Mistral – L’Elfo del Ghiaccio
La visione della Regina Ysheah
Era una notte di gelo puro. Il cielo sembrava una distesa di vetro, e le stelle brillavano come occhi antichi. Io sedevo accanto a Lohar, nel cerchio di pietre che gli gnomi chiamano
la bocca del tempo. Avevo acceso un piccolo fuoco blu, che non scaldava il corpo ma la mente.
Chiusi gli occhi. Respirai piano. E la visione arrivò.
Non fu sogno. Non fu ricordo. Fu presenza.
Ysheah apparve tra le fiamme, alta, luminosa, con il volto sereno e gli occhi pieni di neve. Non parlò. Ma la sua voce mi attraversò come vento.
“Mistral, figlio del ghiaccio e della luce. Il tempo si avvicina. La promessa che ti feci è vicina al compimento. Ma prima, dovrai affrontare ciò che hai dimenticato. Non il dolore. La scelta.”
La fiamma si alzò. Dentro vidi volti: mia madre, Thaylen, il bambino sulla riva del fiume, il bosco dei sambuchi, la rosa bianca. Tutto era collegato. Tutto era parte di me.
“La ricompensa non è un dono. È un riconoscimento. E tu, Mistral, sei pronto.”
La visione svanì. Il fuoco si spense. Lohar mi guardò, come se avesse visto anche lei.
Quella notte capii che il tempo non è una linea. È un cerchio. E che ogni gesto, ogni parola, ogni lacrima… torna. Come neve che si posa, si scioglie, e poi ricade.
La Regina Ysheah non mi aveva detto cosa sarebbe accaduto. Ma io lo sentivo. La strada si stava aprendo. E il vento… era cambiato.
La notte delle stelle cadenti
Era il solstizio d’inverno. Il cielo si era fatto più profondo, come se volesse contenere tutti i pensieri del mondo. Io ero disteso sulla neve, con Lohar accanto, il
muso tra le zampe e gli occhi aperti verso l’infinito.
Le stelle cadevano. Una dopo l’altra, lente, silenziose, come promesse che non hanno fretta. Ogni scia era un ricordo. Ogni luce, una domanda.
Pensai a mia madre. Alla sua voce che non ricordo, ma che sento ancora. Al suo amore nascosto, al coraggio di avermi donato alla neve.
Pensai a Thaylen, mio padre vero. All’uomo che non ho conosciuto da bambino, ma che ho incontrato da adulto. Ai suoi occhi, che erano i miei.
Pensai a Ysheah. Alla sua promessa. Alla sua presenza che non mi ha mai lasciato.
E poi pensai a me. A Norwenn. A Mistral. A chi ero, a chi sono, a chi sarò.
La neve sotto di me non era fredda. Era memoria. Era casa.
Lohar mi guardò. Non disse nulla. Ma io sentii il suo pensiero.
“Tu non sei solo.”
E in quel momento, una stella cadde più vicina. Sfiorò la terra, e si dissolse in una goccia di luce. Io la raccolsi. La chiusi nel palmo. E la conservai.
Quella notte, capii che la solitudine non è assenza. È spazio. Spazio per ascoltare, per ricordare, per amare.
E che ogni stella cadente è una carezza del cielo. Un segno che il tempo non è finito. È solo in cammino.
Il bambino sulla riva del fiume
Il vento mi aveva parlato. Non con parole, ma con urgenza. Una corrente fredda, improvvisa, che mi aveva attraversato il petto come un richiamo.
Lohar si era alzata prima di me. Aveva fiutato qualcosa nell’aria, e i suoi occhi dorati erano diventati inquieti. Senza dire nulla, ci eravamo messi in cammino.
Il fiume di Azhavan era in piena. Le sue acque, limpide e gelide, scorrevano tra le rocce come pensieri che non si fermano mai. E lì, sulla riva, lo vidi.
