domenica 30 novembre 2025

ATLANTE DELLE QUATTRO PIETRE: La Pietra Rosa

 La Pietra Rosa

Estate 1996 – Riviera Ligure di Ponente

Il sole splendeva alto sul mare blu della Liguria, una breve vacanza decisa grazie ad una coppia sposata di amici, che avevano in affido due giovanissime sorelle ucraine senza genitori, che vivevano in un orfanotrofio a Samara.

Così ci siamo aggregati a loro, formando una comitiva di otto persone, ospitate nella casa di vacanza di uno dei nostri amici presenti, una comitiva divertente e con una multicolore confusione di gioia e risate.

Le bambine ucraine avevano una dodici e l'altra tredici anni, bionde molto carine e piuttosto alte per la loro età. Una delle due con i capelli sciolti, dolce e curiosa, mi seguiva sempre: ascoltava le fiabe che inventavo, fiabe che non aveva mai sentito prima.

Nell’altra sorella dalla treccia che cadeva lunga sulla schiena, era più chiusa e probabilmente  gelosa, si rifletteva un’ombra diversa ed in lei si notava una certa diffidenza, scontrosità che neanche i modi dolcissimi della nostra amica che l’aveva in affido riusciva a distendere.

Sembrava di vedere in loro il giorno e la notte, il nero ed il bianco, la luce e l’oscurità e quella biondina scontrosa mi faceva pena e tenerezza, probabilmente non riusciva a dimostrare tutto ciò che aveva dentro al contrario della sorella così vivace che viveva con entusiasmo quella vacanza in Italia.

Un pomeriggio caldo, mentre stavo nuotavo in quel mare limpido, mi sentii un po' stanco ed il sole mi dava fastidio, decisi così di tornare a riva. All’improvviso, nell’acqua, brillò qualcosa: una pietra rotonda, perfetta, di un colore rosa pastello.

Sembrava un confetto magico, un dono del mare. Istintivamente pensai al volto della ragazzina dolce, presi quella pietra levigata e le consegnai la pietra tra le sue mani. I suoi occhi si illuminarono: era come se le avessi donato un tesoro.

Ma la sorella, furiosa, gliela strappò di mano e la gettò a terra con rabbia e furia, mi ero pentito subito del gesto istintivo non pensando ad una conseguenza simile.

“Io niente? Sono invisibile?” gridò.

Tra il silenzio irreale e l’imbarazzo di tutti in quel momento, mi rimisi subito in cerca di un dono anche per lei e trovai poco distante una pietra verde trasparente, lucida molto bella quasi simile a una ghianda. Gliela offrii con gentilezza, ma lei la rifiutò, gettandola via.

Questa volta i due genitori affidatari si erano arrabbiati per il comportamento maleducato della ragazzina e scusandosi con noi, si allontanarono con lei parlando fitto fitto.

Eravamo rimasti noi amici seduti sulla sabbia con l’altra ragazzina che con evidente stupore, ci raccontò che sua sorella faceva sempre così e che lei cercava di aiutarla ma sembrava sempre arrabbiata, maleducata, gelosa. 

Veniva spesso punita nell'orfanotrofio dove vivevano e che la sua paura era per il futuro della sorella, probabilmente le avrebbero divise se fossero state adottate definitivamente vedendo il comportamento scontroso dell'altra.

Così la pietra rosa tornò nelle mani della bambina dolce, la pietra verde tornò a me, mentre la coppia con quella bambina difficile ora apparentemente calma tornarono da noi, nuovamente scusandosi di tutto il disagio.

In quell'istante mi alzai, guardando la pietra verde nel mio palmo aperto, dissi alle piccole che l’avrei custodita e donata a chi di loro due avesse studiato e si sarebbe comportata bene verso gli altri, una promessa per quando ci saremmo rivisti durante le vacanze dell’anno prossimo.

Raccontai che la pietra verde sarebbe diventata viva e luminosa come una stella nella notte del natale ortodosso indicandomi in sogno, il viso di chi l’avrebbe meritata tra loro due fissando negli occhi la bambina scontrosa.

Finalmente lei sorrise, istintivamente mi diede un bacio frettoloso sulla guancia e accettò dentro di se la fiaba che avevo inventato in quel momento. Di nascosto schiacciai l’occhio all’altra che ricambiando la strizzata, sorridendo mise la pietra rosa nella sua sacca.

Purtroppo non tutte le favole finiscono lietamente, infatti la coppia che le aveva in adozione di dissero in una sera grigia di fine inverno che non le avremmo più viste, la loro sofferenza era evidente: le sorelle erano state adottate definitivamente da una famiglia ucraina.

Da allora non ho avuto più notizie, ma so che la pietra rosa è rimasta con la bambina dolce, come il ricordo di un mare che non aveva mai visto.

 “Il mare dona, la pietra brilla. Una sorella sorride, l’altra rifiuta. Il custode scrive, la fiaba resta.”

 Dedica alle due sorelle:

“Che la pietra rosa continui a brillare nelle mani di chi ha sorriso, e che la pietra verde, anche se rifiutata, sia seme di forza invisibile.

Che la vita vi accompagni, dove il destino vi ha portate, in qualunque terra, in qualunque casa, con la protezione del mare che vi ha accolte.

Che la memoria di un giorno d’estate vi ricordi che siete amate, e che il ricordo di tutti noi veglia ancora su di voi.”

 Giampaolo Daccò Scaglione

sabato 29 novembre 2025

ATLANTE DELLE QUATTRO PIETRE: La Pietra del Sole

La Pietra del Sole

Estate 2000, Naama Bay – Egitto.

Arrivati con un piccolo autobus turistico dal bellissimo hotel che ci ospitava, ci inoltrammo nel percorso indicato alla ricerca di souvenirs o anche occasioni per acquistare oggetti, manufatti ed altro da portare a casa come ricordo di quella splendida vacanza.

Qualche risata con un'ospite spiritoso che contrattava con un venditore egiziano parlando un po' inglese, un po' romagnolo e qualche parola araba, avevano fatto ridere a crepapelle tutti i presenti, alla fine era stato l'egiziano disperato a vendere al prezzo che voleva il signore che proveniva da Cesena.

