venerdì 5 febbraio 2016

PARIGI, nostalgia di ricordi indimenticabili








Sul mio blog “Fantasia e Realtà” ( giampaolod.blogspot.com ), ho raccontato qualche avventura accadutami a Parigi insieme al mio amico Louis, avventure di anni fa, piacevoli e bellissime che solo questa stupenda città può dare. Così è stato anche il mio "viaggio di nozze" molti anni dopo, venti giorni quasi magici per ritrovare la città che molti anni prima conoscevo bene e che non avrei mai scordato per tutta la vita, sperando anche di ritrovare qualcosa di quel mio trascorso.
Vorrei raccontare quattro storie tra le tante che mi sono rimaste nel cuore durante la mia permanenza in questa meravigliosa città, forse la mia preferita. Una nostalgia per un'amicizia che nonostante sia finita da tantissimi anni e che non sono più riuscito a recuperare, come se Louis fosse scomparso in chissà quali meandri del mondo o universo. Quattro avventure che vorrei rivivere nonostante tutto.







Tutto questo iniziò anni prima

Grecia, giugno 1982.

Qualche ora prima, l'aereo che atterrando mi portò ad Atene era un ricordo ormai lontano. Il traghetto che attraversava quel mare così intenso e scuro, pieno di turisti, mi vedeva seduto in disparte, con la mia valigia ed una sacca ai piedi, ad osservare le isole poco lontane che si profilavano durante queste ore di viaggio.
L'isola che mi aspettava sarebbe di lì a poco spuntata all'orizzonte ed infatti da lontano dopo pochi minuti si incominciavano ad intravvedersi le prime rocce delle alture. La luce accecante del sole nonostante gli occhiali scuri, mi impediva di vedere qualcosa in più di qualche macchia di vegetazione verdastra su quelle rocce chiare, poi più ci avvicinavamo al porto più le macchie si fecero nitide.
Cespugli mediterranei verdi scuri con qualche fiore giallo e rosso spuntavano tra le alture, qualche picoclo ulivo faceva capolino su strade invisibili all'occhio ed ogni tanto qualche casa bianca dalle porte finestre tinte di ogni colore ed infine, il traghetto virando a destra velocemente si avvicinò al porto.
Non c'erano più macchie bianche e verdi, ma tanta gente, tante case, tanti fiori selvatici, qualche auto e taxi in attesa di qualcuno: dopo l'attracco al molo, mentre ci ponevamo in fila per scendere, davanti e dietro di me un vociare di perosne, un gridare id bambini e qualche spinta dovuta a valigie o borsoni da viaggio. Finalmente arrivato in una piazzetta dalle mattonelle bianche con disegni strani, dopo una lunga sosta sotto un sole accecante, toccò il mio turno a salire su quel taxi vecchiotto guidato da un uomo coi baffi dal sorriso smagliante.
Conosceva l'italiano e per me fu facile dirgli dove si trovava il mio alloggio: una casa presa in affitto o meglio una parte di un'abitazione famigliare che veniva data come appartamento a chi volesse farsi una vacanza lontano da tutto. La strada che portava a quella casa era in salita, non molto lontana da una via poco distante da una chiesetta circondata da case in stile mediterraneo che ricordavano il nostro sud, e con sorpresa la strada proseguiva verso il mare riscendendo in leggere curve verso est.
Arrivai davanti a quella semplice struttura ma meravigliosa per i suoi colori: bianca, di un bianco accecante e la porta d'ingresso col portone a fianco coperto di Boungavillee e le persiane delle finestre erano tinte di un celeste vivido ed una terrazza piatta per solarium ne faceva da tetto.
Pagato il taxi e sceso con le mie borse, una signora gentilissima mi si fece incontro e precedendomi parlando un italiano un po' strano mi portò in casa dove conobbi il marito e uno dei tre figli.
