venerdì 22 dicembre 2017

UN POSTO INCANTATO



UN POSTO INCANTATO

"Ma dove sta correndo il piccolo, Angela?"
La mia nonna aveva chiesto a sua figlia, guardando il nipotino con la giacca a vento azzurra ed i pantaloni scozzesi, correre verso il ponte sopra il laghetto ghiacciato di montagna.
"Mamma non ti preoccupare." le aveva risposto sorridente Angela "Starà correndo verso il suo posto incantato.."
"Posto incantato? Quel bambino finirà chissà dove e poi ha sempre la testa tra le nuvole, sogna troppo..."
Angela guardava sua madre, una donna apparentemente così pratica e a volte seriosa con tenerezza, sapeva che nel suo cuore c'era amore ma non lo dimostrava con grandi gesti e sapeva che adorava quella creatura nata "per caso", un bambino così pieno di fantasia che spesso lo trovavano a recitare da solo film immaginari nella sua cameretta o nell'orto dietro casa.
"Ma no mamma, il suo posto magico è proprio aldilà del ponticello, vicino ad un albero dove quest'estate aveva visto le lucciole e da quel momento è diventato il suo luogo pieno di magia..."
"Già immagino quella quella volta che ci ha fatto spaventare, sparito per due ore tra i cespugli nel giardino della vicina insieme a una nidiata di micetti di pochi mesi."
Angela aveva riso al pensiero nonostante si erano spaventate molto quella volta.
"Però a cinque anni è già un ometto... Non fa capricci."
"No, verisismo ma chiacchiera peggio della Bettina."
Tutt'e due erano scoppiate a ridere nel pensare alla quasi centenaria vicina di casa della nonna che non stava mai zitta, convinta che il comune le aveva tolto dieci anni rifacendole i documenti perché novantasette erano troppi e lei ne dimostrava di meno.
"Guarda mamma, eccolo seduto sotto l'abete... Furbo però ha messo lo zainetto per terra sedendosi sopra."
"E si, altrimenti si gelerebbe il suo sederino..." le aveva fatto eco la madre ridendo alla visione. Le due donne si fermarono vicino al chiosco per bere un caffè mentre il nipote era seduto sotto l'albero ghiacciato che sembrava brillare si stelle sotto la luce del sole.

"Io mi chiamo Paolo, ma tutti dicono Paolino ma a me non piace... Cosa? Sai che il mio nome vero è Giampaolo?...
Oh sei un folletto dotto come il nano di Biancaneve? Wow che bello, io non so se sono dotto ma so che parlo molto, lo dice sempre la nonna."

Le due donne guardavano il bimbo parlare da solo mentre gustavano un caffè bollente sedute al baracchino.

"Si lo so che non esisti davvero, io faccio finta di vederti ma penso che tu ci sia veramente. Dicono che le persone che parlano con niente sono matte ahahah. Ma a me piace sapere che ci sono folletti, gnomi, fate nei boschi e sotto gli alberi, è così brutto quando sono  solo a casa oppure c'è..."

Il sole aveva illuminato un ghiacciolo facendolo brillare sopra il ramo. I cristalli formatisi sopra sembravano stelline create da qualche fata mentre delle pigne cadute per terra, tutte coperte di neve, davano il sapore del Natale imminente, qua e la piccoli fili di erba spuntavano dal bianco candido appoggiato sul prato.

"Oh che bello, forse una fata ha fatto una magia... Vedo tanti colori attorno a quel ramo... Come dici? E' Stellina una piccola elfa della neve? Ma davvero?
Vive su quell'albero e ha ventimila anni? Mmm mi sa che dici più bugie di Pinocchio e parli più di me. A proposito non mi hai detto come ti chiami...
Beh? Non me lo vuoi dire?
Ahahah Paolino Piccolino, non ci credo ahahah, sei un folletto dispettoso."

La mamma e la nonna si erano alzate, stava arrivando l'ora di pranzo e avevano chiamato il piccolo.

"Ora vado Paolino Piccolino mamma mi sta chiamando, mi fai troppo ridere... Sei proprio simpatico e bugiardo. Come? Se ci vedremo ancora? 
Oh penso di si, sicuramente, magari questa sera prima di andare a letto, sai dove abito vero? 
Bene... Ci vediamo, ciaooo."