Faceva caldo, anche se era un clima secco il desiderio di bere era tanto, dallo zainetto presi due bottigliette di acqua fresca, una l'avevo consegnata ad Ezio che stava osservando un negozio di pietre mentre la mia nell'aprirla feci cadere il tappo.

Appena preso un raggio di sole si riflesse sul vetro della finestra della porta in legno della bottega dove Ezio guardava da una finestra alcune sculture di ambra, per me fu come un segnale, un desiderio di entrare perchè "sentivo" che lì, c'era qualcosa che dovevo vedere.

Il sole cocente batteva sulle strade di Naama Bay, eppure quel negozio di pietre sembrava diverso dagli altri: non moderno, non turistico, ma antico, quasi sospeso nel tempo. Ezio, appassionato di gemme, osservava con attenzione ogni vetrinetta piena di quegli oggetti di diverso colore e forma, mentre io mi perdevo tra i riflessi azzurri e verdi.

Il proprietario, un uomo alto, dagli occhi profondi vestito di lino bianco, mi scrutava in silenzio. Poi, con voce calma, disse: "Giovane signore vuoi una pietra, magari per tua madre?"

Rimasi sorpreso. Non avevo chiesto nulla, eppure sembrava sapere quel desiderio che mi si era formulato nella mente poco prima, sorrisi annuendo e avevo seguito quell’uomo vestito di bianco come fosse un antico sacerdote.

Mi condusse verso un cassetto di vetro di una cassettiera di legno scuro. Appena lo aprì, il mio sguardo fu catturato da una pietra ovale, azzurra, quasi identica a quella che avevo ricevuto anni prima sul Tor.

La presi tra le mani: era turchese, viva, vibrante. Il negozio si trasformò in un tempio, e per un istante sentii che quella pietra mi stava scegliendo, l'uomo aveva sorriso e quando lo guardai negli occhi avevo avuto una sensazione strana.

Mi era sembrato che ci fossimo conosciuti in chissà quale tempo lontano, in chissà quale remota terra, la sua mano prese la pietra azzurra dalle mie dita, avevo sentito come un brivido e lui gentilmente mi disse: "Seguimi giovane signore, confeziono la tua pietra così potrai riportarla a casa".

"Riportarla?" avevo pensato. Come riportarla a casa, era forse una pietra che mi aspettava da tanto tempo in questo posto pieno di sole, luminoso ed accecante?

Quando la mise in un sacchetto blu identico a quello che ebbi tempo prima come regalo da quella donna in Cornovaglia, mi aveva lasciato sorpreso. Mi porse il sacchetto ed istintivamente avevo aperto la mano.

Sorridendo gentilmente mi mise quell'involucro sul palmo, e strinse la mia mano con le sue grandi mani calde ed un sorriso bianco.

"Questa è la tua pietra giovane signore, devi tenerla stretta ogni volta che la prendi tra le tue mani. E' un oggetto molto bello adatto a te." 

Pagato il conto continuò, girandosi di spalle chiudendo un'anta di un armadio che era rimasta semiaperta: "E' - hajar alshams - che vuol dire La pietra del Sole."

Si rigirò verso di me con quegli occhi scuri che penetravano nei miei "E' uguale ai tuoi occhi - shabun hakim." (giovane saggio è il significato di quelle parole). 

Lo salutai gentilmente, sentendo il suo sguardo seguirmi fino all'uscita dove Ezio mi aspettava dopo aver acquistato qualcosa sempre nello stesso negozio dal collega dell'uomo, con altre persone che ridevano ancora alle battute del signore romagnolo.

Più tardi, tornati in hotel, come se fossi guidato da una strana sensazione, presi una cartina geografica e, con un righello, tracciai una linea obliqua: dal Tor alle Piramidi, fino a Naama Bay. Un filo invisibile, un ponte tra Avalon e l’Egitto.

Era solo una coincidenza? O un segno che la mia vita non appartiene soltanto agli anni che vivo, ma a memorie più antiche, a epoche che continuano a risuonare dentro di me?

“Dal blu del Tor al deserto dorato, la pietra chiama, la soglia risponde.”

Giampaolo Daccò Scaglione

venerdì 28 novembre 2025

ATLANTE DELLE QUATTRO PIETRE: Una Vacanza Misteriosa

 Una Vacanza Misteriosa

“Non sempre si torna coi piedi, a volte si torna col cuore, con la memoria, con la fiaba che continua.”

Estate 1997, Cornwall.

Quando lo vidi apparire davanti ai miei occhi, in quella terra verde e umida, con una leggera bruma azzurrina che lambiva il terreno, ebbi un’emozione fortissima: la sensazione di essere tornato da un passato lontano. Con la mente rividi i fuochi di Beltane, nativi che danzavano tra cerchi e canti, un’atmosfera animista, potente, piena di energia… chissà quanti secoli fa.

Marco mi toccò il braccio. — Beh?... Ti sei addormentato? Gli sorrisi, negando con la testa. Proseguimmo con la comitiva verso la collina: la Sacra Collina Celtica.

Il Tor era lì, davanti a me. L’atmosfera del mattino era magica, carica di mistero. Dopo le spiegazioni della guida, ci incamminammo lungo il sentiero che portava ai resti della torre in vetta. Mentre il sole irradiava la pianura sottostante, rivelando un paesaggio meraviglioso, sentii crescere dentro di me una corrente energetica. Più mi avvicinavo, più la percepivo: una forza azzurro‑argentea, come proveniente dal profondo della terra.

Quando la comitiva raggiunse la torre, mi allontanai di poco, nascondendomi dalla parte opposta. Mi concentrai. Come in sogno, sentii la corrente attraversarmi. Vidi piedi correre sull’erba, fiati affannati, una cantilena maschile che vibrava come onde invisibili. Gambe muscolose, un pugnale di bronzo nella mano sinistra, e sulla destra un segno identico a quello che porto sulla mia mano.

Poi, un cerchio di uomini vestiti di bianco. Attorno a loro, figure femminili inginocchiate, in abiti azzurri, muovevano le mani nell’acqua. Una voce chiamava: — Azhyel… Azhyel… Yynswy… Yynswy… Mi girai e sorrisi, in quella specie di trance.

Un raggio di sole mi colpì negli occhi. — Paolo… Ma sei qui allora… Marco mi sorrideva, invitandomi a scendere. Ripeteva più volte dov’ero finito.

