martedì 24 marzo 2020

THREE FATHERS





THREE FATHERS

MARIO - LUIGI - JOHN

What a strange life, sometimes it makes you take different paths from the ones you thought you were doing, sometimes it knocks you down to the end or raises you to the top of success or even gives you a monotonous, peaceful life where you appear and you go without leave a trace.
I can say that mine has been intensely full of pain but also of adventures and experiences that have made me change maturing and have removed that verve and cheerfulness of the past transforming it into light melancholy and solitude inside.
The strangest thing in my life was to have, in a sense, three fathers, in three different ages.
Three different men who in recent years have played a role in my existence:
Mario, my real father, the one who generated me and who is now unfortunately among the people affected by this cursed virus and who still has little to stay here on this good and ferocious mother earth. A man who never wanted me, perhaps even loved me and never followed. I missed it, I felt pain because of not understanding why. One day I heard the reason from his voice as my mother screamed and so I made a decision, I would never speak to him again, I also silenced at the table, at home, around, between friends and relatives until, when I was eight years old my dearest aunt had married Luigi.
Luigi, a nice, intelligent man, of culture, taught me to paint, to draw to understand astronomy and every time my father attacked me he took really strong positions and thus made me feel loved.
I will never forget his words one day when I ran away to his house crying after arguing with Mario.

"I should have been your dear father my boyfriend"

His words filled my heart and when I left when I was only nineteen, it was he I thought of as a father.
Then fate as always bad took Luigi away and so I felt orphaned even though Mario was there.
I tried again the approach with him several times in many years but I found a wall in front so I closed everything thinking about Luigi that if he had been there maybe I would have felt less alone.
John almost breaks into my life for a stroke of luck, astronomy a passion in common, so as a simple astronomer in contact with a great astronomer who is him, John, we have become like father and son.
He advises me, listens to me, is a man despite his young age, head, spirit, intelligent and very good and generous.
A great person that I allow myself to call dad, because he is English, so now that dad Mario and dad Luigi are gone, I have John and I hope for a long time to come.

Giampaolo Daccò D.L.

TRE PADRI





TRE PADRI

MARIO - LUIGI - JOHN

Che strana la vita, a volte ti fa prendere strade diverse da quelle che tu pensavi di fare, a volte ti abbatte fino alla fine oppure ti innalza al vertice del successo o ancora ti regala una vita monotona, tranquilla dove appari e te ne vai senza lasciare traccia.
Io posso dire che la mia è stata intensamente piena di dolore ma anche di avventure e di esperienze  che mi hanno fatto cambiare maturando e hanno tolto quella verve e allegria di un tempo trasformandola in leggera malinconia e solitudine dentro.
La cosa più strana della mia vita è stata quella di avere , in un certo senso, tre padri, in tre età diverse.
Tre uomini differenti che in questi anni hanno avuto un peso nella mia esistenza:
Mario, mio vero padre, quello che mi ha generato e che ora purtroppo è tra le persone colpite da questo maledetto virus e che ha ancora poco da restare qui su questa madre terra buona e feroce. Un uomo che non mi ha mai voluto, forse neanche amato e mai seguito. Ne sentivo la mancanza, provavo dolore per questo non capendone il perché. Un giorno sentii dalla sua voce il motivo mentre mia madre urlava e così presi una decisione, non avrei mai più parlato con lui, silenzi anche a tavola, in casa, in giro, tra amici e parenti fino a che, quando avevo otto anni mia zia la mia più cara aveva sposato Luigi.
Luigi, un uomo simpatico, intelligente, di cultura, mi ha insegnato a dipingere, a disegnare a comprendere l'astronomia e ogni volta che mio padre quello vero mi attaccava lui prendeva posizioni davvero forti e così mi faceva sentire amato.
Non dimenticherò mai le sue parole un giorno quando scappai a casa sua piangendo dopo aver litigato con Mario.

"Avrei dovuto essere io tuo padre caro il mio ragazzo"

Le sue parole mi riempirono il cuore e quando me n'ero andato via di casa a soli diciannove anni, era lui a cui pensavo come padre.
Poi il destino come sempre cattivo si è portato via Luigi e così allora mi ero sentito orfano nonostante ci fosse Mario.
Ritentai l'approccio con lui più volte in tanti anni ma ho trovato un muro davanti così ho chiuso tutto pensando a Luigi che se ci fosse stato forse mi sarei sentito meno solo.
John irrompe quasi nella mia vita per un colpo di fortuna, l'astronomia una passione in comune, così da semplice astronomo in contatto con un grande astronomo che è lui, John, siamo diventati come padre e figlio.
Lui mi consiglia, mi ascolta, è un uomo nonostante la sua età giovane, di testa, di spirito, intelligente e molto buono e generoso.
Una grande persona che mi permetto di chiamare dad, perché lui è inglese, così ora che papà Mario e papà Luigi se ne sono andati via, ho John e spero per tanto tempo ancora.

