lunedì 14 febbraio 2022

VIALE DEI TIGLI... UN INCONTRO


 

VIALE DEI TIGLI... UN INCONTRO

Milano primavera, gli alti alberi del grande viale si stanno riempiendo di foglie verdi e di gemme. Un vento fresco che scende dalle vallate lecchesi ha pulito l'aria rendendo visualità alla Grigna ed il Resegone dietro i nuovi ed altissimi grattacieli della metropoli.

Milano ha cambiato in fretta il suo volto lasciando dietro di se, storie, persone, nuove case, palazzi, strade, parchi, automezzi ed il tempo. Il bar vicino all'università, un tempo era fumoso, pieno di ragazzi in jeans maglioni, giacche a vento, era pieno di risate, discussioni, di baci e di bevute e tanta politica.

Ora si è trasformato in un elegante pub in stile moderno, dove gli studenti sono mischiati a coppie di anziani e giovani laureati, sparite le alte chiacchiere, le risate a squarciagola e i camerieri con vassoi di metallo. Tutto è ora in ordine, camerieri vestiti elegamentemente di nero che portano la colazione o gli aperitivi in vassoi d'argento e piattini e tazze in porcellana, ovviamente con il conto poggiato in un piattino semplice da pagare subito.

Si è cambiato in meglio o in peggio dipende sempre da come una persona vede le cose e quel giorno Emanuela, dottoressa in psichiatria infantile all'Humanitas in un giorno di libertà ha deciso di fare oltre allo shopping in negozi eleganti anche una capatina nel bar dove allora ventenne, frequentava con Gemma, Susanna e Laura la compagnia di Dodo e Marco, studenti di filosofia anche perchè si era innamorata di Alessandro, di due anni più grande al quarto anno di ingegneria.

Com'era bello Alessandro dagli occhi color del mare, e com'era bella lei con i capelli biondi e lunghi, la minigonna ed il maglione rosa in tinta con il rossetto delle labbra. Una storia leggera era avvenuta tra loro, era durata qualche tempo ma era stata talmente intensa che quando avevano preso strade diverse, non si erano mai dimenticati di entrambi, inconsapevolmente l'uno dall'altra. Dentro ai loro pensieri in tutti questi anni c'erano i loro visi ed i loro baci.

Emanuela dottoressa, sposata con Giulio cardiologo, quattro figli di cui due già laurati ed uno già sposato, vive nei quartieri nuovi della ex Fiera, mentre Alessandro ingegnere, sposato due volte, attualemente single con tre figli, sta vivendo una storia d'amore con una signora inglese trapiantata a Milano da un paio di decenni. Chissà cosa lo ha portato oggi davanti a quel bar dove da ragazzo si vedeva con gli amici e lei, Emanuela.

All'improviso entrando si ritrova davanti lei, Emanuela seduta vicino alla vetrina. I due rimangono sorpresi, si fissano negli occhi, poi velocemente Alessandro ordina qualcosa e si siede di fronte a lei senza dire nulla. Le prende la mano destra che sente tremare e le dona un leggero bacio a fior di labbra. Sorridono entrambi ed il mondo scompare dietro di loro.


- Ciao Alessandro che sorpresa, come va?

- Io bene, e tu come stai? Una sorpresa davvero anche per me.

- E' passato tanto ma davvero tempo non sei cambiato lo sai?
Sei sempre tu, sempre lo stesso dal ciuffo ribelle e gli occhi di mare.

La voce di lei tradisce emozione ed imbarazzo, ora anche lui ha le mani che tremano, il suo cuore batte forte ma riesce a controllarsi, lei si tocca un'orecchino arrossendo un poco.

- Emanuela, dopo l'università e le poche volte che ci siamo incontrati,
 come mai non ti ho più vista qua intorno o almeno nelle nostre zone?

- Io e mio marito ci eravamo trasferiti a Torino per qualche anno poi siamo tornati a Milano, lavoriamo insieme all'Humanitas. 

- Senti, spero che tu non abbia fretta, mi piacerebbe parlare, 
se vuoi ancora di tante cose, sei sempre bellissima.

Nella voce di Alessandro sembra ci sia ancora l'emozione di quando lei gli disse di si in quel giorno di nebbia a fine novembre. I loro occhi mentre stanno parlando osservano il paesaggio fuori, Quel grande viale alberato come allora, non c'è più l'autobus che si fermava dall'altro capo della strada. Lei lo guarda, ricoda di che parlavano? Si quando erano insieme oltre ai baci, discutevno di politica, era di prassi allora per i giovani studenti, poi degli amici e scorribande nelle aule del'università per protestare di cosa? Non lo ricorda più.
Emanuela gli sorride arrossendo ancora un po' sotto il trucco perfetto, cosa sta pensando ora Alessandro mentre la fissa negli occhi?
Alessandro mentre le tiene di nuovo la mano, pensa sorridendole a quel viale frondoso, alle loro passeggiate, risate, ai loro baci... Al loro amore che era finito in una mattina di tarda primavera quando lui sarebbe dovuto partire con i suoi negli Stati Uniti, era finito quel magico incanto, almeno apparentemente.
Le voleva dare un bacio prima di salire in auto ed allontanarsi per sempre ma gli mancò il coraggio o forse il vero sentimento d'amore.











Ricordi che volevo fare la biologa e tu mi avevi convinto di entrare in psichiatria infantile? Avevi ragione, mi conoscevi bene e
adesso sì, posso dire di essere una donna felice.
Invece tu, che ti sentivi poeta nel cuore ma matematico nella mente,
mi avevi scritto solo una dolce poesia d’amore.

Ecco ora lei è già lontana dall'altro lato del marciapiede, Alessandro la osserva camminare verso il centro città, quando erano usciti le aveva baciato ancora la mano ma non era quello che avrebbe voluto fare. voleva assaporare di nuovo le sue belle labbra ma qualcosa lo aveva trattenuto. Negli occhi di lei lo stesso sguardo di quando l'aveva lasciata, anni fa salendo sull'auto del padre, gli era mancato il coraggio di farlo o forse non era mai stato amore. 
Neanche ora... Forse.

Giampaolo Daccò

lunedì 7 febbraio 2022

IL MESE DEI VIAGGI DEGLI ADDII

IL MESE DEI VIAGGI DEGLI ADDII

F E B B R A I O

Quando mi resi conto che Febbraio non era il mese che pensavo fosse quando ero piccolo, mi trovavo dietro alla cascina di un zio, dove iniziava a vedersi il primo ed opaco verde dell'erba, le stagioni erano allora segnate dal tempo ed ongi mese aveva i suoi colori, profumi e tant'altro.