La mamma e la nonna risero nel vedere Paolo salutare nessuno sotto l'abete, il bambino si era messo tra le due donne che lo avevano preso per mano avviandosi verso l'uscita del parco.
Un sole splendido illuminava le montagne attorno ed il bianco abbacinante, donava agli occhi di tutti una specie di luogo fatato.

"Allora Paolino con chi parlavi sotto l'albero?"
"Non è solo un albero nonna, è il mio posto magico... C'era un folletto bugiardo e simpatico..."

La nonna aveva guardato preoccupata la figlia, la quale le aveva sorriso mormorando con le labbra: "E' il suo gioco, stacci anche tu..."

"A si? Davvero?"
"Si si, vestito di blu e non verde come gli altri perchè aveva paura di essere schiacciato come l'erba ahahah. Poi c'era una elfa piccola che io pensavo fosse una fata. Aveva creato stelline di ghiaccio colorate e si chiama Stellina pure lei. Ma il folletto parlava parlava e non potevo dire niente a lei."
"Allora parla più di te." aveva detto la nonna ridendo.

Gli occhi azzurri del bimbo avevano avuto in quell'istante una luce furbesca, la madre se n'era accorta.

"Bimbo mio ma come si chiama il tuo amico folletto?"
"Se ve lo dico non vi mettete a ridere?"
"Giuriamo su Stellina." aveva fatto eco la mamma.
"Si chiama... Paolino Piccolino."

Le due donne scoppiarono a ridere e lo aveva fatto anche Paolo, mentre varcato il cancello del parco si erano incamminati sui marciapiedi sporchi di neve.

"Che fantasia... Paolino Piccolo, Angela come si può avere tutta questa immaginazione? Non credo ci sia nessuno della famiglia che ne abbia tanta così..."
La figlia aveva fatto con il capo un cenno di diniego.
"E meno male mamma che qualcuno ce l'abbia." aveva finito di dire tra le risate.

"Mamma e nonna sono proprio forti, non hanno capito niente..." aveva pensato Paolo guardandole dal basso "Non sanno che Paolino Piccolo sono sempre io e che i folletti e gnomi non ci sono o almeno non li vedo. 
Per me è un gioco, come un film... Da grande ne voglio scrivere tanti o qualche favola con gli gnomi e folletti ma non metterò loro il nome Paolino... Troppo scema la cosa.
Mi piace giocare così mi fa sentire meno solo quando sono a casa così le lascio tranquille e non dicono che sono chiacchierone o una peste."

Aveva concluso Paolo mentre insieme alle due donne aveva attraversato il viale alberato che portava all'albergo.

"Che fame... Chissà se oggi Paolino Piccolo mangerà tanto. Spero ci siano le lasagne al forno." aveva pensato il bambino sentendo un languorino nello stomaco.

Paolino con mamma e nonna erano finalmente entrati in albergo dove il caldo ed il buon cibo li stava aspettando.

Fuori senza esser visti, cinque folletti e due gnomi dalle finestre sul viale, spiavano dentro il ristorante.

"Ssshhtt... Fiocchetto fai piano, non arrampicarti troppo potrebbero vederci gli umani."
"E come se siamo quasi invisibili." aveva risposto Fiocchetto allo gnomo burbero in mezzo a loro.
"Ma davvero quel bambino parlava con Piccolino prima sotto l'albero?" aveva detto Biancospino agli altri.
"Si si... solo che Piccolino non capiva perché quel bimbo non gli rispondeva e non lo vedeva... Eppure lo chiamava col suo nome, quell'esserino parlava parlava parlava e Piccolino non riusciva a farsi capire..."
"Ahahah parlava come te Nocciolo..." aveva detto Fiocchetto rivolgendosi allo gnomo burbero che aveva alzato gli occhi al cielo.
"Sentite... Andiamocene via, c'è troppa luce e gente. Troviamo il momento giusto per far visita a quel bambino, magari stanotte quando tutti dormono." aveva finito Nocciolo con aria seria rivolgendosi ai suoi amici.
Una serie di applausi aveva approvato la soluzione e fu così che un cane al guinzaglio con il suo padrone aveva visto incredulo, cinque folletti e due gnomi allontanarsi verso il parco.
Aveva avuto l'istinto di abbaiare e segnalare al suo "papà" la cosa, ma si sa anche i cani sono intelligenti ed avrebbe fatto la figura del visionario sciocco oppure del cane fastidioso.
Intanto i sette piccoli amici erano scomparsi nel parco in attesa della notte.