Giampaolo Daccò D.L.

martedì 10 marzo 2020

QUELLO CHE NON C'E' MAI STATO





QUELLO CHE NON C'E' MAI STATO

Ecco, sono qui davanti a te.
Ti guardo in quella cassa di legno di noce mentre i tuoi occhi sono chiusi e senza respiro, il tuo corpo sembra un manichino vestito da festa.
Ti guardo e non provo nulla, niente... 
Eppure ho cercato nel mio cuore un filo di emozione, un sentimento che non riesco a trovare.
Sento persone vicino ma non so chi c'è attorno a noi.
distrattamente ascolto ogni tanto un bisbiglio, forse qualcuno ha notato che non ho fatto neanche una mossa per poterti dare una carezza o un tocco alle tue mani incrociate e gelide.
Non sento nulla dentro e mi dispiace dopo anni di pianti, di domande, di odio e poi l'indifferenze perché, il tempo e l'età portano indifferenza o alla coscienza che non puoi rimediare a nulla.
Tu sei invecchiato da solo e quasi tutti ti hanno voltato le spalle mentre recitavi la parte della vittima.
Tu avevi lasciati soli chi ti voleva bene e li hai gettati via dalla  tua vita come degli stracci inutili.
Che peccato!
Quante cose ti sei perso, non hai goduto, non hai vissuto ma dalla tua torre d'avorio, dal tuo piedistallo, dal tuo egoismo tutti dovevano stare ai tuoi piedi.
Esistevi solo tu.
Nella mia mente vengono cacciate via le frasi cattive che in un passato lontano mi dicevi prima che te ne andassi via con l'altra, cerco di farlo anche se prepotentemente seppur davanti al tuo capezzale, arrivano come frustate indelebili.
Quante volte ho cercato di farmi amare, di venirti incontro? Troppe, tante o troppo poche? 
Ma quando davanti a te c'è un muro impenetrabile, alla fine ti arrendi, alla fine non ti senti più in colpa di qualcosa che non hai mai fatto tranne di nascere e di non essere voluto.
Sto diventando vecchio anche io piano piano, non ho perdonato in un certo senso, posso solo dire che ti ho condonato tutto il male che hai fatto comprendendo la tua incapacità di essere quello che avresti dovuto essere, un padre.

"Mio figlio è un idiota!"
"Mi vergogno di te, gli altri a scuola sono più bravi."
"Che ho fatto di male per meritarmi un cretino come figlio?"
"Tua sorella si è che mia figlia, più bella ed intelligente."
"Vai da tua nonna di sotto mi dai fastidio!"
"Sei uguale a tua madre."

Sono uguale a mia madre, invece di odiarti quel giorno ho capito di esser fiero di essere come lei... Fiero ed orgoglioso di avere un cuore che palpita, di avere un anima con dentro tante cose e tu?
Sei andato via un giorno, finalmente, lontano con un altra anche se ormai era troppo tardi per noi, per trovare una serenità e dimenticare.
Ti sto guardando e non provo niente, una mano mi stringe la mia e sento dire qualcosa, sorrido mestamente, come di prassi nei funerali, come una recita ridicola mentre avrei voglia di mandarli a quel paese.
Condoglianze, mi vien da ridere ma non posso, alla mia età non posso proprio.

"Vorrei che tu non fossi mai stato mio figlio!"

Giro le spalle al tuo feretro, non sento nulla e non vedo i volti di chi è presente alla farsa di una benedizione ad un ateo che mai ha voluto pregare.
Dopotutto devo fare la parte del figlio buono che ha perdonato il padre e che con la mia presenza ha alleviato l'angoscia dei parenti che speravano.
Speravano cosa mi chiedo.
Quello che mi fa triste è pensare che avremmo potuto essere un padre e figlio che si amavano tanto, che mi avresti portato in spalla, seguito nella vita, giocare con me, insegnarmi tante cose, come fanno molti genitori con i propri figli, vivere tutto quello che non c'è mai stato.
Ormai non importa più, seduto su una panca fredda ed anonima sento la mano di chi mi sta accanto da una vita stringere la mia, un calore che mi fa star bene in questo momento.

"Addio sconosciuto che non ha saputo assaporare 
e cogliere l'amore che lo circondava, 
che non ha capito di poter essere felice 
con le persone che aveva accanto 
che ha detestato sentendosi in prigione. 
Addio a quest'uomo che ha lasciato il nulla,
 un qualcosa per cui piangere, 
per sentirne una mancanza,
 per un dolore che non esiste.
Addio a tutto quello che non c'è mai stato.
Addio."