Febbraio era bellissimo, con il carnevale, il vento tiepido del Fòn che scendeva dalle Prealpi e scaldava la valle del Po, c'erano poi le serate fredde davanti al camino della casa della nonna dove vivevo, il cielo del mattino che con un azzurro tenue annunciava che la primavera era prossima anche se il vespro della sera arrivava abbastanza presto segnando di viola il rosso del sole ormai tramontato.

Ecco quel giorno di metà febbraio arrivò la notizia della morte di un mio amichetto dell' asilo e tre settimane prima se n'era andato anche mio nonno paterno a soli cinquantadue anni, troppo presto. Al momento, non avevo capito, poi nonna con le sue dolci parole mi aveva messo al corrente che il mio amichetto aveva attraversato la strada sfuggendo di mano ala mamma ed era morto investito da un camion sotto gli occhi dei fratellini. Avevo pianto tanto ma non sapevo ancora cos'era di preciso la morte.

A febbraio dell'anno dopo iniziando le scuole elementari, nonna e zia si erano trasferite nell'appartamento sotto i miei e mia madre aveva annunciato l'arrivo di un fratellino o sorellina. Che felicità, eravamo tutti esaltati, a giungo sarebbe nata poi mia sorella, tre giorni dopo era arrivata un'altra notizia terribile, la più cara amica di mia madre che chiamavo zia,  di era ammalata di un male incurabile, allora.

Io non ero così maturo da pensare alle coincidenze o a piani "celesti" terribili ma iniziavo ad aver paura di questo mese, mi sembrava che qualcosa non andasse; intanto il tempo passava, sembrava che per due anni questo febbraio cattivo fosse finito ed invece, due anni dopo se ne andò un altro zio, proprio a metà febbraio. Da quel giorno dentro di me, da bambino indaco avvenne la certezza che il mio animo percepiva sempre di più le cose negative che sarebbero accadute in futuro.

Le persone hanno una strana visione delle cose brutte, parlano di malefici, si toccano per scaramanzia, fanno le corna, la superstizione è una cosa terribile, allonta le persone per paura e vigliaccheria senza cercare di comprendere e così come un viaggiatore seduto nella sala d'aspetto di un'anonima stazione che guardava il suo treno apparire all'orizzonte, avevo la sensazione che anche io stessi facendo la stessa cosa.

Arrivò quel treno più e più volte: i miei si separarono in questo mese, il sedici febbraio trovarono a nonna un male tremendo, il sedici febbraio a mia sorella anni dopo, mamma era morta il sedici febbraio, due zii coetanei sia della famiglia di papà che di mamma se ne andarono contemporaneamente il cinque febbraio, a papà scoprirono il famoso ed attuale virus a febbraio andandosene pochi giorni dopo.

Odiavo febbraio, ogni volta sempre di più, nel corso delgi anni avevo perso ancora molte persone in quel mese, e quasi anche chi divide la mia vita cn me da quasi venticinque anni... A febbraio per due volte cambiai città, poi avevo perso un lavoro molto importante, avevo subito due operazioni, avevo divorziato molti anni prima... Quasi sembrava una comica, una tragedia greca in cui gli dei si divertivano a far accadere le cose agli umani in maniera da affiorare i sospetti di maledizioni.

Eppure non è brutto Febbraio, non è maledetto come viene definito da un proverbio questo mese, è un preludio alla primavera, ai primi bucanese o fiorellini selvatici, ai tramonti di fuoco e le albe intense. Ci sono state tante belle cose accadute agli altri, forse anche a me ma non le ricordo perchè quelle brutte si imprimono molto di più nella mente quando accadono.

Così con gli anni come avevo imparato ad aspettarlo con terrore e paura ora non lo aspetto più, lascio che venga, che faccia il suo corso e se ne vada via lasciando il posto a marzo, un mese quasi indifferente, ne freddo ne caldo, a volte piovoso a volte no, un mese che divide la stagione buia da quella di luce, un mese dove il verde e i fuori e le gemme sugli alberi si fanno più forti, dove nulla acade di brutto per me. Febbraio relativamente corto sarà ormai lontano.

Febbraio, per sempre lo chiamero IL MESE DEI VIAGGI E DEGLI ADDII.

Giampaolo Daccò.


mercoledì 26 gennaio 2022

SENTIERO PROFONDO


 



SENTIERO PROFONDO

(Giampaolo Daccò)


PERCHE' CAMMINI DA SOLO NEL BOSCO TI DOMANDI?
PERCHE' SAI CHE QUEL BOSCO E' LA TUA VITA,
IL TUO MONDO E CHI SEI NEL TUO PROFONDO,
MA DOVRAI PROSEGUIRE SEMPRE PER CAPIRE DI PIU'.

SAPRAI POI CHE QUEGLI ALBERI ALTI E GRANDI
SONO I TUOI PROBLEMI E LE TUE ESPERIENZE,
OGNUNO DI LORO HA UN SEGNO IMPORTANTE SUL TRONCO
QUALCOSA CHE RIMARRA' INDELEBILE NEL TUO ANIMO.

SARA' QUEL SIMBOLO DIVERSO IN OGNI FUSTO
A RICORDARTI CHE SEI STATO VITTIMA O CARNEFICE,
VINCITORE O VINTO, DOVE HAI AFFRONTATO O EVITATO
TUTTO QUELLO CHE OGNI TRONCO TI HA MESSO DAVANTI.

QUELLA STRADA STERRATA CHE PERCORRI SENZA FERMARTI
E' LA TUA ESISTENZA PIENA DI INCOGNITE E PROMESSE,
SARA' IRTA DI OSTACOLI E DOLCE DI PICCOLI DONI
NON AVERNE PAURA E' LA TUA STRADA, SOLO TUA.

LA MISTERIOSA, GRIGIA NEBBIA CHE VEDI DAVANTI 
SONO I TUOI OCCHI CHE MENTRE TI ADDENTRI,
QUELLA DOLCE E UMIDA BRUMA SI DIPANA DOLCEMENTE
PERMETTENDOTI DI VEDERE CIO' CHE HAI SVOLTO.

EPPURE IN OGNUNO DI NOI, QUESTO SENTIERO
FA PAURA, FA GIOIRE, INCURIOSISCE E LO SI TEME,
COMPRENDI CHE DIPENDE SOLO DA TE OLTREPASSARE,
CONTINUARE A VIVERE E CONCLUDERE GLI OSTACOLI.

ED ANCORA DENTRO NEL PROFONDO DEL CUORE,
NON SEI SORPRESO DI SENTIRE CHE CI SIA UNA PRESENZA,
UN ESSERE ACCANTO CHE TI INCUTE AMORE, GIOIA, TIMORE
E CHE POTREBBE, SE LO VOLESSI, AIUTARTI CON AMORE.

