mercoledì 10 gennaio 2018

GIULIA


GIULIA

1974
Nessun tempo, nessuna stagione… Quel giorno.
Lei era bella, anzi bellissima.
Giulia, bionda dai capelli lunghi e morbidi, occhi verdi e per i suoi tredici anni, un corpo già formato grazie ad anni di ginnastica artistica, la stessa che frequentavo io.
Spesso facevamo la strada insieme e parlavamo di tante cose, non sapevo che lei era passionale già da allora ma, non ero a conoscenza del fatto che già usciva con uno più grande di lei, di almeno 10 anni.
Finiti i saggi estivi, un giorno facendo un giro in bicicletta insieme alla sua più cara amica, ci eravamo fermati in uno spazio verde vicino alle colline.
Vedevo lei molto strana, la sua amica mi guardava silenziosa con gli occhi carichi di pianto e sembrava sofferente come lei, Giulia.
Sono incinta… A tredici anni sono incinta!”
La sua voce era stata come una bomba lanciata in uno spazio vuoto e subito mentre la guardavamo ammutoliti, lei si era messa piangere.
Ora che faccio?”
Ma... ma lui chi...” avevo chiesto fermandomi allo sguardo dell’altra ragazzina.
E’...” mi aveva detto il nome, ero rimasto quasi scioccato, lo conoscevo anche io ed aveva una fidanzata bellissima piena di denaro che le traboccava dalle orecchie.
Ci sono stare parole di conforto, parole banali… Eravamo troppo piccoli per dire cose sagge come gli adulti.
Stefania che fino a quel momento era rimasta quasi zitta era esplosa anche lei con parole sussurrate ma come fossero spari nel silenzio della bruma.
Devi dirlo ai tuoi, io e Giampaolo saremo con te se lo vorrai...”
Ci aveva guardato con affetto e terrore ma si poteva fare altro?

Erano passati alcuni mesi, Giulia era andata via dalla cittadina con i suoi, il padre aveva avuto finalmente la sospirata promozione sul lavoro e si erano trasferiti a Milano, avevo saputo che l’altro quello che Giulia amava, si era tirato indietro alle responsabilità e la sua fortuna era stata che il padre di Giulia dopo un pugno sferrato bene al mento di quell’essere, non lo aveva denunciato e fatto sapere in giro, così aveva potuto poi sposare la ragazza ricca che “amava” tanto…
E Giulia?
Giampaolo!” la voce chiara di Stefania mi aveva fatto girare la testa in quel mattino domenicale al mercato.
Ciao, non ti avevo visto più, volevo dirti...” l’avevo abbracciata con un bacio sulla guancia mentre lei ansimava dopo una breve corsa mentre il fiato era uscito dalla sua bocca al freddo invernale.
Volevo dirti che Giulia ti saluta, ora abita a Milano in zona Crocetta e sta bene. Il bambino non c’è più lo aveva perso quasi subito senza bisogno di un aborto… Meglio così ha evitato un trauma...”
Povera Giulia, sapessi quanto mi dispiace per lei.” le avevo risposto mentre Stefania mi aveva preso sotto braccio avviandoci in un bar sotto i portici della piazza principale.
Ecco, il suo indirizzo e numero telefonico, lei aveva saputo che l’anno prossimo incomincerai il liceo artistico e probabilmente vi vedrete nella stessa scuola. Sentitevi dai, lo sai che lei ti vuole bene quanto te ne vuole Silvia.”
Le avevo sorriso e mettendomi in tasca il biglietto avevo ordinato due cioccolate calde con panna.


Milano, Giugno 1981.
Una calda primavera inoltrata, un sabato mattino pieno di sole. Ricordo che avevo fatto degli acquisti prima di partire per le vacanze.

Pochi giorni prima avevo accompagnato la mia amica Lori al treno in quanto era stata ospite da noi per un paio di settimane, me ero fermato con mia sorella Francesca al "nostro" bar poco prima di Piazza del Duomo pensando che avrei dovuto tornarci più spesso qui, per via dell'ottimo cappuccio che facevano, senza contare i croissant pieni di ogni ben di dio.
Infatti in quel mattino caldo avevamo fatto un'abbondante colazione godendoci la vista di Corso Vittorio Emanuele in pieno relax,.Vasi di fiori dividevano il bar dalla folla che aveva invaso quella strada quando dal tavolo vicino, due ragazzi avevano iniziato una discussione piuttosto accesa.
Poco dopo avevo visto lei alzarsi e correre via.

