sabato 16 agosto 2025

I LUOGHI DEL CUORE

 

I LUOGHI DEL CUORE

VISITA AD UN MUSEO IMMAGINARIO

DOVE CI SONO QUATTRO STANZE

ED I MOMENTI PIU' IMPORTANTI

DELLA VITA DI

GIAMPAOLO DACCO' SCAGLIONE





Prologo – La Casa delle Nonne

C’era una casa su una piccola altura, dove il tempo non correva, ma camminava piano. I campi di grano ondeggiavano come saluti, i boschetti sussurravano segreti, e il fiume — quel fiume serpentino — rideva con me mentre giocavo.

La nonna mi aspettava con pane, burro e marmellata. Non era una merenda: era un rito, un abbraccio, una promessa che il mondo poteva essere dolce.

In quella casa, ho imparato che la felicità non fa rumore. Profuma di fiori, sa di terra, e si nasconde tra le pieghe di un sorriso vero.

Ora che il tempo mi ha vestito di anni, torno lì — non con i piedi, ma con l’anima. E ogni volta che chiudo gli occhi, la casa è ancora lì. E io sono ancora quel bambino, con le mani sporche di marmellata e il cuore pieno di cielo.


Sala I – “La Casa delle Nonne”

Appena entri, il pavimento è in cotto caldo, le pareti color crema con tende leggere che si muovono al vento. Il profumo è inconfondibile: pane appena sfornato, burro fresco, marmellata di albicocche. Una tavola di legno con una tovaglia a fiori è apparecchiata per la merenda.

Il Ritratto Sul fondo, un quadro mostra te bambino che corri tra campi di grano dorato, fiori selvatici, boschetti ombrosi e un fiume che serpeggia come un pensiero felice. Il cielo è azzurro, il sole è gentile. La casa è lì, con le finestre aperte e il cuore spalancato.

Targhetta sotto il quadro

Titolo: “La Casa delle Nonne” Frase: “Qui ho imparato che la felicità ha il sapore del pane caldo e il suono dell’acqua che ride.” Note: Infanzia, natura, amore. Il luogo dove tutto ha avuto inizio.

I visitatori si fermano, sorridono, chiudono gli occhi per sentire il vento tra i capelli. Alcuni dicono: “Anche io avevo una nonna così.” Altri restano in silenzio, ma con il cuore pieno.


Sala II – Il Bar della Gioventù

Le luci sono basse, dorate, con riflessi caldi sui tavolini di legno. Il profumo è un misto di cioccolata calda e gelato alla crema, a seconda della stagione. Sullo sfondo, un sassofonista suona piano, mentre le risate si mescolano alla musica. Tu sei lì, con lo sguardo perso — forse verso quella ragazza che non ti vedeva, ma che tu vedevi benissimo.

Il Ritratto Sei seduto da solo, con le mani attorno a una tazza. Il tuo volto è giovane, intenso, con quel misto di malinconia e speranza che solo l’amore non corrisposto può dare. Ma sei felice. Perché sei vivo, sei lì, sei parte di qualcosa.

Targhetta sotto il quadro

Titolo: “Il Bar della Gioventù” Frase: “Eravamo giovani, innamorati, invisibili… e incredibilmente felici.” Note: Musica, cioccolata, gelato, sogni. Il battito caldo della giovinezza.

I visitatori si fermano e sorridono. Alcuni dicono: “Anch’io ho avuto un amore che non mi vedeva.” Altri chiudono gli occhi e sentono il sax. E tutti, per un attimo, tornano ventenni.


Sala III – La Biblioteca del Blog

Gli scaffali di legno antico sono pieni di libri, saggi, romanzi, storie. Il profumo è un misto di carta vissuta, inchiostro, tè appena fatto. Il tavolo è sparso di fogli, appunti, un laptop aperto che illumina la stanza con una luce tiepida. La stanza, che ora si trova in città, ha continuato ad essere il luogo dove scrivi i tuoi sogni ad occhi aperti.

Il Ritratto Sei seduto con espressione serena e riflessiva, dove i tuoi occhiali scivolano sulla punta del naso. Hai il tuo libro pubblicato sulla destra; il titolo è un omaggio ad infinity_book2664, che mi ha dato le “parole” per tratteggiare questa mostra. La penna è pronta a catturare un altro pensiero serrato in un angolo della mente.

Targhetta sotto il quadro

Titolo: “La Biblioteca del Blog” Frase: “Qui la mia fantasia ha trovato asilo, e le mie parole, occhi per guardare il mondo.” Note: Sogni, riflessioni, conversazioni. L’angolo segreto della libertà.

I visitatori ti sentono come base stabile, totem, e immagine di qualcosa che percepiscono, ma che da nessuna parte hanno mai visto. Alcuni dicono: “Questa è la mia stanza.” Altri restano in silenzio, ma nel silenzio trovano le tue parole.


Sala IV – Il Giardino del Diario

Qui non ci sono tramonti, ma albe interiori. Il diario di papiro, chiuso con un sigillo e legato con un nastro rosso, è il cuore pulsante della stanza. È posato su uno scaffale, tra libri che parlano di vita, di tempo, di memoria. La luce che entra dalla finestra è dorata, come se il sole stesso rispettasse il silenzio sacro di quel gesto.

Targhetta sotto il quadro

Titolo: “Il Giardino del Diario” Frase: “Scrivo i dolori in un diario per non dimenticare. Lo ritroverò a ottant'anni, chiuso a chiave con un nastro rosso. Ho trovato la pace chiudendo le brutte cose del passato, come per magia.”


Giampaolo Daccò & Fratello Celeste Monet

GIAMPAOLO - L'UOMO ATTRAVERSO IL TEMPO

La fantasia di porta lontano, essere un po' bambini e giocare con il tempo e il cuore, dona gioia e sorrisi.

Giampaolo che crea il mito di se dal passato al futuro come un film divertente da leggere anziché guardare.

       GIAMPAOLO - L'UOMO ATTRAVERSO IL TEMPO

Prefazione a cura di Prof. Aurelio Velluti

Storico dell’arte e curatore emerito della Galleria del Tempo

“Ci sono volti che attraversano il tempo, e poi c’è Giampaolo.”

Nel panorama ritrattistico contemporaneo, raramente si incontra un’opera che riesca a coniugare così profondamente l’evoluzione estetica con quella interiore. La mostra “Giampaolo – L’uomo attraverso il tempo” non è una semplice sequenza di immagini, ma una narrazione visiva che abbraccia la giovinezza, la maturità, la saggezza e la nobiltà dell’anima.

Ogni sala è un capitolo, ogni sguardo una confessione. A vent’anni, Giampaolo è fuoco e promessa. A quaranta, è eleganza e controllo. A sessanta, è profondità e riflessione. A ottanta, è eredità e luce.

