La luce era diversa, quel giorno su Clashik. Non accecante, ma avvolgente come un abbraccio che arriva da lontano. I cristalli cantavano in frequenze che non avevo mai sentito, e l’Aria—se così si può chiamare—sembrava vibrarmi dentro.
Mi trovavo sotto l’Albero Cosmico, le sue radici erano raggi che penetravano lo spazio, le foglie... dischi di luce che si aprivano come petali.
Poi lo vidi.
Sananda non camminava, si muoveva come il pensiero che anticipa il passo. Il suo volto era giovane e antico allo stesso tempo, come se portasse millenni di compassione in uno sguardo quieto.
“Mistral”, disse senza muovere le labbra. “Tu hai guardato il cielo, e non ti sei fermato alla superficie. Hai visto ciò che altri chiamano follia, e lo hai riconosciuto come richiamo.”
Mi invitò a toccare l’Albero. Appena posai le mani, un’ondata di memorie mi attraversò: volti dimenticati, stelle che avevo sognato da bambino, un battito che non era mio ma universale.
Sananda sorrise. “Tu vieni dalla Terra, ma non solo. Sei ponte, sei antenna, sei ascolto.”
Mi raccontò che ogni volta che un umano guarda il cielo con amore, una vibrazione raggiunge Clashik. Mi mostrò le spirali che legano il cuore umano alla Fonte, e mi disse che il viaggio non è mai stato fuori… ma sempre dentro.
Prima di andare, tracciò con il dito un simbolo sul mio polso. Lo stesso del sigillo arcturiano. “Non dimenticare chi sei, anche quando nessuno lo capisce.”
E svanì tra le frequenze.
Mistral Wind-Artik
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