mercoledì 29 giugno 2016

MANI UNITE



MANI UNITE

Insieme camminiamo
da tanto tempo
ci teniamo stretti
affrontando il tempo,
i pericoli, le gioie, i dolori.
Insieme affrontiamo il destino
quello che si è stato dato,
imposto e scelto.
La strada la vedo lunga
piena di tortuosi ostacoli
ma ne sono sicuro che
insieme li affronteremo tutti.
Tenendoci stretti per mano.
Tu sai che voglio dire,
cosa significano queste parole.
Tu sai quanti sacrifici
ci hanno avvolto in questi
lunghi anni d'amore.
Le nostre mani
non si lasceranno mai
solo quel giorno
ancora lontano,
dove ci ritroveremo ancora
per mano in un altro mondo,
in un altro universo ma,
sempre insieme.

GpDS





           

giovedì 23 giugno 2016

LA FINESTRA



LA FINESTRA

Guardo fuori dalla finestra
color della notte e d'oro
sul mondo che non vediamo
e non ci sei più
eppure un tempo
riuscivo a vederti
riuscivo a parlarti
ma ora davanti a me
la finestra è chiusa
dai vetri non vedo 
che una luce dorata
e poi il nulla
dentro di me solo
una voce che mi dice
ormai vai per la tua strada

GpDS


lunedì 20 giugno 2016

IL FREDDO DENTRO



IL FREDDO DENTRO

I piedi senza scarpe, le quali erano appoggiate sulla sabbia umida e scura davanti a quel largo fiume torbido, il freddo che penetrava tra le dita, poi su fino alle caviglie... 
E mentre cercava di non pensare al gelo di quell'acqua senza contorni, come un brutto scherzo, uno squallido gioco insinuante, la mente di quel sedicenne disperato e solo, subito gli fece venire a galla pensieri e ricordi disperati, ricordi di quella breve vita.
E più proseguiva nell'acqua, più riaffioravano cose che mai avrebbe voluto rivedere. 
Quel pomeriggio d'autunno, mentre stava per imbrunire il cielo, Stefano si era messo il vestito più bello che aveva: un abito elegante, grigio scuro, con la camicia di seta e la cravatta blu notte, quella di suo padre.
La strada che costeggiava il fiume non era lontana e quando era uscito di casa, si era subito avviato tra i prati scoscesi verso quel fiume scuro come la sua anima.
Aveva deciso, sarebbe stata la sua ultima casa. 
Nella mente, mentre l'acqua fredda lambiva ormai le sue ginocchia, tornarono tutte le frasi dettategli da quell'uomo che lo aveva messo al mondo e che da quel giorno l'aveva odiato, perché lui, Stefano era stato solo un pacco ingombrante, soprattutto dopo la nascita di un'altra creatura in quella famiglia gelida, una bimba subito amata all'inverosimile, al contrario di lui.
Aveva passato il tempo a chiedersi il perché, a rimediare o meglio a cercare di farsi voler bene, di eliminare quell'astio nei suoi confronti, un astio che mai aveva compreso, fino a quella sera in cui lui, suo padre, disse alla succube moglie, schiava di quell'uomo: "Da quando è nato mi ha rovinato la vita".
Era scappato in mansarda per non sentire altro, aveva solo otto anni.
L'acqua era a metà delle sue cosce e mentre proseguiva nel fiume e nei suoi ricordi, rimbombavano queste parole, parole lunghe sedici anni:

"SEI UN BAMBINO STUPIDO"
"CHE FIGLI IGNORANTE CHE ABBIAMO AVUTO"
"VATTENE IN CAMERA TUA, MI DAI FASTIDIO"
"TUA SORELLA E' PIU' INTELLIGENTE DI TE"
"SMETTILA DI FISSARMI"
"GUARDA CHE MI HAI STANCATO"
"MAI VISTO UN INCAPACE COME TE"
"DA CHI HAI PRESO NON SI SA"
"QUARDA TUA SORELLA COM'E' BRAVA A SCUOLA"
"ERA MEGLIO CHE NON NASCESSI"
"NON VOGLIO CHE FREQUENTI QUESTO... QUELLO... QUELL'ALTRO..."
"VAI DA TUA NONNA ALMENO PER UNA SETTIMANA COSI NON TI VEDO PER UN PO' "
"EH CARI AMICI, PURTROPPO E' CAPITATO A ME QUESTO FANTOCCIO DI FIGLIO"
"MI SOMIGLIASSE ALMENO"
"TI MANDIAMO IN COLLEGIO FINO 
ALLA MAGGIORE ETA' "
"SEI SOLAMENTE UN INETTO"
"MI DOMANDO PERCHE' SEI NATO QUEL GIORNO"