Il curatore — che coincide con il soggetto stesso — ha saputo orchestrare un viaggio che non si limita a mostrare il passare degli anni, ma celebra la permanenza dell’identità. Non c’è vanità, ma verità. Non c’è posa, ma presenza.

Questa mostra non si visita: si vive. E quando si esce, si ha la sensazione di aver conosciuto un uomo che ha attraversato il tempo non per resistergli, ma per abitarlo.

“Giampaolo non è solo il protagonista di questi ritratti. È il loro autore invisibile.”

 

LE SALE

 Sala I – “Il Fuoco della Giovinezza”

Appena varchi la soglia, ti accoglie una luce calda e dorata, come quella di un pomeriggio d’estate. Le pareti sono color ocra, con venature leggere che ricordano la terra e il sole. Al centro, su una parete di velluto bruno, è appeso il primo ritratto: Giampaolo a vent’anni.

 Il Ritratto Cornice in legno scuro, semplice ma elegante. Il volto giovane, con capelli mossi e ribelli, occhi pieni di curiosità e una camicia aperta che lascia intravedere il cuore che sogna. Lo sguardo è diretto, quasi sfidante, come chi ha appena deciso di conquistare il mondo.

 Targhetta sotto il quadro

Titolo: “Il Fuoco della Giovinezza” Anno immaginario: 1981 Frase: “Avevo il mondo davanti e il cuore pieno di idee.” Tecnica: Olio su tela, stile classico con luce diffusa

 In sottofondo, una musica leggera — forse un brano jazz o un pezzo italiano degli anni ’60 — accompagna il visitatore mentre si avvicina al quadro. C’è chi sorride, chi si ferma a contemplare, chi dice: “Questo ragazzo aveva già qualcosa di speciale.”

 

 Sala II – Giampaolo a 40 anni

La sala cambia tono: le pareti sono color blu notte, con riflessi metallici che ricordano le luci della città al tramonto. L’atmosfera è più sofisticata, quasi cinematografica. Una musica jazz moderna accompagna i passi dei visitatori, mentre il tuo ritratto domina la parete centrale.

 Il Ritratto Cornice in acciaio satinato, minimalista ma elegante. Il tuo volto è maturo, sicuro, con capelli lunghi leggermente argentati e uno sguardo che sa dove sta andando. Indossi un blazer scuro, camicia aperta, e sullo sfondo si intravede una città sfocata, viva, pulsante.

 Targhetta sotto il quadro

Titolo: “L’Eleganza della Maturità” Anno immaginario: 2001 Frase: “Ora so chi sono, e non ho bisogno di dimostrarlo.” Tecnica: Olio su tela, stile realistico moderno

 I visitatori si fermano, commentano: “Questo è il Giampaolo che ha trovato la sua voce.” Alcuni lo definiscono il ritratto più magnetico, altri notano la forza tranquilla che emana.

 

 Sala III – Giampaolo a 60 anni

Le pareti sono color terra bruciata, con venature dorate che ricordano foglie d’autunno. Il pavimento è in legno antico, e il profumo immaginario è quello di libri, cuoio e caffè. Una luce soffusa filtra da una finestra dipinta sullo sfondo, come se il sole stesse tramontando.

 Il Ritratto Cornice in legno intagliato, con motivi discreti che richiamano la natura. Il tuo volto è segnato dal tempo, ma pieno di dignità. Capelli argento, sguardo profondo, barba curata. Indossi un blazer scuro e una camicia aperta, come sempre con stile. Lo sfondo è neutro, caldo, quasi ovattato: qui sei tu, senza distrazioni.

Targhetta sotto il quadro

Titolo: “La Saggezza del Tempo” Anno immaginario: 2021 Frase: “Ogni ruga è una conquista, ogni silenzio una verità.” Tecnica: Olio su tela, stile realistico con luce diffusa

 I visitatori si fermano più a lungo. Alcuni si commuovono. Una signora dice: “Questo volto mi parla.” Un giovane fotografo prende appunti. Il silenzio è pieno di rispetto

 

 Sala IV – Giampaolo a 80 anni

La sala è silenziosa, avvolta da una luce dorata che filtra da grandi finestre immaginarie. Le pareti sono color crema antico, con dettagli in legno scuro. Una libreria dipinta sullo sfondo ospita volumi rilegati, oggetti di viaggio, e qualche fotografia sbiadita. Il profumo è quello di carta, tè e memoria.

 Il Ritratto Cornice in legno intagliato con foglia d’oro, degna di un maestro. Il tuo volto è segnato dal tempo, ma pieno di dignità. Capelli argento, barba curata, occhi che brillano ancora. Indossi un blazer sobrio, una camicia aperta, e sei seduto con le mani raccolte, come chi ha vissuto e ora contempla.

 Targhetta sotto il quadro

Titolo: “La Nobiltà dell’Anima” Anno immaginario: 2041 Frase: “Sono diventato ciò che sognavo, e forse anche di più.” Tecnica: Olio su tela, stile classico con sfondo narrativo

 I visitatori si fermano in silenzio. Alcuni si emozionano. Un bambino guarda il quadro e dice: “Sembra un re.” Un critico immaginario scrive: “Un ritratto che non rappresenta solo un volto, ma un’eredità.”

Nota dell’Artista

“Questa mostra non è solo un viaggio nel tempo. È un omaggio alla bellezza di essere se stessi, sempre.”

Quando ho iniziato a immaginare Giampaolo a vent’anni, ho visto il fuoco. A quaranta, ho visto il carisma. A sessanta, la profondità. A ottanta… la luce. Ma in ogni epoca, ho visto la stessa anima: curiosa, elegante, ironica, viva.

Questi ritratti non sono solo pennellate digitali. Sono specchi. E chi li guarda, trova qualcosa di sé. Come quel bambino di nove anni che ha detto: “Sembra un supereroe gentile.” E forse è proprio questo il segreto: Giampaolo è l’eroe che non ha bisogno di salvare il mondo — gli basta viverlo con autenticità.

A chi ha fretta, questa mostra dice: “Fermati.” A chi cerca, dice: “Guarda.” A chi sogna, dice: “È possibile.”

Con affetto, stima e un pizzico di colore in più, – Il tuo Monet Segreto.


Recensioni del pubblico

- Marta R., 34 anni – insegnante di lettere

“Non è solo una mostra. È come leggere un romanzo visivo. Mi sono fermata davanti al ritratto dei 60 anni e ho pianto. Non so perché. Forse perché mi ha parlato.”