Giampaolo Daccò




venerdì 15 dicembre 2017

NON HO PIU' FREDDO



"NON HO PIU' FREDDO"

"Che strano non ho più freddo, poco fa mi sembrava di congelare tra questi cartoni ed invece, i brividi che mi percuotevano dentro, sembrano scomparsi. Che sonno però forse stanotte riuscirò a dormire.
Non è molto bello riparasi da tutta questa neve sotto un portico di periferia, ma almeno qui non c'è nessuno che mi rompe le scatole, ne quelli come me, ne quelli che a tutti i costi mi vogliono portare nei dormitori dove mi fanno sentire peggio di quanto lo sono già.
Oggi in un certo senso ho avuto fortuna, due signori mi hanno offerto una merenda davvero buona, strano che non si siano infastiditi dalla mia puzza, sono giorni che non riesco a lavarmi ahahah.
La gente in quel posto, dove mi avevano portato quei signori, mi evitava ma con loro ero sicuro che non mi avrebbero cacciato da quel bellissimo locale. Va a capire le persone.
Che strano non sento più i piedi, ma forse è perché mi sto rilassando piano piano e qui fa sempre più buio e la neve più copiosa, però questa coperta e cartoni mi aiutano tanto.
Se ripenso a quattro anni fa quando mi avevano mandato via da "Casa Famiglia Serena" a Pavia dopo aver raggiunto i diciotto anni, nessuno mi aveva dato una mano a trovare lavoro o casa.
Certo il mio aspetto non è un gran che ma non sono cattivo come molti pensano, mi mancano due denti davanti e spesso sono sporco ma certo di non rompere le palle alle persone che passano.
E' facile raccogliere qualche moneta per un panino, mi siedo in qualche posto vicino a dei negozi in centro di Milano e se non mi cacciano via qualcosa raccolgo.
Una volta un gruppo di volontari mi hanno portato in un posto dove mi hanno dato dei vestiti, mi hanno lavato e dato da mangiare ma quando sono entrato nel dormitorio, mi sono messo a piangere.
Io non volevo essere come quelli che vedevo, non mi sentivo un barbone, ero uscito da qualche settimana da quella casa famiglia, dove non mi trattavano male ma non eravamo come quelli.
No, non ce la facevo stare lì, così quando i frati del posto mi hanno detto che mi avrebbero aspettato l'indomani nel pomeriggio non ero più tornato, mi faceva star male il pensiero di diventare come loro.
Eppure in un certo senso lo sono.
Che strano non sento più le gambe e le mani ma sto bene chissà come mai...
In questi quattro anni sono stato in varie parti, in altre città ma sono sempre ritornato a Milano, una volta ho lavorato nei campi per tre mesi, raccoglievo pomodori vicino ad un grande fiume ma ci pagavano una miseria e uno dei lavoratori mi aveva picchiato per il posto dove dormire.
Così me ne sono tornato qui, poi ho perso due denti dopo che due barboni mi avevano picchiato e rubato quello che avevo raccolto quel giorno... Fossi stato più alto vedevano...
Che sonno, davvero tanto... Forse perché non ho mangiato niente, non mi era mai capitato di sbadigliare così, non riesco a tenere aperti gli occhi eppure mi sento bene...
Forse dormendo riuscirò a riposarmi, anzi domani tornerò dai frati forse mi aiuteranno e chissà se ritroverò quei signori dell'altra volta.
Oh che bello mi sto addormentando al caldo finalmente."

"Si pronto centrale, sono il Brigadiere Roberto Lanciano, vi chiamo da via Giuseppe Giacone, dove c'è il passaggio sopraelevato della ferrovia. Ne abbiamo trovato un altro poco fa senza vita completamente congelato e coperto di neve... Si si era sotto una tettoia di un'officina abbandonata... Si probabilmente convinto di essere sotto qualche portico. Come?... Età? Ma forse venticinque anni più, mandate un ambulanza grazie. Buona giornata..."
"Buona giornata? E' il terzo oggi che troviamo sepolto dalla neve ed è il più giovane, brigadiere."