Sul sentiero verso la pianura, mi voltai verso il Tor: sembrava immerso in una luce argentea. Ripensai a quel nome: Azhyel Yynswy. Strano, ma familiare.

Sul pullman, due donne parlavano fitto in un inglese dialettale. Una pronunciò tre parole che mi rimasero scolpite: Ynais Ertoys Winis. Mi girai. Stavano già fissandomi. Quella più anziana, dagli occhi azzurro chiaro, mi disse: — Welcome back… Sorry, I meant welcome to the land of Yinis Witrin. Or rather, Avalon.

La bionda accanto aggiunse: — Sooner or later we all return to places we know… or somewhere in the past where we lived. Don’t you think? Feci segno di sì, perplesso.

Marco mi diede una gomitata: — Ma attacchi bottone proprio con tutti, eh? Scendemmo dal bus. Salutai le signore, ospiti in un cottage vicino al nostro hotel. La bionda si avvicinò e mi porse un pacchettino avvolto in carta gialla. — Consider it a lucky charm.

In camera, dopo la doccia, mi vestii per la cena. Prima di scendere, aprii l’involucro: un ciondolo ovale, pietra turchese circondata da fili di rame. I bordi ricamati come petali a forma di “Y”, al centro una “A”. Pensai subito a quel nome: Azhyel Yynswy.

Lo misi in tasca e raggiunsi Marco in sala da pranzo. Era stata una strana coincidenza… o un viaggio in un passato lontano? E quelle due signore così strane? Chissà…

 “Nel velluto blu, la pietra dorme e veglia. Nel silenzio, il nome si prepara a tornare. Dove la terra respira, dove il nome ritorna, lì il ponte si apre e la memoria canta.”

 Giampaolo Daccò Scaglione

 


giovedì 27 novembre 2025

ATLANTE DELLE QUATTRO PIETRE: PROLOGO


 "LE QUATTRO PIETRE"

“Quattro pietre, quattro porte. Tre visibili, una invisibile. Il tomo si chiude, il custode veglia.”

“Quattro pietre, quattro elementi. Tre visibili, una invisibile. Il cerchio si chiude, il custode veglia.”


TERRA (Tor, 1997) 

 Pietra della Bruma 

 "La nebbia custodisce, la soglia si apre."

 

FUOCO (Egitto, 2000)

Pietra Turchese del Sole

  "Il sole arde, la pietra risplende."

 

MARE (Liguria Levante, 1996)

  Pietra Rosa 

  "Il mare dona, la pietra brilla."


CIELO (Liguria Ponente, 1964)

  Pietra Azzurra Romboidale

  (Infanzia, sogno custodito)

“Il bambino sogna, l’uomo ricorda. Il futuro si specchia, la soglia si compie.”


Atlante: I° Capitolo

La Vacanza Misteriosa (Tor, 1997)

Pietra della bruma e della “A” che svanisce.    


Atlante: II° Capitolo

La Pietra del Sole (Egitto, 2000)

Pietra turchese, gemella luminosa, linea obliqua verso le Piramidi.   


Atlante: III° Capitolo

La Pietra Rosa (Riviera Ponente - Liguria, 1996)

Pietra-confetto donata alle sorelle ucraine, fiaba di dolcezza e gelosia.   


Atlante: IV° Capitolo

La Pietra Azzurra (Riviera Levante - Liguria 1964)

Pietra romboidale trovata tra le onde, sogno dell’uomo futuro.   


"Le quattro pietre, i quattro elementi, le quattro memorie."


Giampaolo Daccò Scaglione

martedì 25 novembre 2025

LA STORIA DEL MAGO SCALZO: 3° CAPITOLO


✨ Il Nome Dimenticato

Giampaolo e Alisso erano ancora sotto la quercia. Il passerotto si era posato nella mano del bambino, e l’aria sembrava sospesa, come in attesa di una rivelazione.

“Tu… sei sicuro di non sapere quanti anni hai?” chiese Giampaolo, con voce tremante.

Alisso sorrise. “Non è importante. Il tempo non conta quando si è stati dimenticati.”

Giampaolo si voltò verso l’albero. Le fronde si muovevano piano, come se stessero sussurrando qualcosa.

“Io… io qui ci venivo da piccolo. Una volta, avevo incontrato un bambino. Biondo, con gli occhi chiari. Diceva di parlare con i folletti.”

Alisso lo guardò. “E tu gli avevi creduto?”

“Sì. Gli avevo detto che lo facevo anche io.”

Il passerotto saltellò nella mano del bambino, poi volò via, lasciando una piuma sul ginocchio di Giampaolo.

“Come si chiamava quel bambino?” chiese Alisso.

Giampaolo chiuse gli occhi. Il nome… Era lì, ma nascosto. Come se fosse stato sepolto sotto anni di silenzio.

“Non lo ricordo.”

Alisso si alzò in piedi. “Allora vieni. Forse lo ricorderai se torniamo dove vi siete incontrati.”

Giampaolo lo seguì. Camminarono nel parco, fino a una piccola radura con un’altalena di legno.

“Qui,” disse Alisso. “Qui è dove ti ha detto che eri speciale.”

Giampaolo si fermò. Il cuore gli batteva forte. Poi, come un sussurro, il nome arrivò.

“Si chiamava… Elia.”

Alisso sorrise. “Allora non sei solo. Non lo sei mai stato.”

Il Bambino che Attraversò il Tempo

“A costo di attraversare il tempo, vengo da te.” — Elia, 1969

I due tornarono a casa lasciando volare il passerotto. Chicco, rientrato in anticipo dal viaggio, si stupì della presenza del bambino, ma conoscendo Giampaolo, finse di nulla. “Ciao, io sono Chicco” “Io Alisso… come dice Giampaolo. Ma non so il mio vero nome.” Corse in bagno.

Chicco fissò Giampaolo. Lui raccontò tutto: il parco, il passerotto, il nome Elia. Chicco, sensibile quasi quanto lui, lo abbracciò.

“Il segreto è nel luogo dove ti ha portato. E se fosse lui?”

“Avrebbe attraversato lo spazio temporale.”

“Non per certe forme d’amore. Forse Elia, a quel tempo, ti vedeva come un gemello. E Alisso ti assomiglia.”

Alisso tornò dal bagno, sorridente. “È come avere due papà. Non so se ho genitori, ma qui sto bene.”

