martedì 12 agosto 2014

VITTORIA



VITTORIA ARRIGONI STELLA


Sant'Angelo Lodigiano, fine primavera 1912.
"Vittoria, dai una mano a Cecchina, porta in casa la biancheria asciutta sulla panca nell'orto." disse sua madre Martina a una delle tre figlie, mentre ritirava il bucato steso dietro casa. Vittoria prontamente aiutò la sorella più piccola che camminava a fatica con in braccio tutti quei panni.
In casa Monica, la sorella maggiore stava stirando i panni dei cinque fratelli maschi e del padre che stavano fuori in campagna a lavorare, la povertà di quegli anni e il sentore dell'imminente guerra si facevano sentire ma in quella cittadina di campagna a pochi chilometri da Milano sembrava tutto immerso nella quiete.
Vittoria era una bambina dagli occhi grigio-azzurri molto taciturna, meno legata alla religione di tutta la sua famiglia che ogni sera recitavano il rosario prima di andare a dormire; aveva fratelli e sorelle di una bontà assoluta come la bellissima madre Martina che quando cantava aveva la voce di un usignolo, mentre il padre Pietro, era autoritario e severo e pretendeva dai figli il "Voi" al posto del tu ed il "Messiè" (tratto dal francese Monsieur) al posto di papà o padre. 
Funzionava così allora, in quasi tutte le famiglie, ma tutti loro nonostante lavorassero nel pomeriggio fin dalla tenera età, sapevano leggere e scrivere e nonostante tutto erano arrivati alla quinta elementare, solo Angel Maria il fratello bellissimo che aveva girato il mondo conoscendo le lingue, tranne Cecchina (Francesca) ed Alessandro che erano ancora piccoli: otto anni lei e quattro lui, l'ultimo della nidiata.
Vittoria nel tempo libero, quando tutti nel pomeriggio dormivano nell'assolata stagione, sognava ad occhi aperti una vita diversa, dentro di se sentiva l'ambizione di riuscire a far qualcosa di importante. Voleva essere una donna che lavorava come poche facevano allora, indipendente e come tutte, dall'alto dei suoi dieci anni, sognava il suo principe azzurro, un principe diverso che la trattasse alla pari, sogni che a quei tempi erano impossibili da realizzare.
Eppure come le sorelle ed i fratelli, le giornate erano scandite da ordini e lavori: un giorno inginocchiata sulla riva del Lambro intenta ad insaponare una camicia bianca, cadde nel fiume, le altre donne urlavano e cercavano di tendere dei rami per far in modo che potesse trovare un appiglio, ma lei che non sapeva nuotare, cercava di avvicinarsi alla riva mentre sentiva la corrente portarla lontano. Fu salvata da un suo coetaneo che la riportò sana e salva a riva. Quando lui uscì dall'acqua lei si accorse che era poliomielitico, ma aveva una forza incredibile nelle braccia ed aveva uno sguardo azzurro intenso, a quel tempo non sapeva ancora, ma quel giovane un domani sarebbe diventato lo zio di sua figlia, perché lei sposerà il nipote di questi.
"Vittoria stira questo, Cecchina aiuta il papà a mettere le ciabatte, Monica guarda la polenta sul paiolo mentre io preparo la tavola. Sandrino guarda se nel cortile c'è Gerolamo (Gerumèn), Angel Maria e Cechèn (Francesco) e chiamali che è quasi pronto." disse  la loro madre mentre sistemata tutto per il pranzo.
Vittoria le veniva da ridere nel vedere a tavola mentre pranzavano, seduti a fianco Francesco chiamato Cechèn e sua sorella minore Francesca chiamata Cechìna, certo che papà e mamma non ebbero molta fantasia nel dare i nomi al figlio maggiore e la figlia più piccola, un po' le dava fastidio che venisse chiamata Vitòria con una "t" sola, ma allora si parlava il dialetto e l'italiano era un lusso che pochi potevano permetterselo nonostante la famiglia era di buone condizioni.
Eppure lei nel suo angolo privato, nel suo cuore e nella sua mente era felice... Felice quando era sola e poteva pensare a tutto ciò che voleva, quando non doveva lavorare od aiutare qualcuno in famiglia.
