domenica 23 settembre 2018

LA RECITA



LA RECITA

L'insegnante volta le spalle alla platea vuota, il suo sguardo è sugli allievi seduti per terra davanti a lui, poi alza leggermente il capo verso lo sfondo nero, chiuso da tendaggi rossi e pesanti.
In silenzio scruta i suoi giovani studenti, uno ad uno negli occhi, sta osservando i loro invisibili gesti delle mani, della bocca, delle posizioni del corpo, rivelando di ognuno, il proprio carattere, la sensazione d'attesa, il sentimento suscitato in quell'istante dai suoi occhi azzurri, quasi magici puntati su di loro.
L'insegnate, alto bello, dai capelli ricci e brizzolati, grande doppiatore, attore e soggettista questa volta sorride loro, nell'aria si respira già un clima più disteso ed i gesti o i segni che gli allievi mostrano ora, sono di rilassamento e di curiosità, mentre sente la sua voce quasi baritonale rimbombare nel teatro vuoto, prossimo per un loro esperimento di recitazione:

"Nella vita la maggior parte delle persone
recita un ruolo, un personaggio.
Un po' come voi che siete qui per imparare
la difficile arte dell'interpretazione
di personaggi teatrali caratterialmente
più o meno particolari.
Ogni essere umano, noi compresi ovviamente,
si sono creati un personaggio
nella propria esistenza
convincendosi che sia reale per tanti motivi
che possono arrivare sia dal subconscio
sia dall'esperienze della propria vita."

Ora lo sguardo dell'insegnante si posa su quello di un ragazzo seduto alla sua destra, un giovane bellissimo dagli occhi verdi, intelligenti e dal ciuffo ribelle, il ragazzo che aveva avuto già plausi durante alcune prove nel corso dell'anno e che, indubbiamente era quello più dotato come attore. Dentro di se, il professore prova un brivido, si è rivisto in quel giovane, se stesso vent'anni prima e per lui era scattata l'attrazione mai esibita verso quegli occhi verdi.
Un piccolo segreto, un'altra recita.

"Chi diventa carnefice o sadico in famiglia,
con il prossimo, con i sottoposti,
chi recita il ruolo della casalinga
vittima sacrificale dei propri cari,
chi si lamenta dei propri malanni
e ammorba il prossimo allontanandolo,
pur sapendo che le sue malattie
sono solo fisime per attirare l'attenzione.
C'è chi si sente maestro di vita
bacchettando chi gli è vicino
con rimproveri saccenti ed inutili,
chi invece assume il ruolo della donna fatale
e molto altro."

Il professore guarda l'allieva biondina seduta accanto ad un giovane barbuto, la ragazza sente un brivido e pensa già che le domanderà qualcosa.
Infatti lui le rivolge lo sguardo e con un sorriso impercettibile le chiede qual'è la sua finzione, se c'è, nella sua giovane vita.

"Professore, io veramente non saprei..."
gli risponde alzandosi in piedi
"Forse... a volte... Io..."

"Forse a volte o sempre?"
chiede lui abbassando gli occhi su un libro appoggiato nel leggio davanti a se.

"Ha ragione professore, ragionando,
per un attimo, ho voluto sempre
fare la dolce e buona bambina,
a volte e lo riconosco quasi melensa
con i miei famigliari, amici,
a scuola e mi sono sentita definire poi:
gatta morta o la biondina timida che invece
nasconde chissà quali segreti.
Ecco forse anzi certamente
questo è il ruolo che reci...
Che ho recitato."

L'insegnante sorride guardando tutti anche immaginando anche se stesso, percepisce quello del giovane dagli occhi verdi.

"Vedete ragazzi, a volte la mancanza di affetto,
una vita solitaria che sia volontaria
o creata dagli altri, poco importa
ma questo è un discorso difficile da affrontare.
Un complesso d'inferiorità nei confronti
degli amici o colleghi,
un difetto fisico più o meno evidente,
possono far si che la nostra mente,
crei un ruolo di difesa
e da qui nasce la nostra recita pubblica
ed il confronto degli altri e partendo da questo
la nostra immagine ed il nostro io
assumono ciò che vorremmo essere."

Brusii di approvazione, lui intanto domanda le stesse cose a vari studenti, ma la sua intenzione è poi di chiedere al ragazzo dagli occhi verdi qual'è il suo ruolo, sente che quel giovane abbia dentro di più di quel che espone verso gli altri, finalmente la domanda di turno arriva allo studente seduto alla sua destra.
Il giovane si alza ed osserva tutti i suoi colleghi che lo fissano incuriositi, Bruno è davvero un bel ragazzo, è diventato un ottimo interprete di vari ruoli affidatigli in questi tre anni di studio.
Alza il volto verso l'insegnante, i suoi occhi di mare incontrano quelli dell'altro, impercettibilmente arrossisce ed il cuore incomincia a battergli più forte.

