QUEL MATTINO A NEW YORK
Primavera 1996
SK un mio amico america-cipriota, mi aveva invitato a passare una decina di giorni a casa sua a New York City, precisamente nei Kings il distretto della metropoli considerata allora, la terza città italiana più popolosa.
Ero arrivato a metà maggio e la città o almeno i suoi parchi e alberi erano in fiore, avevo passato con lui quattro giorni intensi di turismo: mi aveva portato in vari posti di Manhattan e State Island, ma purtroppo lui doveva tornare presto, in quei giorni, al lavoro presso una famosa boutique di marca internazionale, avevo circa una sei giorni da passare da solo e così ci ritrovavamo a pranzo ed alla sera nel suo delizioso appartamento all'ultimo piano di una palazzina del quartiere di Geenpoint vicino al McCarren Park.
Quel mercoledì mattino soleggiato e caldo avevo deciso, dopo un'orribile colazione in un pub italiano, di fare una passeggiata fino al Central Park.
Le metropolitane erano fantastiche, piene di persone di vario genere, dove potevi essere si un numero tra milioni, ma un numero sempre diverso dal tipo "modaiolo" italiano di quel periodo dove se non indossavi un Armani o Versace, eri invisibile.
Qui tutt'altra cosa...
Un mondo fatto di persone di ogni tipo, avevo vicino un tipo in giacca e cravatta e a fianco uno sportivo super muscoloso che a momenti non indossava quasi nulla pur di mostrare. Due ragazze studentesse in piedi ridevano leggendo un quotidiano, la più sobria aveva i capelli color verde acqua...
Era come vivere in un mondo a parte e pensavo a quanto eravamo provinciali seppur alla moda noi italiani.
Nel giro di mezz'ora neanche mi ero ritrovato sulla E72nd Street all'angolo della 5th Avenue ed il Central Park di fronte.
Avevo attraversato l'Avenue con decine di esseri umani frettolosi prendendo la Terrace Dr. che attraversava sinuosamente il parco per il largo.
SK. mi aveva parlato della statua di Andersen il famoso autore delle fiabe posta in quell'angolo della grande macchia verde ed infatti dopo un paio centinaia di metri, avevo svoltato a destra sulla stradina East Dr. verso la statua di Hans Christian Andersen trovandola quasi subito davanti a me e con sorpresa in mezzo a quel verde dietro alla bella opera di quell'autore, c'era il Conservatory Water.
Ne ero rimasto sorpreso...
Poi, dopo un giro attorno al laghetto, avevo visto una specie di cascatella il cui ruscello seguiva un lungo prato ed una stradina adiacente adornata da alcune panchine quasi nascoste da alberi, panchine vuote tranne una con una signora bionda.
Mi ero seduto un poco stanco e avendo qualcosa da mangiare nello zainetto, mi ero messo a pranzare con un panino, succo di frutta ed una mela.
Il vento mi aveva scompigliato i capelli e nel sistemarmi la fronte avevo visto quella signora bionda sorridermi, ricambiando anche io la sua gentilezza.
Si era alzata avvicinandosi a me: sulla sessantina, bionda con i capelli lunghi sulle spalle, vestita elegante ma sobria, una borsa Chanel al braccio ed un sorriso incantevole.
"Posso farle compagnia?" mi aveva detto sedendosi accanto.
"Oh certamente, si accomodi... Prego." le avevo risposto gentilmente, cercando di capire cosa volesse, stupendomi sentirla parlare l'italiano con accento americano.
"Appena l'ho vista ho desiderato di fare quattro chiacchiere con un italiano... Avevo capito subito sa? Dai vestiti, dal modo di camminare..."
"E' un male o una bella cosa?" le avevo detto sorridendo.
Aveva riso di gusto, una donna bella, spiritosa ed allegra forse era un'italo-americana.
"Non sono italiana, se a questo sta pensando, mio marito è italiano di Milano e quindi ho imparato ad amare prima lui, poi la vostra lingua ed infine l'Italia, stupenda nazione."
"Anche io sono di Milano, che coincidenza... Bella questa cosa..."
"Si veramente, ma vorrei precisare che non sono la... "tardona" si dice così da voi vero? Che tenta con un ragazzo..."
Questa volta avevo riso anche io "Non l'avevo pensato le giuro e il termine tardona si usava quando mio padre era giovane, ora le donne sulla quarantina o cinquanta sono meglio delle giovani a volte."
