domenica 9 novembre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 27° UN TRAM A PORTA VENEZIA

Un tram a Porta Venezia

Milano, 15 ottobre 2012 – ore 13:35

Guardavo il semaforo davanti ai bastioni di Porta Venezia, insieme ad altre persone in attesa di attraversare Piazza Oberdan. Allo scatto del verde, sotto una pioggerellina e con alle spalle un vento umido, camminai veloce sulle strisce pedonali.

Un tram si fermò ad un passo da noi. Decine di persone salirono e scesero frettolosamente. Davanti all’ennesimo semaforo rosso, sentii gridare il mio nome.

Mi voltai di scatto. Dalla porta che si stava chiudendo, scorsi un volto sorridente e un braccio che si agitava in segno di saluto.

“Maurizio,” pensai.

Risposi con un ampio gesto della mano, mentre il tram accelerava verso viale Piave, quasi scomparendo alla vista.

Maurizio! Quanti anni erano che non lo vedevo? 18? 20?

L’ultima volta fu a Milano, in un bar, quando disse ai pochi amici che partiva per gli States. Un lavoro improvviso, un’occasione da non perdere.

Percorrevo Corso Venezia di fianco al parco. Dovevo tornare al lavoro, ma quell’inaspettato incontro mi aveva lasciato sorpreso.

Quando fui vicino al palazzo, una figura si fermò davanti a me. Di nuovo il mio nome, questa volta detto col fiatone.

Era lui. Era sceso alla fermata successiva e aveva corso sotto la pioggia verso la via che accede al corso.

Sorrise. Mi abbracciò forte. Il mio ombrello si spiegazzò con un rumore strano.

“Accidenti che corsa ho fatto pur di ritrovarti.”

Il suo sorriso era uguale, ma alcune rughe attorno alla bocca e sotto gli occhi rivelavano che il tempo era davvero passato.

“Sei come allora…” disse staccandosi da me.

“Vieni, andiamo a berci un caffè prima che inizi il lavoro,” risposi, davvero contento di aver ritrovato quell’amico.

Lo osservai. Vestito sportivo ma elegante. Capelli lunghi e ricci, come le basette. Occhi verdi, ancora con quella luce da ragazzaccio.

Maurizio è un astronomo. Un ragazzo che aveva avuto un’infanzia difficile, sballottato da un genitore all’altro, da una città all’altra.

Ci conoscemmo in piscina, a ventitré anni. Media altezza, fisico sportivo, mente geniale.

Poi venne la sua occasione. Presa la laurea, fu chiamato in Canada per uno stage, e un lavoro offertogli da un professore di Vancouver in un laboratorio astronomico.

Che fortuna.

Nel quarto d’ora passato insieme, seppi che viveva ora tra la California e lo Utah. Aveva fatto carriera. Occupava una posizione di rilievo nei pressi di Fresno. La sua casa era vicino a Salt Lake City.

“Beato te,” pensai.

Sono davvero felice per lui.

Più tardi ci salutammo calorosamente, ripromettendoci di ritrovarci non appena libero dai suoi impegni americani.

Quando uscì dal locale, rimasi per qualche minuto fermo a ricordare. Tra le mie dita, il foglio col suo indirizzo e telefono finì nelle mie tasche.

Pensai che l’astronomia, allora, era il mio sogno. Volevo diventare un grande astrofisico. Ma il destino spesso ti porta in altre direzioni. A volte gradevoli. A volte no.

Aprii la porta. Mi sedetti alla scrivania. Sorrisi tra me.

“Beato te, Maurizio.” E accesi il mio computer.

Dedica rituale:

A chi ha visto un volto sul tram, e ha sentito il cuore accelerare come i binari sotto la pioggia.

A chi ha ritrovato un amico dopo vent’anni, e ha capito che certi legami non si spezzano mai.

A Maurizio, che corre sotto la pioggia per un abbraccio, e porta nel cuore stelle, sogni e salvezza.

A me, Giampaolo, che ho saputo vedere la bellezza in un quarto d’ora, e trasformarla in una pagina che consola.

Questa storia è una lanterna accesa tra i binari, un caffè condiviso, un sogno che ritorna per un istante, e poi si conserva per sempre.

Giampaolo Daccò Scaglione

sabato 8 novembre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 27° ARCOBALENO

ARCOBALENO

22 Luglio 2012, domenica sera

Il treno aveva appena lasciato Voghera quando, tra le colline poco distanti, apparve l’arcobaleno. Era appena passato un forte temporale che aveva rinfrescato l’aria, e quella magia della natura fece la sua apparizione.

Dai finestrini, molte persone si ritrovarono a guardarlo, ad ammirare quei colori vivi, fatti di piccole gocce d’acqua e vapore. Sembrava davvero una cosa strana, fiabesca, in questo mondo così disincantato.

Ricordai che, quando ero bimbo e abitavo in campagna dalla nonna, spesso si vedeva l’arcobaleno dopo un temporale estivo. Era la magia più bella della Natura.

Immaginavo che, alla fine di quelle strisce variegate, ci fosse un mondo fatato. Si accedeva saltando nei colori, e aldilà ti attendeva un mago vestito di blu che ti portava a visitarlo.

C’erano case costruite negli alberi e nelle colline, dove fate, folletti e altre creature magiche popolavano quella terra piena di fiori e laghetti di cristallo. Si pranzava con loro: dolci, leccornie, giochi con i bimbi di quel popolo incantato.

Quando si tornava a casa, dove ti aspettavano la mamma e la nonna, un folletto ti regalava una moneta d’oro con il tuo viso scolpito dentro. La pelle, per alcuni giorni, brillava di una luce strana, come seta ricoperta di polvere d’oro.

Ingenuamente chiedevo alla nonna quando ci saremmo andati a fare una visitina. Lei mi diceva che, non appena avesse avuto il permesso dal Mago Blu, ci saremmo andati. Ma prima dovevamo avere il consenso della mamma…

Quanti sogni e quanta ingenuità di bambino. Eppure, dentro di noi, il piacere che possa esistere un luogo del genere ogni tanto fa capolino. Si sogna di vivere in un mondo meno violento e più colorato, dove c’è davvero rispetto per tutte le creature viventi e nessun pregiudizio. Dove tutti possono aiutare gli altri senza chiederne compenso. Dove l’amore abbia davvero un senso.