Un bambino. Piccolo, tremante, avvolto in un mantello strappato. Aveva gli occhi spalancati, ma non piangeva. Guardava l’acqua, come se stesse cercando qualcosa che non c’era.
Mi avvicinai piano. Ogni passo era un ricordo. Ogni fiocco di neve, una voce del passato.
“Norwenn…” “Piccolo mio…”
Era come rivedere me stesso. Il giorno dell’abbandono. Il gelo sulla pelle. Il vuoto nel cuore.
Mi inginocchiai accanto a lui. Lohar si sedette dall’altro lato, silenziosa, protettiva.
“Non sei solo,” gli dissi. “Io sono qui. E tu sei al sicuro.”
Il bambino mi guardò. I suoi occhi erano pieni di domande che non sapeva formulare. Allungò una mano. Io la presi.
Una luce azzurra ci avvolse. Il fiume rallentò. Il tempo si fermò.
Quella missione non era solo un salvataggio. Era un ritorno. Un cerchio che si chiudeva. Un segno che la promessa di Ysheah era vicina al compimento.
Il bambino non parlò mai. Ma quando lo portai nella mia casa sull’albero, si addormentò tra le zampe di Lohar. E io capii.
La ricompensa non era lontana. Era già iniziata.
La soglia del Regno degli Alti Elfi
Il sentiero era diverso. Non innevato, non ghiacciato. Luminoso.
Camminavo con Lohar accanto, ma il bosco non era più Azhavan. Gli alberi erano alti, sottili, e le loro foglie brillavano come vetro sotto la luce di un sole che non scaldava,
ma rivelava.
Ogni passo era silenzioso. Ogni respiro, più lento. Sentivo che qualcosa stava cambiando.
Davanti a me, una radura. Al centro, un arco di pietra bianca, intagliato con rune che non avevo mai visto. E oltre l’arco… il Regno degli Alti Elfi.
Non entrai. Non ancora.
Mi fermai sulla soglia. Lohar si sedette accanto a me, come sempre. Ma anche lei sembrava diversa. Più grande. Più antica.
Chiusi gli occhi. E sentii la voce di Ysheah.
“La ricompensa è vicina. Ma non è un luogo. È una scelta. E tu, Mistral, devi ancora ricordare.”
La soglia non era un confine. Era una domanda.
Rimasi lì per ore. Forse giorni. Il tempo non aveva più forma.
Vidi volti. Sentii nomi. Ricordai fiori. Sette.
E capii che prima di entrare, dovevo tornare indietro. Non nel luogo. Nel cuore.
Ricordo: La prova dei sette fiori
Quella notte, mentre il vento sussurrava tra i rami e Lohar dormiva accanto a me, chiusi gli occhi e lasciai che il passato tornasse. Non come dolore. Come dono.
Ricordai Fauxia, la Fata del Mattino. Ricordai il sentiero tra la nube verde e la nube rosa. Ricordai i sette fiori. E il nome che portavo allora: Norwenn.
SETTE FIORI
- Perché sette fiori? - chiede il piccolo gnomo dalla Fata del mattino con i suoi due occhi enormi azzurro cielo spalancati su di lei.
- Perché solo così capirai il senso della vita, perché così diventerai adulto e lo sai che gli gnomi diventano adulti al loro centunesimo anno di vita terrestre.
-
- Ma voi fate no! Tu Fauxia regina del mattino hai migliaia di anni e vi ho sempre viste così. - la fata sorride al piccolo gnomo dai capelli color del mare, sa che deve dargli
una risposta.
- Tesoro, no. Anche noi eravamo piccole crisalidi, per diventare una fata adulta ho dovuto aspettare mille anni ed un giorno e come te abbiamo dovuto trovare sette alberi al posto
dei fiori, per trovare la nostra parte materiale, ecco il segreto vostro degli gnomi e anche dei nani del bosco vicino. -
- Ho capito... Dovrei trovare con questi sette fiori, la mia parte emotiva... Capisco madre del mattino.
