lunedì 2 novembre 2020

SOLITUDINI


SOLITUDINI

Pesaro, gennaio 1980

Era un sabato pomeriggio, il sole bianco di novembre illuminava dal cielo livido, le strade e le case della bella città dove stavo vivendo per un breve periodo della mia vita.
Dopo pranzo avevo deciso di affittare in un negozio, una bicicletta per visitare la città velocemente, non era particolarmente freddo quel giorno anzi, sembrava quasi primavera, così pedalando avevo attraversato il centro e qualche via periferica.
Sarà stato l'istinto o la voglia di fermarmi in un posto tranquillo, tant'è che imboccai il Viale della Vittoria, la strada che portava al mare verso la statale in direzione di Fano, ero arrivato pedalando, alla spiaggia della zone Muraglia, facendo il sottopassaggio della ferrovia.
La lunga distesa di sabbia era quasi deserta, avevo appoggiato la bicicletta sulla rena cercando di farla stare in piedi appoggiandoci lo zaino che avevo sulle spalle, un pezzo di giornale per terra così mi ero seduto a guardare le piccole onde bianche del mare grigiastro, infrangersi dolcemente sulla dorata sabbia.
Non ero solo, ogni tanto qualcuno passava vicino a me proseguendo o verso la città o verso la periferia, qualche coppia giovane, un paio di anziani, un gruppetto di bambini che si rincorrevano e delle persone - uomini e donne - solitarie immerse nei loro pensieri, un po' com'ero io in quell'istante.
Mi era sempre piaciuto ed anche tutt'ora, sedermi in un posto con larghe vedute ed osservare sia il paesaggio, il cielo e le persone che passeggiano attorno cercando in ognuna di immaginare il tipo di vita che potrebbero vivere durante le loro giornate.
Quella donna col cappotto verde che tiene per mano la bambina con le trecce scure, tentava di far osservare alla piccolina con la giacca a vento rosa, una barca in mezzo al mare e neanche tanto lontana, ma lei come tutti i bambini fantasiosi cercava qualcosa nella sabbia, sassolini colorati o conchiglie. Immaginavo la vita di quella donna, sicuramente nonna della bambina che la portava con se per una passeggiata o un giro in bicicletta mentre i suoi genitori (figlio o figlia di lei) lavoravano e fino a sera non andavano a riprendere "treccine scure" per riportarla a casa lasciando la nonna sola. Sola forse, felice o triste ma sola oppure chissà poteva avere un marito ma da come camminava mi sembrava piena di malinconia.
Ah la mia fantasia... Ed ecco:
Due ragazzi, pantaloni di velluto scuro sbiaditi e giubbotti di jeans imbottiti di finta lana, gesticolavano parlando piano, i loro capelli unti e lunghi sulle spalle, uno con la barba e l'altro con segni scuri sul volto, come si dice da noi un po' "sbarellati" e quasi di corsa si stavano avviando verso la strada sulla mia destra in cerca forse di qualche spacciatore, li osservavo di sbieco per non farmi notare, sembrava quasi litigassero dal gesticolare, poi si erano messi a correre verso un'auto che si era appena fermata sul ciglio della strana, anche oggi avrebbero avuto la loro dose quotidiana, pensavo.
Che tristezza e che solitudine dentro avevano questi ragazzi.
"Scusa" ed un rivolo di sabbia mi aveva colpito dietro la schiena "Scusami non volevo" e la voce si era persa dietro di me, mettendo una mano sulla fronte per ripararmi dal sole avevo visto un ragazzo atletico in pantaloncini e felpa correre sulla sabbia, lo avevo riconosciuto era un giocatore della famosa squadra di basket di Pesaro che nel 1980 era tra le migliori del campionato, c'era anche (non ricordo il nome) il marito della direttrice di ballo "Fame" il musical, li avevo incontrati in centro una sera in un locale, lei gentilmente mi aveva fatto l'autografo ma questa è un'altra storia.
Il ragazzo atletico ansimando per la cosa sulla sabbia dopo aver raggiunto un punto lontano, stava per tornare indietro, in qualche minuto mi stava passando davanti, mi aveva sorriso "Scusa di nuovo per prima" aveva detto correndo velocemente verso la città. 
Quasi urlai "Non ti preoccupare..." ma credo non avesse sentito la mia voce, chissà magari oltre la squadra viveva da solo, non aveva la ragazza. Lo immaginavo a leggere sul divano un libro dopo gli allenamenti duri, in quel caso la solitudine degli atleti di quegli anni era vera, non erano vip o presunti come lo sono ora, osannati e onnipresenti su tabloid o in tv.
Avevo guardato l'orologio, poi bevuto da una bottiglia del succo di limone, faceva caldo seduto sulla spiaggia sotto il sole di novembre, volevo andare via così mi rimisi in piedi e avevo poi messo lo zaino ed il giornale nella sacca appoggiata sulla canna della bicicletta.