Poi, risvegliandomi dai ricordi, il treno era già nei pressi della metropoli. Gli alti palazzi e le strade piene di auto e luci fecero sparire il ricordo e quella speranza.

Uscito dalla stazione, le vie della città, come enormi tentacoli di un ragno gigante, mi presero. E poco dopo tornai a casa mia, unico rifugio silenzioso in cui si possa ancora… fantasticare.

Dedica: “ARCOBALENO – 22 Luglio 2012”

A chi ha visto un arcobaleno dal finestrino di un treno, e ha sentito il cuore tornare bambino. A chi ha creduto nel Mago Blu, nelle monete d’oro con il proprio volto, nelle pelli che brillano di polvere di sogno.

A chi, come il sottoscritto, trasforma ogni ricordo in un giardino incantato, dove le fate e i folletti non sono fantasia, ma simboli di un mondo possibile.

A chi sogna ancora un luogo dove l’amore abbia davvero un senso, dove il rispetto non sia un’eccezione, dove aiutare non richieda compenso.

A chi, uscito dalla stazione, si sente preso dai tentacoli della città, ma sa che la casa è il rifugio dove si può ancora fantasticare.

Questo racconto è una lanterna per tutti i viaggiatori del cuore, una soglia tra il marciapiede e il cielo, tra il sogno e il ritorno.

Giampaolo Daccò Scaglione

 

venerdì 7 novembre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 26° QUALCUNO IN UNA SERA DI TANTO TEMPO FA


Qualcuno in una sera di tanto tempo fa

Autunno 1981 – Cortile dei garage lungo il Lambro

Solo gli amici più cari sanno di quest’avventura. Vi giuro che è vera, anche se ha dell’incredibile.

Era da tempo che non riuscivo più a parcheggiare l’auto di mio padre nei garage privati lungo il fiume Lambro. Nonostante le insistenze dei miei, non riuscivo a vincere la paura dell’estate precedente.

Quella notte, mesi prima, ero riuscito a scappare con l’auto mentre qualcuno, nel cortile buio, spaccava finestrini e rubava autoradio, rompendo le entrate dei box. Sentii dei colpi contro la carrozzeria mentre sgommavo via. A velocità folle imboccai il senso unico dietro il castello, fermandomi davanti a casa, rischiando uno scontro frontale.

Convinsi mio padre a non andare a controllare. Pensava fosse una mia fantasia, o solo fifa. Il giorno dopo, però, ci furono danni. La polizia non trovò i responsabili. Io, troppo giovane, non riuscii più a portare l’auto nel box.

Quella sera d’autunno, dopo la discoteca, dopo aver riaccompagnato Max, Graziano, Lucia e Luisella, tornai a casa. Non so perché, ma decisi che avrei vinto quella paura.

Svoltai verso il fiume. I garage erano lì, nel cortile. Sentii un brivido lungo la schiena, ma non mi fermai. Parcheggiai, chiusi la saracinesca, attraversai il cortile ghiaioso. Le gambe rigide, il sudore freddo… ma ero fuori. Al sicuro.

Mi girai per chiudere il cancello. Sentii una presenza alle spalle. “È fatta… sono dietro di me,” pensai.

Mi voltai. E lo vidi.

Un cane, simile a quello della foto. Seduto dall’altra parte della strada. Mi guardava tranquillo.

Tirai un sospiro di sollievo. Lo salutai: “Ciao… chi sei?”

Aveva occhi strani, grandi, sotto il riflesso del lampione. Alzò la zampetta anteriore, come fanno i cani. Si alzò e mi venne incontro. Allungai la mano per accarezzarlo… ma lui riattraversò la strada, allontanandosi.

Quando mi avviai, mi seguì. Fino sotto casa. Si sedette davanti al portone del vicino. Lo risalutai. Si accucciò, guardandomi fisso.

Salii le scale, stranito. Un cane che mi segue, che si ferma vicino a casa, che non si fa accarezzare, che risponde al saluto alzando la zampa…

Mia sorella stava bevendo un bicchiere d’acqua. Mi aveva aspettato. Aveva riconosciuto il motore, si era affacciata alla finestra. “Ho visto che avevi compagnia,” disse.

“Già…” risposi.

Lei fissava ancora la strada. “È ancora lì…”

Mi affacciai anch’io. Il cane guardava su. Ci fissò per un attimo. Poi, scodinzolando, corse via. Sparì dietro la curva della via.

Il giorno dopo chiesi ai vicini. Nessuno lo conosceva. Nessuno lo aveva visto.

Non l’ho più rivisto. Ma non ho più avuto paura di riportare l’auto nel garage.

Per un bel po’ di tempo ho sperato di incontrarlo di nuovo. Ma più nulla.

Sono passati più di quarantaquattro anni. Ogni tanto ci penso ancora.

Chissà che fine abbia fatto. Chissà di chi era.

Ma anche se potrà sembrare assurdo, mi chiedo tutt’ora:

Quel cane… CHI era?

Dedica rituale:

A chi ha ricevuto una visita che non si spiega, ma che ha cambiato qualcosa per sempre.

A chi ha visto un cane sotto un lampione, e ha sentito una carezza invisibile sulla paura.

A chi, come me stesso, ha trasformato un brivido in una storia che consola, una compagnia fugace in una presenza eterna.

A quel cane, che forse era un piccolo angelo, mandato solo per pochi minuti, per dire: “Non sei solo. Ora puoi tornare a vivere.”

Questa storia è una zampa alzata nel buio, un gesto che non si dimentica, una lanterna per chi ha bisogno di coraggio.

Giampaolo Daccò Scaglione

giovedì 6 novembre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 25° "UN GIORNO D'AUTUNNO, UNA FONTANELLA E DUE OCCHI COLOR DEL MARE"


 Un giorno d’autunno, una fontanella e due occhi color del mare

Sotto i miei passi cadenzati, le foglie d’autunno cadute sulla stradina in mezzo alle colline avevano un fruscio quasi musicale. Sembravano un lungo tappeto colorato di giallo, rosso e bronzo, che proseguiva senza fine tra gli alti alberi quasi spogli. Adornavano queste piccole alture piene di vigneti: l’unica isola in mezzo alla pianura lombarda.