- La fata non riesce a trattenersi e nel guardare lo gnometto vestito di rosso e giallo, una carezza sul volto del piccolo lo fa arrossire.
- Vai ora, la tua strada è facile è il sentiero che inizia tra quella nube verde e finirà nella nube rosa è dentro la strada che sarà più
difficile il cammino, troverai sette persone che ti daranno un fiore ma tu prima, dovrai scoprire quale sia dopo aver superato un indovinello. A presto Dwachin, ti aspetto qui. -
Lo gnomo in poco tempo sparisce nella nube verde ed ad un tratto si trova in un bosco fatto di alberi con i colori dell'arcobaleno ed una strada dorata piena di sassolini fatti
di pietre preziose e terra d'oro.
Dopo una lega di cammino ed una bevuta ad un ruscello si trova davanti ad un recinto con delle pecore ed un'anziana donna seduta tra loro. L'anziana donna gli sorride e gli
pone un indovinello se saprà risolverlo, avrà in dono il primo fiore:
- Piccolino quale fiore fa riferimento all'età più innocente e pura che ci sia? - Dwachin in quel momento ha uno sprazzo di ricordo della nonna che gli disse un giorno,
fatti una collana di... è il simbolo di purezza per i bambini.
- La Margherita! - risponde pronto, intanto la vecchietta si trasforma in una fata bianca e le pecore in farfalle trasparenti, lei consegna al piccolo una margherita d'argento
dicendogli di conservarla e che il primo passo è stato compiuto.
Felice Dwarchin prosegue e all'improvviso dopo una lunga camminata e dopo una discesa, trova davanti a se una stalla, un cavallo ed un falegname, il quale sorridendogli e dando
il benvenuto gli dice:
- Piccolino qual'è il significato del fiore e dei suoi frutti che vengono usati per preparare liquori o infusi che aiutato a guarire i guerrieri? -
Lo gnometto ricorda che un giorno lo zio Dragan era partito con dei guerrieri per lottare contro dei Lycans e avevano fiasche di liquore, oh si se lo ricorda bene.
- Il Sambuco - risponde pronto, così il falegname dopo avergli consegnato un sambuco di cristallo si trasforma in un druido ed il cavallo in un puledro dagli occhi di zaffiro
e sparisce davanti al suo sguardo.
La terza tappa è un giardino fatto erba azzurra e una bambina seduta al centro lo saluta e senza dire nulla, gli pone una domanda mentalmente, prontamente ricevuta dal piccolo
gnomo:
- Carissimo amico mio, qual'è il fiore che diventa un unguento e profumo per togliere malattie e dare aroma alla pelle ed aiutare a cacciare le bestie dagli odori cattivi?
-
Questa la sa, la mamma tiene sempre questo profumo in casa: - Il Giaggiolo -
- Bravo tesorino mio, eccoti un giaggiolo di lapislazzulo, tienilo con gli altri - la bambina subito si trasforma nella nonna di Dwarchin e scompare subito in una nuvola d'argento.
- Nonna... - fa in tempo a dire ma lei è già sparita, ma il suo viaggio deve continuare, ricaccia il groppo in gola e si avvia per quel sentiero brillante.
Quarta tappa e quinta, un ruscello divide una casetta di paglia e una casetta di legno e davanti ad esse un coniglio bianco e un gatto nero, insieme domandano al piccolo gnomo:
- Quali sono i due fiori, di cui uno simboleggia l'amore puro, il bene per l'altro e il corteggiamento? Ed il fiore che rappresenta l'eleganza nei gesti, temperanza nelle
virtù e della bellezza interiore?
Pensaci su è facile - gli dice il coniglio mentre il gatto sorride leccandosi una zampa.
Dwarchin ricorda il fiore che suo padre aveva donato alla mamma nel giorno del loro anniversario, ma anche il fiore che il capo villaggio aveva appeso al taschino della sua giacca
nelle grandi occasioni e prontamente in modo sicuro risponde ai due animali:
- Il Lillà e il Rododendro - i due animali si guardano e sorridono ed in quel momento si trasformano nella principessa e nel principe del paese del nord ghiacciato, e sparendo
alla sua vista lei, bellissima gli manda un bacio con la mano.