Giampaolo Daccò Dos Lerén


giovedì 20 febbraio 2020

E CADEVANO LE STELLE


E CADEVANO LE STELLE


Notte di San Lorenzo,

- Guarda lassù G… Ne ho viste due cadere verso il mare… - aveva esclamato L. con un entusiasmo come fanno tutti i bambini quando erano sorpresi da cose misteriose. Avevo annuito.
- Stanotte sono tante, poi in riva al mare sembrano ancora più belle e grandi, peccato che non si specchino nel mare, la notte è senza luna e siamo fortunati. - avevo risposto fingendo allegria.
L. mi aveva stretto la mano e guardandomi nella penombra della notte, mi aveva sorriso ma non capivo se era un sorriso felice o triste.
Sarebbe stata la penultima notte insieme, la più bella in teoria, quella dove si potevano guardare quelle meteore, scendere dal cielo come scie luminose per poi sparire con fruscio misterioso in un punto della notte.
- Ecco un bolide, è enorme... Presto esprimiamo un desiderio, dai chiudi gli occhi G e esprimilo con me. -
Istintivamente avevo chiuso gli occhi stringendo di più la sua mano e nella mente si erano formate in pochi attimi, immagini e parole: “Non lasciarmi, stai con me per sempre” ed una corsa veloce sulla spiaggia. La sua voce mi aveva fatto ritornare nella realtà:
- Lo hai fatto?-
- Certo ma come sai non lo posso dire altrimenti non si avvera. - avevo risposto ridendo.
- E’ vero ed io che stavo per dirtelo, accidenti. -
Ci eravamo avvicinati di più in un abbraccio che aveva suggellato un leggero bacio sulle labbra poi, un sorriso verso il mare.
Come uno spezzare dell’incantesimo, due voci materne ci avevano chiamato.
-Ehi cuccioli, non sarebbe ora di andare in albergo a dormire anziché prendere l’umidità della notte sulla spiaggia? -
La voce stentorea della madre di L. ci aveva fatto staccare e alzarsi in piedi, ci eravamo guardati negli occhi e lo stesso pensiero era balenato nelle nostre menti: “Ci avranno visti? Speriamo di no!”.
Avevamo quattordici anni a testa, volti da bambini anche se il corpo desiderava tutt’altro che un semplice bacio a fior di labbra.
Mamma mi prese sotto braccio e aveva fatto una carezza a L. - Forza che domani si va a fare una passeggiata a Lerici e bisogna alzarci presto, quindi ora appena arriviamo in stanza subito a dormire. - sorrideva ma aveva un sguardo strano su di me, aveva capito tutto del nostro segreto, del giovane amore che era iniziato davanti a due tazze di caffè latte in albergo in un mattino di dieci giorni prima?
Penso di si, lei era troppo sensibile, mentre la mamma di L, donna volitiva e poco presente nella famiglia per via del suo lavoro, non si era nemmeno accorta e sicuramente non avrebbe voluto.
Nella camera dell’albergo mentre mia sorella dormiva, mamma stava con me sul terrazzo a fumare una sigaretta in silenzio ed in quell’istante una stella cadente aveva illuminato il cielo, lei aveva girato lo sguardo su di me, seria ma dolce mi aveva detto:
- G. lo sai che tra due giorni quella famiglia andrà via per sempre? Tornerà a Roma e poi partiranno per Londra… Lo sai vero? - avevo gli occhi lucidi ma non era solo per un addio tra amici alla fine di una vacanza, no non era solo quello. Noi saremmo stati lì per altri quindici giorni ma non era più lo stesso per me dopo la loro partenza.
L. aveva una brutta malattia, me lo aveva detto mamma dopo colazione due giorni dopo che mi ero preso una cotta per quegli occhi verdi, da allora mi sembrava che il mondo fosse finto, dove le persone recitassero un ruolo ma io e L. un pomeriggio tardi in spiaggia abbiamo parlato di questo, della sua malattia, lo aveva saputo i genitori, dirigenti di azienda molto pragmatici non hanno nascosto nulla alla famiglia e l’unico rimedio per le cure era Londra, al tempo all’avanguardia per la medicina legata alla malattia di L.
Io non riuscivo a capire perché sembravano tutti così freddi come se fosse una cosa normale. Mia madre avrebbe pianto, io avrei pensato di uccidermi credo, non amavo la sofferenza terribile di una malattia del genere dopo aver visto nonna, andarsene a cinquantaquattro anni in tre mesi.
L. no, non dovrà morire, a Londra faranno di tutto e guarirà, lo sentivo. Mamma mi osservava ma aveva deciso di parlare mentre mi teneva la mano tra le sue.
- Caro, immagino quale siano stati i tuoi desideri guardando le stelle cadenti, ma vorrei solo dirti una cosa… Sei piccolo ancora per i grandi amori, per capire come sono fatti questi sentimenti, mentre conosci già il dolore. L. potrebbe farcela oppure volare nel cielo tra quelle stelle. Lo so ti sembrerà duro tutto questo ma ognuno di noi ha il suo destino anche se non saprà mai il finale fino a quando arriva. - mi aveva abbracciato mentre ci stavamo cingendo ad andare a letto.
- Se L. non ce la farà, pensa che potrebbe essere lassù a guardarti e tu potrai ricordare sempre questi momenti belli che la vita ti ha regalato, lo so non è facile capire ed accettare, magari e lo spero, forse vi vedrete ancora chi lo sa… Ora cerca di dormire. -
Mi aveva rimboccato il lenzuolo fresco e si era allontanata verso il suo letto.
Avevo pianto sommessamente, sentivo il mio cuore come spezzarsi e poi mi ero addormentato… Non so quanti minuti erano passati ma qualcosa mi aveva fatto svegliare e mi ero girato verso la porta finestra del terrazzo: mamma era lì in piedi a fumare, in silenzio nella penombra blu della notte mentre il cielo era pieno di stelle. Anche lei non riusciva a dormire, l’avevo vista asciugarsi gli occhi, anche lei era stata colpita dalla faccenda ed avevo pensato che si era immaginata di essere al posto della mamma di L.
In quell’istante dopo aver spento la sua sigaretta, si era voltata verso Francesca e me, avevo chiuso gli occhi fingendo di dormire, poco dopo la carezza della sua mano fresca sulla fronte mi aveva fatto stare bene, si sottecchi l’avevo vista tornare a letto così mi ero voltato verso la finestra sul mare…
Quante stelle c’erano, sembravano cristalli nel blu vellutato della notte, all’improvviso tre scie di luci erano scese verso il mare, erano cadute tre stelle, tre desideri da esprimere.
L. non aveva mai più fatto ritorno a Roma, lo avevo saputo poche settimane dopo aver iniziato la scuola… Quella sera d’autunno avevo guardato il cielo, c’erano ancora le stelle, fisse, non capivo quale poteva essere L. lassù, nessuna cometa lasciava la scia ma per me, quella sera stavano ancora cadendo come le mie lacrime.


