martedì 8 aprile 2014

Quella notte


26.10.1991 ore 00.05,
seduto in quel corridoio chiaro dai contorni celesti, con le sue luci asettiche, bianche e le mani che coprivano la mia testa, sentivo il via vai di persone in camice bianco, che da una sala a fianco entravano in quella opposta dove c'era lei. Sapevo che qualcuno mi stava mettendo la mano sulla spalla ma in quel momento non vedevo nient'altro che il buio. La figura femminile in piedi in quella stanza era stata l'unica ad avere il permesso di stare lì, imbambolata quasi senza capire a guardare ciò che stava accadendo a sua figlia distesa su quel lettino pieno di macchinari. Alzai lo sguardo, 10 minuti dopo mezzanotte, l'orologio implacabile segnava il tempo che trascorreva lento insieme alla nostra angoscia. Da quel momento seppi che mai più sarebbe stato come prima. Le luci erano bianche ma avevano un aspetto lugubre, qualcuno uscì e disse alle altre tre persone con me, qualcosa... E dopo poco si ripartì per un ospedale più lontano... Ma quello fu l'ultimo viaggio, me ne resi conto nella disperazione e ciò che mi fece più male furono gli sguardi e le espressioni delle altre quattro persone sedute con me in auto mentre seguivano l'ambulanza chiara nella nebbia. Vedo questa figura e ripenso a quel momento, sono tre dolori che ci colpiscono in quell'istante, la paura che non ci siano più speranze, il dolore e l'impotenza negli occhi degli altri ed il sapere che davvero dopo ci sarà una fine.

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