venerdì 13 aprile 2018

IN ATTESA DEL TRENO



IN ATTESA DEL TRENO

Che strano trovarmi qui, in questa stazione in un giorno tiepido di primavera, mentre la rugiada del mattino dona questo paesaggio un qualcosa dei dipinti di Monet, con i suoi paesaggi chiari e delicati.
Guardo l'orologio sono le dieci e trenta dell'undici aprile, il treno dovrebbe arrivare a momenti, almeno questo mi avevano assicurato.
Se penso a ciò che ho lasciato alle spalle mi viene da piangere, ma nello stesso tempo sento dentro di me, una contentezza e serenità mai provata.
Eppure è per lui che ho lasciato un marito adorabile che avevo sposato più di vent'anni fa, è per lui che ho abbandonato due figli alla soglia della laurea e due genitori che hanno fatto tanto per me e dopo per la mia famiglia...
Quando poco più di un anno fa ho incontrato lui, non sapevo che avrei preso la decisione, quasi involontaria, di lasciarli per "colpa" o "merito" di quella conoscenza.
Ho molto sofferto in questi mesi, si lo confesso, ma non avevo scelta se non di abbandonarmi ad una nuova vita con lui. Avevo capito che spesso la vita ti riserva sorprese che richiedono decisioni e sacrifici importanti.
Lui è stata una di quelle decisioni che avevano cambiato tutto.
Non voglio pensare alla sofferenza dei miei cari, ma queste due valigie che mi porto appresso me la ricordano. 
Perché lasciare tutto ciò che avevo ed ero pure felice in un certo senso, per seguire quel'altro che non mi aveva dato tregua per mesi fino al mio cedimento?
Non riuscivo a capire come si possa avere il coraggio di affrontare tutto questo ed accettarlo mentre negli occhi dei miei, quando avevo detto loro: "Me ne vado via", ho visto una sofferenza indicibile e sentivo il mio cuore spezzato, ma ormai non potevo più tornare indietro.
Ecco ora sto aspettando questo treno che sembra non arrivare mai, so che la mia metà non è vicina, quella dove inizierò una nuova vita, ma davvero quest'attesa è snervante.
Oh una donna si sta avvicinando, meno male che non sono più sola, non sembra una zingara anzi.
"Buongiorno signorina" mi dice sorridendo. La guardo è una bella signora vestita di verde con occhi vispi e i capelli bianchi raccolti in uno chignon anni sessanta.
"Buongiorno a lei signora..." le dico guardando l'orologio "Se prende anche lei il treno delle dieci e trenta, credo proprio che partiremo in ritardo di un po'"
Sorride e la sua risposta mi sconcerta.
"Le importa tanto di un piccolo ritardo? Ha un appuntamento importante?... Io prendo spesso questo treno ma ormai alla mia età ma anche quando ero giovane, non mi sono mai turbata dei ritardi, tanto prima o poi si arriva alla meta. Forse il ritardo dipenderà da quanta gente sale."
"Già, forse ha ragione lei. Io spero che ci sia un posto, mi sono dimenticata di prenotare, ma..."
"Ma un posto c'è sempre su questo treno, le assicuro." conclude lei la mia frase sorridendomi, eppure nei suoi occhi c'è qualcosa di affettuoso misto a pena, che donna strana, però mi da un senso di tranquillità, stare da sola qui in questa stazione non è molto piacevole.
Apre la sua borsetta color paglia ed estrae un foglio mettendosi a leggerlo, qualche secondo dopo alza lo sguardo e mi sorride di nuovo.
"Sembra tutto a posto signorina, penso che il treno stia per arrivare, anzi eccolo..." dice alzandosi.
"Oh già è vero eccolo, finalmente." mi alzo e mi trovo accanto a lei che istintivamente mi tocca la spalla in modo affettuoso. 
Un treno dai colori argentei, moderno e pieno di persone si ferma sui binari di fianco a noi. Non scende nessuno, che strano ma il capotreno si affaccia dalla porta aperta e saluta con una mano la signora, probabilmente si conoscono da tanto e davvero lei viaggia spesso su quella tratta.
"Prego salga pure" mi dice con una voce dolce mentre avrei dovuto far salire lei per prima vista l'età "Arrivederci signorina Adriana".
Mi volto di colpo mentre ero già nel treno, come faceva sapere il mio nome? Chi era quella donna? E le mie valigie? Sono rimaste a terra accanto a quella donna.
Il treno chiude le porte e lei rimane sui binari facendomi un cenno di saluto, non riesco a capire, è tutto molto strano anche se in un certo senso c'è una specie di armonia positiva in questo posto sul treno.
"Prego signorina Silvana, venga il suo posto è quello, il numero quarantasei, vicino al finestrino, così potrà vedere il magnifico paesaggio. E non si preoccupi per le sue valigie, arriveranno col prossimo treno"
La voce del capotreno, un uomo dagli occhi verdi e brillanti mi rincuorano dal senso di panico che mi stava sopraggiungendo dentro al cuore. 
Seduta al mio posto con vicino delle persone simpatiche, osservo in silenzio i monti e la vallata che circondano tutto, fino a che il treno entra in una galleria.

Bologna, 12 aprile.
Alberto tiene per mano Luca ed Antonio, i suoi figli mentre alle spalle i suoi genitori ed i suoceri piangevano in silenzio, si udivano solo i passi sulla ghiaia di quel vialetto pieno di aiuole di un camposanto di periferia.
"Povera Adriana..." pensa l'uomo stringendo le mani dei suoi figli "Sei andata via per sempre lasciandomi solo con loro. Ora che farò senza di te? Quel male terribile, quello che tu chiamavi Lui, il mio rivale, ha vinto la sua battaglia e ti ha portata lontano chissà dove e chissà su quale treno. Ti amerò, ti ameremo sempre piccola mia ovunque ora tu sia".

Il cielo sembra farsi più azzurro, un treno è arrivato chissà dove a destinazione insieme ad Adriana, un treno che partirà e tornerà sempre da un posto che nessuno conosce se non chi ci salirà una sola volta nella vita.

Giampaolo Daccò.

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