Dopo le varie presentazioni, varie firme e i miei documenti dati a loro per un controllo quasi distratto, attraversammo un piccolo cortile pieno di Boungavilee rosse, piante di cedro e alcuni rampicanti dai fiori bianchi circondati alla base dagli Alyssum bianchi, l'altro lato della casa mostrava due piani con una scala in mattoni esterna dipinta di bianco e azzurro. La signora mi disse che sotto c'erano quattro ragazze inglesi, al primo un signore turco che passava l'estate lì scrivendo racconti, uno studente tedesco... Salimmo le scale, la mia camera era al secondo e ultimo piano, la donna continuò dicendo che nella camera vicino alla mia c'era un ragazzo francesce dal nome Louis (che col tempo diventò uno dei miei più cari amici con cui passai qualche vacanza a Parigi ospite dai suoi, vacanze già descritte qui tempo fa).
Entrai in camera, vidi un piccolo soggiorno con tavolo due sedie, un buffet, a fianco il letto matrimoniale di legno con lenzuola e copriletto bianco, un comodino, un armadio. Il bagno a ogni piano era comune, con doccia e servizi sanitari perfetti in stile greco, ornati da disegni azzurri. Tutto sembrava perfetto tranne io. Aspettai che la signora si sincerasse che tutto andava bene e mi piacesse, poi lei uscì con un sorriso dolce.
Vidi la grande finestra che spaziava verso il mare, l'aprii e davanti ai miei occhi quel magnifico panorama che non dimenticherò mai, il sole era alle spalle e stava quasi al tramonto ormai, le luci del paese incominciavano ad accendersi e un'aria lieve che proveniva dall'oriente, incominciava a donare un leggera frescura a quella torrida, lunga e stancante giornata.
Decisi di farmi una doccia ed entrai nel bagno convinto non ci fosse nessuno, tanto era aperta e mi trovai davanti Louis completamente nudo che cantava una canzone insaponandosi, non aveva chiuso la porta convinto che non ci fosse nessun'altor ospite al nostro piano... In pratica ci siamo spaventati a vicenda tant'è che lui scivolò nella tazza e picchiò il fondo schiena mentre io con un salto indietro feci cadere l'attaccapanni poggiato al muro. Scoppiammo in una risata fragorosa. Non sapevo più come scusarmi.
Ci trovammo due ore dopo a cena insieme in un piccolo ristorante vicino a quella bella casa bianca dalle finestre celesti, prima di partire desideravo stare in compagnia di me stesso ma poi quella sera decisi che almeno per quella volta non sarei rimasto solo, avrei assaporato la mia solitudine nei giorni seguenti.
Con Louis ci intendemmo subito, tant'è che il giorno dopo ci ritrovammo per caso in spiaggia, vicino ad una caletta a un chilometro dalla cittadina, dapprima parlammo di cose stupide, poi ognuno di noi incominciò a raccontare la sua storia e fu lì che scoprii che era la stessa. Incredibile, ma sembrava un segno del destino:
Due poco più che ventenni che vivevano in due metropoli diverse, più o meno fisicamente uguali, stesse scuole frequentate, una sorella entrambi, due genitori che poco tempo prima avevano annunciato che forse si separavano, lo stesso hobby dell'astronomia e infine la cosa più importante scappavamo da una storia d'amore molto dolorosa.
Pensavo di fare una vacanza bohémienne, dove il mio cuore doveva distruggersi per l'amore perduto, dove le coltellate inflitte nel petto dovevano farmi piangere e pensare a ciò che avevo perduto, dove la futura separazione dei miei genitori mi avrebbe straziato la mente da mille pensieri brutti ed invece... Io e Louis ci ritrovammo a fare una vacanza strepitosa, divertente e indimenticabile.
Balli in discoteche, conosciute ragazze e ragazzi simpatici, qualche escursione in varie isole e bagni in mare mentre case bianche dalle persiane azzurre facevano da panorama a tutto. Milano e l''Italia erano talmente lontane che sembravano non esistere più. Louis ed io parlavamo di tutto dei nostri problemi tranne delle nostre storie private che ci avevano fatto soffrire.
Una sera la penultima della vacanza di entrambi, ci ritrovammo da soli sul terrazzo del tetto, migliaia erano le luci che brillavano sulle nostre teste, le lampare delle barche nel mare Egeo sembravano lucciole nel buio, l'eco lontana di vociare di persone nella strada e musiche da ballo non disturbavano la quiete dove eravamo noi.