Giampaolo si commosse. Chicco pensò: “Sembra la stessa persona con età diverse. Domani devono tornare là.”

La sera fu piena di allegria. Chicco cucinò, Giampaolo e Alisso prepararono la tavola. La luna piena entrò dalla finestra, mentre il piccolo si infilava nel lettino nuovo, abbracciando un pupazzo.

“Grazie papà Chicco. Vorrei un bacino da tutti e due.”

La luna li avvolse in un cerchio magico. Alisso cadde in un sonno profondo.

Chicco e Giampaolo si ritirarono in cucina. “Domani portalo là. Ho l’impressione che Alisso sia Elia.”

“Ma come…”

“È la vostra storia. Io sarei di troppo.”

Il mattino dopo, nella radura con l’altalena, Giampaolo mise il piccolo sopra, senza dondolarlo.

“E così dici che il bambino che conoscevo era Elia?”

“Sì.”

Giampaolo iniziò a farlo dondolare. Poi, con la mente, creò un cerchio di luce azzurra attorno al bambino.

“Chiudi gli occhi, Alisso. Pensa intensamente alla quercia. Non aprirli finché non senti nulla.”

“Okay capo.”

Giampaolo gridò forte: “ELIA!”

Alisso aprì gli occhi, spaventato. Vide un bambino simile a sé, con capelli più scuri.

“Paolino!” gridò.

E scomparve.

Giampaolo tornò a casa in lacrime. Chicco lo aspettava con una candela azzurra accesa.

“È andato?”

“Sì. È tornato nel suo tempo. Ma mi ha riconosciuto.”

“Lo spazio temporale lo abbiamo fatto vibrare anche noi. Doveva continuare la sua vita.”

“Lo rivedrò?”

“Sono convinto di sì. Ma non so come, dove, quando.”

Frase magica finale:

“A volte, per ritrovare chi amiamo, bisogna lasciarlo andare nel tempo. E aspettare che il tram della vita ci riporti al suo sorriso.”

Il Tram del Tempo

Frase magica iniziale:

“A costo di attraversare il tempo, vengo da te.”

1969 – Parco di Porta Venezia

Due bambini di otto anni sotto una quercia. Giampaolo, detto Paolino, deve partire per la campagna dalle nonne. Elia, figlio unico, con genitori severi e scuola in collegio, piange. Paolino è la sua ancora, il suo fratello scelto.

Si salutano davanti alla nonna di Paolino e alla mamma di Elia. Mentre Paolino si allontana, Elia grida:

“A costo di attraversare il tempo, vengo da te!” 

“Sarà difficile farlo Elia, ma provaci. Io ti aspetto. Aspetto le tue lettere e telefonate.”

Le lettere non arrivarono. I genitori di Elia partirono per la Svizzera. Il padre divenne direttore di banca a Losanna. Non si videro mai più.

2025 – Milano, Ottobre

Giampaolo sale sul tram per andare in clinica. Si siede. Accanto a lui, un uomo della sua età. Un brivido. Si gira. Lo guarda.

Capelli un po’ grigi con sfumature bionde. Occhi azzurri. Dal collo della camicia spunta un pezzetto di tulipano blu: un tatuaggio vero.

“Elia…” L’uomo si gira. Fissa Giampaolo. Poi sorride. “Giampaolo! Non ci posso credere!”

Un abbraccio forte. 

Fuori, il sole è alto. Il tram sfreccia verso Piazza Tricolore. Sopra, due uomini che si sono cercati, rivisti, non riconosciuti. Ma ora… sarà diverso.

Giampaolo Daccò Scaglione

 

LA STORIA DEL MAGO SCALZO: 2° CAPITOLO

 

Il Sogno del Tulipano

Quella notte, Giampaolo sognò di camminare scalzo su un sentiero di piume. Il cielo era viola, e le stelle sembravano occhi che lo osservavano con dolcezza. Accanto a lui, camminava Alisso, ma non era più un bambino: aveva un mantello di foglie dorate e una corona fatta di petali.

“Dove siamo?” chiese Giampaolo. “Nel luogo dove si ricordano le cose che non si possono dire.” rispose Alisso.

Camminarono fino a un albero altissimo, con una porta incisa nel tronco. Alisso la toccò, e la porta si aprì. Dentro c’era una stanza piena di candele Lilla, e al centro, un libro aperto.

Giampaolo si avvicinò. Sul libro c’era scritto:

“Il bambino che hai accolto è il fiore che ti ha scelto. Il tulipano non cresce da solo: cerca il giardiniere che lo riconosce.”

Alisso si voltò e disse:

“Io non sono perso. Sono stato mandato da chi ti ama, per ricordarti chi sei davvero.”

Giampaolo si inginocchiò. Una lacrima cadde sul libro, e si trasformò in una piuma blu.

 ✨  La Quercia e il Risveglio

Giampaolo si svegliò di soprassalto. Non si sentiva assonnato come quando si alza per andare al lavoro. Si accorse che nel letto il bambino non c’era più.

Scattò in piedi. Il sole filtrava dalle persiane. Le tirò su, guardando il cielo azzurro.

“Ma che ore sono? E dov’è quel bimb… Alisso?”

Si infilò un paio di pantaloni sopra l’intimo e corse verso la cucina. Lo vide lì: vestito di tutto punto con i suoi abiti, pettinato, pulito, e profumava di bagnoschiuma.

Alisso lo guardò e sorrise.

“Ho fatto una doccia e mi sono cambiato. Mi avevi promesso di andare in centro per una bella colazione.”

“Sì sì, piccolo… lasciami fare la barba e la doccia. Aspettami qui, e se vuoi vedere la TV, fai pure. Arrivo subito.”

Ma il bambino non accese la TV. Prese un libro dallo scaffale: un volume di astrologia, che parlava dei pianeti e delle loro posizioni.

Giampaolo lo guardò stupito, con l’accappatoio in mano.

“Ma non preferisci dei cartoni animati? Invece di quel…”

Guardò il libro, poi il bambino. Gli occhi di Alisso emanavano saggezza. Giampaolo si vide dentro quelle pupille, e si agitò un po’.

“Non è troppo…”

“Troppo impegnativo, dici Giampaolo? Non penso. Conosco tanto di questa materia.”

“Materia?”