"Giulia! Accidenti…." aveva urlato il ragazzo mentre la gente seduta si era girata in direzione dei due a quel grido... Lui aveva lasciato delle banconote sul tavolino e correndo aveva preso la direzione dell’altra, l’angolo che dava verso piazza Liberty.
D'improvviso lei si era fermata per un attimo voltandosi verso quel giovane che la stava rincorrendo…

In un'istante l’avevo riconosciuta, stessi occhi, stessi capelli e modo di correre.
Giulia.
I ricordi erano riaffiorati prepotentemente, ma ancor prima del suo addio alla cittadina ed al bambino che aveva avuto in grembo per poco tempo, mi era tornato alla mente, un episodio dell’anno precedente.
Di quel luminoso maggio 1973.

Tanti ragazzi delle scuole medie di viale Partigiani che uscivano di corsa dal cortile e dal portone principale, io e con altri tre amici ci eravamo fermati poco più in la per prenderci un gelato, quando una voce allegra aveva detto:
"E a me non lo offrite?".
Giulia, era arrivata con i suoi lunghi capelli biondi sorridendo, lei era la passione di Marco che arrossiva ogni volta che Giulia era tra noi, un ragazzino troppo piccolo per lei nonostante avevano, anzi avevamo la stessa età.
Le avevo offerto il gelato e più tardi l’avevo accompagnata a casa mentre gli altri ridevano prendendomi in giro, un poco gelosi soprattutto Marco.
Sulla porta di casa mi aveva detto che l’anno prossimo forse dopo luglio o a settembre, coi suoi si trasferivano a Milano e non sarebbe più tornata qui, avevo pensato guardandola negli occhi: “beata te”.

Mi aveva fissato seria dicendomi "Mi mancherai tanto..", le avevo risposto che mi sarebbe mancata anche lei, che c’era ancora tanto tempo prima che andasse via, più di un anno…
Forse voleva sentirsi dire qualche parola in più. Ma io ero troppo piccolo e pensavo allo sport e allo studio o forse pensandoci con il senno di poi, lei voleva confidarmi qualcosa che avrei saputo l’anno seguente...


Che strano, spesso si ritrovano persone che hanno fatto parte della tua vita, dopo tanti anni in occasioni strane e solo per pochi minuti, senza avere il tempo di fermarsi o dire qualcosa.
Avevo finito la mia colazione e mi ero avviato verso il parcheggio dove c’era la mia aiuto e nella mia mente ancora Giulia…

In quel breve istante in cui l’avevo riconosciuta, la sua bellezza era diventata ancora di più notevole ma sempre dolce.
Tornando ad oggi, in questo istante sto pensando chissà che fine avrà fatto Giulia e se la rivedrò di nuovo un domani…



Giampaolo Daccò

mercoledì 3 gennaio 2018

SORELLE



SORELLE


FRANCESCA          VITTORIA







FRANCESCA (1904) E VITTORIA (1902)

La mia prozia e la mia nonna materna.

Come si possono paragonare due donne molto vicine fino alla fine della loro vita, quando le proprie sembianze, i propri caratteri erano diametralmente opposti?
Si definiscono banalmente:
il bianco/il nero?
il sole/la luna?
la luce/il buio?
l'alfa/l'omega?
Il cane/il gatto?

Erano così, una completamente diversa dall'altra, il canto ed il contro-canto: 

Francesca occhi scuri e Vittoria occhi azzurri 
Francesca capelli corti e ricci e Vittoria lunghi e lisci
Francesca piccola, magra e Vittoria di media altezza, formosa
Francesca dalla voce lieve e Vittoria dalla voce imperiosa. 

Eppure la cosa che hanno sempre avuto in comune era stato l'amore per la famiglia, per il lavoro e i doveri.
Donne oneste ed irreprensibili, donne fortunate e sfortunate allo stesso tempo.

