martedì 20 febbraio 2018

GIANLUCA



GIANLUCA

La stradina di montagna finisce lì, proprio su ciglio del burrone dove Gianluca è appena arrivato e che ora vede sotto di se. 
Le punte dei piedi sono allineati al bordo, basterebbe un battito di ali di una farfalla per farlo cadere giù fino alla fine di baratro dove sottostante, scorre un torrente che porterebbe via  con se il suo corpo e sangue, se l'avesse fatto precipitare.
Eppure Gianluca è lì, ritto davanti al nulla e con sotto il nulla, un vento leggero d'estate lo inonda mentre con gli occhi chiusi si domanda il perché e se è giusto ciò che sta facendo ora.
Mentre pensa questo, piccoli flash-back della sua vita gli passano davanti nella mente come un film color seppia,  lenti e veloci allo stesso tempo, senza una spiegazione di come possa accadere una cosa del genere.
Attorno il silenzio e con gli occhi chiusi Gianluca rivede la strana commedia, la sua vita.

Sei incinta? E chi lo vuole sto bambino?
E che faccio lo cresco da sola?
E' nato uno sgorbio che mi ha messo in prigione!
Ed io? Come posso andare avanti a studiare?

Avevi detto che prendevi la pillola.
E tu invece vai a farti ogni gonna che passa.
E ti devo pure sposare.
Fai quel cavolo che ti pare, sto anche da sola.

Nipote mio ora vivi qui e fai quello che dico io.
La nonna è stanca ha da fare arrangiati.
Cara sorella tuo nipote è noioso e insopportabile.
Mia figlia e mio genero si sono separati e adesso?

Padre non mi tocchi più per favore ho paura.
Ragazzino ma io ti voglio bene sono solo carezze.
Prega e mangia e studia, il rettore si è arrabbiato ieri.
Vorrei scappare da questo collegio, sto male.

Questo è il tuo lavoro, catena di montaggio e muoviti.
Che stanchezza, dieci ore massacranti, come farò?
Senti pagami l'affitto subito, hai saltato un mese.
Oh non vieni mai a ballare con noi... Perché?

Ti amo Rosy, più della mia vita.
Ti amo Gianluca, sei l'unico per me.
Quando ci sposeremo vorrei tre bambini.
Si però due maschi e una femmina caro.

Ho trovato un altro, non ti amo più.
Rosy perché, che ho fatto?
Nulla hai fatto ecco perché, non sei nulla.
Quella ha trovato il pollo giusto Gianluca.

Da domani tutti a casa, chiude l'azienda.
Sei a casa? Mi dispiace se non paghi l'affitto fuori.
Mi dispiace ma lei non ha i requisiti per questo lavoro.
Alla sua età anche se giovane non possiamo assumerla.

Padre dove posso mettere la mia valigia?
Figliolo in quell'armadio accanto ad Ivanovic
Padre ieri sono sparite due cose a cui tenevo.
Non puoi dare la colpa al tuo vicino se non hai visto.

Per favore sto cercando un lavoro.
Vai via barbone, non ho niente per gente come te.
Per favore ho bisogno di mangiare.
Vai a lavorare fannullone e lavati che puzzi.

Che freddo con 'sti buchi nei pantaloni.
Le scarpe sono andate ormai.
Oh grazie per questi vestiti signora.
Non ti preoccupare almeno indossi qualcosa.

Via di qui lurido, fuori dal mio locale.
Ho da pagare almeno un piatto.
Puzzi e fai scappare i clienti via!
Piove a dirotto che faccio?

La strada era stata lunga per arrivare in montagna, soprattutto se fatta a piedi mangiando cose trovate tra rifiuti o in mezzo ai campi e sugli alberi, no non era stato facile.
Quelle montagne che aveva visto durante una piccola vacanza da bambino in collegio, dove quell'uomo con la tonaca nera gli aveva messo la mano nei pantaloncini corti.
Quelle montagne le aveva amate, gli sembrava allora, di vedere il cielo ed il paradiso.
Dopo alcuni giorni di cammino e dormendo in qualche fienile sotto le stelle, come un fioretto fatto ad un santo, Gianluca era arrivato in quel posto che ricordava.

Ora è lì in bilico, solo su un pendio grigio dove solo dei rapaci lontani volano ad un'altezza incredibile.
Gianluca apre gli occhi e li vede, vorrebbe essere come loro, libero da tutto, volare nel cielo infinito felice e sereno.
Ora i suoi occhi guardano il profondo di quell'abisso mentre un leggero capogiro lo fa indietreggiare un poco.
Riguarda di nuovo quel punto lontano dove un serpente d'acqua chiara, scorre veloce tra rocce ed arbusti, che voglia di lasciarsi andare.

Un fruscio alle spalle, lo fa voltare nella direzione del rumore ed un cane bruno dal pelo corto e dagli occhi neri e seri lo stanno fissando.
Un guaito come un richiamo, Gianluca torna indietro verso quell'animale ed istintivamente porge alla bestia il palmo della mano.
Il cane con la lingua lecca quel palmo dalla pelle secca e rovinata poi strofina la testa alle sue gambe e Gianluca scoppia a piangere.