“Sì, materia, signore. Perché ti stupisci di questo, Giampaolo?”

“Io… io… non sono stupito, ma… quanti anni hai, Alisso?”

Il piccolo alzò le spalle.

“Non saprei. Un anno fa ero in una scuola, se non ricordo male. Dicevano che avevo otto anni.”

“Chi lo diceva?”

“Due belle signore, e i bambini che erano seduti sui banchi.”

“Ok… aspettami un poco che mi preparo. Poi, mentre andiamo in centro, mi racconti.”

Giampaolo corse in bagno. Barba, doccia, capelli. Poco dopo uscì, si vestì con jeans, maglietta rosa e sneakers. Ritornò dal bambino, che era già in piedi davanti a lui.

Quasi ebbe un sobbalzo.

“Oh, sei qui piccolo.”

Gli diede una carezza sulla testa. Il bambino gli diede la mano e sorrise.

“Dai, andiamo. Non è lontano.”

Uscirono. Girato l’angolo, mentre si avviavano sulla via principale, Alisso guardò il grande parco vicino e si fermò.

Giampaolo si bloccò con lui.

“Giam, possiamo andare lì?” disse indicando il parco. “C’è un posto dove si fa colazione?”

“Sì, caro, c’è. Bella idea, in mezzo al verde. Andiamo al baretto che non lo è poi… ci vanno tante persone, la colazione costa meno ed è buona. Vedrai quanti animali nei laghetti e sugli alberi. Ci sono tanti poliziotti e militari a fare colazione. Vedrai che sarà bello.”

Il bambino annuì. Entrarono nel parco, camminarono tra grandi alberi, e arrivarono al barettino. Si sedettero sotto la veranda coperta da teli.

Giampaolo ordinò alla simpatica cameriera: due cappucci — uno con caffè, l’altro con orzo — e due grandi croissant alla crema.

Poi sorrise al bambino, che intanto si era girato da tutte le parti. Aveva visto poliziotti, e uno gli aveva fatto ciao. Sentiva il trenino dei bambini poco lontano, l’autoscontro, i cani, le persone.

L’aria era pulita e tiepida.

Improvvisamente, Alisso guardò Giampaolo e disse:

“Sai? Io quell’albero laggiù…” L’uomo si voltò verso una grande quercia verde. “…lo conosco bene. So chi ci abita.”

Giampaolo restò incantato. Si girò verso il bambino, che intanto gustava la colazione e gli fece un cenno di sì con la testa.

“Tu… tu conosci quell’albero?” gli disse stupito.

Intanto pensava a quando era piccolo, quando con mamma e nonna andava a giocare lì. Spesso si sedeva sotto quella quercia, allora poco più giovane, e sognava di parlare con folletti e maghi.

In quell’attimo, si spaventò.

Chi era quel bambino?

✨ Il Passerotto e il Ricordo

Finita la colazione, Alisso gli diede la mano. Camminarono piano verso la grande quercia. Si sedettero sotto le fronde verdi, che offrivano una frescura gentile, come se l’albero li riconoscesse.

Giampaolo si guardò intorno. Quel luogo… Quel preciso punto sotto la quercia… Era lo stesso dove, a otto anni, aveva conosciuto un bambino biondo che diceva di parlare con i folletti.

“Lo faccio anche io,” aveva risposto Giampaolo, quel giorno lontano.

Ora si spaventò. Quel bambino di allora… assomigliava ad Alisso.

“Come si chiamava?” pensò l’uomo. “Quel bambino di allora… chi era?”

Improvvisamente, Alisso lo prese per un braccio.

“Guarda.”

Un passerotto si avvicinava. Si posò sul ginocchio del piccolo. Nel parco succedeva spesso — i passeri erano quasi addomesticati — ma così, all’improvviso, sembrava un messaggero.

Alisso allungò la mano. Il piccolo uccellino saltò nella sua mano, senza paura.

Giampaolo si bloccò. Ricordò un episodio identico. Quel bambino, tanti anni fa, gli aveva detto:

“Metti la mano allungata. Vediamo se si posa una farfalla o un passerotto.”

Giampaolo aveva riso. Ma il passerotto era arrivato davvero. E il bambino gli aveva detto:

“Hai visto? Sei uno speciale.”

Giampaolo si risvegliò dal pensiero. Lo colpì una frase di Alisso, detta il giorno prima:

“Mi sono perso.”

Perso dove? Perso quando?

Si era perso nel tempo. Anni fa. E se fosse… quel bambino?

Giampaolo Daccò Scaglione

 


LA STORIA DEL MAGO SCALZO: 1° CAPITOLO


✨ Capitolo Segreto: Il Mago che Cammina Scalzo

Tutti lo conoscevano come “il signor Giampaolo”. Elegante, gentile, disponibile. Camicia bianca, cravatta sobria, giacca impeccabile. Molti dicevano anche: “Che bell’uomo!” Ma nessuno sapeva che, sotto quei vestiti urbani, viveva un mantello invisibile cucito con piume di gufo e stelle cadute.

Ogni sera, tornato a casa, si spogliava della città e si rivestiva di sé: pantaloni comodi, maglia morbida, e negli occhi la luce blu che non si vede ma si sente.

Una domenica, mentre pedalava nei parchi fuori Milano, tra alberi che sussurravano e sentieri che sembravano antichi, vide un bambino seduto su una panchina, con lo sguardo rivolto verso un ramo spezzato.

Il bambino non piangeva. Ma aveva negli occhi una domanda che nessuno aveva mai saputo ascoltare.

Il mago si fermò. Non disse nulla. Solo aprì la mano, e da essa uscì una luce blu, che non illuminava il mondo, ma lo rendeva più silenzioso.

Il bambino lo guardò. E disse: “Tu non sei come gli altri.” Il mago sorrise. E rispose: “Nemmeno tu.”

Il bambino guardava fiducioso quello strano signore, che sembrava un giovane mago al posto di un uomo disponibile. Non aveva paura, nonostante ci fossero pericoli in periferia per bambini come lui.

Istintivamente toccò il viso di Giampaolo, che lo stava osservando con i suoi occhi azzurro-grigi, aspettando una parola. Invece il bimbo gli accarezzò il volto e disse:

"Che bello sarebbe se tu fossi mio padre."