Nonna Vittoria ad una settimana dal matrimonio perse il fidanzato per una malattia improvvisa, poi non si era data per vinta e si era sposata qualche anno dopo, con mio nonno Paolo.
Avevano avuto quattro figli, ma un destino terribile era in agguato, nel giro di cinque anni perse il marito, la figlia di sedici anni e il figlio di pochi mesi.
Ancora la morte nel cuore non si era fatta prendere dalla paura di non farcela. Era tornata a vivere dalla madre con le due figlie rimaste: mia madre di tre anni e mia zia di dieci. Ed aveva incominciato il lavoro duro della commerciante girando da sola, per tutte le strade di Milano vendendo stoffe, diventando amica della sorella maggiore del cantante che viveva in via Gluck dietro la stazione centrale.
Con sua madre c'era Francesca, la sorella rimasta accanto alla vecchia mamma per dovere ed amore, non appena l'ultimo dei fratelli si era sposato un anno prima.

Zia Francesca, prima bimba, poi ragazza, poi donna timorata di Dio, la sua vita era fatta preghiere, di chiesa e casa,  di obblighi famigliari in confronto dei genitori e dei fratelli, penultima di una nidiata di figli si era presa cura di tutto nonostante lavorasse in un cotonificio facendo turni massacranti.
Era stata una ragazza che aveva rifiutato due giovani (mio nonno Paolo ed un altro che aveva fatto fortuna nel New Jersey qualche anno dopo), aveva forse paura dell'amore, forse non le importava, forse un padre severo l'aveva spaventata un giorno mentre parlava con il ragazzo che fece fortuna.
Dopo la morte della vecchia madre, Francesca si era occupata di quasi tutti i nipoti finché erano cresciuti:
Mamma, zia Mina, le loro cugine figlie di un fratello bellissimo anche lui, purtroppo andatosene via giovane.
Poi aveva accudito i figli e le figlie delle nipoti, occupando la propria vita pensando agli altri.

Francesca e Vittoria, calma una e passionale l'altra, religiosa una e libera da dogmi l'altra. Francesca devota alla madre fino all'ultimo e Vittoria devota per tutta la vita al marito scomparso ed ironia del destino,  nonna era morta trent'anni esatti, lo stesso mese di nonno Paolo.
In vecchiaia, erano venute a vivere nell'appartamento sotto quello dei miei genitori e si erano fatte compagnia fino all'ultimo giorno di nonna Vittoria, circondate da tutti i nipoti.

Due donne forti e diverse che hanno avuto il coraggio di affrontare decenni di durezze, amarezze, di affetto dei famigliari che sempre andavano a far loro visita.
Donne che hanno insegnato molto a tutti noi e che meritano un pensiero, una dedica, una storia da ricordare perché ogni persona che ha sacrificato parte della propria vita per gli altri, devono rimanere nella memoria anche di chi non le aveva conosciute.

Non ho voluto entrare in altri particolari più intimi e famigliari, perché trovo giusto che devono restare nel cuore e nella mente di chi li ha vissuti, ma noi tutti nipoti e pronipoti rimasti, loro, saranno sempre le nostre stelle che quando eravamo piccoli e non solo, ci guidavano su una strada irta di trappole ed errori, aiutando a non caderne, ma guidati sempre con onestà, affetto e devozione.

Francesca e Vittoria, sorelle indimenticabili.

Questo piccolo rracconto lo dedico per chi ancora tra noi le ricordano sempre, i loro amati nipoti:
Piera, Cesarina, Nadia, Giusy, Francesca, Gaetana, Antonietta, Battista, Emilio, Giampaolo.