I ricordi erano spariti in un attimo quando Stefano, si era accorto che l'acqua era arrivata al suo mento, due passi piccoli e sarebbe sprofondato nella melma di quell'ansa oscura, sapeva che lì c'erano i mulinelli pericolosi, sapeva che l'avrebbero inghiottito e fatto finire chissà dove.
Gli era venuto da ridere a pensare cosa sarebbe successo agli altri dopo aver saputo tutto, ma non gli importava nulla, non era più necessario saperlo, fuori da quell'acqua non c'era più nessuno ad aspettarlo e a chiedersi il perché, non era mai stato accettato.
Aveva sorriso al primo mulinello davanti a lui, pensò a sua nonna lassù in chissà quale parte del cielo, chiuse la bocca e prosegui, sparendo in quel fiume torbido.
Giù sempre più giù, il respiro trattenuto istintivamente si aprì e un mare di acqua putrida entrò nel suo corpo e si senti portare via per sempre dal nero dov'era finito.
Stefano aveva aperto gli occhi in quell'istante, era solo un sogno, una fantasia dettata dalla mente piena di dolore. Era quasi sera, la luna filtrava dalle tende della sua camera e sentiva le voci di sua madre e sua sorella sotto in soggiorno.
Si era alzato dal letto ancora vestito da quando era tornato da scuola, ed avvicinato alla finestra, in quell'istante comprese che mai avrebbe potuto fare una cosa del genere, almeno non in quel modo.
In un istante, come se una luce bianca l'avesse trapassato nell'anima, vide le sue mani prendere una valigia, mettere dentro la maggior parte delle sue cose, qualche fotografia importante e piccoli oggetti cari, chiuderla con forza e liberazione.
Voleva scendere da sua madre e dirle che nonostante tutto le voleva bene, ma con un sorriso amaro, si era messo il giaccone pesante, prendendo la valigia in mano era corso già dalle scale di servizio.
In un istante si era ritrovato in strada, un sorriso davvero bello si era stampato sul suo viso e il futuro si era aperto davanti a lui. 
La stazione del treno si faceva sempre più vicina e così il suo avvenire, a qualsiasi costo. Girando l'angolo, una nebbiolina incominciava a salire dal fiume, ben presto Stefano avrebbe lasciato alle spalle tutto questo.
GpDS






