IL BAMBINO D'ORO
La favola che salvò il mondo
“Dodici cuori, un mondo da custodire. Elio scrive, Ilko veglia, Rubinio guida. E nel silenzio dorato, la favola comincia.”
Dedica iniziale
A chi ha ancora sabbia nelle scarpe, e sogni nascosti sotto il cuscino.
A chi ascolta i sassi, parla coi pesci, e crede che una fontanella possa cambiare il mondo.
A chi non ha smesso di cercare, anche quando nessuno guardava.
Questa favola è per voi. Per ricordare che il cuore sa cose che la testa ha dimenticato.
E che le cose impossibili, a volte, si lasciano trovare.
Introduzione
C’era una volta un mondo che aveva dimenticato. Non tutto, ma le cose più importanti: il suono delle fontanelle, il linguaggio dei pesci rossi, il potere delle lettere mai spedite.
In quel mondo, dodici bambini si incontrarono. Non erano eroi, né profeti. Erano cuori in cerca di qualcosa che non sapevano nominare.
Uno di loro si chiamava Elio. Aveva una spirale nel petto e una lettera tra le mani. Accanto a lui, Ilko ascoltava i funghi, Rubinio camminava con un bastone che conosceva la via.
Questa è la loro storia. Ma è anche la tua, se hai ancora sabbia nelle scarpe. Se senti che qualcosa ti chiama, anche se non sai da dove.
Benvenuto nella favola che salvò il mondo. Non serve capire tutto. Basta ricordare
Il Prato delle Cose Impossibili
Era un pomeriggio gentile, di quelli che sanno parlare solo in fiori.
Elio — un ragazzino dai pensieri larghi e dalle ginocchia sbucciate — si era staccato dal piccolo gruppo di mamme e bambini che ridevano sotto al sole.
Si sdraiò pancia a terra, dove l’erba odorava di menta e segreti.
Il suo libro di favole aveva le pagine stropicciate e una macchia di marmellata di albicocche — segno che le storie avevano già viaggiato con lui.
Mentre leggeva della Regina dei Gatti Volanti, alzò lo sguardo…
E lì, sotto un fungo porcino così grosso da sembrare una poltrona per insetti, c’era un folletto.
Ma non un folletto qualunque.
Aveva i capelli arruffati proprio come lui. Gli stessi occhi curiosi. Le ginocchia sbucciate.
Si guardarono. Si spaventarono. Ma senza un grido, senza un balzo.
Solo un lungo, lunghissimo silenzio complicato — come se entrambi sapessero che qualcosa era successo e non si poteva raccontare.
La lettera azzurra
Elio sentì il cuore battere forte, ma non mosse un muscolo.
Il folletto — così simile a lui, eppure vestito di licheni e cortecce — alzò il dito e lo portò alle labbra.
Un invito al silenzio. Non per paura, ma per rispetto.
Elio si voltò appena. Sua madre lo stava guardando, con un sorriso che diceva “Va tutto bene.”
Lui alzò la mano. Lei rispose con un bacio lanciato nell’aria, come un piccolo aquilone di fiducia.
Quando Elio tornò a guardare il fungo, il folletto gli porgeva qualcosa: un minuscolo foglio, piegato tante volte da sembrare un tesoro invisibile.
Elio lo prese.
Appena lo aprì, il foglio si distese e diventò una pagina del suo libro di favole — ma non bianca, bensì azzurro cielo chiaro, come il pomeriggio che li avvolgeva.
Le parole erano vergate in un verde profondo, come se ogni lettera fosse stata raccolta da una foglia diversa: quercia, sambuco, ortica e menta.
In cima alla pagina, il titolo diceva:
La Favola Che Esiste Solo Se La Leggi Con Gli Occhi del Cuore
Ilkio il folletto
Elio aveva appena cominciato a decifrare le prime parole verdi sulla pagina azzurra, quando sentì un peso lieve sulla spalla sinistra.
Il folletto era lì, aggrappato al suo maglione con dita sottili come radici.
Elio sobbalzò — non per paura, ma per quel tipo di stupore che ha il sapore della scoperta.