Eravamo seduti vicini e stavamo bevendo due  bibite fresche quando lui senza guardarmi iniziò a raccontarmi una storia, la sua, quella che lo tormentava da tempo: sentivo la sua voce incrinarsi ma quello che mi fece rabbrividire fu che la sua era uguale alla mia. Lavorava nella tv nazionale francese e conobbe una persona famosa, nota anche in Italia e di lì iniziò la storia che finì come finì la mia. "Il mio agente non vuole" o giù di lì. Non eravamo nessuno per loro e quindi proseguire qualcosa d'importante non ne valeva la pena. Quando finì, si girò dalla mia parte, credo che il mio viso pareva quello di un fantasma e senza guardare l'amico a fianco, raccontai a mia volta la mia di storia.
Louis era ammutolito, come poteva essere vero una cosa del genere? Sembravamo lo specchio  uno dell'altro, mi ritrovai a piangere silenziosamente, ma non so se per il doloroso ricordo o per quello che stava capitando in quel momento. Un aereo passò sopra di noi e Louis, si avvicinò e mi abbracciò piangendo... Dopo giorni di allegria che nascondeva un dolore assopito dalle distrazioni ora era scoppiato per entrambi, l'abbraccio di quell'amico mi diede la sensazione di abbracciare me stesso, un abbraccio fraterno di quelli che le donne si scambiano per consolarsi, senza essere scambiate per chissà cosa.
Un pianto liberatorio quando alle nostre spalle una voce maschile, calma e tranquilla ci fece voltare senza staccarci, il proprietario era nella penombra vicino a noi, da tanto tempo che sentì tutti i nostri discorsi, disse solo "A quanto pare una bella serata per tutti." 
Sorridemmo staccandoci dall'abbraccio, ci guardava come fossimo due bambini, i suoi bambini e ci raccontò una strana storia, la sua che assomigliava tanto alle nostre... Solo diversa nella scelta della partner. 
Passammo parte della serata con lui ad ascoltarlo, il suo sorriso brillava nel buio, alla fine del racconto, ci accompagnò gù nelle nostre camere, si era fatto tardi e quella sua storia ci aiutò a capire, a sopportare e a guardare lontano, che uomo è stato Nesios, un grande.
Due giorni dopo Louis ed io eravamo in aeroporto a Atene, ci scambiammo i nostri indirizzi, i numeri telefonici e ne ero sicuro (com'è successo poi) ci saremmo rivisti, lo volevo a tutti i costi. Avevo trovato il fratello che tanto mi era mancato, dopo mezz'ora l'altoparlante annunciò il volo per Milano e ci salutammo con un forte abbraccio. Lo risalutai prima di passare la dogana e più tardi in aereo pensai a tutta la vacanza, ad una dell tante strane che mi sono capitate poi nel corso di una vita, ma Louis sarà sempre una persona speciale per me, come lo è stata quella vacanza, chiusi gli occhi e mentre l'aereo virava sul mar Ionio, vidi quella bellissima casa bianca dalle finestre azzurre davanti a quel mare indimenticabile.


Parigi, molti anni fa.
La pioggerellina scendeva lenta sui tetti e nei viali, le bancarelle dei fiori e dei libri sul Boulevard dell'Ile Saint-Louis, erano quasi deserte. Mi fermai davanti ad una boulangerie, avevo fame, quando sentii una voce alle spalle.
- Bonjour, je suis désolé pour le retard Jeanpaul -
- Pas de problème, Louis. Je suis ici depuis quelques minutes. -
Il mio amico parigino, non sapeva più come scusarsi. Allora dopo aver chiuso i nostri ombrelli, l'ho "obbligato" visto il ritardo, ad offrirmi la colazione.
Ridendo siamo entrati in un bar pasticceria e ci siamo seduti vicino ad una finestra sulla strada. E davanti a due tazze di latte e caffè con croissants, pain et beurre et confiture, facemmo una grande colazione.
Ero ospite da lui per una breve vacanza e quel mattino avevamo deciso di fare una visita al Louvre.
Alle nove e trenta ci raggiunsero tre coppie di suoi amici. Una sposata, una fidanzata da una vita ed una coppia di ragazze gay. Martine, Lorraine, Didier, Jiulienne, Jean Marc e Francine.
Mentre la pioggia cadeva ancora lenta visitammo una parte del museo, pranzato in una brasserie e infine una passeggiata lunghissima a Montparnasse.