Pluto, Pluto dove sei?
Un guaito leggero
Ah sei li in alto aspetta che arrivo.
Un secondo guaito festoso
Aspetta e... Ah eccoti ma non sei solo.

No è qui vicino a me, l'ho visto poco fa.

E tu che ci fai qui da solo alla fine della strada?

Volevo solo vedere il paesaggio.

Sicuro?

Terzo guaito, gli occhi del cane sono intensi.

Sono Marco, vivo nella baita laggiù
produco formaggi e salumi  al paese più sotto
Siamo soli io e mio figlio ed è dura.
Tu che fai? Non ti vedo conciato molto bene
Qualcosa non va?

Mentre il sole sta tramontando dietro le vette, Gianluca con Marco e Pluto stanno camminando nella stradina che porta alla baita di quell'uomo con il cane.
Un raggio di sole li illumina prima di sparire dietro ad un costone, Gianluca sorride, forse qualcuno si occuperà di lui.
Forse la sua vita sta per cambiare e quel baratro lasciato alle spalle, rimarrà lì per sempre con nessuno che si butterà di sotto.
Marco mette una mano sulla spalla a Gianluca e come un figlio ritrovato lo fa entrare nella baita.
La porta si chiude alle loro spalle, Pluto rimane fuori in piedi a fissare l'orizzonte, mentre una stella brillante appare quasi all'improvviso nel rosso del cielo dopo che l'astro del giorno è scomparso al'orizzonte.

"Un altra anima salvata"

Un guaito e si accascia piano
scodinzolando sul tappeto morbido 
della veranda.


Giampaolo Daccò










martedì 13 febbraio 2018

BILANCI



BILANCI

Da un'immagine e l'altra sono passati poco più di cinquant'anni.
Cinquanta? Si cinquanta e passa...
Molte volte pensiamo. "Come sono volati." 
Ed invece no, non sono volati sono stati vissuti in modo normale, ora per ora, giorno per giorno, mese per mese, anno per anno.
Se ci si volta indietro sembra ieri ma è solo un'illusione, perché tutto passa. Il bene, il male, la gioia, i dolori, il divertimento ed il lavoro, gli amori e gli addii, le amicizie e gli avversari...
Se ripenso al bambino che ero stato, mi rivedo come un cucciolo sognatore e solitario.
La mia natura timida, educata e delicata, mi poneva al centro di bullismo, di angherie, di scherzi a volte davvero cattivi.
E sognavo... Sognavo, sempre.
Scrivevo, dipingevo, disegnavo, cantavo chiuso in camera mia, mia madre voleva che uscissi di casa spesso, mio padre no oppure a volte era viceversa.
I momenti felici erano stati vissuti dalle nonne in campagna, lontano da tutto in mezzo ad una natura colorata e segnata dalle stagioni, eppure anche lì mi sentivo già diverso dagli altri.
Non giocavo a pallone ma facevo ginnastica, non andavo a fare la "guerra" con amici ma scrivevo commedie che con qualche amichetta e qualche altro bambino recitavamo nel cortile della nonna.
Non volevo stare chiuso in casa ma a quell'età era anche il mio rifugio, d'estate in bicicletta scappavo tra le stradine di campagna da solo per sedermi in mezzo ai prati a guardare le nuvole che passavano e immaginavo lassù mondi diversi, con creature di luce o bellissime che vivevano felici.
Più avanti avevo subito molestie in un luogo di preghiera, poi botte da alcuni ragazzi più grandi, solo perché fisicamente ero delicato, di un aspetto dolce.
Era stato in quel momento dopo l'ennesime botte dai più grandi, a dodici anni che mi era venuta nella mente la voglia di suicidarmi, un pensiero che mi aveva assillato per mesi, come succede ora ai ragazzini che vengono colpiti da bulli ignoranti e stupidi.
Poi il primo amore mi aveva distolto dai cattivi pensieri, un amore nato in montagna lontano da tutti, in quel momento pur essendo ancora piccolo, avevo capito che sarei andato via di casa molto presto, ne sentivo già il desiderio.
E con la mia nuova cameretta da letto, non più divisa da quella di Francesca, avevo capito ciò che avrei voluto presto per me stesso, l'indipendenza.
Passarono anni, il militare fece il resto: a diciannove dopo averlo terminato ero andato a vivere da solo lavorando in una casa di moda, poi in discoteca e convivevo con la prima vera relazione della mia vita (una persona allora famosa dello spettacolo).
Poi come sempre la vita ti porta lontano, ti butta in una mischia fatta di dolori, di aiuti, di speranze, di cambiamenti, di lotte, di odio e di amori ed alla fine dopo poco più di cinquant'anni ti ritrovi qui, a scrivere cose che a volte non interessano e lo fai per te stesso come quando eri piccolo.
Non avevo lasciato intentata nessuna strada per arrivare, lo riconosco mi sarei pentito se non l'avessi fatto:
Teatro, danza, conferenze esoteriche, animatore estivo, accompagnatore di gruppi turistici, impiegato, commesso, pittore, giornalista, ghost writer, libri e blog...
Quante cose in cinquant'anni eppure sono passati e spero, ne passeranno ancora di anni perché nonostante tutto, nonostante le delusioni, sono curioso del futuro, ho voglia ancora di sperimentare, di provare di nuovo ad inventarmi e scoprire nuovi "mondi".
Se ripenso al bambino che ero io, quello che sognava tanto provo tanta tenerezza, ma non è rimasto quasi niente di lui adesso, solo due cose: la fantasia e la curiosità, le due doti che mi fanno sentire vivo con la voglia di crescere ancora.