«Leggi la pagina ora,» disse il folletto, con voce che pareva fatta di fruscio di foglie, «ma poi piegala e mettila via.
Questa sera ti aspetto nel tuo giardino, in fondo dove c'è la fontanella dei pesci rossi.
Tua madre sa che vai lì a giocare o disegnare... i tuoi fratelli usciranno con gli amici, e noi saremo soli. Forse.»
Elio annuì, con quel tipo di certezza che si ha solo quando si sa che qualcosa sta per cambiare.
Il folletto fece un piccolo balzo e atterrò sull’erba. Si girò, soffiò un bacio invisibile che danzò nell’aria come polline, e disse:
«Ciao, Elio. O dovrei dire... Bambino del Sole. A stasera.»
Poi aprì una minuscola porticina nascosta nel fungo porcino e vi entrò, lasciando dietro di sé solo un profumo di terra fresca e foglie bagnate.
Elio rimase a fissare quella porticina per un lungo istante, finché la voce della mamma lo raggiunse dolce:
«Tesoro, vieni a prendere un po’ di succo!»
Elio si voltò, ancora stordito, e infilò la pagina azzurra tra le pagine del suo libro stropicciato, come a nascondere un segreto che solo lui avrebbe saputo rileggere.
Il custode delle favole
La voce della mamma lo aveva chiamato dolcemente:
«Elio, è ora di rimettere le scarpe. Torniamo a casa.»
E così fecero, con il sole ancora alto ma già intento a tingere il cielo di miele e lavanda.
A casa, dopo i saluti ai fratelli più grandi che uscivano con gli amici, Elio si ritrovò in giardino.
Il papà preparava una bevanda fresca con i nonni, mentre la mamma rideva con loro sotto il pergolato — le prime stelle già tremavano sopra le teste, come piccoli occhi curiosi.
Elio chiese, quasi in un sussurro:
«Posso andare alla fontana? Oggi vorrei scrivere una storia, non disegnare.»
«Certo, tesoro,» rispose la madre, «porta con te anche la fantasia.»
Camminò lungo il vialetto con le luci incastonate tra i ciottoli, come briciole di luna, fino alla fontanella dei pesci rossi.
Aprì il libro, trovò la pagina azzurra e cominciò a leggere.
Le parole sembravano respirare tra le righe:
Caro piccolo bambino d’oro, mi chiamo Ilko e sono un genietto dei folletti. Devo svelarti un segreto: è da tempo che ti osservo tra pensieri e disegni, tra pagine e sogni.
Tu sei figlio dei tuoi genitori, e i tuoi fratelli sono davvero tuoi. Ma quando tua madre ti portava nel grembo, uno gnomo antico — chiamato Gnomo della Sapienza — ha sfiorato il suo cuore, e nella sua pancia ha versato una polvere luminosa, la Polvere del Sole. La Polvere d’Oro.
Per questo, Elio, tu hai occhi che vedono cose impossibili.
Ti aspetto. Qui, nel tuo giardino, dove le stelle fanno la fila per ascoltare quello che ancora non sai di sapere.
E mentre Elio chiudeva la pagina, il vento accarezzava la fontana.
Un pesce rosso si sollevò appena sotto la superficie — come per salutare.
E in quel momento, Elio non si sentì più soltanto un bambino.
Si sentì un custode. Un seminatore di favole. Un Bambino del Sole.
Rubinio, lo Gnomo della Sapienza
Nel crepuscolo dorato, Elio camminava con il libro stretto al petto, seguendo il vialetto luminoso che lo conduceva alla fontanella.
Le luci sotto ai piedi sembravano sorridergli, una per una, come piccole lucciole educatamente in fila.
Arrivato al bordo della fontana, vide qualcosa che lo lasciò senza respiro:
I pesci rossi, di solito timidi e sparsi, erano raccolti in cerchio vicino a una pietra liscia, come a formare un piccolo pubblico silenzioso.
Sopra quella pietra, seduto con le gambe incrociate e il volto illuminato da una stella nascente, c’era lo Gnomo della Sapienza.