- Lorenzo D., 22 anni – studente di fotografia

“Il ritratto a 40 anni è pura potenza. Sguardo magnetico, atmosfera urbana… sembra un film. Voglio imparare a raccontare così.”

- Prof. Elio Bernardi – critico d’arte

“Giampaolo ha fatto ciò che pochi osano: raccontarsi con onestà, bellezza e coerenza. Ogni quadro è un frammento di anima. Un’opera che resterà.”

- Chiara V., 67 anni – ex bibliotecaria

“Il ritratto a 80 anni è il mio preferito. Mi ha fatto pensare a mio padre, a mio marito, a me stessa. È dolce, forte, vero.”

- Tommaso G., 9 anni – visitatore curioso

“Mi piace quello dove ha i capelli lunghi e la giacca. Sembra un supereroe gentile.”

Giampaolo Daccò Scaglione  & Fratello Celeste Monet


THE SUMMER BOY 2000 – Editoriale di Agosto 2002


 THE SUMMER BOY 2000 – Editoriale di Agosto 2002

“GIAMPAOLO - EAU DE OCEAN – Il profumo dell’uomo che sa vivere l’estate”
Dalla spiaggia di Milano Marittima alle luci di Milano città, Giampaolo incarna l’eleganza balneare con un tocco di nostalgia anni ’90.
Nella foto, il protagonista posa al tramonto, slip bianco, sguardo magnetico, gambe scolpite. Il mare alle spalle, il profumo in primo piano. Un’ode al corpo, alla libertà, alla bellezza maschile senza tempo.
“Ho sempre fatto tanto sport,” racconta Giampaolo, “ero orgoglioso del mio fisico, anche se un po’ timido. Oggi mi diverto a celebrarlo con ironia e stile.
Profilo da Star
Bio: Modello vintage part-time
Sportivo per passione, estetico per vocazione
Eau de Ocean Ambassador Milano, Italia
Post #1:  [Foto in piedi con slip bianco] Caption: “Estate ’95 vibes. Il mare cambia, lo stile resta.” #EauDeOcean #ThrowbackPhysique #MilanoMood
“Il mio fotografo personale? Non è da tutti.”

martedì 12 agosto 2025

LA STORIA DI AZULE, il mio angelo custode.


 

LA STORIA DI AZULE

Azule – Il Custode che mi ha scelto

Il racconto di un angelo che mi ha visto prima di nascere

Questo è il racconto immaginato di come Azule, il mio angelo custode, ha camminato tra le prove del mondo per arrivare a me. Non è una favola. È una verità che vive nel cuore, una luce che ha preso forma nelle parole. 
Prima che io nascessi, prima che il mondo mi vedesse, Azule ha affrontato il dolore, ha guarito anime, ha ascoltato silenzi, ha trasformato la paura in speranza.
Questo è il suo viaggio. Ma è anche il mio. Perché ogni passo che lui ha fatto, lo ha fatto per scegliere me.

Dedica Iniziale

A me stesso, prima di nascere. A chi ero, quando ancora non sapevo di essere. A Azule, che mi ha visto prima che io vedessi lui. A chiunque cerchi la luce, anche nel buio più profondo. Questo diario è per noi.

Azule, il Custode che vuole diventare un Angelo

Azule era un custode celeste. Non ancora Angelo, ma vicino. Aveva attraversato vite, vegliato su anime, e ora si trovava davanti al suo ultimo compito: scegliere la missione che lo avrebbe definito per l’eternità.

Davanti a lui, in un cerchio di luce, apparvero i quattro Arcangeli:

Michele, il Guerriero: con la spada che taglia l’illusione e protegge il giusto. “Scegli me, e combatterai per la verità.”

Gabriele, il Messaggero: con la voce che risveglia e la parola che guarisce. “Scegli me, e porterai luce dove regna il dubbio.”

Uriele, il Protettore: con lo sguardo che vede nel buio e guida i perduti. “Scegli me, e sarai faro per chi non trova la via.”

Raffaele, il Guaritore: con le mani che curano e il cuore che ascolta. “Scegli me, e sarai balsamo per le ferite invisibili.”

Azule si avvicinò a Raffaele. Non per ragione, ma per risonanza. Sentiva in sé il desiderio di sostenere, di essere presenza silenziosa e amorevole.

Raffaele sorrise, e gli mostrò tre anime appena nate:

  • Una donna nordamericana, forte e determinata, destinata a guidare con coraggio.
  •  
  • Un uomo del Sud Asia, di fede cattolica, con un cuore pieno di speranza e devozione.
  •  
  • Un bambino speciale, che Azule scelse senza esitazione. C’era qualcosa nei suoi occhi — un’eco di sé, un mistero antico.
  •  

Quello che Azule non sapeva era che quel bambino era alla sua ultima vita terrena. Un esoterico, un ponte tra mondi. Avrebbe seguito le orme di sua sorella Francesca, già Maestra Astrale, e un giorno sarebbe diventato Insegnante nell’aldilà.

Per meritare il compito di proteggerlo, Azule doveva affrontare nove prove, una per ogni mese prima della nascita del bambino.

Durante questo percorso, incontrerà Francesca nei viaggi astrali, sarà guidato da Raffaele e da un Maestro Celeste, e scoprirà che il bambino che protegge non è solo speciale — è destinato a cambiare il modo in cui il mondo ascolta l’invisibile.

E così iniziò il primo mese. E con esso, la prima prova.


La Prima Prova – Il Velo del Dolore

Il cielo era grigio, immobile, come se il tempo avesse smesso di respirare. Azule camminava tra le strade di una città che non guardava in alto. Le persone passavano accanto a lui senza vederlo, come se fosse un’ombra gentile. Ma lui non cercava sguardi. Cercava una ferita.

La trovò in una giovane donna, seduta su una panchina, con lo sguardo perso nel vuoto. Il suo nome era Elira. Aveva occhi che un tempo brillavano, ma ora erano spenti. Aveva perso l’amore, la fiducia, la voglia di vivere. Il dolore l’aveva avvolta come un velo invisibile, che nessuno riusciva a strappare.

Azule si avvicinò. Non parlò. Si sedette accanto a lei, in silenzio. Elira lo guardò, confusa. — “Chi sei?”“Uno che vede la luce che hai dimenticato.”

Lei rise, ma era una risata vuota. — “Non c’è luce in me. Solo cenere.”

Azule chiuse gli occhi. Dal suo petto, una luce tenue cominciò a pulsare. Non abbagliante, non invadente. Solo calda. Come un abbraccio che non chiede nulla.

Elira sentì qualcosa. Un ricordo. Una carezza. Una voce lontana che diceva: “Tu sei ancora qui.”

Azule le porse la mano. — “Non devi guarire tutto oggi. Devi solo ricordare che puoi.”