Giampaolo D.


venerdì 22 dicembre 2017

UN POSTO INCANTATO



UN POSTO INCANTATO

"Ma dove sta correndo il piccolo, Angela?"
La mia nonna aveva chiesto a sua figlia, guardando il nipotino con la giacca a vento azzurra ed i pantaloni scozzesi, correre verso il ponte sopra il laghetto ghiacciato di montagna.
"Mamma non ti preoccupare." le aveva risposto sorridente Angela "Starà correndo verso il suo posto incantato.."
"Posto incantato? Quel bambino finirà chissà dove e poi ha sempre la testa tra le nuvole, sogna troppo..."
Angela guardava sua madre, una donna apparentemente così pratica e a volte seriosa con tenerezza, sapeva che nel suo cuore c'era amore ma non lo dimostrava con grandi gesti e sapeva che adorava quella creatura nata "per caso", un bambino così pieno di fantasia che spesso lo trovavano a recitare da solo film immaginari nella sua cameretta o nell'orto dietro casa.
"Ma no mamma, il suo posto magico è proprio aldilà del ponticello, vicino ad un albero dove quest'estate aveva visto le lucciole e da quel momento è diventato il suo luogo pieno di magia..."
"Già immagino quella quella volta che ci ha fatto spaventare, sparito per due ore tra i cespugli nel giardino della vicina insieme a una nidiata di micetti di pochi mesi."
Angela aveva riso al pensiero nonostante si erano spaventate molto quella volta.
"Però a cinque anni è già un ometto... Non fa capricci."
"No, verisismo ma chiacchiera peggio della Bettina."
Tutt'e due erano scoppiate a ridere nel pensare alla quasi centenaria vicina di casa della nonna che non stava mai zitta, convinta che il comune le aveva tolto dieci anni rifacendole i documenti perché novantasette erano troppi e lei ne dimostrava di meno.
"Guarda mamma, eccolo seduto sotto l'abete... Furbo però ha messo lo zainetto per terra sedendosi sopra."
"E si, altrimenti si gelerebbe il suo sederino..." le aveva fatto eco la madre ridendo alla visione. Le due donne si fermarono vicino al chiosco per bere un caffè mentre il nipote era seduto sotto l'albero ghiacciato che sembrava brillare si stelle sotto la luce del sole.

"Io mi chiamo Paolo, ma tutti dicono Paolino ma a me non piace... Cosa? Sai che il mio nome vero è Giampaolo?...
Oh sei un folletto dotto come il nano di Biancaneve? Wow che bello, io non so se sono dotto ma so che parlo molto, lo dice sempre la nonna."

Le due donne guardavano il bimbo parlare da solo mentre gustavano un caffè bollente sedute al baracchino.

"Si lo so che non esisti davvero, io faccio finta di vederti ma penso che tu ci sia veramente. Dicono che le persone che parlano con niente sono matte ahahah. Ma a me piace sapere che ci sono folletti, gnomi, fate nei boschi e sotto gli alberi, è così brutto quando sono  solo a casa oppure c'è..."

Il sole aveva illuminato un ghiacciolo facendolo brillare sopra il ramo. I cristalli formatisi sopra sembravano stelline create da qualche fata mentre delle pigne cadute per terra, tutte coperte di neve, davano il sapore del Natale imminente, qua e la piccoli fili di erba spuntavano dal bianco candido appoggiato sul prato.

"Oh che bello, forse una fata ha fatto una magia... Vedo tanti colori attorno a quel ramo... Come dici? E' Stellina una piccola elfa della neve? Ma davvero?
Vive su quell'albero e ha ventimila anni? Mmm mi sa che dici più bugie di Pinocchio e parli più di me. A proposito non mi hai detto come ti chiami...
Beh? Non me lo vuoi dire?
Ahahah Paolino Piccolino, non ci credo ahahah, sei un folletto dispettoso."

La mamma e la nonna si erano alzate, stava arrivando l'ora di pranzo e avevano chiamato il piccolo.

"Ora vado Paolino Piccolino mamma mi sta chiamando, mi fai troppo ridere... Sei proprio simpatico e bugiardo. Come? Se ci vedremo ancora? 
Oh penso di si, sicuramente, magari questa sera prima di andare a letto, sai dove abito vero? 
Bene... Ci vediamo, ciaooo."

La mamma e la nonna risero nel vedere Paolo salutare nessuno sotto l'abete, il bambino si era messo tra le due donne che lo avevano preso per mano avviandosi verso l'uscita del parco.
Un sole splendido illuminava le montagne attorno ed il bianco abbacinante, donava agli occhi di tutti una specie di luogo fatato.

"Allora Paolino con chi parlavi sotto l'albero?"
"Non è solo un albero nonna, è il mio posto magico... C'era un folletto bugiardo e simpatico..."