Mentre Louis mi raccontava della sua storia un po' incasinata, vedevo le tre coppie sotto gli ombrelli colorati davanti a noi e le invidiavo un po'. Ogni tanto la risata di Martine risuonava cristallina alle battute della sua compagna Lorraine.
Che atmosfera stupenda di fine estate, poi la brillante idea di prenderci una cioccolata, Louis ci portò in una pasticceria nei pressi del Boulevard De Clichy, decidendo di offrire per questa volta.
All'interno le note di una canzone di Yves Montand proveniva da una radio nascosta dietro al bancone. Una bella ragazza dagli occhi blu ed i capelli neri, sorrideva dalla cassa dove andai ad ordinare. Lei mi sorrise ed alla fine dopo aver pagato disse.
- Monsieur, êtes-vous italien? -
- Il savait de mon accent? - le risposi
- Non seulement cela, mais son visage en dit. Bienvenue à Paris alors.- continuò simpaticamente
- Merci, elle est très gentil mademoiselle ...? -
- Claudine, je m'appelle Claudine - sorrise alla grande.
- Giampaolo, plaisir. - dissi un po' imbarazzato.
Lei continuava a guardarmi al tavolo con i miei amici, mi girai verso la strada, la pioggia continuava a cadere, un'altra coppia sotto l'ombrello correva sul marciapiede per raggiungere un portone.
All'orecchio giunse una musica bellissima "Le foglie morte", voltai lo sguardo verso Claudine e ricambiai un sorriso.
"Benvenuto a Parigi"... mi dissi da solo. Louis mi guardò con aria interrogativa, presi un pasticcino al cioccolato e me lo gustai tranquillo,
mentre la pioggia continuava a cedere davanti a noi.

 II°
La mia vacanza dal mio amico francese Louis continuava tra passeggiate, visite a musei, chiese, giardini tant'è che non me ne sarei andato più via da quella luminosa città. Non che Milano non mi piacesse più, ma l'atmosfera era sublime, l'aria più leggera e i palazzi nella luce dorata del tramonto, mi davano la sensazione   di essere in un posto da favola. Ricordai vedendo una pasticceria con esposte delle torte fantastiche, quella giornata passata con i suoi amici, una giornata piovosa ma allegra.
Quel giorno avevamo deciso di visitare la zona de la Bastille, Louis ed io dopo aver camminato tutta la mattina tra la Place de Bastille con la sua Opera e l'attiguo canale Gare de L'Arsenal con una capatina veloce nella Bibliothèque di quest'ultima, ci fermammo in un bistrot sulla Senna davanti all'Ile de Saint Louis, dopo aver mangiato qualcosa ci accorgemmo che un signore anziano vestito con un soprabito verde ed un basco beige, continuava a fissarmi.
Louis si stava seccando perchè odiava le persone che fissavano gli altri senza un motivo e dopo aver pagato al cameriere il conto ci stavamo alzando dal nostro tavolo, quando il signore anziano si avvicinò a noi:
- Perdonatemi la maleducazione ma vorrei fare una domanda al ragazzo biondo. Se posso... -
- Spero non sia una seccatura - rispose a denti stretti il mio amico mostrando il suo disappunto.
- No no... - l'altro rispose gentilmente con un sorriso  - Volevo chiedere solo se il suo amico fosse tedesco. 
- No sono italiano - dissi nel mio francese stentato.
- Che strano avrei giurato che lo fosse... Ma vorrei spiegarmi meglio., se volete seguirmi, giuro che vi farò perdere solo qualche minuto del vostro tempo, parola di Didier Rainer, che sono io poi. Mi piace dipingere e volevo mostrarvi una cosa e poi capirete. -
Non so perchè uscimmo insieme e quell'uomo che si rivelò discreto e gentile e senza secondi fini, mentre ci incamminavamo tra le vie parigine, ci parlò di un suo amico conosciuto nella seconda guerra mondiale, un dissidente tedesco che odiava Hitler e che trovando rifugio in Francia venne protetto e nascosto dalla famiglia di questo anziano signore. Ci parlò della sua amicizia, di ciò che avevano passato insieme e che non si videro più quasi subito dopo la guerra quando quel suo amico tedesco partì per gli Stati Uniti con un passaporto falso. 