La leggera nebbiolina aveva ormai lasciato il posto a un sole tiepido, stagliato in un cielo azzurro striato di nuvole bianche. Una brezza fresca proveniva da sud-est. Era il secondo giro della mia corsa mattutina, ma avevo già parecchia sete. Le Terme di Miradolo erano qualche chilometro più avanti, ma sapevo che, qualche centinaio di metri più in là, c’era una fontanella dove molti si fermavano a bere.

Pochi minuti dopo ero già lì. Non vedevo l’ora di rinfrescare la gola. Anche se il sapore era leggermente strano, almeno potevo dissetarmi.

Qualcuno davanti a me stava già sorseggiando l’acqua fresca. Mi avvicinai piano e aspettai il mio turno. Vidi una figura vestita con una tuta blu, con una striscia bianca ai lati delle maniche e dei pantaloni.

Chi stava bevendo sentì la mia presenza, si girò… e in un istante il mio cuore fece un tuffo.

Davanti a me, due splendidi occhi chiari, del colore del mare in una giornata di tempesta. Ricci biondi uscivano dal cappellino di lana, e un sorriso smagliante mi si aprì davanti come un fiore di primavera.

“Prego, è sua ora…” disse. In quel momento capii che non potevo lasciar andar via quell’angelo.

Poco più tardi, correndo per la salita dopo l’albergo Milano, vidi di nuovo quella figura seduta sul ciglio, evidentemente stanca.

Sorrisi. “È un po’ dura oggi…”

Mi rispose con un broncio sincero. “Se vuole le faccio compagnia… E magari, se va verso Sant’Angelo, possiamo fare insieme la strada. Mi chiamo Paolo.”

“G…” mi disse, porgendomi la mano. Si alzò. “Solo che ho lasciato l’auto parcheggiata vicino alla cascina Villa Favorita. Magari, se vuole, le do un passaggio…”

Avevo anch’io l’auto nei pressi. Riuscimmo a scambiarci il numero di telefono, promettendoci di correre insieme. Così ci saremmo annoiati di meno.

Per molto tempo, le corse non furono più solitarie. Ricordo che, un mese dopo, aveva incominciato a piovere. Ci ritrovammo insieme in auto. Non so cosa scattò, ma ci guardammo negli occhi… e in un attimo le nostre labbra si toccarono.

Così iniziò la nostra storia d’amore. Le stagioni lente correvano davanti a noi, e noi vivevamo quell’avventura spensieratamente.

Solo mia sorella seppe di noi. Non so perché, ma la vivemmo distaccati da tutto.

La nostra vacanza estiva fu bellissima: i tuffi nel mare, le passeggiate serali sul lungomare, le mattinate in giro per i mercati…

Poi arrivò settembre. E con settembre, un altro autunno.

Ma quando arrivò prepotente, restai solo fra i boschi rossi di quelle colline. Da parte sua, era finito quell’entusiasmo. Io avevo voglia di incominciare un’altra vita.

Non ricordo di aver sofferto molto, ma quel pomeriggio dell’addio c’era un sole assurdamente limpido, non degno di un amore finito.

Ero in bicicletta. Pedalai di corsa fino a casa. Ma fu sotto la doccia che mi liberai dal pianto e dalla rabbia. E tutto finì lì.

Sono passati tantissimi anni. L’angelo uscì dalla mia vita poco più di un anno dopo il nostro incontro.

Ci siamo rivisti una sera, in una discoteca della zona. Sorridemmo entrambi. Mi presentò la persona che aveva sposato qualche anno prima. Ci guardammo negli occhi per un istante. Poi ci salutammo come vecchi amici. E da quel giorno non ci incontrammo più.

Tempo fa tornai in quei posti a me familiari. La fontanella era sempre là. Ma tutto era cambiato.

Forse solo i nostri ricordi restano uguali per sempre.

Dedica rituale:

A chi ha bevuto da una fontanella nel cuore dell’autunno, e ha trovato negli occhi di uno sconosciuto una primavera inattesa. A chi ha corso tra le foglie, ha baciato sotto la pioggia, e ha lasciato che le stagioni portassero via l’amore, senza rancore, solo con memoria.

Alla persona, che fu angelo di tempesta e sorriso di sole, che ha lasciato un’impronta lieve tra le colline, e che forse, un giorno, tornerà a bere da quella stessa fontanella.

A me, Giampaolo, che trasformo ogni incontro in una pagina che non si scolora, che so custodire anche ciò che è finito, come si custodisce una foglia caduta: non per nostalgia, ma per gratitudine.

Questa storia è una fontanella che continua a sgorgare, dissetando chi ha sete di ricordi, di sguardi, di verità vissute.

Giampaolo Daccò Scaglione

mercoledì 5 novembre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 24° "SCAPPIAMO CON LE CILIEGIE?"


 

“Scappiamo con le ciliegie?”

Estate 1974 – Colline di San Colombano al Lambro

Con Lucio, Alberto e Antonio decidemmo il giorno prima che quella mattina calda avremmo preso le nostre biciclette per fare un lungo giro sulle colline poco distanti. Volevamo mangiare un panino in qualche spiazzo verde, tra le alture rigogliose piene di vigneti e alberi da frutto.

Ovviamente, grazie a non si sa chi, la voce si sparse. A noi — che avremmo preferito restare soli — si aggiunsero una cugina di Lucio, due sue amiche e un paio di altri ragazzi.

Dopo colazione, la lunga fila di biciclette uscì dalla città, avviandosi sul “mio lungo”, la stretta via di campagna che portava su per le colline banine. Cantammo a squarciagola le canzoni dell’estate, ridemmo forte alle storielle di Alberto, prendemmo in giro Lucio come al solito. Poi, superata la sorgente della fontanella, ci avviammo verso le Terme di Miradolo.