A piedi faticando un poco cercando ti tenere diritto il mezzo sulla rena, ero riuscito ad arrivare alla stradina che passava sotto la via Strada delle Marche quando incontrai un signore anziano proprio nello stesso istante mentre uscivo dalla sabbia.
"Bella giornata vero?" mi aveva detto gentilmente.
"Oh si molto." gli avevo sorriso, era un signore distinto, anziano, con un cappotto di gabardine marrone, pantaloni scuri e scarpe di camoscio.
"Avrà passato un po' di tempo a guardare il mare oggi, lo deduco dal suo viso arrossato... Lei è di queste parti? Dal suo accento non mi sembra."
"No sono di Milano, sono qui per... lavoro, circa due mesi poi probabilmente verrò trasferito, chiamiamolo una specie di tirocinio..." si era messo a ridere.
"Se va verso via Luigi Albertini possiamo parlare un po' e fare la strada insieme, sempre se non la disturba."
Altra solitudine e voglia di fare due chiacchiere con uno sconosciuto, allora si poteva, in questi tempi le persone sono a volte diffidenti e scostanti, ma quarant'anni fa non era così, certo alcuni erano riservati o scostanti anche allora ma era più facile incontrare qualcuno durante un viaggio, oppure in un bar o seduti sulle panchine e scambiare quattro chiacchiere, a me faceva bene al cuore ed alla mente.
"No non mi disturba mi fa molto piacere, almeno posso fare due chiacchiere intanto che torno verso la mia abitazione."
"Ma lei è molto giovane, dice di lavorare non le avrei dato più di sedici anni."
"No ne ho venti compiuti pochi giorni fa."
"A quindi quarantacinque più di me..." aveva riso "E in che zona abita di Pesaro?"
"In una traversa di via Solferino, almeno fino ai primi di febbraio, poi verrò trasferito, spero a Milano, così sarò vicino a casa dei miei."
"Io sono di Cattolica ma dopo il mio matrimonio con Carla, mi sono trasferito qui, nella sua città, i nostri tre figli ormai vivono lontano: Roma, Bruxelles e Venezia, li sento sempre ma li vedo poco, sono nonno e ho molti hobbies, niente di che intendiamoci." l'eleganza dei modi e la compostezza della voce tradivano tutt'altro che un uomo semplice, avevo notato poi sul bavero del cappotto un'onorificenza dello stato, segno che quel signore era stato una persona importante nel suo campo.
"Vedo che per essere giovane non parla interrompendo, ascolta. E' una dote molto importante."
"Grazie signore, mi piace .. No anzi le confesso una cosa, vado spesso in luoghi spaziosi per osservare il panorama e sognarci un po' ma... amo osservare le persone immaginando la loro vita o per lo meno cerco di vederla secondo la mia fantasia."
Si era messo a ridere "Lei... tu, se mi permetti, sei un alieno, istintivamente e di solito non lo faccio, ti avevo fermato perché mi ricordi Glauco, mio figlio minore che vive a Bruxelles ed è psicologo, da ragazzino lo trovavo spesso in posti come quelli che scegli tu ad osservare le persone... Troppo divertente. Ma è anche una maniera intelligente di imparare  la vita e conoscere gli altri."
Avevo annuito con un sorriso, lui mi aveva messo la mano sulla spalla, due occhi verdi mi stavano scrutando dentro.
"Non cambiare mai te stesso, anzi cerca di migliorare sempre anche nei difetti. Hai due occhi vispi e curiosi."
"Grazie signore."
"Bene ora sono arrivato a casa ci dovremmo salutare, io abito qui in via Cesare Battisti in questa villa, se ti dovesse capitare di tornare da queste parti mi farebbe piacere tornare a parlare un po' con te." 
Mi aveva stretto forte la mano, il sorriso era paterno ma gli occhi tristi.
"Bene spero proprio di poterlo fare signore e... Mi saluti sua moglie anche se non la conosco e spero di..."
"Lei è andata via tempo fa purtroppo..."
"Mi dispiace io... " non sapevo che dire.
"Non ti preoccupare, non essere imbarazzato e non potevi saperlo. Allora speriamo di rivederci un giorno."
Più tardi ero già in viale Solferino vicino a casa, molti pensieri erano nella mia mente, in quel giorno avevo visto e conosciuto molte solitudini, vere o di mia fantasia, ma quel signore distinto mi aveva colpito molto "Lei è andata via tempo fa purtroppo." che frase triste e chissà dentro di lui cosa provava, quella solitudine che mai sparirà nonostante i figli e i nipoti. Era di lei che aveva bisogno.
Non l'ho più rivisto, mi avevano trasferito prima del previsto a Treviso e non ho potuto più salutarlo o parlargli, peccato.
Poi col tempo ho conosciuto altre solitudini, diverse tra loro, alcune serene ma molte sofferte, è così che la vita scorre in ognuno di noi ma nel corso degli anni ho scoperto una cosa: alcune solitudini le scegliamo noi come punizione, come scusa per sfuggire, come vivere perennemente nel proprio egoistico dolore oppure come scelta di vita.

Giampaolo Daccò


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