Giampaolo Daccò dos Lerén

mercoledì 29 gennaio 2020

LA NOSTRA ULTIMA ESTATE




LA NOSTRA ULTIMA ESTATE

"I can still recall our last summer
I still see it all
Walks along the Seine, laughing in the rain
Our last summer
Memories that remain"

"Ma la stai cantando ancora dopo tutti questi anni?"

"Certo amore... Guarda te l'avevo dedicata proprio qui venticinque anni fa, il giorno del nostro matrimonio, qui a Parigi... Gli Abba avevano visto giusto anni prima."

Giulio abbraccia forte Martina mentre insieme guardano il sole che sta tramontando dietro la tour Eiffel, si erano conosciuti alla Sorbona ad un master appena laureati entrambi in architettura.
Lei bionda dai capelli lunghi e occhi azzurri, lui il classico moro con occhi intensi e neri, atletico.
Non si erano innamorati subito ma col tempo e durante il corso. Lunghe passeggiate, qualche colazione insieme e sotto quella torre altissima un giorno lui l'aveva baciata.

"Ma ci pensi Martina? Venticinque anni di matrimonio e ti amo ancora come prima e siamo qui nel punto in cui ti avevo chiesto se volevi stare con me quattro anni prima."

"Davvero..." dice lei in un sussurro abbandonandosi a quell'abbraccio caldo sotto il sole di settembre...
Lui la stringe forte.

"The summer air was soft and warm
The feeling right, the Paris night
Did it's best to please us
And strolling down the Elysee
We had a drink in each cafe
And you
You talked of politics, philosophy and I
Smiled like Mona Lisa
We had our chance
It was a fine and true romance
I can still recall our last summer"

Martina si mette a piangere, si asciuga le lacrime con una mano, Giulio un poco preoccupato le pone un fazzolettino.

"Scusami caro, questa canzone mi commuove sempre, è la nostra da allora ed ora mi sembra di rivivere tutto... Peccato  che questi anni siano passati così velocemente..."

"Ma siamo ancora insieme, nozze d'oro e quattro anni di fidanzamento, l'anno prossimo al trent'anni di vita in comune ti porto a New York e ti canto Summertime... Ahahah"

"Dio mio no ti prego..." si mette a ridere lei mentre per mano si avviano verso il Trocadero. 

Lei lo sente vicino come sempre, in ogni momento come lo era stato ogni volta nella loro vita in comune, quando avevano avuto i loro tre figli Luca, Alessandro e Mattia.
Mattia, un tuffo al cuore per Martina, Mattia non è il figlio di Giulio e per fortuna assomiglia a lei e non al loro più caro amico Antonio.

Neanche lei aveva saputo darsi una spiegazione sull'accaduto ed il perché quelle due notti ha fatto l'amore con quell'uomo nonostante amasse Giulio, eppure era accaduto. Antonio si era gravemente ammalato di leucemia e non aveva avuto scampo, lei con alcuni amici si erano dati dei cambi nell'assisterlo e quelle due notti così lontane di quasi venti anni le avevano scatenato una pietà talmente forte che, guardando il loro amico soffrire si era data a lui come una sorta di amore.

Si era pentita e nello stesso tempo era stata contenta di aver regalato a quell'uomo sia pur in un momento di peccato e debolezza, quel poco di amore per farlo sentire vivo almeno per qualche istante. Lui, Antonio se n'era andato dopo tre settimane dalla loro seconda notte d'amore. Si era accorta di essere incinta qualche tempo dopo ma non aveva avuto dubbi, pensava che il figlio fosse di Giulio ma, un giorno leggendo un articolo di una donna che aveva nascosto al marito che il loro figlio era di un altro, il terrore aveva preso il sopravvento.

Aveva fatto di nascosto le analisi a se stessa ed al piccolo Mattia e il risultato senza ombra di dubbio era stato spietato, lui era il figlio di Antonio. Lo sa solo lei le lacrime che aveva versato e la voglia di dire tutto a suo marito. L'avrebbe perdonata? Perché lo aveva fatto? Un gesto di pietà o pena non è darsi ad un amico che aveva poco da vivere. Nessuno aveva mai saputo niente e nessuno lo saprà mai si era detta.