Louis ed io rimanemmo affascinati dal suo racconto finché quest'uomo ci condusse prima attraverso Rue St. Paul, poi Rue de St. Antoine e nella piccola Rue de Birague fino a sbucare nella più bella piazza che ebbi mai visto Place de Vosges.
Non l'avevo mai vista e rimasi incantato dalla sua architettura così sublime e magnifica che rimasi a bocca aperta con un tuffo al cuore. Louis rise guardando la mia espressione, l'altro signore sorrise dicendo:
- La stessa faccia che ebbe Erik quando vide questa meraviglia. Potete aspettarmi qui per favore? Arrivo tra cinque minuti vi devo mostrare una cosa. -
Louis ed io ci guardammo facemmo col capo un cenno di si e in un secondo questi sparì in un portone poco distante, chissà che cosa doveva mostrarci quell'uomo, eravamo incuriositi e mentre il mio amico rimase in piedi a fumarsi una sigaretta, io sempre più estasiato da questa bellissima piazza, entrai nei suoi giardini, dopo poco mi sentii chiamare e vidi Louis con quell'uomo sotto il portico. Mi avvicinai e mentre il mio amico si stava nuovamente mettendo in bocca la sigaretta, l'altro mostrò un quadro che fino a poco prima era coperto da un pezzo di stoffa.
La sigaretta di Louis cadde dalle sue labbra non appena vide il ritratto disegnato sopra:
- Merd... pardon Mon Dieu, non è possibile. Paolo guarda! -
Mi avvicinai e impallidii, quel volto davanti a me era il mio. Sembravo io, aveva solo un po' il naso diverso ma ero io. Guardai gli occhi di quell'uomo.
- Capisce perchè ho sentito il desiderio di fermarmi e farvi conoscere questo? -
Guardavo quel ritratto, mi assomigliava davvero e chissà cosa ho suscitato in quell'uomo quando mi vide in quel bistrot, ero imbarazzato e nello stesso tempo sorpreso piacevolmente.
Volle farmi una foto in quella piazza nella stessa posizione del giovane nel ritratto ma quella foto non la vidi mai, non so perchè ma non siamo più passati da quelle parti nei giorni successivi, avevo sempre sperato che quel signore, Monsieur Rainer col tempo avesse ritrovato quel suo amico o almeno sue notizie. Chissà forse il destino....

III°
Tramonto rosso fuoco, la Tour Eiffel si stagliava tra il rosso del sole e il rosato ed oro del cielo, Venere era là, splendida e luminosa poco più in alto, Louis ed io eravamo appoggiati con le braccia sul Pont de Carrousel, sulla sinistra due signori anziani guardavano il battello scivolare sotto di noi sulla Seine, alla nostra destra il Louvre, imbrunito dalle ombre della sera, sembrava quasi un ombra minacciosa.
Era uno dei miei ultimi giorni di vacanza a Parigi, a casa del mio amico Louis, i nostri volti erano verso quella torre così alta e scura, i pensieri persi chissà dove. Improvvisamente sentii il suo sguardo su di me, non capivo il perché ma quando voltai il mio verso il suo viso, mi sembrò che gli occhi fossero lucidi.
"Che c'è?" chiesi girandomi con la schiena appoggiata al ponte.
"Nulla... Nulla..." la sua voce mi sembrava triste, all'improvviso mi abbracciò forte... Mi preoccupai, pensavo che non stesse bene, poi si staccò chiedendomi scusa per il gesto magari frainteso. 
"Frainteso?" Mi chiesi... Era solo un abbraccio dato da un amico magari in difficoltà per qualcosa che non sapevo forse, avevamo dormito nello stesso letto in quella mansarda dove abitava, c'era pura amicizia tra noi. Una di quelle vere,  di quelle poche che appagano il cuore e la mente.
"Mi... mi dispiace che tu te ne vada... Che ritorni in Italia tra pochi giorni."
"Tra cinque giorni Louis..." sdrammatizzai abbozzando un sorriso, lui mi prese per un braccio e mi condusse in silenzio verso Rue de Saints Pères, e quasi correndo ci ritrovammo in Boulevard Saint Germain.
"Preferisco stare in mezzo alla gente, non soli su quel ponte a guardare quel tramonto, la Senna e tu pensieroso. Tutto questo mi aveva messo addosso una tristezza... Almeno qui in mezzo a tutta la gente mi sembra di stare meglio."