martedì 14 giugno 2016

UN TRAM NELLA SERA


UN TRAM NELLA SERA
Sara guardava le vetrine illuminate dei negozi fuori dal finestrino del tram che sfrecciava veloce in Piazza Firenze a Milano. Le luci del tardo pomeriggio di quel ponte delle feste di Sant'Ambrogio, davano al paesaggio cittadino una luce azzurra mista ad una leggera nebbia che saliva dall'asfalto bagnato, grazie ad una breve nevicata del mattino quasi subito sciolta.
Dentro di se, sentiva un dolore ed una tristezza che l'avrebbe accompagnata fino a casa, pensava alle ore precedenti, al suo comportamento ma anche al dolore nel cuore, di una storia che fino a qualche settimane fa, le aveva lacerato il cuore.
Si era lasciata con un uomo che al momento sembrava dolce e protettivo, quando iniziò la convivenza il "mostro" gettò la maschera, rivelandosi: meschino, mammone, bugiardo.
Cercava di metterla in difficoltà in ogni modo e ogni cosa era colpa sua ma, ogni suo gesto non andava bene, una donna che non vale niente le disse una volta.
Per fortuna quella storia finì in una sera tiepida di fine estate, subito dopo cena e dopo essersi insultati e lo schiaffo di lei, violento come uno sfogo represso da mesi, si sovrappose tra loro un muro di cemento ed ognuno finalmente, prese la sua strada. Lei col cuore a pezzi per aver creduto ed essere stata presa in giro.
Poi in una sera di novembre uscendo con qualche amica, conobbero in un locale pieno di gente sul Naviglio Grande, un gruppo di ragazzi e fu amicizia tra loro come succede spesso tra i trentenni solitari che cercano nuove compagnie, tra loro Claudio.
Lei aveva colpito quel ragazzo con il suo sguardo pulito, quegli occhi verdi chiari così limpidi, Sara si era sentita per un attimo emozionata nel guardare quel sorriso di lui, caldo, dolce e sincero, così nel giro di qualche giorno, dopo essersi scambiati il numero di telefono, si sentirono spesso.
Poi venne l'occasione di passare un paio di giorni insieme, grazie alle festività di dicembre, quell'anno il ponte di Sant'Ambrogio a Milano, sarebbe stato lungo quattro giorni.
Si erano trovati il sabato mattina in centro, una colazione in un bar famoso e subito una lunga passeggiata e tante parole, per conoscersi, per capirsi, per piacersi mentre un leggero nevischio incominciava a scendere dal cielo scuro.
Lei ascoltava la voce calda di quel coetaneo biondo, dai capelli rasati che le raccontava la stessa storia vissuta da lei poche settimane prima, si sentì talmente coinvolta che quando lui le propose: "Vuoi passare due giorni a casa mia? Giuro che non ti violenterò!"
Ridendo alla battuta quasi subito disse si.
La casa di Claudio era molto bella, ottavo piano di un bel palazzo moderno verso viale Certosa, un appartamento con mobili essenziali, caldi, di colori tenui, lui le mostrò ogni spazio, ogni camera dando la spiegazione per quelle scelte di mobili, oggetti, colori e a lei piacque subito quella casa.
Accogliente, serena, vivace come doveva essere lui ma all'improvviso la foto di una donna appoggiata su un mobile attirò la sua attenzione e mentre Claudio incominciava a preparare per loro qualcosa in cucina, raccontandole di quanto se la cavava benino in piatti lombardi, si ritrovò la foto nelle mani.
Il volto di quella donna mora, con occhi scuri e duri, dal sorriso tirato, emanava poca simpatia da quel ritratto, alle sue spalle la voce di lui.
"E' lei, è Luisa"... le prende la foto dalle mani e l'appoggia sul mobile. "Direi che è un passato da tenere nei ricordi."
Allo sguardo interrogativo di lei, Claudio capì che voleva una spiegazione del perché quella foto fosse ancora lì, del perché era presente per ricordare la storia sofferta che lui aveva passato, nonostante le sue parole di poc'anzi.
Claudio le spiegò tutto dopo pranzo, lui non riusciva a dimenticarla completamente, ma cercava in tutti modi di poter allontanare quello spettro dalla sua vita.
Poi dopo il caffè, mentre la luce azzurra del pomeriggio nuvoloso incominciava ad incorniciare il paesaggio, l'atmosfera strana di quei colori e profumi invernali fece una specie di magia nella loro mente, in modo che si ritrovarono a letto eccitati da un'attrazione strana.
Tra quelle coperte calde, Sara sentiva le mani forti di lui accarezzarla, il suo corpo nudo contro di lei mentre le sfiorava il collo con baci delicati. All'improvviso lo squillo del cellulare di lui, li fece sobbalzare. Rispose scusandosi, lei annuì paziente.
La telefonata finì presto ma Sara aveva capito subito: era l'altra, infatti il viso bianco di lui tradiva l'emozione.
In quel momento voleva scappare via, ma Claudio era già accanto a lei mentre cercava di accendere i suoi sensi, con un bacio sul seno. Sarà non sentiva più nulla, cercava di provare l'eccitazione di prima ma, la telefonata aveva rotto quella magica atmosfera.
Claudio se ne accorse, si staccò da lei e si appoggiò allo schienale del letto con lo sguardo rivolto alla parete.
"Scusami Sara." disse con un filo di voce.
Lei rispose di non sentirsi in colpa e che forse è stata lei che aveva sbagliato ad accettare così in fretta la sua proposta di stare insieme per due giorni ma lui, quasi sembrò non averla sentita proseguì.
"Lei viene qui ogni tanto, almeno una volta al mese o anche due e me la ritrovo nel letto come tutte le volte. Mi ha lasciato per un altro, ma quello che... Quello che prova per me è tutt'altro mi dice ogni volta che la ritrovo qui. Io mi odio e la odio ma non riesco a staccarmi questa specie di follia che mi impedisce di essere libero e "fermarmi" con una donna speciale come te. Ti ho capita subito, mi sei piaciuta subito, speravo che in questi due giorni qualcosa sarebbe cambiato e..."
E lei dopo un'ora era già su quel tram mezzo vuoto, che sferragliava nel centro di Milano, tra pochi minuti sarebbe arrivata a casa sua. Sapeva che avrebbe pianto per se stessa, per quell'uomo che l'aveva lasciata, per Claudio così dolce e prigioniero di un passato troppo presente nella sua vita, per Claudio che aveva deciso di non vedere più.
Il tram proseguì nella sua corsa sui binari tra le piante spoglie e scure come l'animo di lei, le vetrine lucenti dei negozi facevano da cornice a quel passaggio del mezzo e presto, questi sparì dietro una curva.
Il cielo ormai era diventato nero e ricominciava a nevicare, la buia sera era arrivata insieme alle sue ombre, ombre che vivranno anche negli animi di molte persone.
Giampaolo Daccò