Giulio ama i tre figli senza nessuna distinzione e lei con il tempo, quel dolore e senso di colpa si era attenuato pensando che una parte del loro caro amico Antonio era con loro, una buona scusa? Non lo sapeva e non lo sa neppure ora anche lei, ma ciò che conta è il suo amore immutato per Giulio... Nonostante tutto.

"But underneath we had a fear of flying
Of getting old, a fear of slowly dying
We took the chance
Like we were dancing our last dance
I can still recall our last summer"

Continua a cantare Giulio, stringendo lei a se, sorridendo e fermandosi. La guarda negli occhi profondamente e la bacia, il mondo scompare attorno a loro.

"Ti amo Giulio, ti ho sempre amato e ti amerò per tutta la nostra vita".

"Lo so amore, anche tu sei parte di me per sempre. Ti avevo scelta quel giorno senza alcun dubbio e ti sceglierei mille volte ancora se tu me lo chiedessi..." lei si mette di nuovo a piangere "Amore dovresti essere felice, siamo qui dopo tutti questi anni ancora come una volta, la nostra estate di allora non era l'ultima ma la prima di tante, ecco vedi che ora sorridi, non pensare a nulla, ci siamo noi due. Auguri per i nostri venticinque anni amore mio." un bacio appassionato li unisce in quel momento in una nuvola d'oro.
Poi i loro passi che risuonano sui marciapiedi verso l'albergo.

- Amore mio - sta pensando Giulio - so quanto devi aver sofferto, forse più di me. Antonio me lo disse due giorni prima di morire che eri stata sua mentre lo chiamavi con il mio nome, non te n'eri accorta. Lui aveva accettato il tuo abbandono per non morire prima del tempo. Non lo hai mai saputo che ti amava dal giorno che vi avevo fatto conoscere e quelle due notti per lui, erano stati dei sogni realizzati. Me lo disse pensando che l'avrei picchiato o avrei lasciato te, invece mi ero messo a piangere, per me, per lui, per te... Per tutto quello che era accaduto e lo avevo abbracciato forte e sentivo le sue lacrime sul mio volto e nell'orecchio il suo sussurro "Perdonami... Perdonaci". Li avevo già perdonati li amavo troppo entrambi.

Quando era nato Mattia avevo dei dubbi, non lo sai Martina ma io le tue analisi prima che le buttassi le avevo lette... So che Mattia è figlio Antonio ma è anche mio, nostro e lo sarà per sempre.

"Amore, guarda ricordi quel bistrot? Ceniamo lì, era la sera della parata militare ricordi? Ci eravamo rifugiati dentro per la calca ed avevamo passato una serata fantastica. Ti va?"

Martina sorride al ricordo ed annuisce a Giulio, subito si mettono a correre verso quel locale che li aveva visti poco più che ventenni arrivare in una sera piena di persone in festa.

"I can still recall our last summer

I still see it all
Walks along the Seine, laughing in the rain
Our last summer
Memories that remain"


Giampaolo Daccò Dos Lerén



venerdì 3 gennaio 2020

SETTE FIORI





SETTE FIORI

- Perché sette fiori? - chiede il piccolo gnomo dalla Fata del mattino con i suoi due occhi enormi azzurro cielo spalancati su di lei.

- Perché solo così capirai il senso della vita, perché così diventerai adulto e lo sai che gli gnomi diventano adulti al loro centunesimo anno di vita terrestre. -

- Ma voi fate no! Tu Fauxia regina del mattino hai migliaia di anni e vi ho sempre viste così. - la fata sorride al piccolo gnomo dai capelli color del mare, sa che deve dargli una risposta.

- Tesoro, no. Anche noi eravamo piccole crisalidi, per diventare una fata adulta ho dovuto aspettare mille anni ed un giorno e come te abbiamo dovuto trovare sette alberi al posto dei fiori, per trovare la nostra parte materiale, ecco il segreto vostro degli gnomi e anche dei nani del bosco vicino. -

- Ho capito... Dovrei trovare con questi sette fiori, la mia parte emotiva... Capisco madre del mattino. - La fata non riesce a trattenersi e nel guardare lo gnometto vestito di rosso e giallo, una carezza sul volto del piccolo lo fa arrossire.

- Vai ora, la tua strada è facile è il sentiero che inizia tra quella nube verde e finirà nella nube rosa è dentro la strada che sarà più difficile il cammino, troverai sette persone che ti daranno un fiore ma tu prima, dovrai scoprire quale sia dopo aver superato un indovinello. A presto Dwachin, ti aspetto qui. -

Lo gnomo in poco tempo sparisce nella nube verde ed ad un tratto si trova in un bosco fatto di alberi con i colori dell'arcobaleno ed una strada dorata piena di sassolini fatti di pietre preziose e terra d'oro. Dopo una lega di cammino ed una bevuta ad un ruscello si trova davanti ad un recinto con delle pecore ed un'anziana donna seduta tra loro.