"Professore potrei dire molte cose,
forse non saprei da che parte cominciare.
Da piccolo ero un bambino chiuso e
come forse pensa lei
recitavo il ruolo dell'incompreso.
Poi col tempo. crescendo, avevo capito
che per me tutto questo era un rifugio,
un riparo da tutto ciò che non mi piaceva.
Dove vivevo allora con la mia famiglia,
le regole di quel paesino di campagna
erano ancora legate ai ruoli tipici dove
il padre era il padre che lavorava
e a cui non si doveva dar fastidio
al suo ritorno perché stanco.
La madre era la regina e schiava della casa,
se non giocavi al pallone eri una femminuccia,
il parroco si intrufolava nelle case di tutti
per conoscere ogni cosa,
i bambini di ceto inferiore dovevano
stare con i propri simili e via dicendo."

L'insegnate sorride di nascosto mettendo la mano davanti alla bocca, ha capito che stava confessando la sua vita ma recitandola in modo quasi drammatico e sofferto, ne era sicuro, lo era sempre stato su quel giovane: sarebbe stato in futuro, un grande attore di successo grazie alle sua capacità interpretative e grazie ai suoi sentimenti interiori vissuti con passione.

"Fino al giorno in cui, dopo il liceo classico
decisi di iscrivermi al vostro corso di recitazione.
Avevo imparato nelle commediole a scuola,
poi nel teatro del paese quando organizzavano
recite o spettacoli d'intrattenimento,
ad assumere vari ruoli, da allora
avevo capito che la mia strada poteva...
(un attimo di silenzio carico di passione)
Anzi no, la mia strada è questa,
era quella che volevo da sempre.
Ecco forse il mio personaggio
che ho creato sin dall'infanzia
quello dell'attore,
attore di vari ruoli di cui uno,
non è ancora uscito dalla mia anima.
Ma so che si tratta di amore...
Sotto ogni forma."

Un applauso dai suoi colleghi, lui si siede arrossendo un poco ma con lo sguardo di nuovo posato sul professore. L'insegnante non lo sta guardando in quel momento, ma qualcosa di magico, un filo invisibile si è creato tra loro ed entrambi ne sono ormai consapevoli.
Bruno ha confessato inconsciamente qualcosa che ancora non lo aveva fatto con se stesso.
L'amore.
L'insegnante ha percepito questo verso di lui, lo sentiva già da tanto tempo, ma non era ancora il momento adatto per le confessioni fino ad oggi.
Provenienti dal suo cuore, pronuncia lentamente ora, le parole gli escono dalla bocca con un tono pacato quasi dolce.

"Non è mai facile guardare dentro se stessi,
far emergere ciò che si è e si prova
ed è per questo, forse,
che recitiamo le nostre parti,
i nostri ruoli adattandoli agli altri
ed alla vita che in teoria viviamo
ma che in pratica non è la nostra.
Accettare i propri limiti,
i propri sentimenti,
spesso ci vuole coraggio,
come pure ci vuol coraggio
accettarne sia le conseguenze,
sia ciò che di bello o brutto ci offrono."

Per un attimo l'insegnante fissa il volto di Bruno e con un sorriso si rivolge poi a tutti i presenti che in quell'attimo, nessuno di loro ha colto quella scia di sentimenti che è balenata tra di loro due.

"Oltre a questo sipario,
oltre ai nostri ruoli personali e di lavoro,
oltre ai "camerini" dove da soli
ci cambiano togliendo varie maschere,
c'è l'uscita, quella che serve per rinunciare
alle parti che ci siamo costruiti.
Dove finalmente con coraggio,
possiamo essere noi stessi.
Basta una corsa fuori dall'ultima
parte del corridoio per ritrovarci
sulla vera strada delle nostre vite,
dove spesso ci aspetta l'amore e tanto altro.
Questo amore poi oltre che dividerlo
con la persona che c'è o ci sarà accanto,
lo si dovrà portare su questi palcoscenici
per farlo vivere agli altri, agli spettatori
che non aspettano nient'altro che questo.
Aprite, apriamo la porta del nostro cuore
e solo così noi saremo veri attori in teatro
e protagonisti della nostra vita.
Bruno ha confessato ciò che tutti noi
dovremmo fare, aprirsi all'amore."

Le stelle viste da quel terrazzo sembrano immense nel blu del cielo, sotto le luci di auto e lampioni della metropoli, disegnano una scacchiera sfavillante, mentre da quell'attico il rumore della città arriva ovattato quasi cullando le persone.
Bruno e l'insegnate sono seduti su un divano tra i fiori del terrazzo della casa di quest'ultimo, uniti con le mani e gli occhi rivolti verso le stelle.
Finalmente la recita di oggi è finita e quel sentimento importante che è l'Amore è uscito dai loro cuori.

Giampaolo Daccò













martedì 4 settembre 2018

DI FRONTE AI MIEI OCCHI



UNA SCATOLA CINESE

Milano, settembre 2018.