"Louis davvero non capisco, non è la prima volta che vengo a Parigi, che ci vediamo... Mi hai promesso di venire a Milano a casa mia ad aprile del prossimo anno... Non dovresti essere triste."
"Ma questa volta è diverso." concluse sedendosi ad un tavolino di un bar, mi sedetti anch'io.
"Come sarebbe a dire: questa volta è diverso?"
Il suo sguardo era oltre il mio...
"Partiamo per il Canada, con i miei, partiremo tra due mesi, l'ho saputo stamattina da papà... Ci trasferiamo lì per tre anni. Papà ha avuto un incarico di lavoro per la sua società..."
Mi venne un colpo, tre anni lontani e un aprile, il prossimo, senza la sua visita che avrebbe fatto piacere a mia madre e a mia sorella.
"Beh c'è il telefono, ci potremmo scrivere..."
"Si ma non è la stessa cosa Jean (mi chiamava così quando era arrabbiato o triste), lo sai che sei un fratello per me, un fratello che non ho mai avuto, sei molto di più degli amici che ho qui, neanche Francine, Robert e Didier, sono come lo sei tu per me!"
Mi venne addosso una tristezza infinita, un altro amico che se ne va lontano e chissà quando l'avrei rivisto ancora, cercai di sorridere nuovamente ma lui mi fissò serio.
"Voi italiani pensate sempre male..." rimasi basito, aveva interpretato male il mio sorriso? Cercava di ferirmi o di sfogare qualcosa per non soffrire troppo?
 "So cosa pensate se un uomo dice queste cose ad un altro uomo..."
"Ma sei matto Louis? Ma che dici? Volersi bene non significa chissà..." Non mi fece finire la frase, si scusò per la sciocchezza detta. Pensava che avessi capito male il suo abbraccio e la sua commozione, ma un'amicizia che durava da qualche anno non lasciava spazio a dubbi, però vidi davvero la sofferenza negli occhi del mio amico.
Dopo aver bevuto qualcosa e mangiato un panino, ci avviammo a piedi verso casa, avevamo un appuntamento con Didier e Marcel un loro amico di Tours ospite come me a casa dell'altro.
 La serata passò serena, avevamo ascoltato musica e cantato, ci siamo rimpinzati di dolci e bibite... Un gioco a carte e mezzanotte si era fatta vicina, gli altri due amici dovevano tornare a casa, il padre di Didier era piuttosto severo e aveva dato loro un orario preciso.
Più tardi in camera, stavo scrivendo un paio di cartoline sulla scrivania davanti al letto, Louis era già dalla sua parte e stava leggendo un libro. Poco dopo sua madre venne a darci la buona notte e ci augurò una buona visita per l'indomani a Versailles, una gita di due giorni già organizzata insieme a Didier, Marcel e Robert.
Appena finito di scrivere mi misi a letto, non avevo acceso l'abat-jour perchè avevo sonno. Louis si girò a guardarmi, aveva messo il libro sul comodino e spento la luce. Dalla finestra i fiochi raggi di una luna lontana davano in quella stanza un alone da fiaba.
"Ti posso abbracciare?" mi chiese titubante Louis, lo feci io per lui, si mise a piangere con la testa sul mio petto, mi sembrava un bambino... Doveva sfogarsi, avevo capito il dolore che lo attanagliava e non era solo per me, io potevo essere una delle tante cose che non avrebbe più visto per tre lunghi anni, lunghi per la nostra età, per i nostri vent'anni.
Restammo abbracciati così mentre lui mi parlava delle sue cose, delle sue avventure da piccolo. In quel momento ero quel fratello che gli mancava, non vedeva le mie di lacrime per fortuna, in quel momento dovevo essere il più forte... 
Si addormentò piano vicino a me, sentivo la sua spalla vicino alla mia e pensai a quanto erano stati belli quegli anni, quelle vacanze fatte insieme. Gli sfiorai la testa con la mano "Mi mancherai molto anche tu." pensai e come lui avrei voluto un fratello maggiore con cui giocare e confrontarmi. Il sonno prese il sopravvento anche per me e la notte passò veloce.