L'anziana donna gli sorride e gli pone un indovinello se saprà risolverlo, avrà in dono il primo fiore:
- Piccolino quale fiore fa riferimento all'età più innocente e pura che ci sia? -
Dwachin in quel momento ha uno sprazzo di ricordo della nonna che gli disse un giorno, fatti una collana di... è il simbolo di purezza per i bambini.
- La Margherita! - risponde pronto, intanto la vecchietta si trasforma in una fata bianca e le pecore in farfalle trasparenti, lei consegna al piccolo una margherita d'argento dicendogli di conservarla e che il primo passo è stato compiuto.

Felice Dwarchin prosegue e all'improvviso dopo una lunga camminata e dopo una discesa, trova davanti a se una stalla, un cavallo ed un falegname, il quale sorridendogli e dando il benvenuto gli dice:
- Piccolino qual'è il significato del fiore e dei suoi frutti che vengono usati per preparare liquori o infusi che aiutato a guarire i guerrieri? -
Lo gnometto ricorda che un giorno lo zio Dragan era partito con dei guerrieri per lottare contro dei Lycans e avevano fiasche di liquore, oh si se lo ricorda bene.
 - Il Sambuco - risponde pronto, così il falegname dopo avergli consegnato un sambuco di cristallo si trasforma in un druido ed il cavallo in un puledro dagli occhi di zaffiro e sparisce davanti al suo sguardo.

La terza tappa è un giardino fatto erba azzurra e una bambina seduta al centro lo saluta e senza dire nulla, gli pone una domanda mentalmente, prontamente ricevuta dal piccolo gnomo:
- Carissimo amico mio, qual'è il fiore che diventa un unguento e profumo per togliere malattie e dare aroma alla pelle ed aiutare a cacciare le bestie dagli odori cattivi? -
Questa la sa, la mamma tiene sempre questo profumo in casa: 
- Il Giaggiolo -
- Bravo tesorino mio, eccoti un giaggiolo di lapislazzulo, tienilo con gli altri - la bambina subito si trasforma nella nonna di Dwarchin e scompare subito in una nuvola d'argento.
- Nonna... - fa in tempo a dire ma lei è già sparita, ma il suo viaggio deve continuare, ricaccia il groppo in gola e si avvia per quel sentiero brillante.

Quarta tappa e quinta, un ruscello divide una casetta di paglia e una casetta di legno e davanti ad esse un coniglio bianco e un gatto nero, insieme domandano al piccolo gnomo: 
- Quali sono i due fiori, di cui uno simboleggia l'amore puro, il bene per l'altro e il corteggiamento? Ed il fiore che rappresenta l'eleganza nei gesti, temperanza nelle virtù e della bellezza interiore? Pensaci su è facile - gli dice il coniglio mentre il gatto sorride leccandosi una zampa.
Dwarchin ricorda il fiore che suo padre aveva donato alla mamma nel giorno del loro anniversario, ma anche il fiore che il capo villaggio aveva appeso al taschino della sua giacca nelle grandi occasioni e prontamente in modo sicuro risponde ai due animali:
- Il Lillà e il Rododendro - i due animali si guardano e sorridono ed in quel momento si trasformano nella principessa e nel principe del paese del nord ghiacciato, e sparendo alla sua vista lei, bellissima gli manda un bacio con la mano. Paonazzo di emozione si avvia di corsa verso la penultima tappa. Guarda nelle sue mani i cinque fiori magnifici:
Una margherita d'oro, un sambuco di cristallo, un giaggiolo di lapislazzulo, un lillà di ametista ed un rododendro di velluto bianco e giallo. 

La tappa che si trova davanti dopo un lungo cammino nel sentiero dorato trova una fontana ed un bambino seduto sul bordo che gioca con l'acqua cristallina. Il bambino gli sorride e come ha fatto precedentemente la fanciulla nel prato, gli parla con la mente:
- Ciao Dwarchin, sei cresciuto dall'ultima volta che ci siamo visti (Dwarchin proprio non lo ricorda quel bambino, ne aveva visti talmente pochi nella sua vita). ma devi però dirmi qual'è il fiore che signifa, speranza, ricordi ed amore lontano. -
Per lo gnometto una leggera difficoltà, ricordava qualcosa ma non precisamente cosa, poi guardando il bambino nei suoi occhi color smeraldo, come un fulmine a ciel sereno ricorda il suo miglior amico Tylin, che era morto cadendo da un burrone inseguito da un lupo grigio, lo avevano seppellito nella terra coperta di "Non ti scordar di me" come li chiamano gli umani questi fiori bellissimi:
- Il Miosotis! - quasi urla mentre vede il bambino trasformarsi nel suo amico scomparso decenni prima, due lacrime erano spuntate dai suoi occhi mentre il suo amichetto spariva in una luce dorata sorridendogli. Guarda nella sua mano sinistra il Miosotis di topazio blu apparso all'improvviso e lo unisce piangendo, agli altri cinque e si incammina lentamente un po' triste verso la sua ultima tappa.

