giovedì 17 gennaio 2013

Un viaggio indimenticabile


Tanti sono stati i viaggi  che ho potuto fare nella mia vita, viaggi che sono costati periodi di sacrificio, togliendo qua e là cose superficiali della vita quotidiana. Rinunce mai pesate in favore di cultura, riposo e conoscenza. Ho sempre pensato che per una buona educazione civica ed un'ottima   crescita del proprio io, serva capire, conoscere gli altri, i loro usi e costumi, la loro nazione, città o paesi, molto di più che cento partite di calcio e mille puntate di fiction. Se non si poteva viaggiare quando ero piccolo, i miei cari mi compravano decine di libri di ogni tipo, ma i miei preferiti rimanevano quelli di cultura geografica.
Un viaggio in particolare fra tutti mi aveva davvero entusiasmato e anche emozionato per molte cose:
Un estate calda, stupenda e quel mese di ferie tanto aspettato, un'occasione importante, quasi venti giorni in Messico, un last minute che comprendeva tante cose e a parte l'hotel lussuoso e varie comodità, c'erano quelle quattro escursioni a cui tenevo tanto: le città maya, le rovine, Xelha e il tour dello Yucatan. Che meraviglia, un paradiso indimenticabile, il mare era talmente splendido  da essere quasi impossibile raccontarne i colori, i fiori giganteschi, le case colorate, quelle rovine maya, splendide, misteriose, inquietanti. le lagune da cui non mi sarei separato mai, poi le loro usanze i costumi. Le musiche, i sorrisi, il cibo saporito e le grandi stelle che si stagliavano nel cielo della notte, mi sentivo davvero in un eden al di fuori dalla solita realtà, fino a quel giorno.
Di ritorno da Chichen Itza un po' arrabbiati perché sia la nostra macchina fotografica che quella della coppia che viaggiava con noi, avevano avuto dei problemi e si bruciarono le pellicole, dopo pochi chilometri la nostra guida volle farci visitare la cittadina di Valladolid immersa nella giungla ed il suo monastero francescano, il primo costruito in Messico nel 1508. 
Bellissimo davvero e la cittadina sembrava molto tranquilla e piacevole, alcune case avevano le paraboliche e qualche palazzetto  dall'impronta coloniale, le solite piazze squadrate con le palme che ne facevano da contorno e tanta gente che camminava nei loro vestiti colorati. Poi il nostro autobus attraversò le stradine dalle casette basse colorate per uscire da Valladolid, man mano che ci si avvicinava alla periferia, le abitazioni assumevano un aspetto povero, sempre di più, finché usciti dal centro abitato ci siamo trovati sulla destra una caserma militare molto curata, dalle palazzine grigie e ordinate con i soldati piccoli e bruni che con la mano ci salutavano sorridendo. 
Non so perché ebbi una sensazione strana, quasi di malessere mentre guardavo fuori dal finestrino, la bassa vegetazione della giungla era piuttosto rada e sui lati, quelle che credevo fossero capanne di lamiera che servivano a riparo degli attrezzi per gli orti o coltivazioni oppure a deposito di animali, non erano altre che case.
Case senza luce e comodità, case fatte di lamiera, legno oppure cartone messe in piedi con fili di ferro, fango e chissà altro e tanti, tanti bambini vestiti di stracci, mezzi nudi. Guardavano con un'espressione triste il nostro autobus che sfrecciava vicino a loro. Mi sono sentito sprofondare in una tristezza immensa, e nella rabbia vedendo alcuni turisti stranieri fotografare col sorriso tutto ciò, mi sentivo impotente e pieno di vergogna sia verso quella povera gente che quegli stupidi che non smettevano di fotografare quella disperazione, per vantarsene con gli amici magari nei loro attici o case splendide, lontane da quella realtà.
Non riuscii più a dire qualcosa, mi sentivo stupido, arrogante nella superficialità della vacanza, di quella recita del turista felice per aver passato venti giorni in un paradiso che per chi ci abitava poteva essere un inferno.
La nostra simpatica guida era seduta di fronte a noi e guardava quei turisti divertiti con occhi indecifrabili, tipici di quelle persone che non fanno trapelare nulla dietro ad un'espressione statica, poi li abbassò verso di me che dovevo avere una faccia sconvolta. Sorrise ma gli occhi erano ancora misteriosamente enigmatici "E' così, ognuno è quello che è, che possiede. Non si può far nulla, inutile rattristarsi, c'è molto peggio di ciò che si vede là fuori." annuii, si alzo dal sedile e si appoggio all'asta che proteggeva la nostra postazione "Non è colpa loro" disse sottovoce dando una breve occhiata ai turisti dietro di noi "Vivono questa cosa come un'esperienza indimenticabile, da raccontare una volta a casa, magari con finto dolore. Ne ho visti tanti in questi anni di lavoro che quasi mi vien da ridere. Ma lei non deve sentirsi così, l'avevo capito subito quando siamo passati di fianco a quel villaggio, non si senta in colpa, viva questo viaggio nella maniera più serena possibile." Sorrise di nuovo e questa volta gli occhi erano vivaci, spiritosi, si girò verso l'autista ed parlò con un idioma incomprensibile mentre il nostro autobus girò a sinistra immettendosi nella superstrada in direzione del nostro hotel.
Per i giorni seguenti pensai spesso a quell'avventura, sentivo dolore ed emozione per quella gente davvero povera, impotente nel non poter far nulla, quella meravigliosa vacanza in quel paradiso prese una piega diversa, qualcosa dentro di me era cambiato.

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