giovedì 15 settembre 2016

VENTO D'AUTUNNO



VENTO D'AUTUNNO

Den Haag/L'Aia, autunno di tanti anni fa.
Sapevo che prima o poi sarebbe finita, sapevo che con la brutta stagione qualcosa sarebbe cambiato.
Lo sentivo nell'aria, nelle cose che mi circondavano, nelle ombre della sera che qui al nord, arrivavano prima che nel mio paese, l'Italia.
Avevo lasciato R. a casa mentre leggeva un libro davanti al caminetto già acceso, m'infilai la giacca a vento rossa e presi la strada per la spiaggia.
Mi ero voltato per un attimo a guardare la nostra casa a poche centinaia di metri dal mare, alla periferia di Den Haag, erano passati quasi due anni dall'inizio della nostra storia e solamente uno dalla convivenza.
I primi tempi andavamo avanti ed indietro a vicenda tra i nostri Paesi, con la gioia ogni volta di vedersi, di abbracciarsi, di fare l'amore. Poi quel mio colpo di fortuna: un lavoro in un locale italiano vicino casa e andare ad abitare definitivamente insieme.
Arrivato in spiaggia, la sabbia bianca si alzava a quel vento freddo che proveniva dal'Atlantico, il cielo era grigio ma ancora non minacciava pioggia, poche erano le persone sulla rena per passeggiare o sedersi a guardare quel mare verde dalle onde spumose.
Mi ero seduto su una piccola altura vicino alla struttura in legno, dove i bagnini in estate, controllavano le persone in acqua e il litorale visibile.
Una mano mi aveva fatto segno di saluto, le due simpatiche vecchiette, vicine di casa con il loro cani stavano camminando poco distanti.
Sorrisi a loro ricambiando il gesto, ma poi il mio sguardo si era nuovamente rivolto verso il mare ed ai ricordi.
Erano belli i primi tempi, spesso eravamo ad Amsterdam a casa di amici, i quali vivevano nelle barche sui canali del centro, che meraviglia mi sembrava di vivere un sogno, quasi una favola antica.
D'estate facevamo escursioni sui canali viaggiando su barconi o chiatte galleggianti, fermandoci a dormire in piccoli alberghi circondati da fiori e profumi.
Rotterdam, così moderna e tremenda col suo porto, allora il più grande del mondo, poi le sagre dei fiori nelle varie cittadine che sembravano piccoli scrigni da quanto erano in ordine e stupende, le nostre corse in bicicletta per le stradine tra campi verdi e mulini a vento.
Spesso gli abitanti mi scambiavano per un olandese come loro, come R., avevo fatto crescere i capelli lunghi, mi vestivo male o alla casaccio, un accenno di barbetta rossa, tanto per dare, insieme alle mie lentiggini, un'idea del ragazzo nordico (idea che mi era sempre piaciuta), ma mai ero riuscito ad imparare quella lingua strana, mista tra tedesco, inglese e qualcosa di fiammingo.
Ma l'anno intero, vissuto pienamente in quella bellissima terra mi aveva segnato nell'anima, non avrei voluto mai più andar via da lì.
Un raggio di sole aveva fatto capolino tra le nuvole del tramonto, non mi ero accorto del passare del tempo, mi ero alzato in piedi velocemente e ritornai a casa, in quella casa bianca dalle persiane verdi e dal giardino ora brullo per la stagione autunnale.
Il vento soffiava ancora ed era diventato più freddo, quando avevo la porta alle mie spalle, R. era davanti a me con il suo sorriso un po' triste, le mie valigie erano sotto la scala che saliva al primo piano, mentre l'altra mia roba, era stata spedita qualche giorno prima in Italia, in quel momento le avevamo guardate entrambi.
I nostri occhi si erano incontrati ancora per un attimo, avevo visto sul suo volto una gamma di espressioni, mi ero illuso di aver letto: ho sbagliato, torniamo insieme e resta qui... Ma appunto, era stata solo un'illusione mia.
"Paul, het spijt me zo te zijn, zodat meer dan voor ons" avevo guardato serio il suo volto fermo.
"Oh scusa me, Paul, I'm so sorry to be so over for us".
Che c'era da scusarsi ora? Ormai era finito tutto, del suo dispiacere non me ne importava nulla, avevo solo il mio cuore spezzato ma avevo comunque sorriso.
"R. does not have to worry. Everything will be fine..." avevo detto spostandomi in cucina e poi mente stavo versando del tè in una tazza, dimi aveva detto:
"I'll take you to the airport tomorrow morning, Jim will not come, do not have time ... "
Avevo risposto con un sorriso strano e con un grazie, ormai non c'era nient'altro da dire, finito, tutto.
Il giorno dopo in aereo appena decollato, mi ero messo a leggere un libro, quando eravamo già sulla Germania, mi era tornato in mente di aver lasciato là una foto a cui tenevo molto, noi due sulla spiaggia nell'autunno precedente, seduti sull'altura con il vento tra i capelli.
Con gesto di rabbia avevo chiuso il libro di colpo, improvvisamente un angolo di una busta era apparso tra l'ultima pagina e la retro copertina, una busta che avevo aperto non appena mi ero accorto che dentro c'era una foto, la mia foto, la nostra foto, quella che pensavo di aver lasciato nella casa bianca dalle persiane verdi ed il giardino brullo, vicino al mare.
Dietro la foto una scritta.
"To never forget our love, a copy is in my memories. R."
Per non dimenticare mai il nostro amore, una copia è tra i miei ricordi. R.
Cercavo di trattene il pianto che stava per arrivare, solo qualche goccia di lacrima era caduta sul mio volto, mentre stringevo la foto sul cuore.
L'aereo si stava abbassando di quota e l'annuncio del prossimo atterraggio a Linate mi aveva distolto dal pensiero, guardai fuori dal finestrino, un grande lago e dei monti innevati avevano preso il posto della distesa di campi fioriti, del mare del nord e dei miei due anni vissuti in un paese magico.
Ora stava per iniziare un nuovo capitolo.

Giamapolo Daccò Dos Lerèn (J.P.)

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