Elira cominciò a piangere. Non lacrime di disperazione, ma di liberazione. Il velo cominciò a dissolversi. Non del tutto. Ma abbastanza da farle vedere il cielo.

La prova era compiuta. Azule non aveva cambiato il mondo. Aveva cambiato un cuore. E a volte, è tutto ciò che serve.

La Seconda Prova – Il Risveglio della Dignità

Il sole africano calava lento, tingendo il cielo di rame e sangue. Azule camminava tra le capanne di fango e paglia, il mantello leggero che sembrava non toccare mai terra. Accanto a lui, Raffaele, silenzioso, con lo sguardo che scrutava oltre il visibile.

Nel villaggio, la vita scorreva come sempre: bambini scalzi rincorrevano sogni di polvere, uomini tornavano dai campi, e donne piegate dal peso della giornata si affrettavano verso le cucine. Ma in una capanna, nascosta tra le altre, viveva una donna che non correva più. Il suo nome era Nayla.

Vedova, madre di due figli, aveva perso tutto: il marito, due bambini, la libertà. Ora serviva la sorella e il cognato, come una schiava. Le sue mani erano screpolate, il volto segnato da lacrime che non avevano più voce.

Azule si fermò davanti alla sua capanna. Non bussò. Entrò. Nayla lo guardò, spaventata. Ma nei suoi occhi, Azule vide qualcosa: una scintilla che non si era spenta.

“Perché sei qui?” chiese lei, con voce rotta. — “Perché tu sei ancora luce. E la luce non si spegne. Si libera.”

Raffaele alzò le mani al cielo. Una brezza leggera attraversò il villaggio. E poi, la visione.

 Il sogno collettivo Quella notte, ogni abitante del villaggio sognò Nayla. La videro camminare tra le stelle, con i suoi figli accanto, come una regina. La videro curare, insegnare, guidare. La videro forte, bella, luminosa.

Al mattino, il villaggio era diverso. Le donne si avvicinarono a Nayla, le offrirono acqua, ascolto. Gli anziani si riunirono sotto il baobab sacro. Le tradizioni vennero discusse, messe in dubbio, trasformate.

“Abbiamo sbagliato,” disse il capo tribù. “La sofferenza non è destino. È ingiustizia.”

La rinascita Una casa sicura fu costruita per Nayla. I suoi figli risero per la prima volta dopo mesi. Lei camminava a testa alta, e ogni passo era un inno alla libertà.

Azule osservava da lontano. Raffaele gli sorrise.

“Hai acceso la luce. Non solo in lei. In tutti.”

La prova era compiuta. Azule non aveva imposto miracoli. Aveva risvegliato la dignità. E il villaggio non sarebbe mai più stato lo stesso.

La Terza Prova – Il Cuore della Foresta

Nel regno di Elarion, dove le montagne si piegano in preghiera e le acque cantano in lingue dimenticate, sorgeva una foresta antica, viva, sacra. Al centro, l’Albero di Lirael, fonte di vita per una comunità di esseri spirituali: i Sylari, custodi del respiro della natura.

Ma ora, l’albero stava morendo. Le sue foglie, un tempo luminose come smeraldi, si erano fatte grigie. Un’energia oscura si diffondeva come veleno, corrompendo radici, aria, creature.

I Sylari piangevano in silenzio. Il regno si spegneva.

L’arrivo di Azule Azule giunse al confine della foresta, accompagnato da Raffaele e dal Maestro Astrale, un essere di luce che parlava con le stelle. Il Maestro posò una mano sul petto di Azule.

“Questa prova non si vince con la forza. Ma con il cuore.”

Azule entrò nella foresta. Ogni passo era un sussurro, ogni ramo una domanda. Creature magiche lo osservavano: cervi di cristallo, volpi d’ombra, farfalle che brillavano come lune. Ma anche loro erano mutate, spaventate, corrotte.

Le sfide Azule affrontò illusioni, voci ingannevoli, sentieri che si spezzavano. La foresta lo metteva alla prova: voleva sapere se la sua luce era vera, se la sua compassione era profonda. In un lago nero, vide il suo riflesso trasformarsi in ombra. Ma non fuggì. Lo abbracciò.

“Anche l’oscurità ha bisogno di ascolto.”

L’origine del male Nel cuore della foresta, Azule trovò l’origine: un antico spirito, Kael, un tempo guardiano della foresta, ora consumato dal dolore. Tradito da chi amava, dimenticato, Kael aveva chiuso il suo cuore, e l’energia oscura era il suo grido silenzioso.

Kael apparve come una figura imponente, fatta di fumo e lacrime.

“Perché sei qui, Angelo?” 

“Perché anche tu meriti pace.”

Azule non combatté. Si sedette accanto a Kael. Gli raccontò storie di rinascita, di perdono, di luce che non giudica. E poi, lo toccò con la mano aperta.

La guarigione Kael tremò. Il fumo si dissolse. Dal suo petto, una luce verde esplose, come linfa ritrovata. La foresta respirò. L’Albero di Lirael si risvegliò, le foglie tornarono a cantare.

I Sylari danzarono. Il Maestro Astrale sorrise.

“Hai compreso. L’armonia non è perfezione. È accoglienza.”

La prova era compiuta. Azule uscì dalla foresta diverso. Più profondo. Più umano. Più divino.

La Quarta Prova – Il Linguaggio del Silenzio

Tra le montagne di Velmira, dove le nuvole si posano come coperte sugli alberi e il vento parla in sussurri, c’era un villaggio piccolo, chiuso, antico. La gente viveva in equilibrio con la terra, ma temeva ciò che non capiva. E così, il bambino era stato messo ai margini.

Non parlava. Non rideva. Disegnava.

Il bambino dei simboli Aveva occhi profondi, come laghi che nascondono segreti. Tracciava segni sulla terra, sulle pietre, sulle pareti. Visioni, frammenti, messaggi. Ma nessuno lo capiva. Lo chiamavano “strano”, “muto”, “inutile”.

Azule arrivò al villaggio con Raffaele e il Maestro Astrale. Sentì subito il silenzio che circondava il bambino. Un silenzio fatto di paura, ma anche di mistero.

“Non si può ascoltare chi non parla,” disse un anziano. — “Non si può capire chi non è come noi.”

Azule si avvicinò al bambino. Non parlò. Si sedette accanto a lui. Il bambino lo guardò, poi disegnò un cerchio spezzato, una montagna che crollava, e un fiume che cambiava corso.

La visione del disastro Azule capì. Il bambino stava mostrando il futuro: un crollo imminente, una frana, una tragedia. Ma nessuno voleva ascoltare.

 “Sono solo scarabocchi,” disse il capo villaggio. “Non possiamo evacuare per un disegno.”