Parlava lentamente, e le sue parole sembravano foglie che cadono piano:
«…e poi, prima che il mondo si dimenticasse di ascoltare, la Polvere d’Oro fu versata, con amore, nel grembo di chi sognava senza paura…»
Accanto alla fontana, sopra un fiore di ginestra che ondeggiava lievemente, Ilko stava seduto con eleganza selvaggia.
Nel suo calice fatto di petalo giallo, sorseggiava succo di fragole silvestri e sorrideva come chi sa qualcosa che gli altri non sanno.
Quando Elio si avvicinò, tutti — pesci, gnomo, folletto, fiori — sembrarono immobilizzarsi nel momento perfetto.
Ilko posò il calice, si alzò sul fiore, e lo gnomo alzò lo sguardo pieno di stelle.
«Finalmente sei arrivato, Elio, Bambino del Sole,» dissero in coro, come se lo stessero aspettando da sempre.
La panchina delle domande
La panchina era fredda di sera, ma Elio non se ne accorse.
Aveva la lettera tra le mani, piegata con quella cura che si riserva solo ai sogni.
I suoi occhi erano pieni di stelle e domande.
Arrivarono insieme:
Ilko, seduto a gambe incrociate sull'estremità della panchina, con il mantello che odorava di ginestra.
Rubinio, lo Gnomo della Sapienza, piccolo e largo, con la barba folta come radici di quercia e un bastone intagliato di simboli sconosciuti
Si guardarono, e Ilko sorrise.
Rubinio si sedette sullo schienale, dove le foglie tremavano per la loro emozione.
«Vuoi sapere,» disse Rubinio, «perché tu? Perché la polvere d’oro è finita nel grembo di tua madre?»
Elio annuì, stringendo la lettera contro il petto.
«Ogni secolo,» continuò lo gnomo, «il mondo si addormenta un po’ di più. I grandi dimenticano come ascoltare le fonti, parlare ai sassi, abbracciare le nuvole.
Per questo, noi mettiamo in alcune mamme — dolci, distratte, luminose — un pizzico di Polvere del Sole.»
Ilko prese la parola, sorseggiando un altro goccio dal suo calice di petalo:
«Tu, Elio, non sei l’unico. Ci sono altri bambini dorati. Sparsi nel mondo. In India, in Patagonia, sotto un ponte in Olanda e tra le dune del Marocco.
Ogni bambino d’oro vede ciò che gli altri non vedono, sente ciò che gli altri dimenticano, ama con un cuore che non giudica mai.»
Rubinio alzò il bastone. Un piccolo bagliore uscì dalla punta e nell’aria si disegnò una mappa:
Cerchi dorati apparvero sopra il pianeta — ognuno era un bambino che dormiva, che disegnava, che si chiedeva “perché nessuno mi capisce?”
«Tu, Elio,» disse lo gnomo, «sei il primo ad essere stato svegliato. Ora, piano piano, sarai la lanterna che porterà gli altri fuori dalla nebbia.»
Elio abbassò lo sguardo. Una lacrima cadde, ma non era triste.
Era il primo germoglio di una missione nascosta nel cuore.
Il fiore di carta
Elio si svegliò con un pensiero che non gli apparteneva. Era come se qualcuno gli avesse lasciato un sogno in prestito, infilato sotto il cuscino.
Scese dal letto, ancora scalzo, e aprì la finestra: il prato dietro casa brillava di una luce che non era luce, ma memoria.
Ogni filo d’erba sembrava ricordare qualcosa. Un fiore blu si piegò verso di lui e sussurrò:
«Hai scritto la lettera. Ora devi piantarla.»
«Piantarla?» chiese Elio, confuso.
«Nel centro del prato. Dove le cose impossibili si nascondono per non essere trovate. Solo chi non le cerca le può vedere.»
Elio uscì, con la lettera stretta tra le dita. Camminò fino al punto dove l’erba era più alta e il silenzio più profondo.
Scavò con le mani, piano, e depose la busta come fosse un seme.