Dopo un lungo cammino pensieroso ecco che arrivato in cima ad un colle breve, dall'alto vede la nuvola rosa, l'uscita ma prima una bancarella chiude quel passaggio ed un signore ben vestito lo sta aspettando sorridendo, Dwarchin corre con i fiori nella mano destra e con la sinistra saluta quell'uomo elegante e si ferma davanti a lui. Era un signore dai baffi rossi, gli occhi gialli e il vestito verde degli alti nani, quasi ne aveva paura ma il sorriso buono di questi lo assicura, non aveva nulla da temere.
- Eccoci all'ultima tappa mio caro piccolo Dwarchin, dovrai indovinare il fiore, l'ultimo che ti permetterà di diventare adulto ed entrare nelle sale degli anziani nel tuo villaggio al bosco di Farahys. - lo gnometto annuisce timidamente.
L'uomo prende un foglio di pergamena dorata e legge: "Caro mio piccolo figliolo, sai dirmi qual'è il fiore di vari colori il cui significato nel mondo umano e come dicono loro reale e fortunatamente non nel nostro (ed intanto i due sorridono alla battuta dello strano uomo), vuol dire commemorazione dei defunti mentre il vero significato è il re dell'autunno e dei Cervi dalle lunghe corna?" -
Non ha nessun dubbio il piccolo Dwarchin, ormai aveva capito molte cose in quel viaggio senza tempo, ogni fiore rappresentava un sentimento diverso dell'essere vivente e della vita stessa, gli pare di sentire una risata nella testa e un "bravo figliolo" simile alla voce dell'uomo dai baffi rossi e gli occhi gialli:
- Il Crisantemo! - quasi urla
All'improvvivo un crisantemo di diamante appare nella sua mano e l'uomo si trasforma immediatamente nel re dei Nani.
- Maestà - grida il piccolo gnomo inginocchiandosi ma lui era già sparito nella nebbia rosa.

Alzando gli occhi Dwarchin si ritrova nel punto di partenza con davanti a se la Fata Fauxia seduta sul prato fiorito che lo accoglie con le braccia aperte. Dwarchin si alza e le corre incontro donandole i fiori mentre lei lo abbraccia forte:
- Sei arrivato presto piccolino, dai a me questi fiori, la tua prova è stata largamente superata, me lo aspettavo ed ora sei uno gnomo grande, guardati. Davanti si materializza uno specchio fatato e lui non vede più quel piccolo gnomo dalla pelle liscia e dal vestito da ragazzino ma uno gnomo più alto, con baffi rossi ed un vestito di lana pregiata color del sottobosco con bottoni d'oro ed il cappello bordato di pelo d'argento.
- Ma, mia signora... -
- Ssst piccolo mio, ora sarai Gwarchin, l'aiutante del druido Morstand del tuo villaggio, la tua sapienza ha superato i tuoi anni di vita, sarai un ottimo druido giovane che potrà mirare in alto. Ora vai e non dimenticare questo... -
Dwarchin alzandosi da lei, vede come una magia i sette fiori trasformarsi in una rosa bianca dai petali di seta.
- Questa è tua, questo sei tu, l'insieme delle doti che hai acquisito e che ti hanno infuso la saggezza superiore di druido, questa era la tua strada fin dall'inizio. Tutti temevano che non ce la facessi a superare le prove, invece io ne ero sicura. Ora vai al villaggio, ti stanno aspettando con tutti gli onori e questa rosa conservala per sempre un un vaso di cristallo. -

Dwarchin sta per correre sulla strada verso il villaggio, si ferma torna indietro e riabbraccia la bellissima fata regina del mattino dandole un bacio sulla mano, la risata cristallina di Fuxia si perde mentre scompare tra le braccia dello gnomo.
Dwarchin non vede l'ora di essere al villaggio, lo stanno aspettando ma soprattutto ora è diventato un adulto, un druido. Davanti a se erba, fiori e alberi sembrano inchinarsi al suo passaggio e lacrime di gioia che si trasformano in gocce di cristallo cadono dal suo viso.
Ora si, è davvero felice.

Giampaolo Daccò Dos Lerèn 




martedì 31 dicembre 2019

COME QUAND'ERO BAMBINO



COME QUAND'ERO BAMBINO

Questa mattina, appena sveglio ho alzato le tapparelle della mia camera, all'improvviso mi sono fermato a guardare il cielo che si stava facendo chiaro, quel misto di alba rosa e azzurro tenue che la notte passata aveva sbiadito e sulle piante un velo bianco di brina. Il calore del termosifone mi ha fatto venire un brivido  nonostante il calore che intorpidiva il mio corpo ancora morbido di sonno.

E' stato un tuffo nel passato, come quand'ero bambino.

Vivevo un poco da nonna Vittoria e un poco da nonna Maria e stavo con i miei solo il sabato: questa mattina sembrava una delle centinaia di albe passate quand'ero piccolo nel paese delle nonne poco fuori Milano, dove l'inverno era inverno come lo erano tutte le altre stagioni che scandivano il tempo che scivolava via lento.

Questa mattina mentre assaporavo la mia colazione, latte caldo, biscotti e una fetta di pane con la marmellata, guardando fuori dalla finestra, sembrava tutto come allora, come quando ero un piccolo cucciolo pieno di fantasia che credeva agli angeli che vivevano sui nuvoloni bianchi nel cielo blu.