SAPRAI CHE NON LO VEDRAI MAI, MA MENTRE CAMMINI
SUL QUEL SENTIERO PROFONDO ED AFFASCINANTE
QUESTA PRESENZA INVISIBILE E FORTE E' ACCANTO, 
E' CONTINUAMENTE AL TUO FIANCO SE LO DI CREDE.

E' QUEL LUI, A CUI OGNUNO DI NOI HA DATO UN NOME
UNA SEMBIANZA, UN SIGNIFICATO O UNA SPERANZA, 
 CHE TI GUIDA SU QUEL PERCORSO CON FEDE E GIOIA,
E SE NON LO SENTI, SOLO LA TUA FORZA TI AIUTERA'.

NON SARA' FACILE E SARA' SOLO IL TUO CORAGGIO
L' AMORE PER LA VITA, PER GLI ALTRI, PER TE STESSO
A FARTI PROSEGUIRE IN QUESTO CAMMINO TORTUOSO,
A VOLTE BREVE, A VOLTE LUNGO, LUMINOSO OD OSCURO.

ALLA FINE ARRIVERAI NELLA STUPENDA RADURA DI LUCE,
NON FARTI TROVARE IMPREPARATO E SENZA AMORE,
SARA' QUESTO CHE ALLA FINE HA CREATO CIO' CHI SEI,
VINCENDO QUEL PERCORSO, QUEL SENTIERO IRTO E DOLCE.

LA GIOIA CHE SI INSINUERA' DENTRO NELLA TUA ANIMA,
SARA' IL MOMENTO IN CUI LA SPLENDIDA LUCE
TI ACCOGLIERA' CON L'AMORE INTENSO, IMMENSO, UNICO
PER QUEL CAMMINO PERCORSO NEL SENTIERO PROFONDO.




martedì 28 dicembre 2021

CITTA' DI NEVE


 CITTA' DI NEVE

(Testo Giampaolo Daccò)
(Foto Sconosciuto)

Milano, 28 dicembre di qualche anno fa.

(Mio Dio come nevica, se andiamo avanti così riusciremo a ritornare a casa?), pensieri miei mentre guardavo dalla vetrina della pasticceria dove F. ed io ci eravamo rifugiati, non appena, il camion del trasloco era ripartito per la casa dei miei, dove sarei ritornato a vivere dopo un anno di matrimonio andato a catasfascio.

- Ed ora che farai? - mi aveva chiesto F. mentre addentava una fetta di panettone davanti al suo tè profumato.

- Tornerò a casa dai miei che stanno divorziando pure loro, prenderò il mio solito autobus di un tempo e tornerò a lavorare come ogni giorno alzandomi alle sei del mattino, invece che farmi trecento metri a piedi come ho sempre fatto in questi quasi due anni mentre vivevo con R. - gli avevo risposto, addentando pure io uno dei cinque pasticcini di ogni tipo davanti ad un cappuccino caldissimo.

Era passato vicino a noi il cameriere un nostro amico comune, si era fermato qualche secondo due chiacchiere sul Natale passato e poi ci aveva lasciato per servire dei clienti vicini. 

- Io intendevo che farai ora, cioè come affronterai tutto questo.

- Fra... Come vuoi che affronti, ormai è tutto finito, competere ancora per riavere una persona che da mesi mi tradiva con l'ex, che è su tutti i giornali come uno dei modelli più famosi e ogni tanto me lo ritrovavo negli uffici della casa di moda dove lavoro? 

- Lo so hai ragione ma pensi che ...


- Non penso nulla, vedo solo questa neve che scende, che copre questa città, che copre il mio cuore e non lo fa con i ricordi, soprattutto quando sono rientrato in anticipo a casa e li ho trovati a letto. Un romanzo squallido di appendice o una storia da fotoromanzo il cui finale non ha mai la stessa svolta della vita reale. -

- Hai ragione Giampy, ho detto una cretinata, ma fossi stato al tuo posto li avrei assaliti e spacccato la faccia a tutti e due... Hai avuto sangue freddo, non so come tu abbia potuto farlo a mantenere il controllo e sistemare le cose senza uccidere qualcuno... - mi disse intento a sorseggiare il tuo tè profumato e mi vera venuto da ridere.

Mi rivedo come una furia scagliare la lampada del letto sulla testa di quel biondo svedese famoso, le urla di tutti e due nudi in piedi mentre prendevo il bastone degli abiti dell'armadio rincorrendoli  e sentendo un colpo alla schiena, uno alle gambe di non so di chi uno dei due. Mi vien da ridere a pensare che si erano rifugiati in soggiorno chiudendosi dietro la porta finestra di vetro, l'avevo fracassata lanciando il porta ombrelli contro, mentre urlavamo: aiuto, assassino, non farlo, sei impazzito.

Mi ero fermato quando l'altro si era rifugiato in bagno per rivestirsi, aveva raccolto gli abiti sul divano chiudendosi dentro. R. era davanti a me, blaterava parole che non sentivo o capivo, aveva paura e la mia faccia doveva farne parecchia. Avevo appoggiato il porta ombrelli per terra, mi sono avvicinato e sganciai violentemente due ceffoni forti in viso, quel viso che amavo e che in quel momento sentivo di odiare, questi avevano messo fine alla mia furia.

Sonoa andato diretto in camera, avevo preso ed aperto tre valigie e due borse e mentre sentivo che quello in bagno parlando inglese se la svignava fuori spaventatissimo, R. stava davanti alla porta della camera da letto con il viso arrossato e una ferita alla fronte. Blaterava in tedesco qualcosa, avevo risposto in tedesco una parolaccia... Ma mi disse che dovevamo parlarne, che non eravamo dei selvaggi. Credo di avergli risposto che io non ero un cervo maschio a primavera.
Chiusa la seconda valigia con un respiro profondo, mi ero girato e feci un cenno di si con la testa. Confesso che il desiderio di far volare quella persona ignobile dal settimo piano di quel bellissimo palazzo in centro era grande ma...

Ora eccomi qui, con uno dei miei migliori amici, in una pasticceria famosa del centro ingozzandoci con una dolce merenda tripla, forse per dimenticare o ricordare o parlare di una storia che sembrava importante ma alla fine non lo era... forse. Nove mesi di fidanzamento, un anno di matrimonio firmato nel comune svizzero di Berna finito con altre due firme su dei fogli scritti in tedesco ed italiano, ed un saluto frettoloso e freddoloso a due settimane da natale mentre Milano festeggiava Sant'Ambrogio.

