lunedì 2 luglio 2012

Pomeriggio d'estate

LUGLIO 1969,
"Ma quanto raglia Giannina oggi..." disse la nonna mentre stava rifacendo il letto di suo fratello, zio Peppino, mentre lui si stava cambiando per uscire in campagna col suo adorato asinello, un animale intelligente e tenero, che a me faceva sempre commozione. Seduto sui gradini della porta che accede alle stalle, giocherellavo con un girasole colto poco distante dal fienile. Zio Peppino lentamente con le sue stampelle, era poliomielitico, mi si avvicinò accarezzandomi la testa. "Vieni che diamo da mangiare a Giannina... Le mettiamo un po' di biada, di mais e qualcos'altro. Oggi mi deve portare a Massalengo e il viaggio col carretto è lungo per lei."
Pensavo al viaggio dello zio con l'asina, quando capitava che lui si addormentasse per la stanchezza, al suo posto di guida, lei lo riportava a casa rispettando pure i semafori e spesso aiutata dal vigile. Che tenerezza, mi rincresceva per questo zio dai grandi occhi color del mare, chiari come l'acqua sulla riva, così buono e così solo. Lo guardavo mentre nonostante le stampelle, sicuro preparava il cibo per l'asino, io con le mie manine gli passavo del fieno da mettere nella mangiatoia. Finito tutto la nonna ci raggiunse.
"Ragazzi vado a prendere le ciliegie sulla pianta la in fondo." l'avesse mai detto, ero già sotto quel grande albero pieno di rosse amarene. Nonna ne raccolse un bel po' per lo zio e per noi e col cesto pieno ritornammo nell'ombra fresca di quella casa dai muri spessi, dandoci refrigerio in quella mattina caldissima di luglio.
La seguii poi nella camera da letto dello zio, mentre sistemava delle federe in un cassettone, vidi le tende bianche con piccoli ricami floreali, svolazzare fuori dalla finestra per via della corrente calda e sul comò con la grande specchiera, un vaso di ceramica pieno di fiori di lavanda. Il loro fresco profumo inondava tutta la camera resa ora in penombra dalle persiane chiuse dalla nonna. Mi sedetti sulla poltrona vicino al comodino, era tutta ricoperta di un velluto leggero bordeaux e sormontata da un cuscino ad uncinetto fatto a mano da zia rosa, l'altra sorella di zio Peppino, e sotto il sorriso della nonna indaffarata coi vestiti nell'armadio, fissai le foto appese al muro. I volti seri in bianco nero dei bisnonni mi guardavano con quegli occhi grandi, mi intimorivano quei vestiti scuri, sobri fin tetri, la bisnonna Annetta coi capelli neri raccolti e il bisnonno Giuseppe col classico Borsalino, baffoni e cravattino largo come si usava in quel secolo. Che impressione mi facevano ma la nonna diceva che qualcosa avevo di sua madre, forse il modo di guardare forse il sorriso. Rifissai quei volti e pensavo a quel soprannome strano con cui venivano chiamati in città: "I Mori", erano tutti piccoli con pelle e capelli neri, dai tratti vagamente orientali tant'è che lo zio Gaetano sembrava un marinaio dalla pelle bruciata dal sole (chissà forse provenivano dal medio oriente o dalla Spagna, qualcuno di loro come lo zio Peppino avevano occhi chiarissimi di un verde strano, ma il cognome tradiva l'origine lontana Sari...
Nonna mi chiamò e io tornai nella realtà, "Vieni di là, finisco di preparare il pranzo, se vuoi vai fuori a giocare, tanto lo zio è  in fondo al fienile a lavorare, almeno prendi un po' di sole, sei pallido come la luna..."  e mi diede una carezza sulla testa. Corsi nella stradina che passava davanti alla stalla dell'asino, lei appena mi vide ragliò forse contenta ma io proseguii verso la staccionata che delimitava le proprietà dei Tonolli. Sul leggero e piccolo altipiano sopra di noi la Basilica ed il Castello Visconteo e poco distante il Monastero delle suore imperavano sotto il sole ma davanti al mio sguardo quel terreno che arrivava fino alle rive del Lambro era ricoperto di frumento puntellato di papaveri, e poco più in la, un prato libero ricoperto di fiori gialli che brillavano sotto la luce di quasi mezzodì. Sono sempre stato rapito da quest'immagine, passavo le ore ad osservare la natura veleggiando con la mente in storie incredibili poi, poco dopo, lo zio Peppino mi chiamò, il pranzo era pronto e veloce corsi verso casa mentre sopra di me un aereo a bassa quota stava terminando il suo viaggio verso l'aeroporto di Linate. Chiusi la porta dietro le spalle e subito un aroma invitante colpì le mie narici e mi sedetti vicino alla nonna.

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