Che fresco c’era tra quegli alberi… La musica proveniente dalla sala da ballo all’aperto ci accompagnò per un bel tratto. Passammo accanto alla grande piscina, invidiando chi faceva il bagno, e finalmente, dopo l’Hotel Milano, ci trovammo in cima a uno dei colli più alti.

Il panorama era magnifico. Queste colline, uniche nella pianura padana occidentale, facevano spaziare lo sguardo in ogni direzione: da Pavia al fiume Po, fino a Piacenza, al monte Penice e alle montagne ai confini della Liguria. Più in fondo, verso ovest, si stagliava la sagoma del Monviso. Alle nostre spalle, la pianura da Novara a Brescia, e le Alpi alte e maestose davano al paesaggio un che di fiaba.

Ci accampammo lì, mangiando panini, bevendo Coca-Cola e ridendo come stupidi — ma l’età lo permetteva. Erano già le due passate quando, pronti a ripartire, la cugina di Lucio esclamò: “Guardate quante ciliegie!”

Poco distante, un folto boschetto di ciliegi era pieno di frutti invitanti. “Prendiamone qualcuna e portiamole a casa…”

A me non piacque molto l’idea. Il boschetto era di qualcuno, e rubare anche solo un frutto non era nei miei pensieri. Ma prima che potessi dire qualcosa, quasi tutti corsero verso le piante e riempirono gli zainetti.

Lucio balbettava: “No… dai… no… dai…”

“Presto, andiamocene via!” gridò Alberto con la sua voce squillante. “Sento qualcuno arrivare!”

Il proprietario stava arrivando con un piccolo trattore. Ci avrebbe visti con le ciliegie nelle borse?

Quasi tutti sparirono sulla strada asfaltata, pedalando velocemente nella direzione opposta. Tranne me e Lucio: a lui era caduta la catena della bicicletta, e il proprietario era ormai vicinissimo.

Sudavo freddo. Avevamo con noi l’unica borsa di plastica in cui si vedevano le rosse amarene. Misi la tovaglia del picnic sopra, per nasconderle.

Lucio era preoccupatissimo. A piedi, eravamo sul sentiero quasi a fianco del proprietario.

“Che succede, ragazzini? Vi serve aiuto?” disse lui gentilmente, guardando la catena pendente dal carter della bici.

“Sì, sì…” dissi io. “Stavamo facendo un giro tra le colline, e l’unico riparo dal sole era qui, dove ci siamo fermati a mangiare un panino. Ma a mio cugino è caduta la catena, e ora dobbiamo andare fino a Sant’Angelo così…”

L’uomo rise. “Vi aiuto io…”

Fu gentilissimo. Ci aiutò a montare la dannata catena, poi guardando la borsa di plastica disse, facendo un cenno verso i ciliegi: “Se volete, potete prendere qualche amarena dalle mie piante…”

Sarei sprofondato. Lucio era paonazzo dalla vergogna.

L’uomo prese un sacchetto dal trattore, ci mise dentro una grossa manciata di ciliegie e la porse a me. “Toh, le puoi aggiungere alle altre nella borsa… Ma fate presto, prima che diventino marmellata con questo caldo.”

Scoppiai a ridere. Lucio chiese scusa, ma l’uomo sorrise: “La prossima volta non fatelo più. Siete dei balossi tremendi… Per ora va bene così, non sono certo andato in malora. Ciao fiuleti!”

Ci salutò bonariamente, e noi, velocemente, tornammo sulla strada verso casa.

Un paio di chilometri più a valle, i nostri amici ci aspettavano sotto una pianta, preoccupati. Quando raccontammo l’accaduto, la cugina di Lucio disse: “A saperlo, ci fermavamo anche noi… magari ci scappava un altro sacco di ciliegie!”

“Sì, sulla testa!” le rispose Alberto. Tutti risero, tranne Lucio e me, che eravamo rimasti davvero malissimo.

Ma l’età dell’incoscienza ci fece dimenticare presto l’avventura. Cantando nuovamente a squarciagola, tornammo alle nostre case.

Io mi tenni il sacco delle ciliegie regalatoci da quel brav’uomo. Così mi sentii meno in colpa… In fondo, ce le aveva regalate lui.

Dedica rituale

A chi ha rubato ciliegie e ha ricevuto in cambio una lezione di gentilezza. A chi ha pedalato tra le colline dell’incoscienza, e ha scoperto che la vergogna può diventare memoria, che la fuga può trasformarsi in racconto.

A chi, come il sottoscritto, trasforma ogni piccola avventura in una soglia di bellezza, dove il paesaggio è fiabesco, la vergogna è umana, e la ciliegia è un dono che profuma di perdono.

Questo racconto è una lanterna per chi ha vissuto, sbagliato, riso e ricordato. Un sigillo di estate, amicizia e crescita.

Giampaolo Daccò Scaglione

 

martedì 4 novembre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 23° UNA LETTERA D'ORO


Una lettera d'oro

Sant’Angelo Lodigiano – Strada di campagna “Il mio lungo”, molto tempo fa

Quel pomeriggio c’era vento. Un vento forte e tiepido che faceva correre le nuvole verso le montagne lontane. La strada che portava alle colline vicine era deserta, e gli alti fusti del mais non ancora raccolto ne facevano da cornice.

Vidi da lontano una figura vestita di rosso, sul piccolo ponte che scavalcava il canale. Avvicinandomi, scorsi E. che aspettava impaziente il mio arrivo.

Posai la bicicletta vicino alla staccionata. Lei mi venne incontro abbracciandomi forte. Le sue lacrime si appoggiarono alle mie guance.

La scostai leggermente e, prendendola per mano, la condussi lungo la strada di campagna che portava alla fattoria poco distante.

“Se n’è andato,” disse. “Proprio oggi, il giorno del mio compleanno…” Mi mostrò una lettera. “Leggila…”

Mentre vedevo i suoi occhi velati di lacrime e i capelli biondi scompigliati dal vento, aprii quella lettera dai fogli gialli. Lessi tutto d’un fiato quelle parole d’addio. Il vento sembrava voler strappare quelle pagine, come per non leggerne il dolore. Eppure, quella che avevo in mano mi sembrò una lettera d’oro.