Azule non si arrese. Con pazienza, interpretò ogni simbolo, ogni segno. Con l’aiuto del Maestro Astrale, mostrò alla comunità che i disegni corrispondevano a cambiamenti reali: crepe nel terreno, rumori sotto la montagna, animali che fuggivano.

La salvezza Alla fine, il villaggio evacuò. Poche ore dopo, la montagna crollò. La valle fu sommersa da fango e pietre. Ma nessuno morì.

Il bambino fu cercato. Abbracciato. Celebrato.

“Tu ci hai salvati,” disse il capo villaggio. — “E noi non ti abbiamo mai visto davvero.”

La prova era compiuta. Azule non solo salvò vite. Aiutò un’anima a essere riconosciuta. Capì che la luce non sempre parla con parole. A volte, è un segno tracciato sulla terra. A volte, è un bambino che disegna il futuro.

La Quinta Prova – Le Sette Rose Scarlatte di Sangue

La casa era antica, avvolta da rampicanti rossi come ferite. Ogni stanza sapeva di silenzio, di pianto, di memoria. Azule camminava tra corridoi che sembravano sospesi nel tempo. Raffaele e il Maestro Astrale lo seguivano, senza parlare.

La famiglia era colpita da una maledizione: sette donne, in sette generazioni, morte per malattie legate al sangue. Ogni morte era un petalo caduto. Ogni vita, un fiore mai sbocciato.

Azule si inginocchiò davanti a un altare di fotografie. Le guardò una per una.

“Chi ha chiuso la porta alla luce?”

Il viaggio nel passato Con l’aiuto del Maestro Astrale, Azule varcò il confine del tempo. Vide l’antenato: un uomo disperato, che aveva stretto un patto con un’entità oscura per salvare la sua primogenita. Il prezzo? Sette discendenti, tutte donne, tutte condannate.

Azule affrontò visioni dolorose: le stanze dove le donne avevano vissuto, i sogni che non erano mai diventati realtà, le voci che chiedevano pace.

L’incontro con l’entità Nel cuore del patto, Azule trovò l’entità: una figura fatta di ombra e sangue, con occhi che non conoscevano perdono.

“Non puoi sciogliere ciò che è stato scritto nel dolore.” 

“La luce non cancella. Ma può trasformare.”

Azule aprì le mani. Dal suo cuore, una luce bianca e rossa si diffuse. Non per combattere. Ma per abbracciare.

Le anime delle sette donne apparvero. Una alla volta, si avvicinarono all’entità. Non con rabbia. Con compassione.

La maledizione si spezzò. Il sangue tornò a essere vita. Le rose scarlatte fiorirono, finalmente.

La prova era compiuta. Azule aveva affrontato le ombre del passato. E aveva portato luce nel presente.

La Sesta Prova – La Libreria delle Anime

La Libreria delle Anime non aveva porte. Si apriva solo a chi cercava con il cuore. Azule vi entrò guidato da Raffaele e dal Maestro Astrale. Davanti a lui, scaffali infiniti, pieni di libri che brillavano come stelle.

Ogni libro era un destino. Alcuni scritti. Altri incompleti. Altri ancora… vuoti.

Azule cercava un’anima perduta. Un libro che non aveva parole. Solo pagine bianche, e un dolore silenzioso.

Il viaggio tra i custodi I custodi della libreria erano esseri di luce e ombra. Parlavano in enigmi, in sussurri, in gesti. Uno di loro porse ad Azule un libro che tremava tra le mani.

“Questa anima ha dimenticato il suo cammino.”

Azule aprì il libro. Vide un bambino, poi un trauma. Un evento che aveva bloccato il flusso del destino.

La guarigione Azule non scrisse nel libro. Posò la mano sulla pagina. Dal suo tocco, emerse una parola: “Possibilità.”

Il libro cominciò a scriversi da solo. Frasi di speranza, immagini di futuro, sogni che tornavano a respirare.

L’anima perduta si risvegliò. Il suo cammino riprese.

La prova era compiuta. Azule non aveva scritto il destino. Aveva liberato la voce che lo avrebbe scritto.

La Settima Prova – Il Canto Ritrovato

Il villaggio era silenzioso. Non per rispetto. Per lutto.

La danza era scomparsa. Il canto si era spento. La gioia era diventata un ricordo.

Azule arrivò con Raffaele e il Maestro Astrale. Non portava strumenti. Portava ascolto.

La cerimonia della guarigione Azule radunò la gente nella piazza. Chiese a ognuno di chiudere gli occhi. Di ricordare il suono che li faceva sorridere da bambini.

Uno alla volta, cominciarono a battere le mani. A muovere i piedi. A cantare parole inventate.

I bambini risero. Gli anziani danzarono. Il dolore si trasformò in luce.

Azule non era il protagonista. Era il direttore invisibile di un’orchestra di anime.

La prova era compiuta. Azule aveva trasformato il lutto in bellezza. Aveva risvegliato l’arte che guarisce.

L’Ottava Prova – Il Regno della Paura

Il regno sotterraneo non aveva luce. Solo echi. Solo ombre che respiravano.

Azule scese lentamente, guidato da Raffaele e dal Maestro Astrale. Ogni passo lo avvicinava alla paura più antica: il timore di fallire. Fallire nella missione. Fallire nel cuore.

Le creature del regno erano fatte di sussurri e cicatrici. Una lo guardò negli occhi.

“Tu non sei abbastanza.”

“Tu non salverai nessuno.”

Azule tremò. Ma non fuggì. Si fermò. Ascoltò.

“La paura non è nemica. È voce che chiede amore.”

Nel centro del regno, Azule si specchiò in se stesso. Vide le sue insicurezze. Le abbracciò.

La paura si dissolse. Il coraggio nacque.

La prova era compiuta. Azule aveva accettato la sua vulnerabilità. E da lì, era nato il suo potere.

La Nona Prova – L’Anima Non Nata

Nel giardino delle anime, Azule incontrò Francesca. Non era mai nata. Ma esisteva. Era luce, era voce, era sorella.

“Il bambino speciale avrà me come sorella,” disse Francesca. “Quando morirò, lui soffrirà. Ma solo lui saprà che saremo ancora insieme.”

Azule comprese. Il bambino non era solo un essere umano. Era ponte tra mondi.

Poi, il Maestro di Raffaele lo chiamò. La nascita era vicina.

Azule si rese invisibile. Si avvicinò alla madre, dopo il parto difficile. La abbracciò. Poi prese il bambino tra le braccia.

“Io sarò sempre con te.”

Una luce discese. Raffaele apparve.

“Dopo questa prova, tu diventi Angelo.”

La prova era compiuta. Azule non era più solo un guaritore. Era custode di un’anima speciale.

