Fine primavera 1208 D.C.
Le montange brulle e le colline verdeggianti erano ormai alle sue spalle, davanti a se l'immensa pianura ricca di alberi e foreste davano un senso di fresco al suo corpo coperto da un'armatura di pelle pesante. Il suo viaggio è stato lunghissimo, era già più di un anno che proseguiva col suo destriero in cerca di qualcosa che da tempo cercava.
Gli occhi azzurri spaziavano verso l'orizzonte e i capelli lunghissimi volavano nella brezza di quella mattina fresca di fine primavera.
Loharwyr proveniva da terra celtica, il suo credo era druido ma da tempo sentiva parlare del figlio di un grande Dio d'oriente, molto lontano da dove viveva. Non amò quel Dio raccontato da alcuni europei stanziati nelle sue terre, secondo lui era violento, un padre che non perdonava così lontano dal suo Dio Sole e dalla Dea madre che tanto ha amato, ma rimase affascinato dalle storie su quel figlio che predicava amore e pace. La sua curiosità lo fece partire poco più di un anno prima, la sua meta la terra d'oriente: Jerusalem.
Aveva conosciuto due cavalieri dal manto candido e dalla croce rossa ricamata e dalle loro parole di amore per un figlio di un Dio tanto lontano, erano bellissimi e ne subì un fascino misterioso. In quell'anno molte furono le sue avventure, fu ferito, conobbe gente straordinaria, animali e lingue strane ma la sua mente era rivolta verso l'oriente.
Dopo una settimana di marcia, e dopo aver fatto un bagno in un grande fiume, rivestitosi e rifocillato dalla fame ecco che sul quel sentiero la vide. Vide quella spada conficcata nella terra, una croce lucente al sole e un corpo di un uomo riverso accanto, pensando fosse in stato di preghiera, scese silenzioso dal cavallo e si avvicinò a costui, una macchia di sangue colava dalla schiena del poveretto, di quel cavaliere dal manto bianco. L'avevano ucciso vigliaccamente colpendolo alle spalle, vide la ferita, era stata provocata da un pugnale dalla lama ondulata. I mori erano stati lì, un fez era per terra a fianco. Loharwyr si alzo di scatto e prese in mano la sua spada, forse erano ancora lì vicino e lo stavano guardando.
Un'ombra fu alle sue spalle ma girandosi di scatto riuscì a fermare quella mano assassina, il volto cattivo con quel ghigno scuro e malefico volevano ucciderlo. "Cane infedele" sentì nelle sue orecchie e cade pesantemente sotto quel corpo massiccio che puzzava di sudore ma ecco... D'improvviso il volto di Loharwyr fu sporcato di sangue, qualcuno alle spalle del moro gli conficcò una spada nella schiena, una voce disse "Non uccidiamo mai se non in caso di estrema necessità... e questa lo è".
Loharwyr sentì la sua voce ringraziare quella figura, l'altro sorrise ma gli occhi erano tristi, guardavano quel corpo del cavaliere dal manto bianco riverso e una lacrima scese sul volto barbuto.
"Aiutami a seppellirlo..." Loharwyr fu affascinato dal rito con cui quell'uomo mise i resti del suo compagno nella madre terra e pianse con lui, disse a quel cavaliere simile all'altro del suo desiderio e questi sorridendogli misterioso lo invitò a seguirlo. Marcello era il suo nome, gli rivelò di essere un Cavaliere Templare che con il suo gruppo si stava recando a Jerusalem, François era il suo compagno ucciso poco prima, erano diretti in quella città per aiutare un gruppo stanziato a Asqalon. In quell'istante Loharwyr, osservando la spada lucente con scritto un nome mai visto, capì qual'era il suo destino, Marcello sarebbe stato il suo maestro e l'Ordine la sua vita. Due mesi dopo, la sagoma del tempio della Città santa era davanti ai suoi occhi anche se lontana qualche miglia, ma quella notte avrebbero dormito in un campo di ulivi sotto le stelle. Loharwyr il cui nome significava luce del sole che dal giorno che seguì quei cavalieri affascinanti fu chiamato Davide la luce di dio, si svegliò di soprassalto nel cuore della notte mentre i suoi compagni di viaggio dormivano profondamente vicino a lui, sentì un formicolio nel corpo e una leggera luce azzurra dietro le stalle lo incuriosì. Lentamente e piano per non svegliare nessuno si diresse verso quel bagliore e non appena svoltato l'angolo vide una grande croce azzurra luminosa sospesa nel cielo. Senti l'amore pervadergli il corpo e si ritrovò in ginocchio piangente. Rimase lì fermo inconsapevole dei minuti che passavano finché la croce scomparve, una mano sulla spalla lo fece destare, gli occhi sorpresi di Marcello lo scrutavano nella notte, poi nel buio la sua voce fu come un sussurro "Sei destinato a grandi cose fratello mio, quello che tu hai visto ha fatto si che la tua vita avrà uno scopo importante." Abbracciandolo Davide capì. Il mattino dopo Jerusalem era davanti ai suoi occhi e sorridendo insieme ai cavalieri dal manto candido entrò in città col cuore colmo di amore, forse il destino gli riservava un posto grandioso ma la mente era rivolta a quella croce, l'avrebbe servita per tutto il suo tempo come unile servo.
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