mercoledì 29 novembre 2017

L'ATTESA IN UN MATTINO D'INVERNO



L'ATTESA IN UN MATTINO D'INVERNO

"Porta Romana bella... 
Porta Romana... 
E' già passato un anno 
da quella sera.
un bacio dato in fretta 
sotto al portone..."

Non so perché sto canticchiando questa canzone del grande Gaber, ma mi è frullata in testa questa mattina e non riesco a toglierla dalla mente.
Forse è anche perché sto aspettando lui, qui davanti a quell'arco illuminato dai lampioni in questa mattina ancora buia, mentre la poca neve rimasta dopo la pioggia fa da bagliore insieme alle luci di Natale nelle strade.
Lui, Maurizio, alto, occhi verdi dalle ciglia folte e sorriso limpido che splende incorniciato da una barba rossiccia e morbida.
Lui, incontrato in quel famoso magazzino in Piazza Del Duomo poche settimane prima e fu colpo di fulmine mentre le nostre mani finirono su quella cravatta di seta blu, appoggiata su un banco.
La frase fu detta all'unisono:

"Ops mi scusi ma non volevo..."

Stessa frase detta insieme ed eravamo scoppiati a ridere e subito ci eravamo intesi.
Inutile dire che avevamo acquistato due cravatte uguali e che dopo qualche chiacchiera sulla moda, eravamo finiti al bar sulla terrazza del grande magazzino per una cioccolata con panna.
Stessi gusti di cibo e abbigliamento.

"Piacere Maurizio."
"Piacere Roberto."
"Sei di Milano Roberto?"
"Si zona Brera e tu?"
"Crocetta... Praticamente tutti e due del centro."

Ci eravamo sorrisi, ero riuscito a diventare rosso, mentre lui mi aveva guardato fisso negli occhi. Poi mi aveva sfiorato la mano mentre stava arrivando il cameriere con le cioccolate calde e fette di torta. Non sapevo cosa dire mi sentivo in imbarazzo.

"Architetto? Desiner?"

"Perché mi chiedi questo Maurizio?"

"Per una semplice banalità, abiti in Brera."

"Ahahah... Non tutti quelli di Brera sono architetti o artisti..."

"No?"

"Sono violinista alla scala da un paio di anni."

"Ah però... Complimenti Roberto. Anni?"

"Mmm quante domande... (avevo riso). Ne ho 27."

"Tu non fai troppe domande vedo... 
Io sono architetto ho 34 anni."

"Sei un uomo pieno di sorprese... Non me lo aspettavo
avrei pensato tu fossi... Architetto?..."

Oltre alle risate, poi avevamo passato un bel pomeriggio insieme, da quel giorno era nata una storia. Una storia che con le settimane a venire aveva preso piede sempre di più. Avevo intuito che lui nascondesse qualcosa ma avendomi fatto conoscere un giorno sua madre, bella e simpatica donna di larghe vedute, mi ero tranquillizzato. Il suo lavoro prima di tutto, mi spiaceva che fossero poche le notti in cui dormivamo insieme ma andava bene così.
Era passato Novembre e le feste di Sant'Ambrogio con l'Immacolata, Natale era alle porte, tre giorni fa mi aveva detto:

"Roberto noi dobbiamo parlare... 
Del futuro, del nostro futuro e posizione."

"(Posizione? Avevo pensato) 
Oh si certo, sono quasi otto settimane che ci frequentiamo."

"Si davvero, sono già otto?"

"Beh quasi... Tra tre giorni."

"Già (la sua voce mi sembrava strana)... 
E che ne diresti di parlarne tra tre giorni? 
Ho il sabato mattina libero, però dalle nove in poi..."

"Perfetto, sono liberissimo anch'io Maurizio, 
ci vediamo magari al solito posto?"

"Preferirei in zona Porta Romana, poi ho un paio di commissioni da sbrigare e farei tardi... Ti dispiace?"

"No assolutamente... Vuoi che ci si veda alle nove 
davanti all'arco vicino alla fermata del tram?"

"Ottima scelta Roberto, un bacio. 
Scappo, ci sentiamo stasera e ci vediamo sabato mattina."

Click

Telefonata chiusa ed eccitazione da parte mia, avevo immaginato chissà che proposte, magari se non una convivenza, almeno un dichiarazione definita del tipo vorresti fidanzarti ufficialmente con me? Oppure proviamo una convivenza di almeno tre giorni nei fine settimana?... Chissà.