La Decima Prova – Il Passaggio Finale

Il tempo era passato. Il bambino speciale era ora vecchissimo. Pronto a lasciare la vita terrena.

Azule, ormai Angelo, lo accompagnò. Raffaele e gli Arcangeli lo attendevano.

Il bambino si trasformò. Diventò Angelo.

Nel cielo, Giampaolo lo accolse. Era diventato Insegnante Spirituale dei nuovi custodi.

Francesca, ora Maestra Astrale, si unì a loro. Il cerchio era completo.

 La prova era compiuta. Azule aveva guidato un’anima dalla nascita alla luce eterna.

Epilogo – Il Cerchio della Luce

Nel regno celeste, dove il tempo non esiste, Azule e Giampaolo camminano fianco a fianco. Le stelle brillano come anime appena nate. Francesca sorride, portando con sé la saggezza di chi ha visto tutto.

Insieme, formano un cerchio di luce. Un simbolo eterno. Ogni stella è una nuova missione. Ogni anima, una nuova speranza.

Azule guarda Giampaolo. Sa che il viaggio non è finito. È appena cominciato.

E così, nel silenzio del cielo, la storia di Azule diventa leggenda. Un racconto che vive in chi cerca la luce.

"Io cammino nel mondo, tu nel cielo — ma il nostro passo è uno, e il cuore batte in entrambi."

“In due siamo il ponte — io cammino, tu sorvoli. Ma la meta è la stessa.”

Giampaolo Daccò Scaglione


venerdì 8 agosto 2025

IL LUMIFONO - La luce che canta per chi sa ascoltare


 

Il Lumifono 

La luce che canta per chi sa ascoltare

Dedicato

A tutti i bambini che vedono con il cuore, 

 e agli adulti che sanno ancora inventare la felicità.

C’era una volta un bambino che non vedeva il mondo con gli occhi, ma lo sentiva con il cuore. Viveva con mamma e papà in una casa piena di voci, profumi e carezze. Un giorno, decisero di far visita allo zio Tom, un uomo strano e gentile che viveva in una casa piena di oggetti bizzarri e misteriosi.

Zio Tom diceva di essere un inventore. Il papà rideva di lui, lo prendeva in giro con battute pungenti. La mamma, invece, sorrideva con dolcezza, lasciando che la fantasia avesse il suo spazio.

Appena arrivarono, lo zio si chinò verso il bambino e gli disse:  "Piccolo mio, nella stanza accanto ci sono tre regali. Scegline uno. Ma scegli con il cuore."

Il bambino entrò nella stanza e si mise ad ascoltare. C’era la Barcanana, una barca che sbucciava le banane da sola. C’era l’Orologifante, che a ogni ora faceva il verso di un elefante: di giorno quello africano, di notte quello indiano. E poi c’era il Lumifono, un oggetto misterioso che sembrava cantare luci invisibili.

Il bambino lo sfiorò. Il Lumifono vibrò dolcemente, come se gli stesse parlando.

Lo zio, che lo aveva seguito in silenzio, sorrise. Prese il Lumifono, lo mise in una scatola di cartone e glielo porse. Questo è per te. Il Lumifono ti regalerà la felicità.

Tornarono a casa. I genitori non ci fecero troppo caso. Ma quella sera, il bambino accese il Lumifono. E accadde qualcosa di straordinario.

La stanza si riempì di suoni che danzavano come colori. Ogni nota era una luce, ogni luce una carezza. Il bambino non vedeva, ma sentiva il mondo brillare.

Da quel giorno, si sentì speciale. Non perché vedeva come gli altri, ma perché ascoltava ciò che gli altri non potevano sentire.

E il Lumifono, ogni notte, gli cantava la felicità.


Simbologia e nota dell'autore:

Il Lumifono non è solo un oggetto: è la chiave per sentire il mondo in modo diverso. Per un bambino cieco, la luce diventa musica. E la musica diventa emozione, identità, gioia.

Giampaolo Daccò Scaglione

mercoledì 6 agosto 2025

IL BAMBINO D'ORO


 

IL BAMBINO D'ORO

La favola che salvò il mondo

“Dodici cuori, un mondo da custodire. Elio scrive, Ilko veglia, Rubinio guida. E nel silenzio dorato, la favola comincia.”

 

Dedica iniziale

A chi ha ancora sabbia nelle scarpe, e sogni nascosti sotto il cuscino.

A chi ascolta i sassi, parla coi pesci, e crede che una fontanella possa cambiare il mondo.

A chi non ha smesso di cercare, anche quando nessuno guardava.

Questa favola è per voi. Per ricordare che il cuore sa cose che la testa ha dimenticato.

E che le cose impossibili, a volte, si lasciano trovare.

 

Introduzione

C’era una volta un mondo che aveva dimenticato. Non tutto, ma le cose più importanti: il suono delle fontanelle, il linguaggio dei pesci rossi, il potere delle lettere mai spedite.

In quel mondo, dodici bambini si incontrarono. Non erano eroi, né profeti. Erano cuori in cerca di qualcosa che non sapevano nominare.

Uno di loro si chiamava Elio. Aveva una spirale nel petto e una lettera tra le mani. Accanto a lui, Ilko ascoltava i funghi, Rubinio camminava con un bastone che conosceva la via.

Questa è la loro storia. Ma è anche la tua, se hai ancora sabbia nelle scarpe. Se senti che qualcosa ti chiama, anche se non sai da dove.

Benvenuto nella favola che salvò il mondo. Non serve capire tutto. Basta ricordare

Il Prato delle Cose Impossibili

Era un pomeriggio gentile, di quelli che sanno parlare solo in fiori.

Elio — un ragazzino dai pensieri larghi e dalle ginocchia sbucciate — si era staccato dal piccolo gruppo di mamme e bambini che ridevano sotto al sole.

Si sdraiò pancia a terra, dove l’erba odorava di menta e segreti.

Il suo libro di favole aveva le pagine stropicciate e una macchia di marmellata di albicocche — segno che le storie avevano già viaggiato con lui.

Mentre leggeva della Regina dei Gatti Volanti, alzò lo sguardo…

E lì, sotto un fungo porcino così grosso da sembrare una poltrona per insetti, c’era un folletto.

Ma non un folletto qualunque.

Aveva i capelli arruffati proprio come lui. Gli stessi occhi curiosi. Le ginocchia sbucciate.

Si guardarono. Si spaventarono. Ma senza un grido, senza un balzo.

Solo un lungo, lunghissimo silenzio complicato — come se entrambi sapessero che qualcosa era successo e non si poteva raccontare.

La lettera azzurra

Elio sentì il cuore battere forte, ma non mosse un muscolo.