Paonazzo di emozione si avvia di corsa verso la penultima tappa. Guarda nelle sue mani i cinque fiori magnifici: Una margherita d'oro, un sambuco di cristallo, un giaggiolo di
lapislazzulo, un lillà di ametista ed un rododendro di velluto bianco e giallo.
La tappa che si trova davanti dopo un lungo cammino nel sentiero dorato trova una fontana ed un bambino seduto sul bordo che gioca con l'acqua cristallina. Il bambino gli sorride
e come ha fatto precedentemente la fanciulla nel prato, gli parla con la mente:
- Ciao Dwarchin, sei cresciuto dall'ultima volta che ci siamo visti (Dwarchin proprio non lo ricorda quel bambino, ne aveva visti talmente pochi nella sua vita). ma devi però
dirmi qual'è il fiore che signifa, speranza, ricordi ed amore lontano. - Per lo gnometto una leggera difficoltà, ricordava qualcosa ma non precisamente cosa, poi guardando il bambino nei suoi occhi color
smeraldo, come un fulmine a ciel sereno ricorda il suo miglior amico Tylin, che era morto cadendo da un burrone inseguito da un lupo grigio, lo avevano seppellito nella terra coperta di "Non ti scordar di me" come
li chiamano gli umani questi fiori bellissimi:
- Il Miosotis! - quasi urla mentre vede il bambino trasformarsi nel suo amico scomparso decenni prima, due lacrime erano spuntate dai suoi occhi mentre il suo amichetto spariva in
una luce dorata sorridendogli.
Guarda nella sua mano sinistra il Miosotis di topazio blu apparso all'improvviso e lo unisce piangendo, agli altri cinque e si incammina lentamente un po' triste verso la sua
ultima tappa. Dopo un lungo cammino pensieroso ecco che arrivato in cima ad un colle breve, dall'alto vede la nuvola rosa, l'uscita ma prima una bancarella chiude quel passaggio ed un signore ben vestito lo sta aspettando
sorridendo, Dwarchin corre con i fiori nella mano destra e con la sinistra saluta quell'uomo elegante e si ferma davanti a lui.
Era un signore dai baffi rossi, gli occhi gialli e il vestito verde degli alti nani, quasi ne aveva paura ma il sorriso buono di questi lo assicura, non aveva nulla da temere.
- Eccoci all'ultima tappa mio caro piccolo Dwarchin, dovrai indovinare il fiore, l'ultimo che ti permetterà di diventare adulto ed entrare nelle sale degli anziani nel
tuo villaggio al bosco di Farahys. - lo gnometto annuisce timidamente.
L'uomo prende un foglio di pergamena dorata e legge: "Caro mio piccolo figliolo, sai dirmi qual'è il fiore di vari colori il cui significato nel mondo umano e come
dicono loro reale e fortunatamente non nel nostro (ed intanto i due sorridono alla battuta dello strano uomo), vuol dire commemorazione dei defunti mentre il vero significato è il re dell'autunno e dei Cervi dalle
lunghe corna?" -
Non ha nessun dubbio il piccolo Dwarchin, ormai aveva capito molte cose in quel viaggio senza tempo, ogni fiore rappresentava un sentimento diverso dell'essere vivente e della
vita stessa, gli pare di sentire una risata nella testa e un "bravo figliolo" simile alla voce dell'uomo dai baffi rossi e gli occhi gialli:
- Il Crisantemo! - quasi urla.
All'improvvivo un crisantemo di diamante appare nella sua mano e l'uomo si trasforma immediatamente nel re dei Nani.
- Maestà - grida il piccolo gnomo inginocchiandosi ma lui era già sparito nella nebbia rosa. Alzando gli occhi Dwarchin si ritrova nel punto di partenza con davanti a
se la Fata Fauxia seduta sul prato fiorito che lo accoglie con le braccia aperte.