"Porta Romana bella...
Porta Romana...
Un anno è lungo da passare
d'amore non si muore
sarà anche vero
ma quando ci sei dentro
non sai che fare"

Accidenti a me ed alla fretta, sono venuto qui all'alba quasi, sono le sette e cinquanta ed ho più di un'ora di attesa, Maurizio mi ha fatto proprio perdere la testa. Ma si, andiamoci a bere qualcosa di caldo in quel bar carino di viale Monte Nero, ho i piedi intirizziti...
Svolto l'angolo, attraverso i binari del tram e vedo un auto... La sua auto: colore, targa, porta sci, l'atlante stradale sul retro dei sedili e dentro qualcuno.
Non so perché mi fermo a due passi fingendo di guardare le vetrine addobbate di un negozio.
Scende una bella donna bionda incinta e due bambini con una signora anziana.

"Mamma ti prego, facciamo in fretta! Devo lasciare l'auto
a Maurizio, ha quegli impegni stamattina... 
Tieni  il piccolo Luca..."

"Cara faccio quello che posso, 
Giada stai attenda sei al settimo mese...
Non camminare così in fretta, potresti..."

"Mamma, non ti preoccupare, Marco mi aiuta con la borsa
(Lei bellissima guarda il figlio maggiore con amore
toccandosi la pancia) e faremo in fretta."

"Maurizio è un santo con voi... 
Ahahah, meglio di lui non potevi trovare, 
un marito così premuroso e amorevole tesoro..."

Sono fermo davanti a loro non riesco più a sentire le loro voci mentre si stanno allontanando da me, sono entrate in un portone poco più avanti e mi assale una nausea tremenda.
Sento freddo ed il viso in fiamme, molte le parole che si affacciano alla mia mente, troppe tante per darne un significato:
Maurizio
Mamma ti prego
Marco e Luca e nonna
Giada bella e bionda
Giada incinta
Giada moglie e madre
La compagna di Maurizio

Ore otto e trenta, è da mezz'ora che vago tra le vie attorno a quell'arco ormai illuminato dal sole mattutino, le luci dei lampioni e addobbi sono spenti, automobili che passando schizzando neve sporca sui marciapiedi incuranti delle persone. Ed io? Mi sono fermato davanti a Porta Romana a mezz'ora dall'appuntamento, mi volto verso il posto ora vuoto, dove aveva parcheggiato Giada e non so che fare.
Un clacson mi fa sobbalzare ed attraverso la strada dove ci sono le fermate dei tram, molte persone sono in attesa da entrambe le pensiline ma non vedo le loro facce, non riesco a vederle, solo quella di Maurizio è nella mia mente, guardo l'orologio, ore otto e quaranta, uno sferragliare sui binari mi sveglia dal torpore dei pensieri cattivi, mentre un leggero vento gelido passa sul mio volto.

"Porta Romana Bella...
Porta Romana...
Seduti in fondo là
senza guardare
quel giorno che mi hai detto
adesso basta,
io zitto preferivo non sentire
ma tu hai insistito,
no sul serio basta,
come fosse facile capire...
Porta Romana Bella...
Porta Romana..."

Il tram numero 9 mi sta portando lontano da quell'arco antico ormai scomparso tra i palazzi, mi sta portando lontano dall'appuntamento, lontano da Maurizio, lontano dalle sue cose nascoste, lontano da Giada bambini e nonna... Lontano da ciò che avrei voluto.
Alzo gli occhi verso i finestrini, come sono assurdi gli addobbi, le luci, i colori del Natale imminente, com'è assurdo e logico festeggiare otto settimane di amore scappando via da quello che non avrò mai.
Cielo azzurro, freddo pungente e tanti sorrisi in giro, alberi a festa, vetrine piene di regali...

Addio per sempre Porta Romana Bella

Giampaolo Daccò





mercoledì 8 novembre 2017

L'UOMO DEI MIEI SOGNI




"L'UOMO DEI MIEI SOGNI"