Era una bella famiglia anche esteticamente, tutti alti con occhi chiari i maschi (angel maria poteva fare l'attore a Hollywood) e loro le femmine bellissime con capelli di seta, Vittoria ricorda che un giorno Gerumèn (veniva chiamato così Gerolamo) per sbaglio nel giocare diede uno schiaffo a Monica e le fece male, lui scappò di casa per due giorni in preda ai rimorsi e al dolore di aver ferito la sua amata sorella, lo trovò Angel Maria, in un campo alla periferia, nascosto in un fienile, un campo chiamato "quél di Purèn", un soprannome del proprietario che non era certo uno di quelli che faceva fatica a lanciarti dietro una falce se ti trovava nelle sue proprietà. 
Angel Maria lo convinse a tornare e quando fu in casa si mise in ginocchio davanti a tutti a chiedere scusa di una cosa banale e stupida. Monica lo abbracciò forte. Cose da libro cuore certo, ma accadute veramente, dove a quei tempi regnava il vero bene incondizionato.
Che ingenuità, eppur vedendo quell'episodio, Vittoria si rese conto di essere una bambina strana, non sarebbe riuscita a dimostrare davanti a tutti quello che aveva fatto Monica, si sentiva più chiusa e taciturna, protagonista di un destino diverso, come davvero lo sarà in futuro.
Finita la guerra, con tre fratelli tornati dal fronte, la sorella Monica morta di "spagnola" la terribile malattia del dopo guerra che fece milioni di vittime, ne morirono tre a Sant'Angelo tutte giovani ragazze, il padre ammalato, lei e Cechina si diedero da fare col lavoro, la prima fini al cotonificio e l'altra imparò il commercio di stoffe.
Con gli anni i maschi e lei si sposarono ma tre di loro morirono giovani dopo la scomparsa del padre. Angelo Maria lasciò vedova Giuseppina con quattro figli, mia nonna lo rimase anche lei dopo poco perdendo oltre al marito anche due figli. 
Dwstini tragici ed uguali.
Ma appena finita la seconda guerra mondiale, le due donne unite da forza e coraggio imbattibili (zia Giuseppina fu la prima donna a prendere la patente e guidare un camion) senza mai dimenticare i loro mariti, si imboccarono le maniche e portarono le loro famiglie avanti senza mai perdersi d'animo. 
Rimasero in casa con la madre anziana, Alessandro e Cechina, e quando Sandrèn si sposò "a tarda età", Vittoria andò ad abitare con la madre Martina e la sorella, portandosi dietro le  due figlie rimastele, mi amadre e zia Domenica.
I decenni passarono, Vittoria lavorava a Milano vendendo stoffe, tornava alla sera stanca ma in casa loro ormai non mancava nulla, radio, televisione, si poteva mangiare dal primo alla frutta, mentre alcune famiglie non potevano ancora permetterselo. 
Quando andò in pensione pochi anni dopo, si ammalò di cuore e dovette mettersi completamente a riposo, però Vittoria ebbe la gioia di diventare nonna dalle figlie Angela e Domenica, di tre nipoti pestiferi: Giampaolo, Francesca ed Emilio, ma nei suoi occhi chiari, nonostante le avventure dure della sua vita, si potevano notare ancora i sogni, i sogni che l'hanno seguita fin da bambina e che raccontava a suo nipote Giampaolo, il maggiore che oltre agli stessi occhi era un sognatore come lei, quando tutte le sere le faceva compagnia mentre era nella sua camera.
Morì tranquillamente nel suo letto assistita dalle figlie e dalla sorella Cechina mentre invocava il nome di suo marito che stranamente era scomparso esattamente trent'anni prima nello stesso giorno e che mai aveva dimenticato, un amore grande e più forte del tempo. Forse da quel momento i suoi sogni si erano realizzati in un altro mondo.
Oggi avresti compiuto 112 anni e trovando una foto di quando eri giovane nell'album di famiglia, mi sono piombati nella mente il tuo ricordo ed i tuoi sogni, di quando me li raccontavi mentre ti facevo compagnia la sera nel tuo letto, dove stavi seduta con in spalla una liseuse di seta ricamata con dei fiori tenui e mi guardavi con quegli occhi intensi, di quel colore uguale al mio. 
Tanti auguri nonna Vittoria.

Giampaolo Daccò Dos Lerèn

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