Dwarchin si alza e le corre incontro donandole i fiori mentre lei lo abbraccia forte: - Sei arrivato presto piccolino, dai a me questi fiori, la tua prova è stata largamente
superata, me lo aspettavo ed ora sei uno gnomo grande, guardati. Davanti si materializza uno specchio fatato e lui non vede più quel piccolo gnomo dalla pelle liscia e dal vestito da ragazzino ma uno gnomo più
alto, con baffi rossi ed un vestito di lana pregiata color del sottobosco con bottoni d'oro ed il cappello bordato di pelo d'argento.
- Ma, mia signora... - - Ssst piccolo mio, ora sarai Gwarchin, l'aiutante del druido Morstand del tuo villaggio, la tua sapienza ha superato i tuoi anni di vita, sarai un ottimo
druido giovane che potrà mirare in alto. Ora vai e non dimenticare questo... -
Dwarchin alzandosi da lei, vede come una magia i sette fiori trasformarsi in una rosa bianca dai petali di seta.
- Questa è tua, questo sei tu, l'insieme delle doti che hai acquisito e che ti hanno infuso la saggezza superiore di druido, questa era la tua strada fin dall'inizio.
Tutti temevano che non ce la facessi a superare le prove, invece io ne ero sicura. Ora vai al villaggio, ti stanno aspettando con tutti gli onori e questa rosa conservala per sempre un un vaso di cristallo. -
Dwarchin sta per correre sulla strada verso il villaggio, si ferma torna indietro e riabbraccia la bellissima fata regina del mattino dandole un bacio sulla mano, la risata cristallina
di Fuxia si perde mentre scompare tra le braccia dello gnomo. Dwarchin non vede l'ora di essere al villaggio, lo stanno aspettando ma soprattutto ora è diventato un adulto, un druido.
Davanti a se erba, fiori e alberi sembrano inchinarsi al suo passaggio e lacrime di gioia che si trasformano in gocce di cristallo cadono dal suo viso. Ora si, è davvero felice.
Alla fine di quel viaggio, quando i sette fiori si trasformarono in una rosa bianca dai petali di seta, capii chi ero. Non solo un elfo del ghiaccio. Ma un essere capace di amare,
ricordare, scegliere.
Quella rosa è ancora con me. In un vaso di cristallo, sopra la finestra della mia casa sull’albero. Ogni notte, quando la neve cade, la guardo. E lei mi ricorda che la
vera magia… è crescere.
Epilogo: Il vento che non smette mai
Il ricordo di Mistral
“E mentre il vento lo spingeva verso Elyan, Mistral ricordò. La prima volta che vide Hivithuim. Il tremore. Il ciondolo. Il nero improvviso. E capì che quel giorno… era stato l’inizio di tutto.”
“Ora, da adulto, la città bianca non gli faceva più tremare le mani. Ma il cuore sì.”
HIVITUHIM , LA CAPITALE DEGLI ELFI, la città bianca.