Gli occhi dell'appuntato guardano con tristezza quelli del suo collega ma da quello sguardo non trapela nessuna emozione, il brigadiere ha imparato da tempo a non svelare i propri sentimenti. Un lavoro duro.

"Che bello non ho più freddo ora. Che strano e quanta luce attorno a me... forse è già giorno e devo andare dai frati..."

Giampaolo Daccò


domenica 10 dicembre 2017

11 DICEMBRE 1979 - 38 ANNI FA



"38 anni fa"
Un mattino azzurro e gelido
una valigia ed una borsa
strette nelle mani
mentre si saliva su un treno
senza voltarsi
per non vedere le lacrime
ed i volti dei nostri cari.
Eravamo in quattro
quattro ragazzini spaventati
ansiosi con davanti a loro
un anno pieno di incognite
pieno di esperienze
lontano da tutto ciò
che faceva parte
della propria vita intima.
Ma coraggio e spavalderia
non avevano permesso
di versare una lacrima.
Le lacrime le versammo
alla fine di quell'anno
il 27 novembre 1980
dove prima di congedarci
avevamo detto addio per sempre
ad alcuni nostri compagni
di quel lungo e breve viaggio.
Era stato un anno
difficile e duro
un anno che crescendo
tra dolori e durezze
si era tornati a casa
davvero e per sempre
"uomini".

Giampaolo Daccò

mercoledì 6 dicembre 2017

LETTERA D'AMORE DI NONNO PAOLO A NONNA VITTORIA



Milano, 23 aprile 1929


Per te amata mia

Mia dolce Vittoria


In quel mattino dal cielo azzurro,

mentre i raggi dorati del sole 

sbirciavano dalle persiane

ed avevi aperto gli occhi su di me 

per la prima volta, avevo capito subito che,

non ti avrei lasciata mai più dal mio cuore.

Esso aveva incominciato a battere sempre 

di più nel mio petto

non appena mi avevi sorriso e 

baciandoti dolcemente, avevo pensato: 

ho finalmente tra le mie braccia

la stella più fulgente dell’universo.

La mia mente, guardandoti, 

vagava in fantasie lontane:

mi vedevo con te correre sui prati,

abbracciati seduti sull’erba in riva al fiume

e lasciare che l’acqua fresca 

ci lambisse dolcemente,

mentre baciavo ardentemente le tue labbra

cosi dolci, tenere ed appassionate.

Caro amore mio, mia passione,

mio cuore, mia Vittoria,

eri mia, eri la mia anima, la mia donna,

il mio tutto e la mia salvezza.

Sognavo di avere tanti bambini, 

una casa tutta per noi,

per donarvi tutto ciò che sento nell'anima,

avrei voluto dare la mia vita per te.

Avevo sempre udito un battito d’ali nel cuore

non appena sentivo la tua voce,

come un un sogno d’amore 

sbocciato all’improvviso,

in quel mattino di tre anni fa,

quando ci eravamo visti per la prima volta.

Tu, la mia stella, il mio tutto,

ti sei concessa a me 

dopo la nostra promessa in chiesa,

con tutto l’amore e la passione

e da questo amore ne sono sicuro,

nasceranno altre meravigliose stelle

che allieteranno la nostra vita.

La felicità di averti, di saperti vicina,

di trovarti ogni volta che torno a casa,

vedere il tuo sorriso, i tuoi occhi azzurri

ed i tuoi abbracci, mi fanno sentire unico,

un uomo che ha avuto la fortuna 

di aver trovato la stella nella sua vita.

Vorrei chiederti di amarmi per sempre

nonostante il mio carattere a volte difficile.

Di amarmi per sempre perché 

il mio cuore e la mia anima 

senza di te si distruggerebbe di dolore,

perché tutti i miei pensieri

sono rivolti al nostro immenso amore.

Ti ringrazio per ciò che mi hai donato,

mi dai e mi regalerai per sempre,

grazie amore mio, mio cuore

per la dedizione, per l’abnegazione,

per tutto questo amore, 

così dolce e così immenso.

Vorrei scriverti tante cose ancora, ma...

vorrei solo pronunciare due parole,

dolcissime, come un volo di angeli,

come un raggio di sole d’estate,

come un venticello di primavera.

