RICORDI D'AUTUNNO
Milano, tanti anni fa al parco zoo di Porta Venezia.
"Paolo... Ciccio non correre che cadi..." la voce concitata della mia giovanissima nonna, echeggiava nel grande parco milanese, mentre coperto da una pesante giacca rossa rincorrevo delle anatre che gironzolavano libere sul ciglio vicino al ponticello che passava sopra dei minuscoli stagni. Guardavo i miei polacchetti di camoscio schiacciare un'erba ormai sbiadita sotto i piedi mentre le povere anatre scappavano via con le ali spiegate starnazzando dentro allo stagno.
Era una mattinata tiepida con un sole pallido e giallognolo, ma già piena di colori autunnali: gli alberi avevano ancora qualche foglia verdastra mentre alla base chiazze colorate ne facevano da tappeto. Una colazione con nonna e prozia in un bar del centro dove da un juke box uscivano le note di una vecchia canzone degli anni cinquanta, poi una passeggiata fino allo zoo e per me così piccolo, vedere animali enormi ed incredibilmente paurosi era stata un'esperienza indimenticabile. Poi mi comprarono un gelato di zucchero al sapore di vaniglia che mangiai avidamente ed infine un'altra camminata nel parco, tra il verde, il giallo ed il rosso delle foglie cadute aspettando le tredici per il pranzo a casa dei miei prozii.
Mentre nonna e zia si sedettero su una panchina facendo conversazione con due signore coi loro bambini accanto, mi sedetti sull'altalena vicino al museo delle scienze naturali e rimasi lì, come incantato a guardare tute quelle persone coi loro bambini, che si muovevano tra i vialetti di ghiaia di quel parco, vestiti con soprabiti colorati e giacche pesanti. C'erano passeggini e carrozzelle, qualche vecchietto col bastone e ogni tanto degli studenti con cartelle e libri in mano, camminavano frettolosamente verso l'uscita. Ricordo che sulla mia sinistra stava una figura un po' strana, osservai quell'uomo anziano dal buffo cappello in testa ed il suo simpatico pony che aspettava si avvicinassero dei bambini o delle famigliole per farle sedere sul carrettino e portarle in giro per il parco, mentre questi ridevano e schiamazzavano allegramente.
Appoggiai la testa alla catena che reggeva l'altalena e sorridendo vidi dei bambini poco più in là che si rincorrevano e due di loro incrociandosi caddero per terra senza farsi male tra le risate di tutti.
All'improvviso una vocina mi destò da quella visione.
"Ciao ti va di giocare con noi?" mi trovai di fronte un bambino biondo col cappottino blu e dietro di lui altri tre di cui uno con gli occhiali. Diedi una fugace occhiata alla nonna che mi stava osservando poco distante e mi fece cenno di si con la testa, due dei piccoli erano i figli di una signora con cui stava conversando. Sorrisi accennando con il capo e subito il ragazzino mi prese la mano e mi condusse al centro di un piccolo prato calpestabile.
"Mi chiamo Luca, loro sono Giacomo, Marco e Filippo..." disse il bambino biondo.
"Mi chiamo Giampaolo... Ma tutti preferiscono chiamarmi Paolo..." risposi un po' timidamente.
"Preferiamo Giampaolo... E' più importante e poi con quei capelli rossicci è una fortuna non chiamarsi Pierino." concluse ridendo Giacomo, il bimbo con gli occhiali. Risi anche io ma non capii proprio a cosa si riferisse. "Sai giocare a birilli?" chiese nuovamente guardando sul prato dei cilindri colorati con vicino delle palle bianche. Risposi no con la testa e loro pazientemente mi spiegarono quel gioco che non avevo mai fatto.
Fu una mattinata bellissima, per me che provenivo da una piccola cittadina dove c'era poco divertimento, stare in quel parco, insieme a quei nuovi amici così allegri e senza problemi nell'invitare uno sconosciuto era stata una cosa meravigliosa.
Più tardi quando stavamo tornando a casa della prozia, sentii che lei disse a nonna:
"Secondo me cara, dovreste trasferirvi in città, ho visto Paolino come si è divertito oggi e forse dovrebbe frequentare le scuole a Milano, c'è più possibilità di conoscenza e crescerebbe con meno pregiudizi o fisime... visto la cittadina dove abitate, senza offesa Mia, cara nipote. Il bambino è intelligente e molto sveglio, e ha una gran voglia di sperimentare... Al paese sarà difficile per lui..." nonna la guardò intensamente
"Lo so zia, a volte lo penso anche io ma sarà molto dura conoscendo mio figlio poco incline ai cambiamenti, fosse per mia nuora non ci sarebbero problemi... Però..." continuò accarezzandomi la testa "Chissà magari col prossimo autunno, può darsi che si possa cambiare vita." e sorrise. Da quel giorno ad ogni autunno speravo che cambiasse qualcosa nelle nostre vite e da quel momento per me, questa stagione, era come fosse un nuovo anno pieno di speranze.
Sono passati tantissimi anni, mi trasferii a Milano nell'autunno del 1981, cambiai lavoro a fine settembre del 1982 tra Milano, Brna e L'Aia, poi tornai definitavamente a casa dei miei nel 1984 sempre in autunno quando mia madre decise di divorziare. Sempre in ottobre dell'anno successivo la mia vita cambiò radicalmente ed in modo drammatico. Incominciai un altro lavoro nel 1988 sempre in autunno e questa stagione tre anni dopo portò via per sempre Francesca; era l'autunno del 1994 quando ritornai definitivamente a Milano mettendo fine ad una convivenza sofferta e un nuovo lavoro si prospettava per il mio futuro e stranamente a novembre, autunno.
Potrei continuare ancora, sembra strano lo so, ma questa stagione l'ho aspettata nel corso degli anni, con timore, speranza e tanto altro... Non so se quel lontano autunno, quello del ricordo, inconsciamente ha influito molto sulle mie scelte personali o sugli eventi che sono capitati nella mia vita, ma l'ho sempre trovata e tutt'ora ne sono convinto, la stagione più bella, misteriosa e colorata dell'anno. Quel miscuglio di colori, di quei tappeti rossi e gialli lasciati dalle foglie cadute, della brina o della nebbiolina che fa capolino nelle mattinate fresche e quei tramonti tinti di porpora, emozionano lo spirito ed il cuore. Immagini sognanti che donano speranza e malinconia.
Giampaolo Daccò