Estate 1984,
S. ed io guardavano quella splendida luna piena riflessa in quell'enorme specchio di mare scuro, le leggere onde biancastre lentamente arrivavano quasi ai nostri piedi mentre una brezza fresca proveniente da questo mare, rinfrescava la pelle dal caldo di tutta la giornata. Mi ero fermato a guardare il profilo di S., il naso leggermente aquilino, i capelli lunghi e biondi raccolti in una coda che scendeva sotto le spalle, nella sua mano un bicchiere quasi vuoto di un liquore leggero. Di nuovo osservai il mare quando sentii la sua voce: "Ora che farò?"
"Per ora nulla..." gli risposi piano, mi tolsi dal viso una ciocca di capelli che il vento aveva scompigliato e mi girai verso di lui. Sorrise amaramente "I suoi non me la faranno più vedere... Lo sai vero?". "Può darsi ma..." mi fermai un attimo "Ma devi comunque lottare, per lei, per te e per voi..."
"Sei un amico... Uno speciale..." scoppiò in lacrime abbracciandomi. Non seppi in quel momento cosa fare, istintivamente lo abbracciai anche io e lasciai fino a che finì di piangere, era la prima volta che un caro amico dimostrasse una reazione così emotiva, un uomo, in questa società dove vige l'integrità assoluta, non avrebbe dovuto mai farlo, chissà chi ci avesse visto, cosa avrebbe potuto pensare. "Mi sto comportando come una donna, ti ho pure abbracciato..." "E allora qual'è il problema?" gli dissi sorridendo... "Ah si certo qual'è?"
"Ma chi se frega... Dai S. alziamoci e facciamo due passi sulla sabbia..."
Ci incamminammo, verso il molo, lui essendo più alto mise il braccio sulla mia spalla e iniziò nuovamente il suo racconto, come per esorcizzare quella paura di non poter essere più amato, lo ascoltai ancora in silenzio, è una vita che il mio ruolo nel caso degli amici, è di ascoltare e comprendere e spesso di fuggire via pensando solo a me stesso.
Ripercorsi la sua storia, il suo incontro con G, quella bellissima creatura bionda dagli occhi di ghiaccio che quel giorno, quello del loro primo incontro, fu caratterizzato da un incidente, S. la investi con la sua auto mentre lei con un'amica era a bordo di un motorino, non si fecero nulla e partirono solo degli insulti ma non appena si erano guardati negli occhi, scoccò quell'amore intenso.
I primi tempi era bellissimo e io con l'amica di lei eravamo i complici dei loro incontri, immaginatevi un meccanico insieme alla figlia di un professore di medicina di ceto sociale elevato, insieme, in una storia d'amore assurda... forse ora sarebbe normale ma anni fa non lo era poi così tanto. Per qualche mese, filò tutto liscio e lei aveva incominciato a frequentare la famiglia di S., si trovava bene e si sentiva libera da legami e condizioni sociali fino a quel giorno di fine primavera quando lei decise di dire tutto ai suoi.
Da quel momento fu guerra spietata, le umiliazioni che entrambi avevano dovuto subire furono davvero vergognose, l'avevano mandata all'estero, avevano minacciato lui... Ero diventato il confidente di una storia che doveva essere spensierata e che invece si era rivelata una cosa orribile. Poi la decisione di andarsene insieme, di prendere le proprie cose e trasferirsi a Bologna a casa di uno zio di S.
Lo fecero di nascosto in una notte caldissima del cinque di Luglio, ormai erano vicini a Bologna quando tra Reggio Emilia e Modena, successe l'incidente, terribile, qualche macchina coinvolta e loro due. S. se la cavò con escoriazioni e un braccio rotto ma lei finì in coma per aver battuto la testa.
Inutile dire che i suoi di lei, non gli permisero più di vederla tentando pure una denuncia, ma senza risultato ma da quel momento per il mio amico le porte furono sbarrate crudelmente ed ora in quella serata calda di metà Agosto, eravamo io e lui, in riva al mare a ricordare e a sperare.
"Torniamo a casa" mi disse, "Questa notte dormi nella mia stanza, ho paura di commettere..." Mi spaventai, cercai di scrutare negli occhi un segno di malessere ma in fretta S. si diresse quasi correndo verso la casa dei suoi, in quel paesetto di mare.
Mi ritrovai disteso sul letto accanto a lui, non riuscii dormire, mi avevano inquietato le sue parole, il pensiero che mi fossi addormentato e che lui potesse fare un gesto sconsiderato mi attanagliava il corpo.. Sentii il suono della campana della chiesa battere tutte le ore, e quando vidi l'alba non ressi più la tensione e sprofondai in un sonno profondo mentre ancora S. era addormentato a pochi centimetri da me.
"Sveglia pigrone", una voce proveniente da lontano mi fece aprire gli occhi, era lui che sorridente aveva in mano una tazza di caffè "Fatte le ore piccole eh?".
Mi misi seduto appoggiando il cuscino dietro la schiena, non ero completamente sveglio "Scusami..." mi fece sedendomi di fronte, "Sono stato egoista e tremendo farti tenere sveglio tutta la notte, ti ho fatto spaventare...". "No non ti preoccupare..." dissi sorseggiando quel buon caffè. "La mia era stata una frase così, dettata dalla disperazione ma ho deciso una cosa.... Oggi vado da lei, vado in ospedale e la vedrò, lotterò per il nostro amore... Non riusciranno a fermarmi davvero questa volta."
Nel pomeriggio tornammo a Milano, sapevo che l'avrebbe fatto e ne ero felice, mi lasciò davanti a casa e proseguì verso la sua meta, mi venne un nodo in gola, non dovevo piangere ma ero felice per lui... per loro.
Sono passati ventotto anni, S. ora vive all'estero, ci siamo visti qualche anno fa ed era rimasto sempre lo stesso, sognatore, romantico, gentile... Non tornarono più insieme, lei non fu più la stessa, rimase per sempre su una sedia a rotelle e con i suoi si trasferirono in Svizzera dai parenti della madre e non si videro più. Mi era tornata in mente questa storia guardando una cartolina che ho trovato in un cassetto durante il trasloco di qualche giorno fa... Il paesaggio era lo stesso di quella sera, siamo cambiati noi, ma la nostalgia di S., mi ha fatto sperare di poterlo rivedere un giorno... Chissà.