si era alzato per primo e allungando il braccio mi prese la mano e mi aveva aiutato ad alzarmi, stavamo per uscire dalla baracca, ma lui di scatto si era girato e mi aveva stretto a se forte. Mi era venuto da piangere e non capivo il perché.
"Saremo sempre amici vero?"
"Sempre anche quando saremo lontani."
"Ti darò il mio indirizzo di Haifa così potremo scriverci." avevo annuito.
"Il telefono non so, penso che costi molto chiamarsi ma dovremmo chiederlo ai nostri genitori... Andiamo ora, ma prima una cosa." mi pose le sue labbra sulla guancia "Ti voglio bene amico mio..."
Mi ero toccato il viso in quel punto, nessun bambino mi aveva dato un bacio, solo le bambine della scuola che facevano le smorfiose, avevo sorriso di sorpresa. Per mano avevamo incominciato a correre verso i nostri famigliari.
"Ricordati Paolo, saremo sempre amici, un giorno ti ritroverò."
Son passati cinquant'anni, non ci siamo mai più visti, qualche lettera fino al 1974, un anno terribile per il Libano ed Israele. Non voglio pensare che Boaz e la sua famiglia possano essere state vittime di quella guerra, ancora oggi penso che sia in America o in chissà quale altra parte del mondo con i suoi o con moglie figli... Ricordo quel giorno di quel terribile anno, era stato da quel momento che nessuno aveva mai risposto più alle mie lettere.
Mi piace pensare che da qualche altra parte ci sia Boaz che pensi a me, a quella vacanza in cui ho scoperto per la prima volta l'amore. L'amore che provano i bambini verso un amico con cui in un attimo avevano diviso la loro breve vita.
Un amore pulito ed ingenuo che rimarrà per sempre come una pietra miliare nella propria vita.
Giampoalo Daccò
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