Il mio nome? Potrei dire di chiamarmi Laura o Silvia... Oppure Nicole o magari anche Marta, che importanza ha?
A volte un nome non vuol dire niente, spesso confuso con qualche altro. 
Per quanto mi riguarda ciò che contano sono i sentimenti dell'anima, del cuore che spesso per alcune persone non valgono niente, conta solo il proprio egoismo.
Dio che freddo in questo tardo pomeriggio così buio, qui la nebbia sta scendendo troppo velocemente, quasi non vedo le insegne nei negozi di fronte.
Chi sto aspettando?
Potrebbe trattarsi di Luca o di Marco, magari di un tipo di nome Stefano ma che importanza ha? 
No ha importanza, questo si, aspetto Alberto, un uomo dal viso simpatico, bello con quel fare un po' da canaglia, un uomo che ho conosciuto qualche tempo fa in un locale presentatomi da alcuni colleghi d'ufficio.
Alto, moro con occhi verdi, l'ideale per una sognatrice come me anche se cerco di tenere i piedi per terra... 
Dopo varie telefonate, scambi di messaggi, qualche caffè e chiacchiera avvenuta in alcuni bar del centro, finalmente mi aveva chiesto un appuntamento più serio: aperitivo e cena.
Quanta gente e quanti tram stanno passando... Che sciocca è l'ora di punta visto il passaggio di auto nel viale alberato, meglio guardare l'ora.
Diciotto e trenta ed io accidenti, sempre in anticipo di mezz'ora ed il freddo intanto sta salendo sempre di più.
Stupida, stupida e stupida, è una donna che si fa aspettare non l'uomo ma la fretta di uscire dal lavoro e precipitarmi nel posto dell'appuntamento ora mi fa sentire come un'ingenua liceale al primo incontro.
Ma si guardiamo quelle vetrine di abiti e scarpe, magari anche quella di cosmetici tanto belli quanto carissimi.

(Tram, automobili, biciclette, motocicli passano veloci sfrecciando sul viale alberato. Persone che camminano sui marciapiedi umidi dalla bruma, mentre i negozi sono pieni di persone alla ricerca di qualcosa di buono o di bello o di utile... Intanto il tempo passa veloce, un suono di clacson fa sobbalzare la donna davanti all'ennesima vetrina).
Quanto tempo è passato? Accidenti mi sono persa dietro a tutti questi negozi e... Dio mio le diciannove, lui sarà arrivato alla fermata del tram...
Eccomi qui sotto la pensilina tra volti sconosciuti nella nebbia ma lui non c'è, aspetterò ancora, probabile qualche ritardo dei mezzi specialmente quando c'è molto traffico.

- Diciannove e dieci.
- Diciannove e venti.
- Diciannove e trenta.
- Diciannove e trentacinque.

(Lei ora è seduta, sola sulla panchina della fermata sotto la pensilina mentre l'umidità della nebbia si fa sentire più pungente. I lunghi capelli biondi scendono fin sotto le spalle nascondendo quasi il volto chino a guardare il cellulare in mano, in attesa di un messaggio dopo averne mandati lei, almeno tre...
Luci, macchine ed alberi offuscati dal grigiore che li circonda, il tram sferragliando svolta a sinistra verso l'altra parte del centro, lei in piedi davanti al finestrino in fondo al mezzo, guarda il paesaggio cittadino sfilare sotto i suoi occhi verdi. Non vuole piangere ora no, lo farà più avanti... Forse. Riprende in mano il cellulare e guarda il messaggio arrivatole quando ormai stava per andarsene dal luogo dell'appuntamento.)

"Mi dispiace Cecilia, non posso venire... Anzi preferisco che non ci si veda più, io non te l'ho mai detto ma... Sono sposato e.."
(Si è fermata nuovamente alla congiunzione della frase e come prima quando lo aveva letto, non è più riuscita andare oltre. Le era bastato solo quello, salendo sul tram preso quasi al volo dopo l'arrivo del messaggio e nonostante i molti posti vuoti a sedere, era rimasta in piedi come una bambola, senza pensieri, mentre il tram la stava portando verso casa)
Stupida, stupida stupida... 
Avevo creduto ancora in qualcosa, in qualcuno che potesse darmi almeno affetto, amore, passione ed ora... 
Eccomi di nuovo qui come quella sciocca liceale, la quale ero tempo fa, emozionata e fremente come al primo appuntamento...
Appuntamento con un vigliacco sposato incapace di essere se stesso, fingendo bene un personaggio interessante e simpatico.

(Stringe il labbro piena di rabbia e dolore mentre il tram si blocca alla sua fermata, Cecilia scende ed in fretta prende la via deve abita lasciandosi alle spalle Alberto, il tram e quella nebbia che cela i colori e le luci di una città che offre molto e ti toglie tanto. 
Prima di aprire il portone guarda nuovamente il messaggio di lui sul cellulare e con un gesto lento del dito, preme il tasto cancellandolo senza averlo letto completamente fermatasi ancora a quella congiunzione. 
Il portone si chiude alle sue spalle, domani sarà un altro mattino.)