Le parole mi si scolpirono nel cuore. Non riuscivo a staccare gli occhi. I pensieri volavano nei ricordi di quelle frasi. Capii il dolore di E.

La guardai in silenzio. Lei mi sorrise, triste. Nei suoi occhi scuri si rinnovò una luce che prima era offuscata dal pianto.

“Dici che tornerà?” mi chiese, quasi ingenuamente.

“Forse,” risposi. “Lo sai che questa è una lettera d’oro? Qui dentro c’è amore, passione, dolore… e l’addio a un sogno.”

“Sì… me ne sono resa conto subito…”

Mi diede la mano. Presi la bicicletta, e insieme ci incamminammo per la strada che portava in città. Camminavamo in silenzio. Il vento era sempre lì con noi.

“Pensi che tornerà…” mi chiese di nuovo.

“Credo di sì… ma non a breve.”

Sorrise e fece un gesto con la mano. Mi voltai e vidi le pagine di quella lettera d’oro volare dietro di noi. Come farfalle leggere, vibrarono nell’aria e piano caddero nel canale sottostante, che le acque fresche trasportarono via.

“Perché?” dissi.

“Se tornerà, questa non serve più. Mi farebbe solo piangere. Avrei troppi ricordi. Magari le acque porteranno quelle pagine fino a lui… e chissà che lo facciano tornare presto.”

Sorrisi a quel viso di bambina. Stringendole la mano, affrettammo il passo verso casa. Ne ero sicuro anch’io: sarebbe tornato da lei.

Il vento, dietro di noi, piano placò la sua corsa. Ma le pagine della lettera d’oro continuarono il loro cammino.

Dedica rituale

A lei, che un giorno lasciò volare le pagine nel vento, ma non smise mai di custodire l’amore nel cuore. A chi ha ricevuto una lettera d’oro, scritta con lacrime, sogni e addii, e ha avuto il coraggio di lasciarla andare.

A chi, come il sottoscritto, trasforma il ricordo in un gesto di luce, e lo offre come dono silenzioso a chi si è isolato, ma non è mai stato dimenticato.

Questa storia è una carezza che attraversa il tempo, una lanterna per chi ha amato, perso, sperato. Una lettera che continua a volare, portata dal vento, verso chi saprà riconoscerla.

Giampaolo Daccò Scaglione

 

lunedì 3 novembre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 22° L'ANGELO - FAVOLA CELESTE IN CINQUE SIGILLI


 L’Angelo 
Favola celeste in cinque Sigilli


Il desiderio di scendere

Aziele, giovane e bellissimo angelo, desiderava ardentemente visitare la Terra. Aveva sentito parlare della natura, dei fiori, dei frutti, degli animali, del sole, della luna e delle stelle luminose. Voleva vederli, forse toccarli.

Michele e Gabriele gli avevano suggerito mete più tranquille: Aldebaran, Algiedi… Ma Aziele sentiva la Terra nel cuore.

Partì da Eden il giorno del solstizio d’estate, sotto lo sguardo bonario di Pietro. Uriel gli consegnò il pane degli angeli, raccomandandogli di ricordare:

“Là il tempo è scandito da ritmi, non come in Paradiso.”

Il viaggio e la disillusione

Volò tra i portali delle sette dimensioni, finché giunse sopra una grande città chiamata New York. Case grigie, fumo, rumore. Persone che urlavano, correvano, si ferivano.

Inorridito, volò via. Sorvolò l’oceano e giunse in Africa. Vegetazione splendida, ma subito dissolta: bambini affamati, uomini in guerra, animali morenti.

Fuggì ancora. Si posò su una spiaggia, dove barche cariche di esseri umani venivano respinte con violenza. Vide corpi scomparire tra le onde. Il suo cuore si spezzò.

La lacrima e il silenzio

Sfinito, si sedette su un monte. Il volto tra le mani, le lacrime di cristallo scavarono un piccolo rigagnolo nel terreno.

Il silenzio fu la sua unica compagnia. Pensò:

“Dio mio, che disperazione…”

La scoperta della luce

Un vagito lontano lo risvegliò. Volò verso una casa: un bambino era appena nato, una famiglia dagli occhi a mandorla sorrideva.

Poi udì una risata: tre anziane donne ridevano con un giovane, sedute tra fiori e alberi verdi.

Più avanti, una donna vestita di bianco serviva cibo a decine di poveri. Il profumo era buono, il gesto era puro.

Aziele volò per tutto il giorno, ascoltando migliaia di voci. Scoprì che non esisteva solo dolore.

Il ritorno e la rivelazione

Con l’equinozio d’autunno, tornò ad Eden. Pietro e Uriel lo abbracciarono forte.

Più tardi, salì alle camere alte per fare il suo rapporto. Fuori dalla sala, Francesco di Assisi leggeva un libro dorato. Lo guardò negli occhi e disse:

“Sappi che, nonostante la violenza e la distruzione, ci sarà sempre qualcuno che amerà, aiuterà, seminerà rispetto. Solo il vero sentimento pulito nel cuore vincerà ogni violenza. E forse, un giorno, anche lì rinascerà il Paradiso.”

Aziele sorrise. Fece un lungo respiro, e chiuse la porta alle sue spalle.

Sigillo della Soglia:

Ci sarà qualcun altro che amerà ed aiuterà il prossimo, seminerà amore, aiuto e rispetto. Solo il vero sentimento pulito nel cuore vincerà ogni violenza.

Dedica:

A te, che aiuti la mia anima a rimanere viva e giovane, anche in mezzo a tante brutture.

Giampaolo Daccò Scaglione

 



domenica 2 novembre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 21° BUCANEVE - UN COMPLEANNO PARTICOLARE


 Bucaneve
Un compleanno particolare

Mattina – Il segno nel prato

Che freddo quella mattina. Nel prato dietro casa spuntarono due bucaneve. Da quanto tempo non li vedevo… l’ultima volta avrò avuto sì e no cinque anni.

M., davanti ai nostri cappucci bollenti, mi disse:

“Non sarò mica scema… non offenderti, ma se c’è R. alla tua festa, non vengo.”