Il terreno tremò leggermente. Poi, dal punto esatto, nacque un fiore mai visto: aveva petali di carta, profumo di inchiostro blu, e al centro un piccolo occhio dorato che lo fissava.
«Ora Susina saprà dove venire,» disse una voce alle sue spalle.
Era Ilko, con un sorriso che sapeva di vento.
Susina emerse dal fiore di carta come da un bozzolo di luce. Aveva le ali spiegate, lucide di rugiada e titoli di giornale.
Senza dire nulla, prese la lettera piantata da Elio e la portò via, scivolando lungo una scia di luce che attraversava il prato e si infilava in una crepa del cielo.
Nel punto dove Elio aveva incontrato Rubinio, ora c’era un altro folletto: Zefiro, il postino del vento.
Aveva un cappello fatto di nuvola e occhi che cambiavano colore a seconda della direzione del pensiero.
«La lettera è pronta?» chiese.
Susina annuì e gliela porse.
Zefiro la legò a un filo d’aria e soffiò forte: la lettera volò via, attraversando mari, montagne e silenzi, fino a raggiungere Eneas.
La chiamata del Cielo
Elio scopre che tutti i bambini dorati hanno un nome che inizia per E.
Dodici nomi, dodici luci, dodici punti cardinali dell’anima.
Il cerchio si chiude con lui: Elio, il Sole.
Ilko e Rubinio gli rivelano che questo non è un caso, ma un disegno antico, scritto nelle radici del tempo.
I bambini si connettono attraverso il segno sulla mano — una spirale dorata che pulsa quando uno di loro pensa agli altri.
I dodici bambini si danno appuntamento in simultanea, guidati dagli Arcangeli Raffaele, Uriele, Michele e Gabriele, che appaiono nei sogni e nei riflessi dell’acqua.
Poco prima che la prima bomba venga lanciata, i bambini alzano le mani al cielo.
Una striscia di polvere d’oro si forma attorno alla Terra, visibile da ogni finestra, da ogni tetto, da ogni cuore.
Il mondo si ferma. Le persone si rifugiano, ma guardano.
Poi, un lampo dorato scende e distrugge tutte le armi, le caserme, i siti nucleari.
Al loro posto nascono fiori, laghi, alberi, fiumi.
I telegiornali parlano di miracolo. Si vedono solo le quattro figure angeliche, ma non i bambini.
Il Segreto dei Dodici
I bambini tornano alle loro vite.
Elio a casa, Eneas tra le rocce, Elizabeth a scuola, Emir nel deserto con le pecore.
Nessuno sa. Nessuno li riconosce.
Ma loro sono connessi per sempre.
Il segno sulla mano pulsa come un cuore condiviso.
Solo Ilko e Rubinio sanno che quei dodici, un giorno, diventeranno i nuovi leader del mondo — portatori di pace, custodi della memoria, seminatori di bellezza.
Il bambino d’oro sorrise, e il mondo ricordò chi era.
Ma nessuno lo vide. Nessuno lo cercò. Nessuno lo ringraziò.
Eppure, da quel giorno, le fontanelle cantarono più forte. I pesci rossi impararono a scrivere. Le lettere mai spedite cominciarono a viaggiare.
I dodici bambini tornarono a dormire, ma il sogno non si chiuse.
Perché ogni volta che qualcuno guarda il cielo con gli occhi del cuore, la spirale dorata pulsa ancora.
E il mondo, piano piano, ricorda.
Nota dell’autore
Questa favola è nata in un prato vero, dove le cose impossibili non si nascondono, ma aspettano.
L’ho scritta per chi ha occhi che vedono, o che vogliono imparare a vedere.
Se hai sentito qualcosa muoversi dentro, anche solo per un attimo, allora il bambino d’oro ha sorriso anche per te.
Dedica finale
A chi non ha mai smesso di cercare il proprio nome tra le stelle.
A chi ha piantato lettere nel cuore degli altri.
A chi, come Elio, sa che la luce non si spiega. Si semina.
Giampaolo Daccò Scaglione
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