- Giampy, forse sarebbe meglio tornare a casa, le strade si stanno riempiendo di neve e sarà dura arrivarci tra un paio di ore.  Dai poi ci vediamo domani e faremo qualcosa. -

- Grazie Fra, sei davvero un amico starmi vicino in questo momento. Ne ho bisogno anche perché mia madre mi da il tormento e non vuole vedermi soffrire, gli altri amici vogliono coinvolgermi in serate per conoscere persone nuove ed io vorrei starmene in casa e guardare questa città di neve, al caldo e pensare, metabolizzare tutto (anche la distruzione di mezzo appartamento come avevo fatto tre settimane prima). - 

- Ti capisco, però capodanno lo verrai a festeggiare con me e un paio di amici, almeno quello me lo devi... - avevo sorriso a quel caro amico che in quel momento si era accinto a pagare alla cassa. Intanto ero già uscito in strada, la neve aveva quasi smesso di scendere ma era tanta per strada. le luci delle auto e lo sferagliare dei tram pieni di fiocchi era uno spettacolo magico... L'avevo definita città di neve, mi piaceva questo termine.

L'auto lasciava alle spalle il centro, presto sarei tornato a casa, dove la situazione non era tra le più belle e presto un altro divorzio sarebbe arrivato in famiglia, ma almeno sarei stato con mamma e Francesca.

- Senti non volevo chiedertelo ma pensi che i tuoi avranno la calma che hai avuto tu gestendo la situazione che hai avuto? Cioè non ci saranno litigi o ripicche, tu sei maggiorenne Francesca no... Insomma... -

Ero scoppiato a ridere, fino alle lacrime pensando a ciò che avevo combinato nel mio ex appartamento, la faccia dei due che correvano nudi per casa, i vetri frantumati e la loro paura negli occhi.

- Ma che ridi? Sei fuori? E' una cosa seria. - diendomi questo scoppiai a ridere ancora più forte - Ma si ridendo ti sfoghi un po' dalla tensione, fai ridere pure me ora. - anche F. aveva cominciato a ridere vedendomi piegato in due anche dentro il cuore mio soffriva.

- No i miei l'affronteranno come fanno tutti i futuri divorziati, litigheranno per il mantenimento di mia sorella, per la divisione delle cose di casa, per la tomba di famiglia, per come gestire la situaizone dei figli eccetera ecetera. La solita routine delle coppie sposate da vent'anni o più. Dove l'avvocato deciderà, in questo caso giustamente, di dare di più a mamma, e papà dovrà sborsare denaro per il nostro mantenimento e non lo farà come fanno tanti altri... Cioè si comporteranno nella norma. -

- Se lo dici tu, non oso pensare a mamma, diventerebbe una belva, spaccherebbe tutto lanciando persino le lampade addosso a papà o alla sua amante...  - mi aveva fatto scoppiare a ridere di nuovo, mentre mi guardava stralunato pensando che fossi impazzito, la tangenziale era davanti a noi e l'auto aveva imboccato l'entrata lasciando ci alle spalle la città di neve.

Tutto, col tempo,  sarebbe ricominciato da capo.

Giampaolo Daccò.

sabato 20 novembre 2021

BALLATA D'AUTUNNO


 BALLATA D'AUTUNNO

(Writers: Juan Manuel and Teresa Serrat)

Piove
Là dietro la finestra, piove, piove
Sopra quel tetto rosso e spaccato
Sopra quel fieno tagliato
Sopra quei campi, piove
Si gonfia di grigio il cielo
E il suolo è già grondante di foglie;
Si è profumato d'autunno.
Il tempo che si addormenta
Mi sembra, un bimbo in braccio al vento
Come in un canto d'autunno.

Una ballata d'autunno,
Un canto triste di malinconia
Vien dietro al giorno che va via.
Una ballata in autunno
Pregata a voce spenta,
Soffiata come un lamento
Che canta il vento.
Piove,
Là, dietro la finestra, piove, piove,
Sopra quel tetto rosso e spaccato,
Sopra quel fieno tagliato,
Sopra quei campi, piove.

Io ti racconterei
Che sta bruciandosi l'ultimo legno al fuoco e poi
Che la mia povertà
È anche di un sorriso, che sono sola ormai,
Ma io da sola son finita.
E ti racconterei
Che i giovani son giovani
Perché non sanno mai
Che no, non è la vita
La bella cosa che
Che loro gira in mente: io questo lo so
Magari si potesse
Del domani e del passato
Dire quello che ho sognato;

Ma il tempo passa e ti canta pian piano
Con voce sempre più stanca,
Una ballata d'autunno.
Piove,
Là dietro la finestra, piove, piove
Sopra quel tetto rosso e spaccato
Sopra quel fieno tagliato
Sopra quei campi, piove.

giovedì 18 novembre 2021

INDIMENTICABILI SENSAZIONI


INDIMENTICABILI SENSAZIONI

11 settembre 2009, Costa Brava.