Solo due parole che racchiudono l’immenso

e la gioia che provo standoti vicino 

tutti i giorni:


TI AMO


Tuo per sempre Paolo.






TI

mercoledì 29 novembre 2017

L'ATTESA IN UN MATTINO D'INVERNO



L'ATTESA IN UN MATTINO D'INVERNO

"Porta Romana bella... 
Porta Romana... 
E' già passato un anno 
da quella sera.
un bacio dato in fretta 
sotto al portone..."

Non so perché sto canticchiando questa canzone del grande Gaber, ma mi è frullata in testa questa mattina e non riesco a toglierla dalla mente.
Forse è anche perché sto aspettando lui, qui davanti a quell'arco illuminato dai lampioni in questa mattina ancora buia, mentre la poca neve rimasta dopo la pioggia fa da bagliore insieme alle luci di Natale nelle strade.
Lui, Maurizio, alto, occhi verdi dalle ciglia folte e sorriso limpido che splende incorniciato da una barba rossiccia e morbida.
Lui, incontrato in quel famoso magazzino in Piazza Del Duomo poche settimane prima e fu colpo di fulmine mentre le nostre mani finirono su quella cravatta di seta blu, appoggiata su un banco.
La frase fu detta all'unisono:

"Ops mi scusi ma non volevo..."

Stessa frase detta insieme ed eravamo scoppiati a ridere e subito ci eravamo intesi.
Inutile dire che avevamo acquistato due cravatte uguali e che dopo qualche chiacchiera sulla moda, eravamo finiti al bar sulla terrazza del grande magazzino per una cioccolata con panna.
Stessi gusti di cibo e abbigliamento.

"Piacere Maurizio."
"Piacere Roberto."
"Sei di Milano Roberto?"
"Si zona Brera e tu?"
"Crocetta... Praticamente tutti e due del centro."

Ci eravamo sorrisi, ero riuscito a diventare rosso, mentre lui mi aveva guardato fisso negli occhi. Poi mi aveva sfiorato la mano mentre stava arrivando il cameriere con le cioccolate calde e fette di torta. Non sapevo cosa dire mi sentivo in imbarazzo.

"Architetto? Desiner?"

"Perché mi chiedi questo Maurizio?"

"Per una semplice banalità, abiti in Brera."

"Ahahah... Non tutti quelli di Brera sono architetti o artisti..."

"No?"

"Sono violinista alla scala da un paio di anni."

"Ah però... Complimenti Roberto. Anni?"

"Mmm quante domande... (avevo riso). Ne ho 27."

"Tu non fai troppe domande vedo... 
Io sono architetto ho 34 anni."

"Sei un uomo pieno di sorprese... Non me lo aspettavo
avrei pensato tu fossi... Architetto?..."

Oltre alle risate, poi avevamo passato un bel pomeriggio insieme, da quel giorno era nata una storia. Una storia che con le settimane a venire aveva preso piede sempre di più. Avevo intuito che lui nascondesse qualcosa ma avendomi fatto conoscere un giorno sua madre, bella e simpatica donna di larghe vedute, mi ero tranquillizzato. Il suo lavoro prima di tutto, mi spiaceva che fossero poche le notti in cui dormivamo insieme ma andava bene così.
Era passato Novembre e le feste di Sant'Ambrogio con l'Immacolata, Natale era alle porte, tre giorni fa mi aveva detto:

"Roberto noi dobbiamo parlare... 
Del futuro, del nostro futuro e posizione."

"(Posizione? Avevo pensato) 
Oh si certo, sono quasi otto settimane che ci frequentiamo."

"Si davvero, sono già otto?"

"Beh quasi... Tra tre giorni."

"Già (la sua voce mi sembrava strana)... 
E che ne diresti di parlarne tra tre giorni? 
Ho il sabato mattina libero, però dalle nove in poi..."

"Perfetto, sono liberissimo anch'io Maurizio, 
ci vediamo magari al solito posto?"

"Preferirei in zona Porta Romana, poi ho un paio di commissioni da sbrigare e farei tardi... Ti dispiace?"

"No assolutamente... Vuoi che ci si veda alle nove 
davanti all'arco vicino alla fermata del tram?"