La nonna aveva guardato preoccupata la figlia, la quale le aveva sorriso mormorando con le labbra: "E' il suo gioco, stacci anche tu..."

"A si? Davvero?"
"Si si, vestito di blu e non verde come gli altri perchè aveva paura di essere schiacciato come l'erba ahahah. Poi c'era una elfa piccola che io pensavo fosse una fata. Aveva creato stelline di ghiaccio colorate e si chiama Stellina pure lei. Ma il folletto parlava parlava e non potevo dire niente a lei."
"Allora parla più di te." aveva detto la nonna ridendo.

Gli occhi azzurri del bimbo avevano avuto in quell'istante una luce furbesca, la madre se n'era accorta.

"Bimbo mio ma come si chiama il tuo amico folletto?"
"Se ve lo dico non vi mettete a ridere?"
"Giuriamo su Stellina." aveva fatto eco la mamma.
"Si chiama... Paolino Piccolino."

Le due donne scoppiarono a ridere e lo aveva fatto anche Paolo, mentre varcato il cancello del parco si erano incamminati sui marciapiedi sporchi di neve.

"Che fantasia... Paolino Piccolo, Angela come si può avere tutta questa immaginazione? Non credo ci sia nessuno della famiglia che ne abbia tanta così..."
La figlia aveva fatto con il capo un cenno di diniego.
"E meno male mamma che qualcuno ce l'abbia." aveva finito di dire tra le risate.

"Mamma e nonna sono proprio forti, non hanno capito niente..." aveva pensato Paolo guardandole dal basso "Non sanno che Paolino Piccolo sono sempre io e che i folletti e gnomi non ci sono o almeno non li vedo. 
Per me è un gioco, come un film... Da grande ne voglio scrivere tanti o qualche favola con gli gnomi e folletti ma non metterò loro il nome Paolino... Troppo scema la cosa.
Mi piace giocare così mi fa sentire meno solo quando sono a casa così le lascio tranquille e non dicono che sono chiacchierone o una peste."

Aveva concluso Paolo mentre insieme alle due donne aveva attraversato il viale alberato che portava all'albergo.

"Che fame... Chissà se oggi Paolino Piccolo mangerà tanto. Spero ci siano le lasagne al forno." aveva pensato il bambino sentendo un languorino nello stomaco.

Paolino con mamma e nonna erano finalmente entrati in albergo dove il caldo ed il buon cibo li stava aspettando.

Fuori senza esser visti, cinque folletti e due gnomi dalle finestre sul viale, spiavano dentro il ristorante.

"Ssshhtt... Fiocchetto fai piano, non arrampicarti troppo potrebbero vederci gli umani."
"E come se siamo quasi invisibili." aveva risposto Fiocchetto allo gnomo burbero in mezzo a loro.
"Ma davvero quel bambino parlava con Piccolino prima sotto l'albero?" aveva detto Biancospino agli altri.
"Si si... solo che Piccolino non capiva perché quel bimbo non gli rispondeva e non lo vedeva... Eppure lo chiamava col suo nome, quell'esserino parlava parlava parlava e Piccolino non riusciva a farsi capire..."
"Ahahah parlava come te Nocciolo..." aveva detto Fiocchetto rivolgendosi allo gnomo burbero che aveva alzato gli occhi al cielo.
"Sentite... Andiamocene via, c'è troppa luce e gente. Troviamo il momento giusto per far visita a quel bambino, magari stanotte quando tutti dormono." aveva finito Nocciolo con aria seria rivolgendosi ai suoi amici.
Una serie di applausi aveva approvato la soluzione e fu così che un cane al guinzaglio con il suo padrone aveva visto incredulo, cinque folletti e due gnomi allontanarsi verso il parco.
Aveva avuto l'istinto di abbaiare e segnalare al suo "papà" la cosa, ma si sa anche i cani sono intelligenti ed avrebbe fatto la figura del visionario sciocco oppure del cane fastidioso.
Intanto i sette piccoli amici erano scomparsi nel parco in attesa della notte.