"Ne ho sessantaquattro"... Aveva detto lei dolcemente ma con gli occhi tristi, mi ero accorto solo ora di quello sguardo... Che strano sembrava così vivace ed estroversa al momento.
"Le posso chiedere una gentilezza signor..."
"Giampaolo anche molti mi chiamano Paolo o addirittura Paolino..."
Il suo sorriso si era spento di colpo, l'avevo guardata stranito come avessi detto qualcosa di spiacevole ma subito dopo lei aveva ritrovato di nuovo quell'espressione stupenda.
"Mi dica signora..."
"Eileen, Eileen Darkson Minetti... Ma di solito mi chiamano o Lyn o mrs Minetti... So che le sembrerà strano ma se io le facessi una foto mentre lei è seduto su quelle rocce davanti al ruscello, le dispiacerebbe?"
"No, no.. Anzi!" mi ero messo quasi subito seduto sulle rocce con dietro quel ruscello pieno di sassi colorati e lei subito si era messa a scattare dei fotogrammi, non capivo il perché di questa richiesta ma almeno qualche foto diversa dal solito a New York sarebbe stata originale.
"Sono fotografa di professione e lavoro per una testata abbastanza famosa, lei ha un viso particolare ed anche fisicamente..."
"Grazie" le avevo risposto "Faccio danza e ginnastica a corpo libero, peccato per l'altezza... Forse potevo fare il modello secondo lei?" le dissi in maniera ironica.
Eravamo scoppiati a ridere.
Due ore dopo avevo la foto in mano in un pub nella Madison Avenue dove lei insistendo mi aveva offerto un caffè, aveva fatto sviluppare un foto per farmi un omaggio ma ancora non capivo cosa ne facesse di quelle foto.
"Tra poco devo andare in redazione, Giampaolo tu sei stato molto gentile a prestarsi a questo lavoro.... So che ti chiederai il motivo per cui ho voluto fotografarti e chissà cosa avrai pensato di me."
"Nulla di negativo Lyn." le avevo risposto dolcemente mentre lei mi accarezzava la fronte.
All'improvviso aveva aperto la borsetta sul tavolo, ne aveva estratto una fotografia e me la pose, rimasi davvero stupito. Un ragazzo sui venticinque anni, seduto sugli stessi sassi davanti al ruscello sorrideva da quell'immagine. Una foto scattata almeno una decina di anni prima, visti gli abiti e i capelli del ragazzo, avevo alzato gli occhi su di lei, i suoi erano lucidi, io non avevo parole ma qualcosa avevo intuito.
"Lo so sembrerò pazza, ma da otto anni vengo una volta alla settimana in questo posto, vicino al ruscello sperando di ritrovare in qualche modo lui. La foto l'aveva scattata suo padre, mio marito prima che... Paul il mio "bambino", se n'era andato per sempre durante una rapina..." la voce le si stava incrinando, posando la mia mano sul suo braccio e lei l'aveva accarezzata.
"Quindi comprenderai cosa sia successo stamattina Giampaolo, gli assomigli poco ma quando ti eri seduto di fronte a me... Sentivo che oggi sarebbe stata una giornata fantastica anche se nostalgica... Un incontro che non dimenticherò mai."
"Neanche io Lyn, grazie a te e davvero, sono dispiaciuto per tuo figlio."
"Lo so, ti credo... Ma ora devo andare..." si era alzata mettendo la foto del figlio nella borsa, mi ero alzato e lei abbracciandomi aveva sussurrato:
"Non dimenticare mai questo momento, come non lo dimenticherò io, è come se il mio Paul fosse ritornato per un saluto anche se so che non è così... Riguardati e salutami la meravigliosa Italia."
Le avevo sfiorato con le labbra la sua mano e poi era uscita scomparendo tra la folla in quella strada trafficata.
Quella sera vedendomi taciturno sia durante la cena che davanti alla tv, SK. mi chiese se fosse successo qualcosa a Manhattan quel giorno, si era accorto subito da quando ero andato ad aspettarlo davanti alla lussuosa boutique dove lavorava e durante il ritorno a casa aveva parlato solo lui.
"Si, una cosa molto speciale..." il mio tono aveva fatto si che K. spegnesse la tv e si era voltato guardandomi in modo stupito "Ora ti racconterò una storia, una bella storia anche se..." avevo continuato porgendogli la foto fatta da Lyn.
Giampaolo Daccò