"Ottima scelta Roberto, un bacio. 
Scappo, ci sentiamo stasera e ci vediamo sabato mattina."

Click

Telefonata chiusa ed eccitazione da parte mia, avevo immaginato chissà che proposte, magari se non una convivenza, almeno un dichiarazione definita del tipo vorresti fidanzarti ufficialmente con me? Oppure proviamo una convivenza di almeno tre giorni nei fine settimana?... Chissà.

"Porta Romana bella...
Porta Romana...
Un anno è lungo da passare
d'amore non si muore
sarà anche vero
ma quando ci sei dentro
non sai che fare"

Accidenti a me ed alla fretta, sono venuto qui all'alba quasi, sono le sette e cinquanta ed ho più di un'ora di attesa, Maurizio mi ha fatto proprio perdere la testa. Ma si, andiamoci a bere qualcosa di caldo in quel bar carino di viale Monte Nero, ho i piedi intirizziti...
Svolto l'angolo, attraverso i binari del tram e vedo un auto... La sua auto: colore, targa, porta sci, l'atlante stradale sul retro dei sedili e dentro qualcuno.
Non so perché mi fermo a due passi fingendo di guardare le vetrine addobbate di un negozio.
Scende una bella donna bionda incinta e due bambini con una signora anziana.

"Mamma ti prego, facciamo in fretta! Devo lasciare l'auto
a Maurizio, ha quegli impegni stamattina... 
Tieni  il piccolo Luca..."

"Cara faccio quello che posso, 
Giada stai attenda sei al settimo mese...
Non camminare così in fretta, potresti..."

"Mamma, non ti preoccupare, Marco mi aiuta con la borsa
(Lei bellissima guarda il figlio maggiore con amore
toccandosi la pancia) e faremo in fretta."

"Maurizio è un santo con voi... 
Ahahah, meglio di lui non potevi trovare, 
un marito così premuroso e amorevole tesoro..."

Sono fermo davanti a loro non riesco più a sentire le loro voci mentre si stanno allontanando da me, sono entrate in un portone poco più avanti e mi assale una nausea tremenda.
Sento freddo ed il viso in fiamme, molte le parole che si affacciano alla mia mente, troppe tante per darne un significato:
Maurizio
Mamma ti prego
Marco e Luca e nonna
Giada bella e bionda
Giada incinta
Giada moglie e madre
La compagna di Maurizio

Ore otto e trenta, è da mezz'ora che vago tra le vie attorno a quell'arco ormai illuminato dal sole mattutino, le luci dei lampioni e addobbi sono spenti, automobili che passando schizzando neve sporca sui marciapiedi incuranti delle persone. Ed io? Mi sono fermato davanti a Porta Romana a mezz'ora dall'appuntamento, mi volto verso il posto ora vuoto, dove aveva parcheggiato Giada e non so che fare.
Un clacson mi fa sobbalzare ed attraverso la strada dove ci sono le fermate dei tram, molte persone sono in attesa da entrambe le pensiline ma non vedo le loro facce, non riesco a vederle, solo quella di Maurizio è nella mia mente, guardo l'orologio, ore otto e quaranta, uno sferragliare sui binari mi sveglia dal torpore dei pensieri cattivi, mentre un leggero vento gelido passa sul mio volto.

"Porta Romana Bella...
Porta Romana...
Seduti in fondo là
senza guardare
quel giorno che mi hai detto
adesso basta,
io zitto preferivo non sentire
ma tu hai insistito,
no sul serio basta,
come fosse facile capire...
Porta Romana Bella...
Porta Romana..."

Il tram numero 9 mi sta portando lontano da quell'arco antico ormai scomparso tra i palazzi, mi sta portando lontano dall'appuntamento, lontano da Maurizio, lontano dalle sue cose nascoste, lontano da Giada bambini e nonna... Lontano da ciò che avrei voluto.
Alzo gli occhi verso i finestrini, come sono assurdi gli addobbi, le luci, i colori del Natale imminente, com'è assurdo e logico festeggiare otto settimane di amore scappando via da quello che non avrò mai.
Cielo azzurro, freddo pungente e tanti sorrisi in giro, alberi a festa, vetrine piene di regali...

Addio per sempre Porta Romana Bella

Giampaolo Daccò