Una lacrima, che sembrava cristallo, scese dal volto di Giampaolo. Il bimbo abbassò lo sguardo e continuò:

"Mi sono perso. Non so chi sono e dove devo andare..."

Giampaolo si allarmò e si guardò attorno, in cerca di qualcosa che potesse riferirsi al bambino, ma c’erano solo persone in bicicletta, alberi, e il rombo degli aerei che partivano da Linate.

Si alzò, gli porse la mano e disse:

"Bimbo, visto che non sai chi sei e non sai dove andare, questa notte la passerai a casa mia. Che poi non è casa mia, ma è un posto che mi hanno dato come abitazione. Loro vedono solo un brav’uomo che lavora, ma c’è qualcosa in più. Vuoi scoprirlo?"

Il bambino si alzò, sorrise e gli diede la mano, annuendo con la testa. Insieme proseguirono a piedi per un po’. L’aria si fece fresca e piacevole.

Giampaolo continuò:

"Non sono solo. Vivo con una persona che amo da tanto, ma ora è in viaggio per lavoro e torna..."

Il bimbo si fermò, lo fissò negli occhi e disse:

"Torna tra cinque giorni."

Giampaolo lo fissò e sorrise. Aveva capito che quel piccolo era come lui, tanto tempo fa.

Lo mise sulla canna della bicicletta e partirono per casa, nel centro della metropoli.

La Candela Lilla

Giampaolo, in piedi, guardava dalla finestra la notte. La piccola stanza era illuminata da tre candele: una rosa, una gialla e una azzurra. Aveva cenato con il piccolo, e gli era balenato in mente un nome. Lo avrebbe chiamato, per ora, Alisso, come il fiore greco che incornicia i vasi e altri fiori.

Guardò il bambino che dormiva nel letto matrimoniale. Sembrava un piccolo angelo, o un folletto. Sorrise, ma notò subito qualcosa sul collo del piccolo. Senza far rumore, si avvicinò, scostò leggermente le lenzuola, e tra i capelli biondi vide una voglia a forma di tulipano. Sembrava proprio un tulipano — il fiore guida suo.

Si staccò dal piccolo, andò in cucina e bevve un sorso d’acqua. Alle sue spalle, una voce sottile:

"Signore, posso avere anche io un po’ d’acqua?"

Giampaolo sorrise, gliene versò in un bicchiere e rispose:

"Bevi, però dopo vai a letto. È notte, e fortunatamente domani è sabato. Possiamo dormire di più. Poi faremo colazione in centro, e quando torniamo mi racconterai di te… se ricordi, o meglio: quello che ricordi."

Il bambino bevve l’acqua, lo fissò con i suoi occhi blu e disse:

"Tu puoi sapere chi sono. Sai leggere anche dentro le persone."

Poi gli diede un abbraccio, tornò a letto, ma prima disse:

"La prossima volta accendi solo una candela Lilla chiara. Lo faceva qualcuno tempo fa per me… ma non ricordo chi."

"Va bene, bimbo. Lo farò. Vai ora."

Il piccolo era già di nuovo addormentato. Giampaolo pianse silenziosamente. Rivide se stesso da bambino, quando la nonna accendeva una candela che aveva un colore tra il rosa e l’iris: la candela Lilla.

Si domandò: "Chi è quella creatura?"

Poi si mise a letto accanto al bambino. Poco dopo, il piccolo si girò addormentato verso di lui. Giampaolo lo abbracciò delicatamente e sprofondò in un sonno blu.

Frase magica notturna:

(sussurrata da una voce che non ha corpo, ma profuma di cera e vento)

“Quando due cuori si riconoscono nel sonno, una stella si accende dove nessuno guarda.”

✨ Frase magica:

“Chi non sa dove andare, trova la strada nel cuore di chi lo accoglie.”

Chiusura del capitolo:

Mentre pedalavano verso la città, tra i lampioni che si accendevano come stelle basse, Giampaolo sentiva che qualcosa stava cambiando. Non era solo il vento tra i capelli del bambino, né il peso leggero sulla canna della bicicletta. Era la memoria di sé stesso che tornava a casa.

Il bambino non aveva nome. O forse lo aveva dimenticato. Ma quella notte, tra le mura silenziose dell’abitazione concessa, avrebbe dormito non come un ospite, ma come un figlio astrale.

E Giampaolo, il mago nascosto sotto la cravatta, avrebbe vegliato su di lui con occhi azzurro-grigi, e con una piuma invisibile tra le dita.

Giampaolo Daccò Scaglione

domenica 23 novembre 2025

ALLA FINE DEL BOSCO


 “Entro nel bosco, tra luce e ombra. La soglia invisibile mi chiama, e il mistero mi custodisce.

Alla fine del bosco 

Piccoli fasci di luce chiara filtravano tra le intense fronde e i lunghi rami di quella macchia verde scuro. I raggi scendevano obliquamente da un punto nel cielo fino a colpire i tronchi resinosi e bruni che celavano la visuale sui fianchi del sentiero. Un silenzio ovattato, interrotto solo da strani cinguettii, avvolgeva tutto intorno, mentre piccoli cespugli di bacche delimitavano il confine tra la foresta e la via erbosa che conduceva verso mete lontane.

Azavan, il biondo ragazzo chiuso nel caldo mantello di lana cotta del colore del mare, procedeva in quella boscaglia verso una meta sconosciuta, richiamato da una forza misteriosa a cui non sapeva dare un nome. Non conosceva il perché si sentisse obbligato a percorrere quel tragitto oscuro, né riusciva a capirne il significato. Vedeva solo i grandi alberi e i loro rami che formavano un arco sopra la sua testa, mentre raggi dorati provenivano da un sole lontano.

Sapeva solo della sua crisi mistica: non riusciva più a credere nella sua religione, nei suoi dogmi, nei suoi miracoli, né nelle figure e nelle parole di chi la rappresentava. Pensava a tutto questo mentre si vestiva nella sua stanza calda, e credeva che forse una passeggiata nel bosco vicino potesse dare ordine ai suoi pensieri. Eppure da giorni sentiva un richiamo misterioso provenire da quel luogo in cui non si era mai avventurato. Fu così che si ritrovò in quello strano posto, dove oltre al silenzio si percepiva un’atmosfera arcana.