Giampaolo Daccò

venerdì 3 novembre 2017

SOTTO LA PIOGGIA... FINE DI UN AMORE



SOTTO LA PIOGGIA... FINE DI UN AMORE

Milano, Dicembre 1978

La pioggia battente, scendeva come cascate attorno a noi fermi in auto, in un parcheggio di fianco a dei giardini, passanti velocemente allungavano il passo verso una fermata della metropolitana poco più avanti.
Osservavo le luci abbaglianti delle auto che sfrecciavano accanto a noi, le ruote spruzzavano acqua sporca dalla strada sui marciapiedi a fianco.
Ascoltavo una canzone alla radio "Prendila così" di Lucio Battisti, sembrava che le parole della canzone stessero raccontando quello che stavamo vivendo in quel momento. 
Davanti a noi un'altra vettura e dentro una coppia.
Eravamo fermi dietro a questa ed aspettavamo Luigi che si trovava su quell'auto insieme ad una figura dai capelli lunghi e biondi, la macchina della donna con cui usciva già da un paio di anni. 
Quella sera, dopo travagliati giorni di discussioni, avevano deciso di lasciarsi mentre, ironia della sorte, nella nostra macchina attendavamo che lui ci raggiungesse, dalla radio irruppe questa canzone: stessa storia, stesse parole: il loro amore.
Gli altri due amici seduti dietro, stavano parlando di sport mentre io guardavo quelle teste nell'auto davanti che si muovevano e gesticolavano, probabilmente. discutevano sulla decisione di porre fine fine della loro storia. 
Un colpo di clacson di un autobus che passava a fianco, mi aveva quasi fatto spaventare ed in quell'attimo Luigi era sceso dall'altra macchina quasi sbattendo la portiera e velocemente era entrato nella sua mettendosi al posto di guida.
Fradicio ed arrabbiato, le gocce d'acqua scendevano sul volto ma forse erano lacrime. 
Noi tre ci eravamo subito zittiti, aspettavamo una sua parola, ne i due dietro ne io volevamo iniziare qualcosa che forse poteva dargli fastidio.
L'altra macchina in pochi secondi era scomparsa con una sgommata rabbiosa, dietro ad una via laterale, guardavo il viso di Luigi era viso pallido e tirato, il silenzio caduto tra di noi era quasi imbarazzante.
"E' finita davvero questa volta." aveva detto guardando la pioggia battente che cadeva sul vetro... 
Lo avevo osservato con la coda degli occhi, i suoi erano lucidi di pianto, la sua voce era roca, spezzata dal dolore e non convinta di ciò che stava dicendo a noi.
"Penso proprio che non poteva andare avanti così ancora per molto...Troppe differenze...". 
"Già..." gli risposi poco convinto anche io.
Ventitré anni lui e trentotto lei con due figli adolescenti... 
Ovvio che non poteva durare. 
Aveva messo in moto la sua auto, mi aspettavo un gesto rabbioso ed invece con attenzione era uscito dal parcheggio e piano aveva guidato l'auto fino alle vie periferiche della città.
Mentre eravamo quasi vicino all'autostrada, immersi nelle luci arancioni e fioche dall'umidità che saliva dall'asfalto, la pioggia aveva quasi smesso di cadere dal cielo solo Luigi ed io eravamo rimasti in silenzio.
Marco e Massimo dietro di noi, avevano iniziato a parlare fittamente e sottovoce nuovamente di sport non appena avevamo lasciato alle spalle Piazzale Corvetto. 
Luigi pur attento alla strada sembrava assorto e pallido, col viso teso ed immerso nel suo dolore, nei suoi pensieri. 
Guardavo i rigagnoli umidi scendere dal finestrino di lato, intanto una nebbiolina stava salendo sempre di più attorno a noi nel buio dell'autostrada mentre la mia mente ripensava alla sua storia che, in un certo senso, l'avevo vissuta fin dall'inizio, quando con Luigi eravamo entrati in quella galleria d'arte del centro di Milano ed avevamo conosciuto lei e una sua amica pittrice, mentre commentavano un'opera di un artista famoso.
Era iniziata poi una storia, una storia così uguale a tante altre destinate a finire non per mancanza d'amore ma, quasi sempre, per non rischiare di rompere quell'equilibrio ipocrita che gli altri pretendono da noi oppure per vigliaccheria e paura di dare una svolta alla propria vita cercando un'altra felicità.
Ma anche per un senso del dovere inutile e dannoso e peggio ancora, perché i troppi anni di diversità avrebbero causato malelingue e dita puntate contro e questo non era una cosa bella vista dagli altri.
Ma che importa il giudizio degli altri? Prendersi una responsabilità così grande ci vuole coraggio a costo di perdere i propri figli, il rispetto dei genitori e parenti, a costo di trovarsi soli ed affrontare ogni conseguenza, ma per amore si dovrebbe fare...
Ma quanti ne hanno il coraggio?
Non importa quanto si potrà soffrire ma non si deve "farlo", soprattutto per gli altri... Che tristezza infinita.
La nostra auto uscendo dal casello dell'autostrada si era immersa nella campagna nebbiosa tra le luci bianche delle auto che ci venivano incontro e dei lampioni quasi trasformati come alti e grigiastri fantasmi dalla bruma e dal buio. 
Luigi con i suoi pensieri  pieni di dolore ed amore, era deciso a cambiare pagina.