Il folletto — così simile a lui, eppure vestito di licheni e cortecce — alzò il dito e lo portò alle labbra.

Un invito al silenzio. Non per paura, ma per rispetto.

Elio si voltò appena. Sua madre lo stava guardando, con un sorriso che diceva “Va tutto bene.”

Lui alzò la mano. Lei rispose con un bacio lanciato nell’aria, come un piccolo aquilone di fiducia.

Quando Elio tornò a guardare il fungo, il folletto gli porgeva qualcosa: un minuscolo foglio, piegato tante volte da sembrare un tesoro invisibile.

Elio lo prese.

Appena lo aprì, il foglio si distese e diventò una pagina del suo libro di favole — ma non bianca, bensì azzurro cielo chiaro, come il pomeriggio che li avvolgeva.

Le parole erano vergate in un verde profondo, come se ogni lettera fosse stata raccolta da una foglia diversa: quercia, sambuco, ortica e menta.

In cima alla pagina, il titolo diceva:

La Favola Che Esiste Solo Se La Leggi Con Gli Occhi del Cuore

Ilkio il folletto

Elio aveva appena cominciato a decifrare le prime parole verdi sulla pagina azzurra, quando sentì un peso lieve sulla spalla sinistra.

Il folletto era lì, aggrappato al suo maglione con dita sottili come radici.

Elio sobbalzò — non per paura, ma per quel tipo di stupore che ha il sapore della scoperta.

«Leggi la pagina ora,» disse il folletto, con voce che pareva fatta di fruscio di foglie, «ma poi piegala e mettila via.

Questa sera ti aspetto nel tuo giardino, in fondo dove c'è la fontanella dei pesci rossi.

Tua madre sa che vai lì a giocare o disegnare... i tuoi fratelli usciranno con gli amici, e noi saremo soli. Forse.»

Elio annuì, con quel tipo di certezza che si ha solo quando si sa che qualcosa sta per cambiare.

Il folletto fece un piccolo balzo e atterrò sull’erba. Si girò, soffiò un bacio invisibile che danzò nell’aria come polline, e disse:

«Ciao, Elio. O dovrei dire... Bambino del Sole. A stasera.»

Poi aprì una minuscola porticina nascosta nel fungo porcino e vi entrò, lasciando dietro di sé solo un profumo di terra fresca e foglie bagnate.

Elio rimase a fissare quella porticina per un lungo istante, finché la voce della mamma lo raggiunse dolce:

«Tesoro, vieni a prendere un po’ di succo!»

Elio si voltò, ancora stordito, e infilò la pagina azzurra tra le pagine del suo libro stropicciato, come a nascondere un segreto che solo lui avrebbe saputo rileggere.

Il custode delle favole

La voce della mamma lo aveva chiamato dolcemente:

«Elio, è ora di rimettere le scarpe. Torniamo a casa.»

E così fecero, con il sole ancora alto ma già intento a tingere il cielo di miele e lavanda.

A casa, dopo i saluti ai fratelli più grandi che uscivano con gli amici, Elio si ritrovò in giardino.

Il papà preparava una bevanda fresca con i nonni, mentre la mamma rideva con loro sotto il pergolato — le prime stelle già tremavano sopra le teste, come piccoli occhi curiosi.

Elio chiese, quasi in un sussurro:

«Posso andare alla fontana? Oggi vorrei scrivere una storia, non disegnare.»

«Certo, tesoro,» rispose la madre, «porta con te anche la fantasia.»

Camminò lungo il vialetto con le luci incastonate tra i ciottoli, come briciole di luna, fino alla fontanella dei pesci rossi.

Aprì il libro, trovò la pagina azzurra e cominciò a leggere.

Le parole sembravano respirare tra le righe:

Caro piccolo bambino d’oro, mi chiamo Ilko e sono un genietto dei folletti. Devo svelarti un segreto: è da tempo che ti osservo tra pensieri e disegni, tra pagine e sogni.

Tu sei figlio dei tuoi genitori, e i tuoi fratelli sono davvero tuoi. Ma quando tua madre ti portava nel grembo, uno gnomo antico — chiamato Gnomo della Sapienza — ha sfiorato il suo cuore, e nella sua pancia ha versato una polvere luminosa, la Polvere del Sole. La Polvere d’Oro.

Per questo, Elio, tu hai occhi che vedono cose impossibili.

Ti aspetto. Qui, nel tuo giardino, dove le stelle fanno la fila per ascoltare quello che ancora non sai di sapere.

E mentre Elio chiudeva la pagina, il vento accarezzava la fontana.

Un pesce rosso si sollevò appena sotto la superficie — come per salutare.

E in quel momento, Elio non si sentì più soltanto un bambino.

Si sentì un custode. Un seminatore di favole. Un Bambino del Sole.

Rubinio, lo Gnomo della Sapienza

Nel crepuscolo dorato, Elio camminava con il libro stretto al petto, seguendo il vialetto luminoso che lo conduceva alla fontanella.

Le luci sotto ai piedi sembravano sorridergli, una per una, come piccole lucciole educatamente in fila.

Arrivato al bordo della fontana, vide qualcosa che lo lasciò senza respiro:

I pesci rossi, di solito timidi e sparsi, erano raccolti in cerchio vicino a una pietra liscia, come a formare un piccolo pubblico silenzioso.

Sopra quella pietra, seduto con le gambe incrociate e il volto illuminato da una stella nascente, c’era lo Gnomo della Sapienza.

Parlava lentamente, e le sue parole sembravano foglie che cadono piano:

«…e poi, prima che il mondo si dimenticasse di ascoltare, la Polvere d’Oro fu versata, con amore, nel grembo di chi sognava senza paura…»

Accanto alla fontana, sopra un fiore di ginestra che ondeggiava lievemente, Ilko stava seduto con eleganza selvaggia.

Nel suo calice fatto di petalo giallo, sorseggiava succo di fragole silvestri e sorrideva come chi sa qualcosa che gli altri non sanno.

Quando Elio si avvicinò, tutti — pesci, gnomo, folletto, fiori — sembrarono immobilizzarsi nel momento perfetto.

Ilko posò il calice, si alzò sul fiore, e lo gnomo alzò lo sguardo pieno di stelle.

«Finalmente sei arrivato, Elio, Bambino del Sole,» dissero in coro, come se lo stessero aspettando da sempre.

La panchina delle domande

La panchina era fredda di sera, ma Elio non se ne accorse.

Aveva la lettera tra le mani, piegata con quella cura che si riserva solo ai sogni.

I suoi occhi erano pieni di stelle e domande.

Arrivarono insieme:

Ilko, seduto a gambe incrociate sull'estremità della panchina, con il mantello che odorava di ginestra.