   La distesa di quel mare blu scuro con sfumature verdastre era davanti ai nostri occhi; dei magnifici riflessi del sole ormai quasi scomparso all'orizzonte erano tra le onde leggere che correvano verso la costa. Essi donavano a quella piatta, sfumature aranciate e brillanti del tramonto che ormai segnava l'arrivo del vespro e della notte alle nostre spalle.
La sensazione di osservare piccoli diamanti colorati, brillanti incastonati, rubini lumonosi su un tappeto di seta ondulato, una magia che come quasi ogni sera regalava alla fine delle giornate calde un sogno fantastico. 
 I gabbiani e altri uccelli più scuri volavano aldi sopra delle nostre teste, sembravan leggeri come aquiloni spinti dal vento mentre nuvole violacee all'orizzonte segnavano la linea dove il l'astro del giorno è andato a a dormire. Il profumo intenso e salmastro del mare mi mischiava con la leggera brezza dell'aria su questo piccolo paradiso spagnolo, in questo magnifico settembre di vacanza.. 
   Dal fiorito terrazzo del ristorante osservavamo delle barche colorate veleggiare su quella distesa immensa come cavalieri solitari in una terra misteriosa, dalle loro cabine uscivano le luci che incominciavano a farsi strada nel buio che stava per arrivare, mentre cinque bambini correvano urlanti e a perdifiato sulla sabbia, ridendo e spingendosi dolcemente con le loro mamme che li seguiva poco indietro, tutte intente a parlottare tra loro. Su quella distesa sabbiosa non c'erano pericoli.
   Le case bianche dai tetti piatti e le persiane tinte di pastello, con i muri coperti da rampicanti colorati della cittadina sulla costa, facevano si che i nostri desideri erano di vivere in quel luogo, pieno di luce, colori , profumi ed allegria.
Trasferirci lì per vivere giornate stupende come questa, cambiare vita, città, casa, abitudini e godersi quella calma così irreale e fantastica. Appunto, era solo un sogno ma era così bello crogiolarsi in quell'illusione. 
   Una vacanza, la nostra, diversa da molte altre passate negli anni addietro, una vacanza fatta di piccoli spostamenti durati due o tre giorni, di permanenze in paesi o cittadine diversi dalla vicina Barcellona, una vacanza piena di indimenticabili sensazioni.
   Più tardi, quando già la mezzanotte aveva scoccato il suo ultimo rintocco, da una delle terrazze dell'albergo, nelle panombra lontano dalle lanterne colorate appese ai muri, guardavo il cielo blu puntato di stelle che come un manto luminoso circondava la macchia bruna del mare, il vento si era fatto più fresco giungendo alle mie spalle e portando con se profumi intensi di fiori nei vasi che circondavano questo grande balcone.
   Scie luminose delle automobili sfrecciavano nelle vie sottostanti, molte persone passeggiavano tra le vie, dove i vociare e rumori della vita notturna, arrivavano qui ovattati ed intanto  pensavo a poche ore prima quel paesaggio che ho sempre amato tanto, al mare, alla spiaggia, a quelle sensazioni di vita e di felicità passate in due su questa lunga costa spagnola dove tutto dava la senzazione di allegria, di serenità, di libertà. 
   Ed ecco affacciarsi ancora il prepotente desiderio di volere vivere qui nel mio cuore, avevo sorriso tra me pensandomi lontano dalla frenetica Milano, così ero rientrato nel salone interno dell'albergo, salendo le scale ho raggunto la nostra camera chiudendomi alle spalle il sogno o il desiderio di poc'anzi. Mi ero disteso sul letto accanto al mio amore che dormiva già e poco prima che giungesse il sonno, con gli occhi chiusi avevo rivisto quel mare cristallino e le sue onde bianche e leggere sciogliersi sulla sabbia dorata e poi sprofondai nel mondo dei sogni.
Fuori, la notte con le sue stelle, proseguiva nel suo cammino.

Giampaolo Daccò



giovedì 4 novembre 2021

BRINDIAMO INSIEME


 BRINDIAMO INSIEME

- Brindiamo insieme? Siamo soli qui... -
- Certo, anche se sono tutti in terrazza a festeggiare il nuovo anno. -
- Non amo la folla. -
- Nemmeno io, a proposito sono Patrick - la sua mano si porge verso di lui, una mano grande, scura come il suo viso, capelli ed occhi.
- Piacere Samuel. -
- Inglese o americano? -
- No israeliano e tu? -
- Olandese di origini ispaniche da parte di mamma. -

Sorrisi, la stretta di mano e gli auguri di buon anno tra i due uomini finirono nella camera di Samuel, il giovane dagli occhi verdi, capelli rossi e fisico sportivo.
La luce della luna nella calda camera illuminava i due corpi vicini come fossero i toni del chiaro/scuro, come un mantra d'amore.
I brindisi furono molti nel corso dei mesi successivi, una storia a cui neppure loro sapevano dare un nome.
Si rirovarono spesso a Tel Aviv, a Den Haag, molto di più a Parigi dove lavoravano a poca distanza, dove ognuno aveva mantenuto il suo appartamento.
Sembrava un amore che durasse nel tempo, Samuel amava quei tocchi di cristallo che quasi ogni sera scoccavamo prima della loro cena o di qualche festa, da soli, da amici, in famiglia.
Patrick, adorava quell'uomo che sembrava un angelo, un folletto uscito da qualche libro, occhi di gatto, la pelle macchiata di lentiggini e quel sorriso bianco.
Quasi un anno d'amore e poi a pochi giorni prima di Natale, Patrick gli aveva lasciato una lettera ed una foto: loro due che brindavano, la foto del loro primo incontro.

- Il nostro primo brindisi e non ce ne saranno altri Samuel. Sarò duro ma non posso fare altro: è finita. Perdonami se puoi ma non so darti spiegazioni e motivi ma... E' finita. Anche se non crederai sarai sempre nel mio cuore, non cercarmi più ti prego mio angelo.

Samuel aveva pianto? Aveva imprecato? Aveva... Non se lo ricorda, non vuole ricordarlo, un anno d'amore è poco o tanto, dipende sempre da come lo si è visstuto e Samuel, l'ha vissuto intensamente... Come una promessa non lo ha mai più cercato.

Notte di capodanno un anno dopo, Londra, festa aziendale, ricchi papaveri della finanza, modelle, signore ingioiellate, giovani rampanti senza scrupoli e vecchi impomatati al fianco di signore rifatte dal chirurgo plastico, quasi da sembrare dei mostri di cera.
Samuel da solo si era stancato delle chiacchiere dei colleghi, del lavoro e si era allontanto pensando di cambiare tutta la sua vita e trasferirsi definitivamente a Tel Aviv, le offerte non gli eraano mancate quando, voltando lo sguardo verso le poltrone poco lontane dal piano bar lo vede: Patrick.
 Senza farsi notare si era appostato come un ladro dietro ad una colonna che portava verso le cucine di quel lussuoso albergo dove si svolgeva la festa milionaria dei "grandi".
Non lo vedevano ed intanto sorgeggiava il suo calice di champagne. Patrick era seduto di fronte ad un giovane uomo dai tratti americani, biondo, bello con la mascella tipicamente volitiva degli uomini d'oltre oceano.
Poteva sentire le loro parole mentre quasi tutti erano sul terrazzo a guardare l'imminente scoppio di fuochi d'artificio che avrebbero festeggiato l'anno nuovo.