Un'aria fresca che entrava dalle mie finestre, mi aveva fatto crescere la voglia di andare sul terrazzino del tetto nel palazzo dove vivo, per assaporare queste folate che da tempo, in questa passata estate calda, aveva impedito di godere di frescure, chiusi nelle nostre case o ambienti di lavoro con aria condizionata accesa per non morire di caldo.

Davanti a me una distesa infinita di palazzi, di grattacieli e di case, mattoni, marmi, cemento e finalmente anche alberi del grande giardino vicino, Tutto mi dava una sensazione di spazio infinito all'orizzonte. Un tardo pomeriggio ancora chiaro, dove al mattino era appena passato un leggero temporale, dove ancora la luce del sole illuminava i tetti bagnati mentre nuvole bianche correvano veloci verso nord, in direzione dei laghi.

Mi ero appoggiato al muretto, osservavo aerei nel cielo, le montagne azzurre così vicine dietro ai palazzi che quasi potevo toccarle, avevo chiuso gli occhi e fatto un respiro profondo, l'aria era pulita, senza umidità e smog, La sentivo entrare in me come una cascata d'acqua fresca, poi ad un rombo sordo in strada avevo aperto gli occhi.

Che strano, mi ero accorto in quell'istante di un palazzo alto e chiaro in direzione di Corso Buenos Aires, un palazzo visto migliaia di volte ma mai da quell' altezza. Al piano parallelo in direzione del mio sguardo c'era un lungo terrazzo e una vetrata aperta dove svolazzavano fuori delle tende bianche. Piccole per la lontanza, da sembrare ritagli si carta velina simili ad un piccolo ritaglio di mosaico.

Non so perchè, la mia fantasia era galoppata fino in quella casa mai vista ma immaginandola  nella mente: un ragazzo con la chitarra stava suonando un melodia mentre con gli occhi guardava lo spartito. Impaziente mentre sbagliava un accordo, imprecava contro i suoi errori. Capelli scompigliati, camicia a quadri e jeans sbiaditi, seduto su quella sedia di legno mentre di nuovo, ricominciava a strimpellare il suo strumento.

Una donna, forse la madre, gli veva portato da bere uscendo poi dalla sua camera arruffandogli i capelli, lui dopo l'ennesimo errore, aveva poggiato la chitarra ad una poltrona, imprecando nuovamente qualcosa, si era alzato mettendosi le mani prima in faccia e poi strofinando i ricci capelli scuri. La sua voglia di una boccata d'aria lo aveva spinto verso il terrazzo, appoggiandosi alla ringhiera.

All'improvviso si accorge che davanti a lui, da lontano c'era un palazzo alto dipinto di bianco ed una finestra grande circondata da edera che ne delineava il contorno, la sua mente aveva incominciato a vagare su quel punto: una giovane mamma stava allatando il suo piccolo neonato mentre altri due bambini più grandi le girvano attorno correndo mentre un'altra donna, forse la nonna cercava di fermali...

Dieci minuti più tardi è la stessa mamma ad affacciarsi alla finestra ed il suo sguardo fissava un punto più lontano, un grattacielo nuovo, pieno di piante verdi e senza vederli, aveva immaginato una giovane coppia di fidanzati abbracciati vicino ad un vaso di fiori rossi, contemplavano il panorama ai loro occhi, forse quella sarà la loro nuova casa non appena si saranno sposati, pensa la giovane mamma sorridendo e pensando al suo breve passato dal giorno del suo matrimonio.

Poco dopo il fidanzato, mentre la sua ragazza in casa parlava con un architetto, osserva da quel verde terrazzo tutta Milano, illminata dal sole che scendeva piano all'orizzonte, poco sotto di lui un palazzo di uffici, tante vetrate e camere illuminate da neon e piene di scrivanie, sedie e computer e con la mente vede poi quell'uomo dai capelli grigi che leggeva qualcosa in una cartelletta che viene buttata su un fianco della sua scrivania con un gesto nervoso.

L'uomo dai capelli grigi si era alzato improvvisamente e affacciandosi alla finestra accanto guarda le auto sotto di lui ed la fila di negozi aperti, con un sorriso aveva osservato una vetrina addobbata in stile Liberty, immaginando una signora anziana che entra con il carrello della spesa, avev aintuito che forse decenni prima, questa bottega non era mai cambiata...

Lo squillo del mio telefono mi distoglie dalle mie fantasie, qualcuno mi stava chiamando per andare a gironzolare per le vie del centro, prima di scendere, mi ero girato verso il palazzo con le minuscole tende, la finestra era chiusa, come in quell'istante si era fermata la mia immaginazione. Sembravano sotire uguali ad una scatola cinese, dove una entrava nell'altra.

Avevo chuso la porta del terrazzo alle spalle e fischiettando sono sceso verso il mio appartamento. 
Più tardi sarei entrato nelle magiche ed affollatisssime strade della mia città e perché no? Magari fantasticando sui volti di chi avrò incontrato.

Giampaolo Daccò.