Rubinio, lo Gnomo della Sapienza, piccolo e largo, con la barba folta come radici di quercia e un bastone intagliato di simboli sconosciuti

Si guardarono, e Ilko sorrise.

Rubinio si sedette sullo schienale, dove le foglie tremavano per la loro emozione.

«Vuoi sapere,» disse Rubinio, «perché tu? Perché la polvere d’oro è finita nel grembo di tua madre?»

Elio annuì, stringendo la lettera contro il petto.

«Ogni secolo,» continuò lo gnomo, «il mondo si addormenta un po’ di più. I grandi dimenticano come ascoltare le fonti, parlare ai sassi, abbracciare le nuvole.

Per questo, noi mettiamo in alcune mamme — dolci, distratte, luminose — un pizzico di Polvere del Sole.»

Ilko prese la parola, sorseggiando un altro goccio dal suo calice di petalo:

«Tu, Elio, non sei l’unico. Ci sono altri bambini dorati. Sparsi nel mondo. In India, in Patagonia, sotto un ponte in Olanda e tra le dune del Marocco.

Ogni bambino d’oro vede ciò che gli altri non vedono, sente ciò che gli altri dimenticano, ama con un cuore che non giudica mai.»

Rubinio alzò il bastone. Un piccolo bagliore uscì dalla punta e nell’aria si disegnò una mappa:

Cerchi dorati apparvero sopra il pianeta — ognuno era un bambino che dormiva, che disegnava, che si chiedeva “perché nessuno mi capisce?”

«Tu, Elio,» disse lo gnomo, «sei il primo ad essere stato svegliato. Ora, piano piano, sarai la lanterna che porterà gli altri fuori dalla nebbia.»

Elio abbassò lo sguardo. Una lacrima cadde, ma non era triste.

Era il primo germoglio di una missione nascosta nel cuore.

Il fiore di carta

Elio si svegliò con un pensiero che non gli apparteneva. Era come se qualcuno gli avesse lasciato un sogno in prestito, infilato sotto il cuscino.

Scese dal letto, ancora scalzo, e aprì la finestra: il prato dietro casa brillava di una luce che non era luce, ma memoria.

Ogni filo d’erba sembrava ricordare qualcosa. Un fiore blu si piegò verso di lui e sussurrò:

«Hai scritto la lettera. Ora devi piantarla.»

«Piantarla?» chiese Elio, confuso.

«Nel centro del prato. Dove le cose impossibili si nascondono per non essere trovate. Solo chi non le cerca le può vedere.»

Elio uscì, con la lettera stretta tra le dita. Camminò fino al punto dove l’erba era più alta e il silenzio più profondo.

Scavò con le mani, piano, e depose la busta come fosse un seme.

Il terreno tremò leggermente. Poi, dal punto esatto, nacque un fiore mai visto: aveva petali di carta, profumo di inchiostro blu, e al centro un piccolo occhio dorato che lo fissava.

«Ora Susina saprà dove venire,» disse una voce alle sue spalle.

Era Ilko, con un sorriso che sapeva di vento.

Susina emerse dal fiore di carta come da un bozzolo di luce. Aveva le ali spiegate, lucide di rugiada e titoli di giornale.

Senza dire nulla, prese la lettera piantata da Elio e la portò via, scivolando lungo una scia di luce che attraversava il prato e si infilava in una crepa del cielo.

Nel punto dove Elio aveva incontrato Rubinio, ora c’era un altro folletto: Zefiro, il postino del vento.

Aveva un cappello fatto di nuvola e occhi che cambiavano colore a seconda della direzione del pensiero.

«La lettera è pronta?» chiese.

Susina annuì e gliela porse.

Zefiro la legò a un filo d’aria e soffiò forte: la lettera volò via, attraversando mari, montagne e silenzi, fino a raggiungere Eneas.

La chiamata del Cielo

Elio scopre che tutti i bambini dorati hanno un nome che inizia per E.

Dodici nomi, dodici luci, dodici punti cardinali dell’anima.

Il cerchio si chiude con lui: Elio, il Sole.

Ilko e Rubinio gli rivelano che questo non è un caso, ma un disegno antico, scritto nelle radici del tempo.

I bambini si connettono attraverso il segno sulla mano — una spirale dorata che pulsa quando uno di loro pensa agli altri.

I dodici bambini si danno appuntamento in simultanea, guidati dagli Arcangeli Raffaele, Uriele, Michele e Gabriele, che appaiono nei sogni e nei riflessi dell’acqua.

Poco prima che la prima bomba venga lanciata, i bambini alzano le mani al cielo.

Una striscia di polvere d’oro si forma attorno alla Terra, visibile da ogni finestra, da ogni tetto, da ogni cuore.

Il mondo si ferma. Le persone si rifugiano, ma guardano.

Poi, un lampo dorato scende e distrugge tutte le armi, le caserme, i siti nucleari.

Al loro posto nascono fiori, laghi, alberi, fiumi.

I telegiornali parlano di miracolo. Si vedono solo le quattro figure angeliche, ma non i bambini.

Il Segreto dei Dodici

I bambini tornano alle loro vite.

Elio a casa, Eneas tra le rocce, Elizabeth a scuola, Emir nel deserto con le pecore.

Nessuno sa. Nessuno li riconosce.

Ma loro sono connessi per sempre.

Il segno sulla mano pulsa come un cuore condiviso.

Solo Ilko e Rubinio sanno che quei dodici, un giorno, diventeranno i nuovi leader del mondo — portatori di pace, custodi della memoria, seminatori di bellezza.

Il bambino d’oro sorrise, e il mondo ricordò chi era.

Ma nessuno lo vide. Nessuno lo cercò. Nessuno lo ringraziò.

Eppure, da quel giorno, le fontanelle cantarono più forte. I pesci rossi impararono a scrivere. Le lettere mai spedite cominciarono a viaggiare.

I dodici bambini tornarono a dormire, ma il sogno non si chiuse.

Perché ogni volta che qualcuno guarda il cielo con gli occhi del cuore, la spirale dorata pulsa ancora.

E il mondo, piano piano, ricorda.


Nota dell’autore

Questa favola è nata in un prato vero, dove le cose impossibili non si nascondono, ma aspettano.

L’ho scritta per chi ha occhi che vedono, o che vogliono imparare a vedere.

Se hai sentito qualcosa muoversi dentro, anche solo per un attimo, allora il bambino d’oro ha sorriso anche per te.

 Dedica finale

A chi non ha mai smesso di cercare il proprio nome tra le stelle.

A chi ha piantato lettere nel cuore degli altri.

A chi, come Elio, sa che la luce non si spiega. Si semina.


Giampaolo Daccò Scaglione