Un nugolo di farfalle colorate apparve all’improvviso davanti a lui e, come in una danza angelica, ruotarono attorno alla sua figura per pochi secondi, poi volarono veloci tra i fitti alberi. Più avanti, sul sentiero, vide un uomo vestito di viola, con un mantello purpureo, seduto su una staccionata che bloccava il passaggio. Azavan pensò subito a un cavaliere che si riposava, ma non vedeva alcun destriero. Il volto dell’uomo, sempre più nitido nell’avvicinarsi, gli sembrava dolce e familiare.

L’uomo sorrise al saluto educato del ragazzo, che nel suo intimo provava timore. Subito dopo Azavan sentì un calore nel cuore che dissolse ogni tensione. Si accorse del rumore di acque che scorrevano veloci e, volgendo lo sguardo a destra, vide che al posto degli alberi c’era un grande fiume blu, delimitato dalla staccionata.

Al di là del fiume, un’immensa e bellissima città illuminata da una luce rosa-dorata. Da lì proveniva una musica dolce e allegra. Azavan scorgeva case dalle forme mai viste prima e una grande scalinata che partiva dalla riva fino ai tetti brillanti come cristalli.

Alle spalle dell’uomo apparvero decine di templi di ogni religione: minareti, campanili, chiese ortodosse, cattoliche, gotiche, protestanti, sinagoghe, templi arabi e indiani, statue animiste. Tutti vuoti, abbandonati, avvolti da liane e fronde contorte.

Azavan stava per parlare, ma l’uomo dagli occhi buoni e severi disse: — “Ti aspettavo da tempo. Quella città di luce è la casa di tutti, dove si giunge al termine della propria missione. I templi che vedi sono simboli creati dagli uomini: a volte hanno fatto bene, altre volte male. Ma non appartengono a quella città immensa piena di amore. Un mio figlio disse che il tempio di Dio è nei vostri cuori. Guardati dentro: lì troverai le risposte.”

Azavan sentì le lacrime scendere sulle guance, ma il sorriso illuminava il cuore dell’uomo. Quando allungò la mano per toccarlo, l’altro indietreggiò emanando una polvere d’oro dal mantello e disse: — “Questo non puoi farlo. Ma se lo vorrai, sentirai il mio abbraccio e il mio amore in ogni momento.”

All’improvviso Azavan aprì gli occhi e si ritrovò nel suo letto, mentre il gallo cantava nel cortile. Si chiese se fosse stato un sogno o una realtà magica. Guardando la sua mano destra, vide della polvere d’oro. E allora capì.

Giampaolo Daccò Scaglione

venerdì 21 novembre 2025

IL DOLORE DEI POVERI

“Chi piange in silenzio, porta il peso del mondo. Chi ascolta con il cuore, accende una luce nella notte.”

Il dolore dei poveri

Questa frase “Il dolore dei poveri” mi è rimasta impressa nella mente da qualche giorno, da quando una signora che conosco da tanto tempo mi disse: “I ricchi non conoscono il dolore dei poveri.”

Una frase davvero toccante, a cui non ho saputo rispondere se non con un abbraccio e queste parole: “Ma non sanno quanto amore c’è nel cuore dei poveri.”

Vorrei raccontarne la storia per far capire quanta miseria umana c’è in giro, quante persone ricche, molto ricche, possano essere di una meschinità e cattiveria immane, mentre persone umili o povere, di ceto sociale inferiore e straniere, possano avere una levatura del cuore e della mente suprema, con una dignità incredibile. Ovviamente cambierò i nomi e alcune situazioni per non far riconoscere i protagonisti della vicenda: non sarebbe giusto. Ma vorrei far comprendere a chi leggerà questo racconto quanto squallore e arroganza ci siano intorno a noi, soprattutto nel nostro piccolo.

Due giorni fa ho visto Rosario in un angolo del palazzo piangere. Rosario è una signora straniera, dal forte accento spagnolo, che con la sua famiglia da più di trent’anni vive e lavora in Italia. Una persona dal cuore immenso, di un’onestà e bravura indescrivibile. Sempre dolce, sorridente, pronta a una buona parola anche nei momenti difficili, suoi o degli altri.

Mi sono avvicinato e le ho messo la mano sulla spalla: — “Che succede, Rosario?” — ho chiesto preoccupato.

Mi ha guardato con quegli occhi scuri e buoni, restando un attimo in silenzio, poi disse: — “È accaduta una cosa tremenda, Paolo. Mia nipote di trentacinque anni è caduta dal motorino mentre tornava dal lavoro ed è morta, picchiando la testa sull’asfalto…”

Istintivamente le diedi un abbraccio. — “Ha lasciato qui due bambini, una di un anno e uno di dodici…”

Che dolore, che tristezza negli occhi di Rosario. Ho cercato di trovare parole di consolazione e siamo andati a bere un caffè: volevo farle compagnia, anche solo per poco, per non farla sentire sola.

Sentivo dentro di me che c’era dell’altro. Non era solo il dolore per la morte di una persona cara: forse nascondeva qualcosa di più. Nella mia vita ho imparato a guardare negli occhi le persone, ad ascoltare le loro parole e soprattutto ad andare oltre ciò che si vede nello sguardo e nelle frasi dette.

Appena usciti dal bar e rimasti soli, la guardai negli occhi e le chiesi, vista la confidenza che ci accomuna da anni: — “C’è qualcos’altro, vero?”

Abbassando gli occhi, rispose: — “Sì… Sono molto addolorata per un’altra cosa…”

Intuii il motivo e ne avevo il timore. — “Ho chiesto alla mia signora un permesso per il funerale e…” — la voce le si ruppe per un attimo — “Le ho detto se potevo prendere mezza giornata. Mi ha chiesto il perché e le risposi: per andare al funerale di mia nipote. Mi ha guardato fredda e mi ha detto: La conosco?No signora, non è mai venuta qui. Allora, girandomi le spalle, mi ha risposto: E che sarà mai! Io ho bisogno di lei, potrebbe anche non andare. Anche una mia conoscente ha perso la figlia cadendo dalla moto e io non ci sono andata al funerale.

Provai una rabbia che cercai di non mostrare, anche se la mia voce tradiva durezza. — “E tu che le hai risposto?” — chiesi, pensando che se fossi stato al suo posto l’avrei affrontata con forza.