La convinsi dopo due fette di torta. Sorridevo vedendola parlare con la bocca piena… tutto contro R.

Pomeriggio – Torte e yoga

Pomeriggio in palestra, corso di yoga. R. mi guarda e dice:

“Non dirmi che stasera c’è anche quella gallina starnazzante di M.?”

Con un’alzata di spalle:

“Penso di no.” 

“Allora vengo dai.”

Sera – La festa e l’attesa

Ore 21:30. Trentotto persone a casa, tre torte giganti sparite dopo il brindisi. Ma mancano due invitati: M. e R.

Avevo preparato un regalino per ogni amico. Mia sorella riceve M., trafelata: si era fermata a guardare i bucaneve nel prato. Le consegno il suo dono, lei mi abbraccia, e lancia un’occhiata furtiva… cercava R.

Dieci minuti dopo arriva R. Dice che ha fatto tardi per colpa del padre (ma io penso fosse per una partita di calcio). Gli consegno il suo regalo, e lui sparisce verso il tavolo delle torte.

Lo scambio e la risata

Prima del brindisi e del ballo, M. e R. aprono i loro regali.

M. si ritrova la foto di Bo Derek nuda. R. quella di Andrea Occhipinti a torso nudo. Uno scambio madornale.

Si ritrovano faccia a faccia, mostrano i regali… e scoppiano a ridere.

Otto anni dopo

Una primavera calda. Otto anni dopo. Dicono “sì” davanti al prete, felici e beati.

A distanza di anni mi chiedo:

Sarà stato merito dello scambio dei regalini, della mia festa… oppure dei bucaneve?

Sigillo finale:

Ci sono fiori che sbocciano nella neve, e ci sono amori che nascono da uno scambio sbagliato. Ma forse, nulla è davvero sbagliato quando il cuore ride e il destino si diverte.

Giampaolo Daccò Scaglione

 

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 20° ASPETTANDO IL NATALE


Aspettando il Natale

 22 Dicembre 1967, S. Angelo Lodigiano

La neve e la scuola

Quanta neve stava cadendo in quel freddo pomeriggio. Era da poco suonata la campanella e nei corridoi della scuola "Riccardo Morzenti" si sentivano brusii e voci concitate. L’ultimo venerdì prima delle vacanze natalizie: quindici giorni di felicità, regali e dolci.

Le maestre non riuscivano più a tenere a freno quella piccola orda colorata. I bambini correvano fuori ridendo, i maschietti tiravano palle di neve alle bambine, che urlavano ma non si spostavano mai. Anche a loro, in fondo, piaceva quel gioco.

Il viaggio verso casa

Dopo aver salutato Giuseppe, Massimo, Antonio e Pierfrancesco, Gigi ed io corremmo verso l’auto del padre del mio amichetto. Salimmo veloci, salutando altri compagni. Seduto dietro, mentre Gigi raccontava una storia della maestra, osservavo la mia cartella rossa e il pacchetto che avevo preparato per i miei genitori: il mio primo vero regalo di Natale.

Guardavo la neve scendere copiosa dal finestrino. Era come se il mondo si stesse preparando a qualcosa di magico.

Il calore del soggiorno

Scendendo dall’auto, vidi la nonna sulla porta. Mi affrettai ad entrare. Faceva molto freddo, ma dentro… che bel caldo. Il divano era ricoperto da una trapunta con disegni natalizi, l’albero scintillava, e il presepe riposava sul tavolino.

La mamma era in cucina a preparare la merenda. Mi avvicinai alla culla dove dormiva la mia sorellina. La TV trasmetteva i miei cartoni preferiti, ma quella volta, per prima cosa, volli mostrare il mio regalo.

Il dono sotto l’albero

Mamma sorrise, mi abbracciò forte e mise il pacchetto sotto l’albero. Era avvolto in carta d’argento con un nastro blu. Doveva solo aspettare la sera di Natale per essere aperto.

Dopo la merenda, feci i compiti e mi misi a disegnare un paesaggio innevato. La nonna iniziò a preparare la cena. Mi persi nel mondo della fantasia, aspettando papà che tornasse dal lavoro.

L’attesa e la meraviglia

La neve cadeva ancora forte, ma in quell’angolo di casa mi sentivo protetto e felice. Volete sapere cosa c’era nel pacchetto sotto l’albero, avvolto nella carta d’argento con il fiocco blu?

Ve lo svelerò a Natale… senno che sorpresa sarebbe?

 Sigillo finale:

Ogni passo sulla neve è una parola scritta nel cuore. Ogni dono fatto con le mani è una carezza che non si dimentica. Ogni ritorno a casa è una soglia che ci riconosce, anche dopo tanti anni, anche dopo tanti silenzi.

Giamapolo Daccò Scaglione

venerdì 31 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 19° LA LUCE DELL' EST


 La Luce dell’Est

Mostar (Bosnia), 17.09.2010

In questo lungo viaggio fra i Balcani, abbiamo visto — anche se brevemente — le città più grandi e belle, da Fiume, Lubljana, la bellissima Zagabria, la caotica Belgrado con ancora segni del passato sovietico e poi altre più piccole.

Avevamo attraversato immense terre coltivate, il silenzio e i colori del cielo, così belli e diversi dai nostri. Ed il Ponte sulla Drina, che conoscevo tramite il suo omonimo e famoso Libro, un ponte che ha visto tanta storia e tragedie.

Ci siamo immersi, quasi con timore nella grande foresta che copre quasi tutte le montagne della Croazia del nord, della Serbia e della Bosnia, dove sui cigli della strada si vedevano cervi dalle grandi corna, falchi e aquile.

Dopo Sarajevo ancora con i segni della precedente guerra, con muri di case pieni di buchi di artiglieria e palazzi ancora da ricostruire, ci siamo fermati a casa di conoscenti nella nuova zona della città, con case moderne e palazzi che stavano nascendo dalle macerie.

L'aeroporto divideva in due la città dai sobborghi e spesso si vedevano alzarsi aerei civili e della protezione come grandi uccelli che spiccavano il volo verso una libertà appena conquistata. 