Mi sono rivisto col pigiamino di lana colorato mentre la nonna di turno preparava i miei vestiti per andare all'asilo, ho ritrovato il sapore della colazione con il latte da poco munto dal "latè" della fattoria vicina, il calore del camino mentre zia Francesca metteva sopra il paiolo per fare la polenta. Andavo all'asilo, (poi alle scuole elementari) negli inverni come questi con l'aria pungente ed il cielo rosa-azzurro tenue sopra la mia testa... Come oggi.

Il fumo dei comignoli delle case basse dai tetti rossi uscivano scuri perdendosi nel cielo, qualche verso di gallo lontano, poche auto e gli amichetti che ti aspettavano per la strada, proseguendo poi mano nella mano verso la scuola, mani con i guanti di lana caldi e colorati fatti a maglia dalla nonna e gli stivaletti con pelo all'interno che scaldavano i piedi sulla strada che brillava dalle "polveri" di ghiaccio della notte.

Che mattine stupende nonostante il freddo, quando ti svegliavi sentivi il caldo delle coperte e poi subito il freddo della camera mentre nonna per farti alzare di corsa, ti toglieva le coperte di scatto dicendo: "Oplà, forza Maciste svegliati che è tardi... Qualcosa ti aspetta in bagno" (tardi poi, non lo era mai) e in quel locale riscaldato da una stufetta elettrica, ti aspettava la vasca con l'acqua bollente piena di schiuma.

Fuori davanti alla porta, vedevi passerotti nei loro nidi sotto le tegole e ti domandavi come non avessero freddo con il ghiaccio sopra i cornicioni ed il bianco spino davanti a casa come poteva avere quelle bacche rosse nonostante la brina sulle foglie, un mistero per un bambino piccolo come me eppure era magia.

Ora la stupenda alba rosata è andata via lasciando posto al mattino chiaro, freddo, con un sole stupendo, ma non è andato via quel ricordo di quelle mattine indimenticabili.  Mattinate che hanno lasciato un ricordo indelebile e una punta di nostalgia dove tutto sembrava bello, sereno... Dove la vera vita di adulto con tutte le sue problematiche belle e brutte era talmente lontana che non pensavi mai di crescere e soprattutto così in fretta.

In confidenza, dentro sono rimasto ancora quel bambino che si stupisce ancora della bellezza della natura ed in questo caso del mattino gelido e chiaro dell'inverno e ne sono felice.

Giampaolo Daccò Dos Lerèn.



venerdì 27 dicembre 2019

BAMBOLINA






BAMBOLINA


Era come una bambolina quella piccola bimba dal vestito rosso con i fiorellini gialli, le maniche a sbuffo e la gonna arricciata, le piccole ballerine rosse ed i calzini bianchi le davano l'aria di una fatina birichina che da un momento all'altro avrebbe combinato qualche magia.

"Bambolina, bambolina, la bambina più dolce che c'è" cantava Mimì, mentre lei l'ascoltava dalla radio guardando la sua mamma con un punto interrogativo?
"Ma sono io?"
E si veniva da dire, sei proprio tu, la bambolina leggera dai codini d'oro scuro che rideva e correva nei cortili e nei campi attorno a casa, quando c'erano ancora le fattorie, i cortili, i campi attorno alla metropoli.

Bella quella piccola, sembra una bambolina, molti lo dicevano e tanti lo pensavano. Stai tranquilla con le persone attorno che ti amavano i Barbablù e i lupi neri se ne stavano alla larga, il tuo sorriso innocente mai sarà rovinato dalla cattiveria.

"Bambolina, bambolina volerà sul cavallo del re" Mimì la cantava e la nonna glielo ripeteva anche se al posto del re c'era un principe ed il principe era arrivato anni dopo, biondo dagli occhi azzurri.

Quanta tenerezza bambolina, quando amore bambolina e tu innocente e maliziosa giocavi a fare la mamma ad un'altra bambolina più piccola di te e sognavi, sognavi di diventare la principessa dal vestito rosa, che tenerezza. 

"Fai la nanna bambolina, la bambina più bella che c'è" canta ancora Mimì, il cavaliere che ti protegge, quel tuo fratello dai capelli rossicci e le lentiggini è sempre vicino a farti da guardia, che ti proteggerà sempre e che ti vuole bene immensamente e che ha sempre scacciato i ragni velenosi sulla tua strada.

Bambolina, il tempo è passato, la piccola bimba dal vestito rosso con i fiorellini gialli se n'è andata per la sua strada, non si sono più Barbablù, lupi, ragni ed il cavaliere che ti difendeva sempre, anche il tuo principe dai capelli biondi ed occhi azzurri ora è lontano, ma tu...

Fai la nanna bambolina la bambina più bella che c'è
E domani, domani lei dormirà ancora sì anche domani
Domani lei dormirà finché il suo re con un bacio la
Sveglierà



Storia di Giampaolo Daccò
"Bambolina" parole tratte da lyrics di Bertè/Shapiro
Photo Angela Maria Stella
Model Francesca Daccò