- Brindiamo insieme? Siamo soli qui... -
- Volentieri gli altri sono tutti in terrazza a festeggiare il nuovo anno. -
- Non amo la folla. -
- Nemmeno io, a proposito sono Patrick - la sua mano si porge verso di lui, una mano grande, scura come il suo viso, capelli ed occhi.
- Piacere Robert. -
- Inglese o americano? -
- Americano di San Diego e tu? -
- Olandese di origini ispaniche da parte di mamma. -

Samuel aveva ascoltato le stesse frasi di due anni prima, nonostante il tuffo al cuore, un sorriso era apparso sul suo volto anche se avrebbe voluto piangere. Tutto uguale, tutto come due anni prima, il repertorio di Patrick non era fantasioso, Samuel aveva perso solo un anno di passione e forse di amore, ma ora dopo averlo visto con Robert aveva capito una cosa: avrebbe lasciato Londra, Parigi e l'azienda, sarebbe tornato a Tel Aviv, avrebbe accettato di lavorare per quella famosa multinazionale con uffici a Milano e Berlino. Si la sua vita avrà una svolta.
Si gira verso i due uomini ancora seduti a chiacchierare sul divano e mentre questi si cingevano a bridare ancora, Samuel aveva alzato il suo calice verso di loro:

- Buona fortuna Robert, buon anno d'amore. -

Giampaolo Daccò.




martedì 19 ottobre 2021

ONCE AGAIN



ONCE AGAIN

(text and photo by
Giampaolo Daccò)
As always. Once again. I find myself here, under a shelter waiting for the bus to take me home, it is true that I could walk the way, four stops don't kill anyone. But I'm tired, it's raining, it's dark early, it's cold. I hate autumn. The lights of the cars on the wet asphalt look like long bands of light reflecting a flat, black tide. Black as some of the women next to me are dressed. The oldest talks about work, the other about her children, a third of her writes on her cell phone, nodding to the others every now and then. Two guys argue about the new mayor-elect and I'm tired of hearing the same old things. See the usual faces. And in the meantime it rains once again, the arrival of three soaked, screaming kids with backpacks on their shoulders who rudely collide with those like me who are waiting for that bus not yet arriving. Despite the protests of adults, they demonstrate what most of the kids have become: indifferent, rude and indifferent. Maybe, and just maybe, it's not even their fault. I open the umbrella and escape from this annoyance. I decided to walk home, four stops won't kill me even if it's raining and cold. I don't know if I was right to do it, the people I meet despite the wide sidewalk do not move, some do not lift or move the umbrella as I do and I find myself stuck to the wall crawling with my body and my rain cover while these four anonymous faces and rude pass by as if they were an impassable wall. No sign of moving and letting other people pass, they continued their arrogant walk not giving a damn about who had to get off the sidewalk and ended up in dirty puddles. No, I don't have to get nervous and I resume walking among shops full of people and trees that follow the avenue. One ... Two ... Three. Three stops have passed, at two hundred or perhaps a little more there is mine and the building where I live. I no longer thought about the rude children, the four people who occupied the sidewalk forcing others to either get off or hug the wall. I no longer thought about the road in the rain or even in the cold, but one thing I could not help thinking about: that once again it is autumn. I hate autumn. Finally at home, in front of the door I fall the keys, the umbrella and the work bag and a tenant goes out without saying anything, slamming the door almost in my face. Should I swear? Should I tell him something? Can rudeness and indifference be tolerated or should it be taught that education or respect are the basis for sympathetic cohabitation? Bullshit! No, I don't even think about it. I pick up my things, open the gate door and enter. I'm finally home or almost. I approach the elevator and once again it is blocked who knows where, let's resign ourselves and go up the floors on foot. Finally in the house the warmth of the radiators welcome me with the lights in the living room on, a good smell comes from the kitchen and a dark-haired head looks out: "Are you okay honey? Got a lot of rain?" "A little yes but that's okay, I took a few steps on foot but it was worth it. What's good for tonight? ..." I wanted to say: once again I ran into a season I hate, a time that bores me, rude kids just as much as the adults on the sidewalk were. That the elevator is still stopped and that before entering a tenant instead of giving me a hand slammed the door of the gate in my face but ... I'm not saying that. It doesn't matter now, it doesn't really matter anymore. Once again I approach his face while he is cooking a very tasty main course and touch his cheek with a kiss. "Go wash your hands silly! Soon we go to the table." I smile in the mirror as hot water flows through my soapy hands. Once again I am here in my house, among the things I love but I have no longer thought of hating autumn. I am now in the spring of my refuge.
Giampaolo Daccò

ANCORA UNA VOLTA


 ANCORA UNA VOLTA

(testo e foto di

Giampaolo Daccò)


Come sempre.

Ancora una volta.

Mi ritrovo qui, sotto una pensilina aspettando l'autobus che mi riporti a casa, è vero che potrei far la strada a piedi, quattro fermate non uccidono nessuno.

Ma sono stanco, piove, è buio presto, fa freddo. Odio l'autunno.

Le luci delle auto sull'asfalto bagnato sembrano fasce lunghe luminose che riflettono una marea piatta e nera. Nera come sono vestite alcune donne accanto a me.

La più anziana parla del lavoro, l'altra dei figli, una terza scrive sul suo cellulare annuendo alle altre ogni tanto. Due tizi discutono sul nuovo sindaco eletto ed io sono stanco di sentire le solite cose. Vedere le solite facce.

E intanto ancora una volta piove, l'arrivo di tre ragazzini fradici, urlanti con zaini sulle spalle che maleducatamente si scontrano con chi come me aspetta quell'autobus non ancora in arrivo.

Nonostante le proteste degli adulti, questi dimostrano ciò che la maggor parte dei ragazzini sono diventati: menefreghisti, maleducati ed indifferenti.

Forse, e dico forse, non è neanche colpa loro. Apro l'ombrello e fuggo da questo fastidio. Ho deciso torno a casa a piedi, quattro fermate non mi ammazzeranno anche se piove e fa freddo.

Non so se ho fatto bene a farlo, le persone che incontro nonostante il largo marciapiede non si spostano, alcune non alzano o spostano  l'ombrello come faccioio  e mi ritrovo appiccicato al muro strsciando con il corpo e il mio parapioggia mentre queste quattro facce anonime e maleducate passano di fianco come fossero un muro invalicabile.

Nessun segno di spostarsi e far passare altre persone, hanno continuato il loro arrogante cammino fottendosene di chi doveva scendere dal marciapiede finendo in pozzanghere sporche.

No, non mi devo far prendere dal nervoso e riprendo la camminata tra negozi pieni di persone ed alberi che seguono il viale.

Una... Due... Tre. Tre fermate sono passate, a duecento o forse poco più c'è la mia e il palazzo dove abito.

Non ho più pensato ai bambini maleducati, alle quattroeprsone che occupavano il marciapiede costringendo gli altri o a scendere o rasentare il muro.

Non ho più pensato alla strada sotto la pioggia e neanche al freddo ma una cosa non sono riuscito a non pensare: che ancora una volta è autunno.

Che odio l'autunno.

Finalmente a casa, davanti al portone mi cadono le chiavi, l'ombrello e la borsa di lavoro ed un inquilino esce senza dire nulla, sbattendomi il portoncino quasi in faccia.

Dovrei imprecare? Dovrei dirgli qualcosa?

La maleducazione ed il menefreghismo si possono tollerare o si deve insegnare che l'educazione o il rispetto, sono le basi di convivenze simpatiche? Balle!