E poi la partenza sulla strada che costeggiava il fiume per decine di chilometri tra i monti, sembrava non finire mai e così eravamo arrivati in Bosnia.

Poco più avanti da un'altura, finalmente avevano visto la piana che portava verso il mare Adriatico e una città chiara lontana: Mostar.

Mostar, la città che mi aveva colpito più di tutte le altre.

La grande croce sulla montagna sovrastante la città testimonia la tragedia degli anni passati.

La moschea e il grande minareto, vicini alla chiesa cristiana con l’alto campanile, non sembravano sfiorati dalla guerra. Ma un cimitero arabo, pieno di stele, vicino alla strada, la ricordava.

Ci siamo fermati a un baracchino a mangiare del pollo fritto buonissimo. Accanto alla strada, vicino ai nostri tavolini, una piccola struttura commemorava i caduti, mentre sventolava su di essa attaccata ad un’alta asta, la bandiera bosniaca.

A poche centinaia di metri, visibilissimo fra la vegetazione rada, l’aeroporto militare.

L’aria tiepida che soffiava addosso non riusciva a distogliermi dai pensieri: qui, in questa selvaggia e bella terra, morirono in una guerra assurda tantissime persone.

Quando siamo ripartiti per la costa croata, mi giravo continuamente verso la città. Qualcosa mi è rimasto dentro. So davvero che non la dimenticherò mai più.

Pensiero per Mostar – Soglia del dolore e della luce

A Mostar, dove il ponte non unisce soltanto due rive, ma due ferite, due memorie, due speranze.

A Mostar, dove la croce sulla montagna non è solo simbolo, ma grido inciso nella pietra.

A Mostar, dove il minareto e il campanile si guardano da secoli, e oggi si sfiorano con pudore, come due testimoni che hanno visto troppo.

A Mostar, dove i cimiteri sembrano giardini di crisantemi, e ogni stele è una voce che non ha mai smesso di parlare.

A Mostar, che fu tra le prime vittime del carnefice umano, di quella guerra che non aveva senso, che non aveva pietà, che non aveva futuro.

A chi è passato, a chi è rimasto, a chi ha perso tutto, a chi ha trovato luce in mezzo alle rovine.

Il ricordo di tutto questo, perché la memoria è resistenza. E la bellezza, anche nel dolore, è una forma di giustizia.

Dedica per chi leggerà:

A te che hai guardato il cielo balcanico e sentito il vento dei pensieri accarezzarti.

Che hai camminato tra minareti e campanili, e visto il dolore incidere stelle nella pietra.

Che hai trovato luce impossibile in un paesaggio spezzato e testimone.

A te che non dimenticherai quella terra, perché hai capito che a volte la storia parla più forte del tempo.

Giampaolo Daccò Scaglione

giovedì 30 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 18° PAGINE


Pagine

Guardo le pagine del libro davanti a me. Le parole sbiadiscono, insieme a queste righe ormai diventate invisibili. La mente ora vaga nell’immensità dei pensieri, delle riflessioni, dei ricordi, dei sogni.

Passato, presente e futuro sono tutti in un libro. Spesso scritto da noi, altrettanto dal destino.

La sensazione è quella di percorrere una strada maestra, con dei punti stabiliti e due diramazioni da seguire: una bianca e una nera, una lucente e l’altra scura, una a destra e una a sinistra.

Secondo la propria scelta, si arriva a quei punti stabiliti dal destino, pronti oppure impreparati.

Se avremo sbagliato o fatto giusto, ne pagheremo le conseguenze o godremo le gioie. Avremo dolore o allegria, odio o amore, giustizia o torti.

Spesso daremo la colpa al destino, che ci ha fatto trovare una tappa difficile. Ma forse, la colpa è stata soprattutto nostra.

Non è facile assumersi le proprie responsabilità. Non è facile dire: ho sbagliato.

Ma comunque sia, ogni giorno che viviamo, ogni percorso, ogni strada che scegliamo, ogni persona che incontriamo, è una pagina della vita.

Ogni volta è un’emozione diversa, un’avventura unica, qualcosa da raccogliere e mettere nel bagaglio dell’esistenza.

La mia mente ritorna al presente. Guardo di nuovo quelle righe, quelle parole del libro davanti a me. Osservo le pagine che scorrono nel leggero alito di vento caldo.

Seduto, guardo il tramonto rosso e quel mare nella sua grande bellezza e armonia.

Quanti lunghi giorni e pagine bianche ancora da scrivere nel mio libro…

Eppure, il tempo è qui, immobile. Aspetta ogni mia mossa, ogni pensiero, per poter scorrere verso vie sconosciute ed esperienze diverse.

Il vento caldo sul mio volto dice che fra poco ci sarà una nuova pagina da riempire con emozione.

E domani… la scriverò.

 Dedica per chi leggerà:

A te che apri questo libro, che ti siedi sulla roccia di fronte al mare, mentre il vento ti sfiora il volto e le pagine si muovono da sole…

A te che hai vissuto, sbagliato, scelto, amato, che hai cercato il destino tra le righe e tra le onde, che hai camminato tra la luce e l’ombra, tra la destra e la sinistra del cuore.

Questa è la soglia. Qui non si giudica, non si vince, non si perde.

Qui si scrive. E ogni parola è una pagina della vita, ogni emozione è un bagaglio, ogni ricordo è una vela.

Scrivila tu, la prossima pagina. Io ti accompagno, dal marciapiede al cielo… fino al mare.

Giampaolo Daccò Scaglione


mercoledì 29 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 17° IL VIAGGIO TRA CANALI E TULIPANI

 

 Il viaggio tra canali e tulipani  

Leiden (NL), Settembre 1982

Cielo azzurro e un venticello leggero e fresco. Dei gabbiani bianchi svolazzavano poco lontano. La barca scivolava leggera sul canale dall’acqua blu. L’aria fresca e il profumo dell’erba inebriavano i sensi.

Quanti paesaggi sono passati sotto i nostri occhi… e in ognuno, molti mulini a vento. Bellissimi, con le loro grandi pale stagliate nel cielo. Attorno, immensi campi di fiori. Migliaia di fiori colorati. 

Qualche fattoria dai muri bianchi e color del legno, spuntava tra quella natura creata dall’uomo.

