26.10.1991
ore 00.05,
seduto
in quel corridoio chiaro dai contorni celesti, con le sue luci
asettiche, bianche e le mani che coprivano la mia testa, sentivo il
via vai di persone in camice bianco, che da una sala a fianco
entravano in quella opposta dove c'era lei. Sapevo che qualcuno mi
stava mettendo la mano sulla spalla ma in quel momento non vedevo
nient'altro che il buio. La figura femminile in piedi in quella
stanza era stata l'unica ad avere il permesso di stare lì,
imbambolata quasi senza capire a guardare ciò che stava accadendo a
sua figlia distesa su quel lettino pieno di macchinari. Alzai lo
sguardo, 10 minuti dopo mezzanotte, l'orologio implacabile segnava il
tempo che trascorreva lento insieme alla nostra angoscia. Da quel
momento seppi che mai più sarebbe stato come prima. Le luci erano
bianche ma avevano un aspetto lugubre, qualcuno uscì e disse alle
altre tre persone con me, qualcosa... E dopo poco si ripartì per un
ospedale più lontano... Ma quello fu l'ultimo viaggio, me ne resi
conto nella disperazione e ciò che mi fece più male furono gli
sguardi e le espressioni delle altre quattro persone sedute con me in
auto mentre seguivano l'ambulanza chiara nella nebbia. Vedo questa
figura e ripenso a quel momento, sono tre dolori che ci colpiscono in
quell'istante, la paura che non ci siano più speranze, il dolore e
l'impotenza negli occhi degli altri ed il sapere che davvero dopo ci
sarà una fine.
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