La luce del sole mi abbagliò il viso il mattino dopo, spalancai gli occhi, Louis era in piedi davanti alla finestra, mi sorrise e mi schiacciò un'occhio.
"Forza pigrone, Versailles ci aspetta e così gli altri... Voglio godermi come non mai questi nostri cinque giorni di felicità. Vediamo chi arriva per primo in bagno".
Ci arrivò lui ovviamente e intanto che aspettavo il mio turno, pensai alla nostra amicizia e mentre stavo per commuovermi, prontamente mi alzai e aprii le finestre, una giornata limpida e stupenda ci aspettava, un forte respiro e nulla ci avrebbe più fermato.

IV°
Paris, un maggio di tanti anni fa.
   Erano passati tre anni che non ritornavo a Parigi, tre anni da quando Louis con la sua famiglia si erano trasferiti in Canada.
   I primi mesi arrivarono le telefonate, poi le lettere e negli ultimi tempi più nulla... Ogni tanto Nadine o Robert mi scrivevano per farmi avere loro notizie e notizie del nostro amico, poi anche loro avevano perso le sue tracce e tra noi piano piano la corrispondenza si fece sempre più rara, fino a scomparire incominciando dalle cartoline di buon Natale.
   Avevo ancora una settimana di ferie da finire, la decisione fu presa improvvisa: partire per Parigi e ritrovare qualcosa del passato, qualcosa che mi facesse star bene, qualcosa che non ho più avuto e che a quel tempo rimpiangevo molto.
   Tre anni prima, dopo il mio ritorno a casa e aver dato addio a Louis, molte cose erano cambiate nella mia famiglia e la spensieratezza, la felicità e tanto altro erano sparite in qualche meandro oscuro tramato del destino...
   Fu allora che mi accorsi nella mia solitudine che mi mancava, mi mancavano quegli anni spensierati e soprattutto quei viaggi e vacanze nella città luminosa, divertente e romantica, mi mancavano quei ragazzi e soprattutto Louis.
   Mi ero svegliato presto il mattino successivo al mio arrivo a Parigi, avevo trovato un bell'albergo nei pressi di Avenue Marceau, volevo il meglio e godermi questi giorni prima di ritornare alla mia vita.
   Dopo essermi preparato per scendere e gustarmi la prima colazione, mi ero affacciato alla finestra: davanti a me la Tour Eiffel si stagliava in tutta la sua bellezza, il cielo era di un azzurro chiaro e i palazzi color avorio dai tetti così particolari incorniciavano quel paesaggio.
  Più tardi ero già tra la folla, guardavo i volti delle persone come se cercassi qualcuno per ritrovare quel passato, osservavo le vetrine, gli alberi che ombreggiavano dal sole caldo di quel maggio luminoso come solo Parigi poteva avere.
   Arrivai fino al Pont de l'Almà, era quasi ora di pranzo, ma mi fermai a metà per guardare la Senna ed i battelli che la solcavano, mi venne in mente quel giorno in cui Louis era disperato e mi confessò la sua prossima partenza per l'America... 
   In quell'attimo mi era assalita una tristezza che quasi ero corso dall'altra parte del ponte, magicamente mi trovai in Rue de l'Universitè davanti ad un bar, avevo sete e fame. Entrai.
   Seduto ad un tavolino stavo gustandomi un leggero pranzo, guardando la folla dalla vetrina di fianco a me, quando una voce alle mie spalle mi aveva fatto trasalire:
"Il est incroyable, je ne peux pas y croire, mais ... Jean Paul!"
Rimasi con il pane a metà tra la bocca ed il piatto, vi voltai di scatto, Didier era davanti a me, in piedi ed allibito.
"Mon Dieu quanto tempo caro amico..." disse, mi alzai e Didier mi abbracciò talmente forte che sentivo quasi le costole incrinarsi. Era un rugbista e ovviamente poco conscio della sua forza.
Era incredibile, un segno del destino... Il primo ricordo del passato che si faceva vivo durante quella vacanza, eravamo strabiliati. Lui era cambiato in tre anni: si era fatto crescere la barbetta biondiccia sul volto, i tratti erano più adulti, i capelli lunghi e ricci incorniciavano quel sorriso ancora da bambino nonostante la mole.