Mistral, io stesso dopo gli insegnamenti dei miei tutori durante la mia fanciullezza e raggiunti i cinquecentocinquanta anni che nella vita umana potrebbero
essere i nove di vita di un piccolo essere, i protettori della mia madrina la Signora dei Ghiacci, decisero che fosse l'ora di farmi conoscere la capitale, la grandiosa città immersa nella natura creata da Hydiorr
il grande Signore invisibile, nostro Padre, scoprii dopo che non era solo un viaggio di piacere e di commercio per loro. Quindi dovevamo lasciare la terra del ghiaccio, il mio paese con le case sugli alberi ed anche la mia
lince e soprattutto vestirmi. Non che fossero proibite le nudità a patto che l'usanza era fatta nelle case private ma era soprattutto per educazione, evitando di mettere a disagio le persone con difetti fisici oppure
per non imbarazzare i monaci e le monche del luogo. Gli Alti Elfi che abitavano a Hivithuim, sudditi del Re Vjngor e della regina Hashjr amavano molto l'eleganza e i vestiti raffinati, come il cibo e le case, così
mi dissero i miei tutori. Case magnifiche mai viste in tutto il mondo, anche i vari abitanti dagli gnomi ed nani, ai pochi umani ed i Draven, esseri venuti da una terra lontana sprofondata nel grande mare, non vivevano come
nelle città degli umani di terre lontane, in povertà e non aiutati dai potenti del luogo. Era come se tutti fossero fratelli nonostante in passato ci fossero state guerre fratricide, ma con l'avvento del
bisnonno di re Vjngor aiutato dai Draven, vinsero la battaglia ed ora il Regno degli Elfi vive in pace da quasi trentamila anni. Il regno era stato diviso in quattro regioni più una speciale e rispecchiava il tutto,
gli elementi della natura in cui tutto si era sviluppato attorno: . Balenhyr la contea maggiormente popolosa della capitale Hivithuim che con i suoi due milioni di abitanti rappresenta l'eterna primavera ed infatti qui
la natura è rigogliosa e gli animali in comunione con gli esseri viventi. Una terra piena di alberi fruttuosi, fiori dai colori indescrivibili e molti paesi dai nomi strani ed ognuno con le sue specialità che
portavano nei mercati della grandiosa capitale, una contea commerciale e turistica. . Talesund la contea del Principe Safyyr e di suo marito l'elfo della Luce Maeghet, rappresenta l'estate, situata a sud in ordine
anti orario da Balenhyr, un territorio caldo, dal sole dorato che cura le malattie, dal mare dove ci si può bagnare e anche qui curare varie ferite e malattie e poi la sua città principale dove risiedono i due
principi si chiama Vadjm (in onore del Dio del Vento Caldo), un grande porto da dove partono tutte le navi commerciali per il mondo conosciuto e da dove arrivarono i Draven, infatti la maggior parte di loro metà umani
e metà giganti vivono felici in questa terra sacra e devota alla Dea dell'acqua Maares che ne è la protettrice. Da qui partono per la capitale tutte le stoffe, sete e profumi che si producono tra le verdi
colline e le sabbie dorate. . Lhuzyfir la contea dell'autunno, situata ad est di Talesund, una terra collinare con vallate ricche di piante autunnali e dove si produce il più ricco succo di vino e miele di tutta
la Terra degli Elfi, inoltre gli abitanti per la maggior parte gnomi, nani ed umani organizzano feste e banchetti per ospiti stranieri ma anche gare di forza a cui partecipano tutte le femmine di ogni etnia spesso vincenti
tant'è che la loro dea protettrice è Kaljah i cui abitanti il primo giorno dell'autunno facevano in suo onore giochi olimpici con atleti provenienti dalle terre vicine, i più forti erano i Signori
del Vuoto, esseri dalla pelle azzurra e blu dotati di forza mentale e capaci di creare spazi temporali dal nulla, i quali si dice che provengano da una terra situata nel cielo a nord del Regno. L'anziano Duca e governatore
di Lhuzyfir è da almeno tremila anni il buon nano Fazar rimasto vedovo dalla nobile Tarizah e vive nel palazzo nel centro della città con i suoi innumerevoli figli. . Omaharj, è la contea dell'inverno