Giampaolo Daccò




venerdì 15 dicembre 2017

NON HO PIU' FREDDO



"NON HO PIU' FREDDO"

"Che strano non ho più freddo, poco fa mi sembrava di congelare tra questi cartoni ed invece, i brividi che mi percuotevano dentro, sembrano scomparsi. Che sonno però forse stanotte riuscirò a dormire.
Non è molto bello riparasi da tutta questa neve sotto un portico di periferia, ma almeno qui non c'è nessuno che mi rompe le scatole, ne quelli come me, ne quelli che a tutti i costi mi vogliono portare nei dormitori dove mi fanno sentire peggio di quanto lo sono già.
Oggi in un certo senso ho avuto fortuna, due signori mi hanno offerto una merenda davvero buona, strano che non si siano infastiditi dalla mia puzza, sono giorni che non riesco a lavarmi ahahah.
La gente in quel posto, dove mi avevano portato quei signori, mi evitava ma con loro ero sicuro che non mi avrebbero cacciato da quel bellissimo locale. Va a capire le persone.
Che strano non sento più i piedi, ma forse è perché mi sto rilassando piano piano e qui fa sempre più buio e la neve più copiosa, però questa coperta e cartoni mi aiutano tanto.
Se ripenso a quattro anni fa quando mi avevano mandato via da "Casa Famiglia Serena" a Pavia dopo aver raggiunto i diciotto anni, nessuno mi aveva dato una mano a trovare lavoro o casa.
Certo il mio aspetto non è un gran che ma non sono cattivo come molti pensano, mi mancano due denti davanti e spesso sono sporco ma certo di non rompere le palle alle persone che passano.
E' facile raccogliere qualche moneta per un panino, mi siedo in qualche posto vicino a dei negozi in centro di Milano e se non mi cacciano via qualcosa raccolgo.
Una volta un gruppo di volontari mi hanno portato in un posto dove mi hanno dato dei vestiti, mi hanno lavato e dato da mangiare ma quando sono entrato nel dormitorio, mi sono messo a piangere.
Io non volevo essere come quelli che vedevo, non mi sentivo un barbone, ero uscito da qualche settimana da quella casa famiglia, dove non mi trattavano male ma non eravamo come quelli.
No, non ce la facevo stare lì, così quando i frati del posto mi hanno detto che mi avrebbero aspettato l'indomani nel pomeriggio non ero più tornato, mi faceva star male il pensiero di diventare come loro.
Eppure in un certo senso lo sono.
Che strano non sento più le gambe e le mani ma sto bene chissà come mai...
In questi quattro anni sono stato in varie parti, in altre città ma sono sempre ritornato a Milano, una volta ho lavorato nei campi per tre mesi, raccoglievo pomodori vicino ad un grande fiume ma ci pagavano una miseria e uno dei lavoratori mi aveva picchiato per il posto dove dormire.
Così me ne sono tornato qui, poi ho perso due denti dopo che due barboni mi avevano picchiato e rubato quello che avevo raccolto quel giorno... Fossi stato più alto vedevano...
Che sonno, davvero tanto... Forse perché non ho mangiato niente, non mi era mai capitato di sbadigliare così, non riesco a tenere aperti gli occhi eppure mi sento bene...
Forse dormendo riuscirò a riposarmi, anzi domani tornerò dai frati forse mi aiuteranno e chissà se ritroverò quei signori dell'altra volta.
Oh che bello mi sto addormentando al caldo finalmente."

"Si pronto centrale, sono il Brigadiere Roberto Lanciano, vi chiamo da via Giuseppe Giacone, dove c'è il passaggio sopraelevato della ferrovia. Ne abbiamo trovato un altro poco fa senza vita completamente congelato e coperto di neve... Si si era sotto una tettoia di un'officina abbandonata... Si probabilmente convinto di essere sotto qualche portico. Come?... Età? Ma forse venticinque anni più, mandate un ambulanza grazie. Buona giornata..."
"Buona giornata? E' il terzo oggi che troviamo sepolto dalla neve ed è il più giovane, brigadiere."

Gli occhi dell'appuntato guardano con tristezza quelli del suo collega ma da quello sguardo non trapela nessuna emozione, il brigadiere ha imparato da tempo a non svelare i propri sentimenti. Un lavoro duro.