Ci raccontammo per un'ora tutto quello che ci era accaduto nei tre anni passati senza vederci ne scriverci, si era scusato molto ma con la sua squadra viaggiava spesso e gli allenamenti lo occupavano tanto ma mi aveva sempre pensato. Dissi così anche io, tralasciai di metterlo al corrente delle cose spiacevoli capitatemi... Poi mi disse che aveva tutta la giornata disposizione e voleva dedicarmela, così accettai.
Finimmo ormai sera poi a casa sua dove viveva con sua madre, una signora che conobbi anni prima, simpatica di origini fiamminghe e cenammo lì, tra i fiori su un terrazzo piastrellato di azulejos e vasi in coccio.
Dopo cena e prima di riaccompagnarmi in albergo, in camera sua incominciò a raccontarmi di tutti gli altri, seppi della scomparsa in un incidente di Marcel, che dispiacere fu per me saperlo... Seppi anche del trasferimento a Saint-Etienne di Nadine e del matrimonio di Robert, poi silenzio...
Sapeva che volevo parlare di Louis, avevo un brutto presentimento ma i suoi occhi allegri e il sorriso simpatico mi fece tirare un sospiro di sollievo.
"Louis, vive in Australia ora... Suo padre ha avuto un incarico speciale a Perth e si sono trasferiti in quella città più di otto mesi fa, l'avevo incontrato qui poco prima e come al solito non ci siamo scambiati i recapiti... Capisci? Odio gli addii..."
   Lo sapevo ed era per quello che il giorno della mia definitiva partenza tre anni prima, non si fece vedere ma mi mandò i saluti da Robert.
"Mi aveva chiesto di te e non seppi dargli l'indirizzo, perdonami Jean, mi dispiace..."
   "Non fa nulla" gli risposi "L'importante è che stia bene e magari un domani chissà.... Forse ci ritroveremo tutti quanti."
   Il suo volto si era rabbuiato, Didier era troppo sensibile, riviveva ad ogni addio o allontanamento di qualcuno, il trauma dell'abbandono del padre quand'era piccolo. Sentiva il distacco come un rifiuto, non continuai oltre, poi si era alzato improvvisamente e da un cassetto della sua scrivania prese una lettera.
   "Tieni è per te, me l'aveva data Louis l'ultima volta, dicendomi che se ti avessi incontrato un domani... Avrei dovuto dartela, quasi se lo sentiva quel testone. Tieni è tua, la leggerai da solo in camera dell'albergo."
Avevo quella busta in mano, una busta color avorio con scritto in blu "Pour mon ami JP", sentivo le lacrime agli occhi.
  Dopo aver salutato sua madre madame De Claudet, Didier mi riaccompagnò in auto fino all'Hotel.
   "Jean mi dispiace ma domani parto per Lilla, ho gli allenamenti per la fine del campionato e starò via una settimana..."
   Non importa gli dissi e ci abbracciammo forte, mi prese una mano come non volesse lasciarmi andare, lo guardai e negli occhi vidi tutta la sua solitudine.
    "Cerca la tua felicità..." gli dissi scendendo dall'auto.
    "Lo farò te lo prometto, è ora anche per me.Ciao caro amico mio..." fu l'ultima volta che vidi anche lui.
   La Tour Eiffel si stagliava illuminata davanti ai miei occhi, seduto al tavolino sul terrazzino della mia camera, rigiravo la busta che mi aveva lasciato Louis, avevo paura ad aprirla e non ne capivo il perché.
Poi sentii un profumo di fiori dal balcone vicino al mio e l'aprii.
   Lessi quelle parole scritte in cinque pagine, parole fitte, dove mi raccontava tutto... Dove ogni lettera si scolpiva nella mente e nel cuore. quando finii mi accorsi di piangere, appoggiai la testa sul tavolino e mi sfogai...
   La settimana passò in fretta, avevo deciso la mattina dopo, di fare solo il turista e non pensare ad altro, avevo capito che il passato dovevo lasciarlo andare, di rilegarlo in una parte del mio cuore e della mente.
   Quando finita la vacanza, partii per l'italia, dall'aereo vidi la grande città dall'alto, sentii nell'anima che quella era l'ultima volta, sentii che l'avrei rivista dopo tantissimi anni ma non avrei rivisto più le persone che in quegli anni fecero parte della mia vita... 
E così fu
Giampaolo






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