Il caldo pomeriggio stava volgendo alla fine, anche se il sole era alto, un'aria tiepida faceva svolazzare la mia camicia leggera sul corpo, alle mie spalle il profilo della mia cittadina si stagliava all'orizzonte poco lontano, quasi immersa nel calore che saliva dalla terra. La casa di mio zio era dietro di me, sentivo l'odore del fieno raccolto in balle lungo la stradina di campagna che stavo percorrendo. Davanti ai miei occhi, piccole distese di campi di frumento già biondo che presto verrà tagliato, un prato pieno di papaveri sembrava un mare rosso stagliato sotto un cielo azzurro intenso e ovunque il frinire di cicale. Mi avvicinai ad un albero solitario per prendere un po' di ombra e mi sedetti sotto le sue fronde appoggiandomi al tronco nodoso. Qualche libellula volava sull'erba verde disegnando cerchi stranissimi nel loro percorso, mentre una coccinella camminava lenta sopra una lunga foglia di cicoria selvatica, scostai una ciocca di capelli dagli occhi e appoggiando il mento alle ginocchia, abbracciandomi le gambe osservai Sant'Angelo.
Sembrava un piccolo regno addormentato in un estate luminosa, il grande castello di mattoni rossi era davanti a me, sembrava immenso da quella distanza, la sua torre svettava alla sua sinistra e sopra l'antenna la nostra bandiera italiana. Poco più in la la Basilica e l'alto campanile con l'arcangelo sembravano voler proteggere l'abitato dai raggi cocenti del disco rosso nel cielo, le mura color ocra del monastero dietro a quel complesso dava una sensazione di pace, di tranquillità. Oltre al frinire delle cicale nessun rumore invadeva l'aria, solo qualche scia bianca di aerei lontani solcavano la volta celeste sopra di me. Mi alzai cogliendo qualche fiore giallo e blu dalla terra per poterli mettere in un vaso a casa dello zio Pepèn che in quel momento era chissà dove con il suo asinello e carretto, e m'incamminai verso il fiume. Arrivai sull'alta sponda e osservai quell'acqua scura che velocemente si avviava alla confluenza con il suo più grande gemello, fiumi ormai rovinati dalle tristi industrie nel circondario di Milano, l'unico colore stonato in quel meraviglioso paesaggio.
Dopo aver girato attorno ad alcuni alberi di sambuco il cui profumo invadeva tutto attorno, mi ritrovai nuovamente sulla stradina che conduceva verso la casa di mio zio, una figura lontana mi faceva cenno di ritornare gridando il mio nome. I campi dorati del frumento facevano da sponda al mio cammino, mi soffermai nuovamente a guardare il piccolo mare rosso di papaveri poco distante, come se volessi imprimere bene nella mente qualcosa che un domani non ci sarà più e girandomi raggiunsi mia nonna appoggiata alla staccionata di legno, sul confine della casa di campagna.