UNA SCATOLA CINESE
Milano, settembre 2018.
Un'aria fresca che entrava dalle mie finestre, mi aveva fatto crescere la voglia di andare sul terrazzino del tetto nel palazzo dove vivo, per assaporare queste folate che da tempo, in questa passata estate calda, aveva impedito di godere di frescure, chiusi nelle nostre case o ambienti di lavoro con aria condizionata accesa per non morire di caldo.
Davanti a me una distesa infinita di palazzi, di grattacieli e di case, mattoni, marmi, cemento e finalmente anche alberi del grande giardino vicino, Tutto mi dava una sensazione di spazio infinito all'orizzonte. Un tardo pomeriggio ancora chiaro, dove al mattino era appena passato un leggero temporale, dove ancora la luce del sole illuminava i tetti bagnati mentre nuvole bianche correvano veloci verso nord, in direzione dei laghi.
Mi ero appoggiato al muretto, osservavo aerei nel cielo, le montagne azzurre così vicine dietro ai palazzi che quasi potevo toccarle, avevo chiuso gli occhi e fatto un respiro profondo, l'aria era pulita, senza umidità e smog, La sentivo entrare in me come una cascata d'acqua fresca, poi ad un rombo sordo in strada avevo aperto gli occhi.
Che strano, mi ero accorto in quell'istante di un palazzo alto e chiaro in direzione di Corso Buenos Aires, un palazzo visto migliaia di volte ma mai da quell' altezza. Al piano parallelo in direzione del mio sguardo c'era un lungo terrazzo e una vetrata aperta dove svolazzavano fuori delle tende bianche. Piccole per la lontanza, da sembrare ritagli si carta velina simili ad un piccolo ritaglio di mosaico.
Non so perchè, la mia fantasia era galoppata fino in quella casa mai vista ma immaginandola nella mente: un ragazzo con la chitarra stava suonando un melodia mentre con gli occhi guardava lo spartito. Impaziente mentre sbagliava un accordo, imprecava contro i suoi errori. Capelli scompigliati, camicia a quadri e jeans sbiaditi, seduto su quella sedia di legno mentre di nuovo, ricominciava a strimpellare il suo strumento.
Una donna, forse la madre, gli veva portato da bere uscendo poi dalla sua camera arruffandogli i capelli, lui dopo l'ennesimo errore, aveva poggiato la chitarra ad una poltrona, imprecando nuovamente qualcosa, si era alzato mettendosi le mani prima in faccia e poi strofinando i ricci capelli scuri. La sua voglia di una boccata d'aria lo aveva spinto verso il terrazzo, appoggiandosi alla ringhiera.
All'improvviso si accorge che davanti a lui, da lontano c'era un palazzo alto dipinto di bianco ed una finestra grande circondata da edera che ne delineava il contorno, la sua mente aveva incominciato a vagare su quel punto: una giovane mamma stava allatando il suo piccolo neonato mentre altri due bambini più grandi le girvano attorno correndo mentre un'altra donna, forse la nonna cercava di fermali...
Dieci minuti più tardi è la stessa mamma ad affacciarsi alla finestra ed il suo sguardo fissava un punto più lontano, un grattacielo nuovo, pieno di piante verdi e senza vederli, aveva immaginato una giovane coppia di fidanzati abbracciati vicino ad un vaso di fiori rossi, contemplavano il panorama ai loro occhi, forse quella sarà la loro nuova casa non appena si saranno sposati, pensa la giovane mamma sorridendo e pensando al suo breve passato dal giorno del suo matrimonio.
Poco dopo il fidanzato, mentre la sua ragazza in casa parlava con un architetto, osserva da quel verde terrazzo tutta Milano, illminata dal sole che scendeva piano all'orizzonte, poco sotto di lui un palazzo di uffici, tante vetrate e camere illuminate da neon e piene di scrivanie, sedie e computer e con la mente vede poi quell'uomo dai capelli grigi che leggeva qualcosa in una cartelletta che viene buttata su un fianco della sua scrivania con un gesto nervoso.
L'uomo dai capelli grigi si era alzato improvvisamente e affacciandosi alla finestra accanto guarda le auto sotto di lui ed la fila di negozi aperti, con un sorriso aveva osservato una vetrina addobbata in stile Liberty, immaginando una signora anziana che entra con il carrello della spesa, avev aintuito che forse decenni prima, questa bottega non era mai cambiata...
Lo squillo del mio telefono mi distoglie dalle mie fantasie, qualcuno mi stava chiamando per andare a gironzolare per le vie del centro, prima di scendere, mi ero girato verso il palazzo con le minuscole tende, la finestra era chiusa, come in quell'istante si era fermata la mia immaginazione. Sembravano sotire uguali ad una scatola cinese, dove una entrava nell'altra.
Avevo chuso la porta del terrazzo alle spalle e fischiettando sono sceso verso il mio appartamento.
Più tardi sarei entrato nelle magiche ed affollatisssime strade della mia città e perché no? Magari fantasticando sui volti di chi avrò incontrato.
Giampaolo Daccò.
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