Giampaolo Daccò

sabato 3 febbraio 2018

TI AVREI ASPETTATO...




TI AVREI ASPETTATO

Forse...
Forse lo avrei fatto.
Forse davvero, ti avrei aspettato.
Avevi promesso.
Avevi detto che ritornavi da me.
Anche se non era stata una grande storia.
Anche se non era La storia nostra.
Eppure... Forse... Ti avrei aspettato.

Appoggiato al muricciolo sopra la darsena, l'altro giorno guardavo il canale sotto di me mentre molte persone si aggiravano per quel luogo diventato così bello e divertente da attirare centinaia di uomini, donne, giovani e bambini, ogni giorno a qualsiasi ora.

Era tutto così diverso qui più di vent'anni fa, era meno attraente esteticamente ma sempre di grande fascino, la zona dei navigli dove con gli zii o la nonna ci andavamo soprattutto il sabato alla fiera di Sinigaglia, dove ogni bancarella che esponeva la propria mercanzia aveva il suo fascino, ma allora ero bambino.

Tu mi avevi visto in quel pub mentre mi gustavo una coppa di gelato, chiacchierando con un paio di amici, mi ero sentito osservato e girandomi avevo incontrato i tuoi occhi verdi e un sorriso leggero, mi era venuto da ridere e in quel momento esistevamo solo noi.

Due settimane dopo, il sabato pomeriggio, quando tutti e due eravamo liberi dal lavoro e dalle proprie famiglie, ci incontravamo sul Naviglio grande, per un gelato o per un caffè... Spesso ci amavamo appassionatamente in un albergo di un suo amico che, compiacente, ci metteva a disposizione una camera le cui finestre davano sul canale mentre il sole scendeva piano all'orizzonte, in quei lunghi sabati d'estate.

Non esistevano altri giorni per noi se non nelle lunghe telefonate, io con il mio lavoro e l'assistenza di una madre malata e tu con i tre figli, coniuge e suocera in casa che non permettevano a noi di avere una storia d'amore completa in tutto ... Eppure eravamo felici anche così.

Un giorno, seduti su un muretto sopra il canale, vicino ad un ponte lontano dalla darsena mi avevi detto che stavi soffrendo... Lo avevo capito da qualche giorno che qualcosa nei suoi occhi non andava, la sua sofferenza era la sua prigione,  una scelta fatta anni prima: quella di avere una famiglia e dei figli, solo per accontentare il desiderio e l'egoismo  della mamma ed del papà.

Che tristezza, avevo pensato ma non sapevo che dire e cosa fare ma avevo compreso che avrebbe fatto una scelta e nello stesso tempo pur volendomi bene, forse mi avrebbe lasciato. Era arrivata la fine di settembre, iniziavano le scuole... I suoi figli avevano la priorità assoluta su tutto, l'estate era finita e così anche la nostra storia dei sabati pomeriggio d'amore.

Guardandomi negli occhi mi aveva detto che per qualche sabato non c'era, aveva molte cose da fare tra famiglia, lavoro ed altro, avevo toccato la sua mano che, nonostante il caldo, era fredda, delicata ed avevo accarezzato la sua fede al dito.  Un bacio lungo aveva suggellato la sua fuga ed infatti dopo cinque minuti la sua figura era svanita tra la folla.

Mi aveva detto solo una frase prima di alzarsi dal muretto mentre io ero rimasto immobile cacciando indietro il magone che stava per arrivare, avevo solo abbozzato un sorriso triste: "Mi aspetterai il sabato al solito posto?" , al mio accenno di capo aveva sorriso mandandomi un bacio con la mano.

Un sabato.
Due sabati.
Tre sabati.
L'ultimo, il quarto.
Ed era finito anche ottobre.
Avevo aspettato per un lungo periodo di tempo.
Al solito posto, alla solita ora.
Poi avevo deciso.
Guardando il "nostro posto" avevo pensato "Addio".
Non sarei più tornato.
Non ti avrei più cercato.
Non ti avrei più aspettato.

Sono passati tanti sabati, tanti pomeriggi estivi di sole, tanti anni, a volte mi è capitato di ritornare in quella zona e vedere da lontano il posto dei nostri incontri, ma ogni volta evitato di soffermarmi per non vederle la sua figura aspettarmi come in un vecchio film o libro romantico.

Ognuno ora ha la sua vita e mi piace pensare che stia bene, che i suoi figli siano ormai genitori felici, ma non mi sono mai e ne mi ero illuso di esserne innamorato, anche se qualcosa di più di un'attrazione fisica e di un bene intenso c'era.

Eppure, allora
Ti avrei aspettato.

Giampaolo Daccò