lunedì 21 luglio 2014

Il fiume ed io


Il Lambro
o meglio 
il Lambro Settentrionale
ed 
Il Lambro Meridionale.
Due fiumi neri come la pece,
e sulla loro superficie 
strisce di schiuma biancastra.
Due canali provenienti dal nord
da due zone diverse
 il primo nasce dalle montagne 
tra i due rami del lago di Como
il secondo si dirama da un altro fiume nero
 l'Olona
che dal sud di Milano, 
scendendo verso le campagne pavesi
passa nel centro delle cittadine sonnolente 
fino a confluire nel Lambro Settentrionale 
alla periferia est
di Sant'Angelo Lodigiano 
per poi finire nel grande fiume Po.
Dalla fine degli anni 50 non sono più corsi verdi e limpidi,
scie d'acqua trasparenti con pesci guizzanti 
e piccole spiagge chiare
dove le persone facevano il bagno d'estate,
dove le donne lavavano il bucato 
e dove i pescatori 
prendevano carpe e tanti altri tipi di pesci
da rivendere poi al mercato
 come faceva il nonno materno.
Ora sono fogne a cielo aperto,
 dove odori irrespirabili
inondano l'aria 
e provocano malattie di ogni genere.
Una mancanza di rispetto dei grandi industriali 
che, durante il boom economico,
scaricavano in queste acque cristalline ogni specie di veleno.

   No questa non è una poesia, una filastrocca inventata da me, ma si tratta di un dato di fatto. In questa foto avevo circa 3/4 anni forse e dietro le mie spalle la schiuma bianca e velenosa come un serpente strisciava sul fiume nero che scorreva tra il verde ormai secco e le case del centro della cittadina. Ancora qualcuno curava i prati che declinavano sulle sue rive ed ogni tanto qualche ranocchio faceva udire il suo canto sgraziato tra i fili d'erba alti. 
   Farfalle e libellule in estate si posavano sui fiori gialli, azzurri, sui papaveri disseminati qua e là sulle due rive. Due rive divise da un'isoletta formatasi col tempo, da residui portati da chissà cosa.
   Sulla sinistra la centrale dell'Enel, con la sua cascata forniva elettricità al paese ma quanta gente nel corso degli anni è andata a tuffarsi per poi morire tra quelle acqua profonde ora melmose. Eppure nonostante i veleni, i due piccoli fiumi continuano la loro strada tutt'ora come se nulla fosse accaduto, ne in passato ne nel presente.
   Quando avevo quell'età nella foto e anche dopo, poco più grande, prima che le rive diventassero alte sterpaglie abitate da bisce, topi di fogna e altri animali repellenti, si correva con gli amici tenendo in mano l'aquilone, si correva lanciandoci palle di gomma, ci si fermava a raccogliere gli alti papaveri per farne corone, bracciali e sedendosi, si assaporava il profumo delle piante di sambuco che delimitavano la strada ancora sassosa, dai campi di grano coltivati dalla "Genetica", per lo studio dei cereali e dietro a tutto questo si stagliava il grande castello visconteo e la basilica con lo svettante campanile alto 67 metri sormontato dall'arcangelo Michele dalla spada sguainata, come a proteggere la città
  Riguardo questa foto fatta subito all'inizio della primavera, ricordo il tepore del sole, il maglioncino bianco con i pon pon, che si usavano molto a quei tempi, ed i pantaloni a quadri inglesi di stoffa pesante, le calze di lana rigorosamente ricamate e le scarpe marroni in tinta con i pantaloni.
   Lo sguardo stupito mentre il compagno di nonna scattava la foto mentre intrecciavo dei fili di erba secca, di fianco mamma, papà, la nonna ed alcuni altri amici osservavano il paesaggio che si estendeva oltre il fiume e montagne azzurre si profilavano all'orizzonte.
   Eppure quel fiume scuro, con le cascine sul fondo, i fiori e l'erba sulle rive, per me rappresentava qualcosa di grande, non sapevo, allora, dove portasse ma mi affascinava molto fino a quel giorno. 
   Fino a quel pomeriggio forse di primavera o estate del 1967, dove un'amica di mamma per mano con la sua bambina della mi stessa età e con cui giocavo su quei prati scoscesi, si buttò nel fiume... Le ritrovarono lontane l'una dall'altra e nella mente mi rimase impressa una barca che scandagliava il fondo in cerca di loro.    Da quel giorno vidi il fiume in maniera diversa, non mi avvicinai più sulle sue rive ed ebbi paura. Ancor oggi quando lo rivedo la sensazione di qualcosa di oscuro, di buio mi pervade guardando la sua superficie ma se ripenso a tanti anni fa quando ancora per me pur non avendolo vissuto ai tempi "d'oro", diventa nuovamente un luogo affascinante: rivedo quell'acqua meno scura, più trasparente, l'erba fresca con fiorellini sulla riva, la gente che faceva il bagno e le donne che lavavano i panni sui fianchi scoscesi protette da strisce di sassi ed un sole caldo sopra tutto questo col suo calore, ti faceva sentire quanto era bella la vita, quanto era semplice e dolce il tempo in cui l'ingenuità e la semplicità erano le fonti della vita.


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