No, non ci penso neanche. Riprendo in mano le mie cose, apro la porta del cancello ed entro. finalmente sono a casa o quasi.

Mi avvicino all'ascensore ed ancora una volta è bloccato chissà dove, rassegnamoci e saliamo i piani a piedi.

Finalmente in casa il tepore dei termosifoni mi accolgono con le luci del soggiorno accese, un buon profumino arriva dalla cucina ed una testa dai capelli scuri si affaccia:

"Tutto bene tesoro? Presa tanta pioggia?"

"Un poco si ma va bene, ho fatto due passi a piedi ma ne è valsa la pena. Che c'è di buono per stasera?..."

Avrei voluto dire: ancora una volta mi sono imbattuto in una stagione che odio, in un tempo che mi tedia, in ragazzini maleducati tanto quanto lo sono stati gli adulti sul marciapiede. Che l'ascensore è ancora fermo e che prima di entrare un inquilino invece di darmi una mano mi ha sbattuto il porticino del cancello in faccia ma... Non lo dico.

Non ha importanza ora, non ne ha più davvero.

Ancora una volta mi avvicino al suo viso mentre sta cucinando un secondo piatto molto gustoso e sfioro la sua guancia con un bacio.

"Vai a lavarti le mani sciocco! Tra poco si va in tavola."

Sorrido allo specchio mentre l'acqua calda scorre tra le mie mani insaponate.

Ancora una volta sono qui a casa mia, tra le cose che amo ma non ho più pensato di odiare l'autunno. Ora sono nella primavera del mio rifugio.

Giampaolo Daccò


mercoledì 6 ottobre 2021

UN LIBRO, TANTE STORIE


UN LIBRO, TANTE STORIE
(Testo e storia di
Giampaolo Daccò)

Non è un racconto, una poesia, ne un piccolo pensiero dedicato ad un libro che ho letto quasi tutto d'un fiato, ma è qualcosa che ha fatto riaffiorare alla mia mente, un pezzo della mia vita.

Non sono Violette e ne Julien e neanche Irène o Paul eppure in questa magnifica storia, fatta di tante altre che nell'arco di anni si sono intrecciate, sviscerando le vite dei protagonisti, i loro sentimenti, le paure, le gioie, i misteri, le tragedie... Il dolore.

Come Violette ho rivissuto dei drammi che il tempo ha aiutato se non a superare, a vederli in un'ottica diversa, stupendomi di chi si trascina nella propria vita, per decenni e fino alla fine, quel "lutto", quella sofferenza indicibile quasi fosse una gioia nel soffrire per punirsinirsi, per farsi compatire, per crogiolarsi in un dolore che invece di curare, lo si fa incancrenire per vedere negli occhi degli altri la comprensione o peggio... La pietà.

No, no la vita non funziona così, siamo già vittime di noi stessi, vittime di altri, vittime del destino che potremmo modificare in alcuni punti ed in altri no, dove un periodo nero potrebbe diventare bianco, azzurro, giallo, verde o anche un grigio ma brillante... Se lo si vuole.

Perché questi pensieri? Perché mi sono ritrovato nei tanti dolori e nelle poche gioie ma anche nelle "ressurrezioni" di Violette, dove invece di essere madre, sono stato un figlio-fratello padre di mamma, sorella, nonna, prozia.

Riconosciuto nell'abbandono, nel rifiuto, nell'incolparmi di colpe altrui, dove è stato più facile nascondere la faccia e lasciar si che quello (cioè io) imparasse a cavarsela da solo oppure che si arrangi con la famiglia che si ritrova.

Ho assistito più a malattie e morti che viaggi e divertimenti, ho passato come Violette a centellinare il denaro e privarmi per far star bene chi ha avuto bisogno di me. Non c'era nessuno la sera del funerale di Francesca a casa nostra, ma come Violette con Celìa ho avuto Angela e Marco con la cena pronta mentre tutti erano spariti.

Non ho avuto un Philippe o una Françoise che mi hanno amato nella loro maniera o fatto a pezzi per non averlo saputo fare incolpandomi di questo, almeno avrei avuto di che piangere per  essermi sentito solo, ero un usa e getta secondo il caso, secondo le voglie, secondo il copione, secondo il godimento pur di non prendersi almeno un po' di cura di un tipo strano di nome Giampaolo.

Lèonine era mia sorella invece di mia figlia, era anche mia madre... Nessuno e lo dico senza che qualcuno mi possa smentire, nessuno ho avuto vicino se non qualcuno che da estraneo era diventato un amico o amica, per pietà o per generosità innata e che con il suo aiuto hanno evitato che una sera di novembre avessi posto fine a tutto.

Come Violette ci si rialza dopo il crollo e non una volta ma più volte, anche se hai perso molti treni oppure sei stato sfruttato o vilipeso, la forza che si è accumulata negli anni ha fatto si che le ombre, le ferite sparissero o si cicatrizzassero stringendo i denti e lottando continuamente.

Questo libro ha portato a galla storie e fantasmi del passato che in questo momento sono diventati lo sfogo, pensieri buttati a casaccio su questo foglio bianco ma che mi hano fatto riflettere. Riflettere sulle piccole cose che mi hanno aiutato a ricominciare ogni volta: che sia stato un sorriso, un fiore, un regalo, una "spinta" ad agire e che mi hanno permesso di essere ciò che sono ora.

Fortuantamente non sono Philippe, ne suo padre, forse nella mia storia in parte lo è stato il mio di padre, ma sono stato da solo ad affrontare tutto prima, ora con la persona che condivide con me vita, lavoro, sogni, figli adottivi... Tutto.

Adesso come Violette posso donare una tazza di tè profumato, un libro, una frase, un abbraccio a chi ne ha bisogno e chiede aiuto, una parola o un sorriso per poter far capire che tutto passa e che si possa andare avanti. Ho "dimenticato" chi ha fatto del male chiedendomi a cosa serve non farlo? Ricordare con piacere chi si è perso per strade diverse dimenticandosi di te e tu di loro. Assaporare la gioia di un raggio di sole e vedere nella nebbia o nell'oscurità scintille di luce.

Cosa sono diventato ora? Come Violette, un uomo che ragiona, che cerca di sopravvivere in un mondo diventato sterile di amore ai fatti ma molto prolisso a parole. Un uomo che è curioso del futuro e che il suo passato è servito e serve per migliorare il presente, un uomo che ama tutto e che le riserve le lascia apparire quando sono evidenti e cambia strada senza spiegazioni, perché se ti giustifichi oltre a quello che si aspettano gli altri per togliersi il peso del torto, manchi di rispetto verso te stesso.