"Che bello non ho più freddo ora. Che strano e quanta luce attorno a me... forse è già giorno e devo andare dai frati..."

Giampaolo Daccò


domenica 10 dicembre 2017

11 DICEMBRE 1979 - 38 ANNI FA



"38 anni fa"
Un mattino azzurro e gelido
una valigia ed una borsa
strette nelle mani
mentre si saliva su un treno
senza voltarsi
per non vedere le lacrime
ed i volti dei nostri cari.
Eravamo in quattro
quattro ragazzini spaventati
ansiosi con davanti a loro
un anno pieno di incognite
pieno di esperienze
lontano da tutto ciò
che faceva parte
della propria vita intima.
Ma coraggio e spavalderia
non avevano permesso
di versare una lacrima.
Le lacrime le versammo
alla fine di quell'anno
il 27 novembre 1980
dove prima di congedarci
avevamo detto addio per sempre
ad alcuni nostri compagni
di quel lungo e breve viaggio.
Era stato un anno
difficile e duro
un anno che crescendo
tra dolori e durezze
si era tornati a casa
davvero e per sempre
"uomini".

Giampaolo Daccò

mercoledì 6 dicembre 2017

LETTERA D'AMORE DI NONNO PAOLO A NONNA VITTORIA



Milano, 23 aprile 1929


Per te amata mia

Mia dolce Vittoria


In quel mattino dal cielo azzurro,

mentre i raggi dorati del sole 

sbirciavano dalle persiane

ed avevi aperto gli occhi su di me 

per la prima volta, avevo capito subito che,

non ti avrei lasciata mai più dal mio cuore.

Esso aveva incominciato a battere sempre 

di più nel mio petto

non appena mi avevi sorriso e 

baciandoti dolcemente, avevo pensato: 

ho finalmente tra le mie braccia

la stella più fulgente dell’universo.

La mia mente, guardandoti, 

vagava in fantasie lontane:

mi vedevo con te correre sui prati,

abbracciati seduti sull’erba in riva al fiume

e lasciare che l’acqua fresca 

ci lambisse dolcemente,

mentre baciavo ardentemente le tue labbra

cosi dolci, tenere ed appassionate.

Caro amore mio, mia passione,

mio cuore, mia Vittoria,

eri mia, eri la mia anima, la mia donna,

il mio tutto e la mia salvezza.

Sognavo di avere tanti bambini, 

una casa tutta per noi,

per donarvi tutto ciò che sento nell'anima,

avrei voluto dare la mia vita per te.

Avevo sempre udito un battito d’ali nel cuore

non appena sentivo la tua voce,

come un un sogno d’amore 

sbocciato all’improvviso,

in quel mattino di tre anni fa,

quando ci eravamo visti per la prima volta.

Tu, la mia stella, il mio tutto,

ti sei concessa a me 

dopo la nostra promessa in chiesa,

con tutto l’amore e la passione

e da questo amore ne sono sicuro,

nasceranno altre meravigliose stelle

che allieteranno la nostra vita.

La felicità di averti, di saperti vicina,

di trovarti ogni volta che torno a casa,

vedere il tuo sorriso, i tuoi occhi azzurri

ed i tuoi abbracci, mi fanno sentire unico,

un uomo che ha avuto la fortuna 

di aver trovato la stella nella sua vita.

Vorrei chiederti di amarmi per sempre

nonostante il mio carattere a volte difficile.

Di amarmi per sempre perché 

il mio cuore e la mia anima 

senza di te si distruggerebbe di dolore,

perché tutti i miei pensieri

sono rivolti al nostro immenso amore.

Ti ringrazio per ciò che mi hai donato,

mi dai e mi regalerai per sempre,

grazie amore mio, mio cuore

per la dedizione, per l’abnegazione,

per tutto questo amore, 

così dolce e così immenso.

Vorrei scriverti tante cose ancora, ma...

vorrei solo pronunciare due parole,

dolcissime, come un volo di angeli,

come un raggio di sole d’estate,

come un venticello di primavera.

Solo due parole che racchiudono l’immenso

e la gioia che provo standoti vicino 

tutti i giorni:


TI AMO


Tuo per sempre Paolo.






TI