a nord di quest'ultima appena descritta e confinante a ovest con Balanhyr, dove viviamo noi, dove la regina è la mia madrina. Una terra dove il ghiaccio ed il mare bluastro con animali acquatici come delfini e balene
non recano danno alla nostra vita, infatti ci chiamano i Deos Ignudi che vivono in grotte oppure sugli alberi perennemente lucenti dal bianco della neve, del ghiaccio e delle luci dei piccoli insetti produttori di semi di
oli, spezie, ci sono molti animali allevati per nutrire con la loro carne tutto il regno, sono molto richiesti per l'alta nutrizione ed inoltre la mia contea è ricca di oro, argento, altre pietre preziose nascoste
in caverne luminose e anche di animali ritenuti sacri che vengono allevati per il loro vello che copre una volta rasato, con il loro pelo caldo e raffinato vengono creati abiti di ogni tipo per il Regno. La regina mia madrina
è quasi invisibile a tutti ed al suo posto nella grande città di luce azzurra risiede suo fratello il Principe Adwar, che un giorno mi mandò un plico con dentro una lettera ed un ciondolo di zaffiro da
tenere al collo, nella lettera mi scriveva che un giorno sarei dovuto andare al suo palazzo per conoscermi, grandi progetti erano pronti per me. Ma essendo troppo piccolo non ne capivo il significato. . Harad è una
piccola contea al centro del Regno degli Elfi dove si trova il forte Kmjr la città dove si forgiano armi di ogni tipo e lì vivono e si allenano i più forti nobili, cavalieri e guerrieri, è l'esercito
pronto alla difesa dove femmine e maschi di ogni etnia potevano combattere con ogni mezzo: dai guerrieri, ai lanciatori, ai cacciatori, ai maghi e stregoni. La piccola contea era racchiusa tra le montagne e per visitarla ci
volevano permessi dai Pretores di ogni città delle contee le quali avevano una galleria unica che accedeva in quella terra formando una croce che fluiva all'aperto davanti agli enormi cancelli di ferro di Harad.
Eccoci qui con i miei tutori e tre servi con cui avevo cantato e riso con loro durante i dieci giorni di viaggio, sarebbe bastato un Signore del Vuoto per farci arrivare in un breve lazzo di tempo nella capitale, ma mi sono
divertito con i tre gnomi dei miei tutori. Non appena ho visto l'entrata della grande città, mi è assalita un'emozione forte che tremavo tutto, appena entrati ho visto il padiglione sulla destra dove
chi entrava la sciava in quel del deposito le armi. Il padiglione aveva scritto sul portone d'entrata il nome e lo stemma della famiglia di mia madre ed in quell'istante ho visto tutto nero svenendo nelle braccia di
Golfyr uno dei nostri gnomi..
Il cielo era carico. Non di neve, ma di qualcosa che non riuscivo a leggere. Lohar era inquieta. I suoi occhi dorati scrutavano l’orizzonte, e il suo respiro era teso.
Camminavamo lungo il confine del Regno degli Alti Elfi, dove la luce si piega e il tempo si curva. Avevo sentito il richiamo. Un bambino in pericolo, forse. Un’ombra nel bosco.
Qualcosa che non doveva essere lì.
Poi accadde.
Un urlo. Non umano. Non animale. Un richiamo profondo, antico, che attraversò il vento come una lama.
Lohar rispose. Con un ruggito che non avevo mai sentito. Un suono che veniva dal cuore, dalla memoria, dalla paura.
Dal nulla, tra le nevi alte, apparve un ghepardo delle nevi. Grande, maestoso, con occhi verdi come smeraldi. Si fermò davanti a noi. E dietro di lui… un elfo.
Alto quanto me. Pelle chiara, occhi verdi, capelli dorati che brillavano come fiamma sotto la luce del tramonto. Il suo mantello era rosso scuro, e dalle sue mani usciva una luce calda,
pulsante.
Fuoco.
Mi guardò. Non disse nulla. Ma io sentii tutto.
“Mistral.”
“Elyan.”
Il tempo si fermò. Il vento si placò. Le nostre magie si toccarono — ghiaccio e fuoco — e non si annullarono. Si fusero.
Quella era la ricompensa. Non un trono. Non una corona. Ma un’anima che mi riconosceva. Che mi completava.
Da quel giorno, Elyan camminò accanto a me. Il fuoco e il ghiaccio non si combattevano. Si proteggevano.
Lohar e il ghepardo dormivano vicini. E noi, sotto le stelle, parlavamo senza parole.
Il vento non smette mai. Ma ora… non è più solo.
Giampaolo Daccò Scaglione