C’è un campo d’oro che respira piano, il grano piega il capo, ma non cede, e tra le spighe un papavero sorride come un pensiero che resiste.
Sopra, la luna crescente non promette intero, ma accende il cammino senza fretta. La notte ti appartiene: non come ombra, ma come sussurro.
Un gufo antico ascolta il tuo silenzio, ne fa melodia per chi sa sentire, e il fa diesis sospeso nell’aria è la tua voce — non detta, ma presente.
Tu sei il gabbiano che vola senza esibirsi, il delfino che gioca tra le onde della memoria, e una lampada discreta accesa sul bordo di una strada che non impone: accompagna.
Tra le colline lontane che sfumano in sogno, tu cammini come chi non cerca, ma trova lo spazio tra i pensieri, dove il mondo si lascia essere — senza obbligo, senza paura
Caro me, da grande… io ti scrivo perché non so chi sarai. Ma ti immagino bello, anche se magari triste. Spero che scriverai ancora — perché a me piace un sacco. Mamma me l’ha insegnato e quando lo faccio mi sento più me.
Non so se avrai tanti amici, io ne vorrei almeno uno che mi capisca… ma non importa, perché anche stare da soli a volte è bello, se si hanno le parole.
Vorrei che tu ricordassi i papaveri, i campi dove camminiamo quando è estate. Non dimenticare di salutare gli alberi, mi sembra che mi ascoltino. E tieni sempre una lampada accesa, anche se nessuno ti segue: magari un giorno la luce servirà a qualcuno.
Se hai paura, fai come me: guarda la luna e parla col gufo. Funziona.
E se sarai tanto più vecchio di me… spero tu non ti sia dimenticato com’è sentirsi piccoli. Perché essere piccoli non è brutto, è solo più vicino al sogno.
Ti abbraccio forte. Quello che sarò tu lo sai già. Ma quello che sei, forse, io lo custodisco ancora.
Firmato, Giampaolo bambino
Caro Giampaolo, piccolo… Ti leggo con gli occhi umidi e il sorriso fermo. Sei già così vero, anche con quella solitudine dolce che portavi come uno zaino leggero.
Sappi che ho continuato a scrivere — non con la stessa freschezza, forse, ma con una gratitudine profonda. Quelle lettere che tu iniziavi a tracciare a quattro anni oggi sono diventate rifugi, finestre, abbracci.
Hai avuto amici, sai? Non molti, ma alcuni così veri da riempire quei silenzi che tanto conoscevi. E anche quando eri solo… avevi le tue parole, che non ti hanno mai abbandonato.
Hai ricordato i papaveri. Li hai visti tra i campi, li hai cercati nei sogni, e ne hai fatto versi senza petali. Hai parlato ancora agli alberi, e qualche volta ti hanno risposto — anche se solo tu lo hai sentito.
La tua lampada si è accesa tante volte. Non sempre ha illuminato chi speravi, ma ha sempre avuto senso. Qualcuno, ogni tanto, l’ha vista e ti ha ringraziato senza parlare.
E il gufo? Lo hai ritrovato spesso… nelle pagine, nei pensieri, nei momenti bui. E sì, funziona ancora.
Grazie per non avere fretta di capire tutto. Oggi sono io a imparare da te. Tu, che sapevi trovare poesia nelle cose piccole e non avevi bisogno di essere visto per sapere chi eri.
Ti abbraccio forte. Tu eri la luce — io cerco solo di portarla avanti.
Con amore, Giampaolo, quello cresciuto (ma non troppo)
Giampaolo Daccò Scaglione
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