martedì 17 marzo 2015

Vedere il cielo da una finestra


Marzo 1966
   In ginocchio su una sedia, con i gomiti appoggiati sul davanzale interno della finestra che dava sul cortile, guardavo dalle inferriate il cielo di quel pomeriggio di fine inverno.
     Il profumo del the appena fatto dalla nonna si spargeva nella grande cucina col camino ancora accesso, una cucina dai mattoni rossi come pavimento, dove suppellettili in stile provenzale davano un tocco romantico a quella casa di paese, posta nella parte più vecchia e popolosa.
     Sentivo in lontananza le voci della nonna e delle zie parlottare fitto fitto, era una tradizione quasi, quella del the nel pomeriggio, spesso arrivavano le vicine di casa, le cugine, le zie, così potevano raccontarsi pettegolezzi e storie sapute al mattino magari nel giorno di mercato.
     Io, come tutte le volte appena tornato dall'asilo, bevevo il mio the mangiando biscottini a forma di animali e poi, se il tempo era bello correvo nei cortili a fianco a giocare con altri bambini oppure mi mettevo nell'orto a vedere se spuntavano qualche foglia d'insalata, ma quando c'era brutto tempo, mi piaceva stare alla finestra ed osservare camini, tetti, case e soprattutto il cielo.
     Mi piaceva guardare le nuvole grigie che correvano verso nord oppure verso sud, adoravo sentire la pioggia battente oppure il tuono del temporale con i suoi fulmini... Non avevo paura come una zia che copriva tutto con le lenzuola e si metteva a letto infischiandosene di tutto e di tutti.
     Cosi ad occhi aperti sognavo di volare su qualche aereo che mi portasse a New York (non so perché ma quando pensavo a qualche città o posto, mi veniva in mente quella metropoli e chissà come mai, io la immaginavo sempre in bianco e nero nella mia fantasia), pensavo al cielo dei paesi del Nord e dell'Est e credevo fosse sempre così: plumbeo e ventoso.
    Quel pomeriggio mentre avevo la testa appoggiata ad un braccio e gli occhi puntati in alto li vidi, vidi due stormi di uccelli migratori a forma di V, a poca distanza l'uno dall'altro... Non volli chiamare nessuno mi sembrava di rubare un segreto, mentre loro volavano alti nel cielo, davanti la guida e dietro in perfetta formazione gli altri.
     Mi chiesi chissà quale razza fossero e corsi fuori in cortile sotto lo sguardo stranito delle donne presenti. Vicino al pozzo al centro potevo spaziare lo sguardo fin oltre le case vicine e quei due gruppi volavano lenti sopra di me, all'improvviso vidi una cosa strana.
     Un uccello dalle grandi ali, da una fila sulla sinistra si spostò davanti mentre il capo gruppo lentamente lasciò passare alcuni di loro e prese il posto dell'altro. Mi sembrò una stranezza e prima che formulassi un pensiero, la voce di un ragazzo che abitava vicino mi fece girare. Mi prese sulle spalle e disse:
     "Vedi Paolino? Quello che ha preso il posto del capogruppo, l'ha fatto per dare il cambio, probabile si sia stancato e mettendosi dietro al posto dell'altro, sfrutta la scia provocata dalle ali degli altri, sentendo meno la fatica e recuperando energie."
    "La faranno tutti questa cosa?" chiesi non distogliendo mai gli occhi da quello spettacolo sotto le nuvole grigie.
     "Si certo, dandosi il cambio e riposandosi molti chilometri più a nord, piano arriveranno in qualche paese in Europa per l'estate e a ottobre faranno ritorno da dove sono venuti." mi rispose mettendomi giù.
     "Li rivedrò ancora?"
   "Se sarai fortunato si... Spero di esserci anche io così li vedremo insieme..."
       Più tardi le ombre della sera stavano già coprendo tutto intorno ma stavo ancora lì alla finestra a ripensare ai due stormi di uccelli che volavano lenti verso il nord. Ricordo che nacque in quel momento la mia voglia di viaggiare, sopita chissà dove fino a quel pomeriggio. Voglia di scoprire nuovi posti, di conoscere nuove persone e nuove città e fu anche la prima volta che non pensai a New York come meta.
     Ora mi capita ancora di stare alla finestra ed osservare il cielo, ma in questa grande città non ho più visto nessun stormo volare alto e nessun capo gruppo darsi il cambio, così chiudo gli occhi e ripenso ad allora, tutto sembra nuovamente reale: lo stormo ed il picccolo bimbo appoggiato al davanzale interno di una casa di campagna, le nuvole scure e lo stupore negli occhi.

Giampaolo Daccò
     

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