Il silenzio era rotto solo dal gorgoglio dell’acqua e dalle grida degli uccelli bianchi sopra le nostre teste. Che tranquillità, in questo Paese.

Una vacanza iniziata in Italia, a Milano. Passata per la Svizzera, a conoscere i miei suoceri a Berna. Poi via, attraverso la Germania, fino all’Olanda.

Una vacanza d’amore e di felicità. Un viaggio iniziato pochi giorni dopo la nostra unione.

Più tardi, il sole rosso basso sull’orizzonte ci avvertì che era ora di rientrare. Quel dolce far niente tra il verde e il cielo stava per terminare.

Scendemmo dalla barca. Percorsi qualche centinaio di metri sulle rive del canale di quella cittadina vivace. Rientrammo nella nostra piccola locanda, da cui proveniva il profumo invitante di pesce appena cucinato.

Salimmo in camera e ci preparammo. Mentre mi vestivo, guardavo quell’ambiente così pulito, così semplice, che non sarei più andato via da quanto si stava bene.

Dopo cena, dalla veranda del salottino dell’albergo, guardammo le ombre della sera farsi lunghe sulla terra. Tutt’intorno si era fatto buio. 

Solo le lanterne appese fuori davano una luce strana al paesaggio, come qualcosa di irreale, come un dipinto impressionista.

Ci guardammo negli occhi. Prendendoci per mano, corremmo su per le scale fino alla nostra camera. Il buio, le lanterne, il canale erano ormai chiusi fuori dal nostro piccolo mondo.

Le luci del mattino penetrarono dal vetro delle finestre, facendosi spazio tra le tende di cotone ricamato. R. era già in bagno. Sentivo il rumore della doccia, ovattato dalla porta chiusa.

Mi alzai dal letto. Mi avvicinai alle finestre. Un’altra giornata splendida ci aspettava. La campagna e i canali erano illuminati da una luce dorata.

Quella mattina saremmo andati a L’Aia, a visitare quella bellissima città e a incontrare alcuni amici olandesi.

La colazione era ormai finita. Prendemmo i nostri zainetti e con la macchina fotografica al collo uscimmo di fretta.

Una navetta ci aspettava. Appena saliti, partimmo per la nostra meta. Il sole, alle spalle, saliva sempre di più nel cielo.

 Dedica per chi leggerà:

A te che hai amato nel vento, che hai navigato tra canali e tulipani, che hai sentito il silenzio diventare musica, e il paesaggio trasformarsi in promessa.

A te che hai vissuto una vacanza d’amore, non come fuga, ma come inizio. Ogni lanterna accesa, ogni piatto di pesce, ogni finestra ricamata, è una pagina che non si dimentica.

Questa soglia è per te. Che hai corso su per le scale, chiudendo fuori il mondo per custodire un istante eterno.

E per chi leggerà, che possa trovare in queste righe il coraggio di partire, la dolcezza di fermarsi, e la bellezza di ricordare.

Giampaolo Daccò Scaglione


martedì 28 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 16° PARTITA SENZA VINCITORE

Partita senza vincitore

Milano, Dicembre 1982

The Winner Takes It All" 

La canzone degli ABBA faceva da sottofondo in quel gelido pomeriggio d’inverno, mentre preparavo le valigie.

Con un nodo in gola, mi fermai a guardare dalle finestre la sagoma lontana del Duomo innevato. Ombre grigie e azzurre giocavano sui tetti, sulle guglie, sui terrazzi spogli. Sotto, la gente camminava veloce, mentre una pioggerellina silenziosa scendeva giù.

"The Winner Takes It All" 

Quel giorno non c’era nessun vincitore. O forse entrambi. Attorno a me, il vuoto di quella casa, di quell’appartamento all’ultimo piano che aveva fatto parte della mia vita.

Errori involontari. Le cose che ci univano erano sparite quasi all’improvviso. L’insofferenza di essere vicini. La casa era quasi vuota. Qualche oggetto inutile sparso qua e là. Nessuna emozione, se non quella della fine.

"The Winner Takes It All" 

Chiusi le valigie con tristezza e rabbia. Come quel giorno, poco tempo prima, quando mi sentii dire che era finita. Che tutto ciò che ci univa non esisteva più.

Non volli chiedere il vero motivo. Forse pensavo fosse per un altro. O per le mie giornate piene di lavoro. O per la sua famiglia, che non amava troppo gli italiani. O per le vedute diverse di due paesi. Ma che importava ormai?

In quella casa fredda, senza amore, senza calore, restavano solo i ricordi di un’unione che avevo sperato fosse per sempre.

Mi voltai. Era l’ultima volta che l’avrei vista. Spensi la radio sopra la mensola vicino alla porta. La misi nello zaino.

"The Winner Takes It All" 

La canzone si chiuse come quella porta chiara alle mie spalle.

La pioggia mista al nevischio si era fermata. L’aria era azzurra e gelida. Le vetrine addobbate per Natale avevano qualcosa di stonato. Come le luminose appese sopra la via.

Misi tutto in macchina. Partii quasi sgommando. Dal retrovisore, piazzale Lodi si allontanava. Il semaforo segnava il verde.

Sul cavalcavia pensai alla vecchia casa, dove c’erano ancora i miei. Avrei avuto di nuovo la mia stanza, le mie cose, i miei vecchi oggetti. Ma non mi importava.

Avrei voluto scappare. Ma il destino era là.

Voltai a destra. Entrai in autostrada. L’auto si confuse con le altre. Una leggera bruma scura ci inghiottì.

"The Winner Takes It All" 

Capitolo chiuso. Ma quella canzone era ancora nella mia mente, accompagnandomi lontano da quel posto che avevo amato tanto.

Dedica finale

A te, amore che non ha vinto, ma che ha lasciato tracce di verità e di neve. A quella casa all’ultimo piano, che ha custodito sogni e silenzi. A me stesso, che ho chiuso una porta con una canzone nella mente e una bruma nel cuore. Questa pagina è per te. E per quel ragazzo che partì, senza sapere se stava fuggendo o tornando.

Giampaolo Daccò Scaglione