Lo so sembra una confessione anche se in parte lo è, non mi importa di ciò che si possa pensare o immaginare sulla mia persona o su cosa possa aver passato, so solo che la storia di Violette non è una storia finta, un romanzo inventato così... E' la vita di tanti di noi che la maggior parte non riconosce o si rifiuta di comprenderla e pochi la affrontato nel modo vero e giusto che sia. A volte questi si incontrano in chissà quale vagone di un treno, in un locale bevendo del tè oppure su una spiaggia o come 
Violette con Cèlia in un passaggio a livello bloccato da uno sciopero.

Nascono così grandi amicizie ed amori, storie che possono durare una vita o solo pochi giorni. Ogni giorno che passa potrebbe sembrare più difficile del primo ma può essere anche l'opportunità di prendere al volo l'occasione aparentemente negativa e trasformarla in un sogno colorato, non è difficile e neanche facile.

Basta guardarsi dentro, il nostro cuore e la nostra anima hanno bisogno di nutrirsi d'amore, di bellezza e di armonia... ed allora innaffiamole come si fa con la natura. Basta "Cambiare l'acqua ai fiori", a questi fiori dentro di noi... Tutto, forse, sarà diverso.

Giampaolo Daccò


domenica 19 settembre 2021

QUANTE VOLTE

 



    QUANTE VOLTE...

(di Giampaolo Daccò)

(foto "settemuse")


Quante volte...

Sento il fuscio delle foglie cadute sotto i miei piedi mentre mi incammino nel grande parco vicino a casa. L'autunno è appena iniziato e già un grande tappeto giallastro e rame invade tutte le strade ghiaiose di questo polmone verde in centro della mia città.

Quante volte ho passeggiato qui? Centinaia... Migliaia di passi fin da quando ero piccolo, eppure sono passati decenni, molte cose cambiate: lo zoo che mi metteva tristezza è scomparso da tanti anni finalmente. Ricordo che quando gli altri bambini ridevano e cercavano di gettare pezzi di cibo alle due tenere giraffe, alle scimmie o a qualche animale fermo ad osservarli in uno strano modo, a me veniva il magone e un senso di malessere.

Guardavo gli animali negli occhi e sembravano chiedere aiuto, poi un igorno lo zoo vene chiuso e non nascondevo la mia gioia che le autorità comunali avessero preso la decisione più giusta per quelle povere bestie. Poi nel corso degli anni erano arrivati e poi spariti il degrado e chi si uccideva di droga, più tardi venne il momento in cui tutti andavano a prendere la tintarella nei mesi estivi, rovinando le aiuole e gli spazi verdi, calpestandole senza ritegno con tutto ciò che si portavano dietro.

Restavano sempre i due bar storici che immobili nel tempo avevano mutato la loro immagine da chioschi a locali davvero belli e pieni di persone e finalmente le aree dei cani dove ora scorazzano i nostri più teneri amici, felici giocando tra di loro. Grande segno di civiltà.

Ecco sono su uno dei ponti che sovrastano di poco gli stagni e dentro questi, pesci grossi e piccoli, anatre, tartarughe e qualche topo sfuggente fanno da cornice a queste acque un po' torbide ed un po' strane mentre odore di muschio misto a fiori appassiti colpiscono il mio olfatto.

Quante volte ho percorso queste stradine incorniciate di alberi altissimi e cespugli selvaggi di sempre verdi: mi rivedo bimbo con mamma, nonna, zia, prozia e cuginette varie a camminare parlottando di tante cose nei sabati e domeniche liberi da impegni. Sono sempre stato circondato da figure femminili di ogni età e sepssore, questo mi ha aiutato ad essere vicino alle donne e mi sono ritrovato ad aiutare nel tempo amiche e colleghe con grande affetto.

Però quel bambino dalla giacca a vento rossa o dal cappotto blu con ricamati due gendarmi vicino al bavero lo vedo sempre correre come un matto e pieno di felicità tra i vialetti, non più rinchiuso in casa per la nebbia, per il freddo, per i compiti di scuola o per accudire momentaneamente mia sorella in culla o nel girello.

Poi quegli anni di scuola, del liceo artistico e le bigiate quando non volevi farti interrogare e con i soliti amici passeggiavi in quel parco dall'autunno fino a fine primavera tempo degli esami. Tutti in loden verde e sciarpa bianca con i jean blu oppure in eschimo verde e capelli lunghi, in base di che fazione politica in cui militavi. Poi alla fine eravamo tutti uniti davanti al chiostro di panini e bibite.

Vennero anche le contestazioni nelle piazze e urla nelle scuole uno contro l'altro ma questo parco era poi il mondo che ci riconcigliava e così accaddero anche i primi amori, i baci e qualcosa in più nascosti tra le siepi. Era stato tutto molto bello a penarci ora mentre a quel tempo, a quell'età tutto sembrava complicato e difficile.

Poi era arrivato il tempo di convivere, di lavoro e di una vita da grandi anche se poi dentro restavo sempre il ragazzo ed il bambino di allora. C'erano stati nuovi amici e nuovi colleghi e sempre quello spazio verde protagonista delle giornate di riposo e dei momenti di pausa avendo la fortuna di lavorare sempre in centro città.

Gli anni erano passati veloci e quando mi era arrivata l'occasione di avere un nuovo lavoro ed una nuova casa, quel parco e le sue stradine me li sono ritrovati davanti agli occhi fino ad ora. Destino? Chissà, era il mio sogno e parte della mia vita, tant'è che non ci siamo mai lasciati.

Quante volte sono passato di qui? Tante, anche adesso sono in uno dei viali ad assaporare il profuno dell'autunno, a rilassarmi camminando lentamente osservando quello che mi è attorno: file di persone davanti al museo delle scienze naturali e all'osservaotrio astronomico, persone di ogni età a correre attorno nelle sterrate per tenersi in forma. I cani liberi nei loro spazi circondati da staccionate di legno mentre i loro "papà e mamme" stanno a parlare urlando il loro nome ogni tanto dopo qualche abbaiata.

Ecco sono arrivato davanti al bar dove tra poco mi gusterò un succo di frutta e magari un panino e qui li fanno buoni, guardo le foglie sul selciati, saluto un paio di poliziotti vicino a me eche conosco da tempo e mi siedo mentre una leggera brezza fresca ti fa sentire sereno in questo sabato tiepido di primo autunno.

Chissà... Quante volte ancora passeggerò qui con le foglie sotto i piedi oppure accanto ai fiori e all'erba sbocciati in primavera, magari con i capelli bianchi ed in mano un libro da leggere su una panchina dipinta di verde.

Chissà quante volte...

Giampaolo Daccò