— “Niente… Ho insistito, così mi ha dato il permesso, ma facendomi sostituire da uno dei miei figli. Non ho potuto fare altro.”

Le toccai la mano in segno di conforto. — “Ora vado a lavorare, mi aspetta e non vorrei si arrabbiasse.”

Staccandosi dalla mia mano, prese piano la strada per le scale. Si fermò un attimo davanti alla porta e, girandosi verso di me, disse con voce triste: — “I ricchi non conoscono il dolore dei poveri.”

— “Ma non sanno quanto amore c’è nel cuore dei poveri.” — risposi istintivamente.

Rosario chiuse la porta dietro di sé, lasciandomi costernato e arrabbiato.

Ci sono catene che non ti permettono di essere libero, catene che da migliaia di anni rendono l’essere umano schiavo, in un modo o nell’altro, di altri esseri umani “privilegiati” e senza cuore. La dignità di Rosario e il suo dolore sommesso non hanno scalfito minimamente la durezza del cuore dell’altra persona, immersa nel proprio egocentrismo.

So che Rosario saprà superare tutti i dolori di questa vicenda, ma mi chiederò sempre il perché di tanta cattiveria umana e della mancanza di pietà verso il prossimo, soprattutto se quest’ultimo è un sottoposto, un dipendente, un disadattato, uno straniero.

Potrà anche essere consolante la frase: “Quello che si semina si raccoglie”, ma ho il sospetto che a pagare il prezzo più alto siano sempre i più deboli.

La dignità dei poveri è più forte della cattiveria dei ricchi. Il dolore diventa memoria, e la memoria diventa giustizia.”

Memoria Incisa:

Questa frase “Il dolore dei poveri” mi è rimasta impressa da quando Rosario, una donna dal cuore immenso, mi confidò la sua tristezza. La morte improvvisa della nipote, madre di due bambini, l’aveva spezzata. Ma ancora più crudele fu la freddezza della sua datrice di lavoro, incapace di concederle un permesso senza umiliarla.

Rosario, straniera da trent’anni in Italia, è sempre stata dolce, sorridente, pronta a una buona parola. Eppure il suo dolore non ha scalfito minimamente la durezza del cuore di chi la comanda. “I ricchi non conoscono il dolore dei poveri” mi disse con voce triste. Io risposi: “Ma non sanno quanto amore c’è nel cuore dei poveri.”

Ci sono catene che da millenni rendono l’essere umano schiavo di altri esseri umani “privilegiati” e senza cuore. La dignità di Rosario resta intatta, ma la cattiveria di chi non sa provare pietà è un segno indelebile della miseria umana. Eppure, anche nel dolore, i poveri custodiscono un amore che i ricchi non sapranno mai comprendere.

Giampaolo Daccò Scaglione



giovedì 20 novembre 2025

STORIA DOLCE COME UNA TAZZA DI TE'

Storia dolce come una tazza di tè

“Chi beve il tè della memoria, entra nel giardino dell’infanzia. 

Qui il tempo si ferma, e il cuore si ricorda.”

Moneglia (GE), agosto 1969 – Il tè, l’oleandro e il bacio di Elida

Un’estate calda, piena di colori e profumi. Moneglia, piccola cittadina ligure, vibrava di turisti, musica e serate di festa. Era una delle tante meravigliose vacanze degli anni Sessanta, quando bastava un motivetto allegro per iniziare una giornata speciale.

Alloggiavamo in un albergo tranquillo, immerso nel verde, vicino a una stradina che portava verso la montagna. Poco distante, un fiumiciattolo verde faceva sentire il suo gorgoglio nel silenzio dei pomeriggi assolati.

Noi, due bambini spensierati e vivaci — Elida e Giampaolo — quel pomeriggio del primo agosto non eravamo andati in spiaggia: il caldo era torrido. I nostri genitori partirono per un’escursione fino a Lemeglio, il borgo in cima alla montagna. Noi restammo con mia nonna in albergo, quasi felici di essere liberi dai rimproveri e dai doveri.

Eleganti come si usava negli anni Sessanta: Elida indossava un vestitino azzurro a fiorellini rosa, con una fascia tra i capelli neri e ballerine col fiocchetto. Io avevo una camicia di lino bianca con profili azzurri, pantaloncini celesti con cintura abbinata, sandali bianchi di pelle leggera e calzettoni ricamati.

Ci sedemmo come due fidanzatini sotto gli ombrelloni in giardino. La figlia del proprietario ci portò due tazze di tè caldo e biscottini alla crema, insieme a due bicchieri d’acqua per raffreddare quel tè speziato e profumato. Seduti su sedie in stile Liberty, sotto le palme, iniziammo le nostre conversazioni da piccoli filosofi delle vacanze estive.

Conversazioni importanti, altro che giocattoli: parlavamo di esistenza su altri pianeti e stelle, sotto gli occhi attenti e divertiti di mia nonna, che sorseggiava il suo tè all’aroma di ginepro. Quanto era bella e abbronzata, con occhi scuri e capelli nerissimi raccolti sulla nuca. Il suo sorriso bianco spiccava sul vestito verde brillante. Ci sorrideva, ma i suoi occhi tradivano malizia, amore e dolcezza.

Rideva sentendoci parlare di alieni dal corpo giallo o blu. Elida diceva che avevano capelli biondo-rossi come i miei e occhi verdi come il suo bellissimo papà. Io ero sicuro che le loro femmine fossero alte, more, con la bocca rosa come lei… Elida.

La nonna fu raggiunta dal suo fidanzato, e il loro abbraccio fece partire il mio verso la bambina di fronte a me. Rovesciai un bicchiere d’acqua, ma Elida fu più svelta: mi diede un bacio sulla guancia. — “Non ti dimenticherò mai,” mi disse. Sentii avvampare il viso, mentre un venticello tiepido ci portava il profumo dell’oleandro.

Era stata una vacanza dolce, dall’aroma di tè speziato e dal profumo di oleandro. Indimenticabile. Elida non la rividi più. So che abitava a Milano, forse in via Padova o Palmanova… Ogni tanto mi domando dove sia finita.

Ma forse è più bello ricordare quel momento come un quadro dipinto nella memoria. Per sempre.

“Il bacio resta, anche se la bambina scompare. Il profumo d’oleandro è la soglia che non si chiude.”

Giampaolo Daccò Scaglione