lunedì 6 giugno 2016

UN BAMBINO ASPETTA



UN BAMBINO ASPETTA

07 giugno 1972, ore 18.30
Paolo stava seduto sui gradini di casa e con gli occhi chiari fissava il castello oltre le mura a pochi metri da lui.
Vedeva le rondini volare nel cielo e qualche piccione sui tetti del grande maniero di quella cittadina di campagna.
Stava lì con lo sguardo fisso nel cielo dove poche nuvole bianche erano quasi ferme sopra di lui, mentre il caldo della giornata si stava attenuando sul far della sera ancora luminosa. 
Il sole non era ancora al tramonto e la luce leggermente meno forte filtrava dalle palazzine dietro la curva della strada.
Stava aspettando, stava aspettando un notizia, una delle prime più brutte della sua vita.
Era da solo in casa e per dare una mano ai suoi aveva messo a bollire una pentola di acqua calda, così quando sarebbero tornati, almeno un piatto di pasta, l'avrebbero forse, trovato sul tavolo, già preparato per la cena.
A undici anni sapeva già come fare, ed intanto si era seduto ad aspettare.
Sapeva che i suoi erano al capezzale della nonna ormai pronta per il suo ultimo viaggio, la nonna che abitava a neanche trenta metri dalla sua casa.
Non lo vollero con loro, già si era spaventato il giorno prima, nel vedere la sofferenza della nonna tanto amata che pianse tutta sera.
Paolo non voleva che la sua nonna morisse, gli aveva insegnato il significato delle erbe, di come creare unguenti, di come si usavano le pietre durante le fasi lunari... E poi ricorda quella frase detta a lui mentre tornavano dal fiume, su quella strada piena di alberi di sambuco.
"La tua nonna se ne andrà presto, lo sento, ma ti dovrò lasciare un segno prima... Sei l'unico che lo potrà avere ed usare..."
Non aveva capito Paolo cosa significasse quella frase, lo comprese pochi mesi prima quando a lei dissero delle brutte parole in un ospedale lontano dalla sua cittadina.
Aveva avuto il segno e da quel giorno, il ragazzino di undici anni "era cresciuto in maniera diversa con una consapevolezza e conoscenza sconosciuta ai suoi amichetti".
Sapeva che l'ora si stava avvicinando, i minuti passavano e non si era accorto che l'acqua sul fuoco non c'era più e l'odore di bruciato lo aveva scosso dai pensieri.
Appena entrato in casa spense il fuoco del fornello, ma la pentola era ormai bruciata, un fumo leggero a forma di spirale stava salendo dal centro della pentola.
Si era girato verso l'orologio sul mobile accanto "ore 18.46"
A Paolo era venuto nella mente un pensiero "E' andata via ora, la spirale del fumo me lo ha segnato".
Corse fuori in strada e vide l'altra nonna con la mamma uscire dal portone del cortile con i visi tristi, si era fermato e aspettava che loro due si avvicinassero.
Appena fu accanto a lui, la mamma gli accarezzò la testa "E' andata vero?" aveva detto il ragazzino guardandola negli occhi.
Al cenno della testa della mamma, Paolo sentì qualcosa dentro e si mise a guadare il cielo mentre le due donne attratte dall'odore del fumo entrarono di corsa in casa.
Paolo non le ascoltò quando gli chiesero che cosa era successo, lui stava osservando il cielo, una piccola nuvola dipinta di rosa dal sole che stava scendendo a ovest, stava volando veloce nel cielo, sciogliendosi in breve tempo fino a sparire.
"Ciao nonna Maria." aveva pensato in quel momento, sentiva che forse con quella nube, gli aveva mandato il suo saluto così, l'ultimo dato a quel bambino tanto amato da lei.
Si era seduto sui gradini di casa e i suoi pensieri fuggirono lontano, su quella strada che costeggiava il fiume piena di alberi di sambuco, insieme a lei, la sua nonna che un tempo gli aveva insegnato tante cose belle e strane.