Giampaolo Daccò.

sabato 28 ottobre 2017

FRANCESCA PER SEMPRE









FRANCESCA PER SEMPRE

28.10...
Eri bellissima a tutte le età.
Eri una piccola pulce.
Eri la mia compagna di giochi.
Eri la mia confidente.
Eri una ragazza sensibile.
Eri la mia sorellina.
Sei andata via proprio oggi anni fa.
Un viaggio senza ritorno.
Eppure sento che sei ancora con me.
Ti ho amata quando ti ho vista nascere.
Ti ho amata quando ti vedevo crescere.
Ti ho amata con dolore
il giorno in cui sei andata via
e sono stato il primo tra tutti a vederti,
quanto eri uscita da quella bianca stanza.
Oggi nel tuo anniversario
è accaduta una cosa che mi ha fatto star bene,
so che sei stata tu a farlo
altrimenti avrei passato un giorno triste.
Grazie tesoro mio
oggi davvero è cambiato qualcosa,
qualcosa di importante.

Il tuo fratellone
Giampaolo

.
   

   

venerdì 20 ottobre 2017

UN SOGNO LUNGO UNA VITA



UN SOGNO LUNGO UNA VITA

Non è facile raccontare la storia di due persone, di una vita differente, di qualcuno che faceva parte della tua famiglia a cui eri legato da vero affetto. Qualcuno che aveva vissuto anni bui, tristi, pieni di odio e rabbia verso qualcosa che non poteva essere (allora ma anche oggi) accettato. 
Nella famiglia di mamma era diventata una cosa "normale", le donne che rappresentavano la maggioranza, donne vere, che hanno sempre lavorato e vissuto in mancanza di uomini scomparsi troppo presto, non avevano nessun problema a considerare un "diverso", uguale a ogni altra persona, anzi difendevano a spada tratta soprusi e cattiverie.
Valerio e Claudio (li chiamerò così in rispetto alla loro memoria e per ciò che erano stati allora e che avevo conosciuto fin da bambino come i due zii un poco strampalati, ma affettuosi e simpatici), avevano vissuto vite diverse, uno vicino alle sue cugine, la mia nonna e prozia e l'altro a Milano ma, tutt'e due, fatte di dolore, di vergogna della famiglia, di botte da altri uomini per essere "diversi".
Valerio non aveva mai fatto mistero della sua omosessualità, in un paese così bigotto, pieno di pregiudizi cattolici ma il suo lavoro a Milano lo aveva, in un certo senso, salvato dalla "morte" fisica e psichica, nessuno può immaginare come sia e cosa sia la cattiveria umana verso le minoranze se non ha mai provato sulla propria pelle.
I due si erano conosciuti grazie alla sorella di mamma nel lontano 1957, erano giovani, belli e si innamorarono. Quando facevano visita a nonna e mamma, io li chiamavo zii e le due donne mi avevano spiegato cosa voleva dire l'amore indipendentemente che fossero uomini e donne.
Ero un bambino abbastanza intelligente per non aver capito di cosa si trattava e da allora tutto per me era stato normale.
Zio Vale mi regalava cioccolatini quando arrivava raramente da noi e quando con la mia zia Domenica, Maddalena ed altre amiche milanesi facevano vacanze al mare, mi portavano regalini di ogni tipo e le loro foto erano talmente buffe che mi facevano morire dalle risate.
Mi addolorava il fatto che mio padre ed i suoi amici li definivano in un modo cattivo e non capivo il perché fossero così spietati tra le arrabbiature di mamma e le frasi di papà quando diceva: "Non crescermi così perché ti caccio via... Meglio un ladro in casa che un c......e!"
Orribile.
A pensarci ora che tristezza, mentalità che non superavano pregiudizi ed ignoranza e si perpetuava tra padri, figli e nipoti maschilisti senza un minino di comprensione e rispetto.
Zio Vale e Claudio negli anni settanta andarono a convivere in un'altra grande città, dove finalmente avevano trovato più serenità al loro amore, gli anni passarono velocemente.
Claudio se n'era andato nel 2004 lasciando solo e disperato zio Vale dopo trentasette anni vissuti insieme, che tristezza, mi aveva colpito una frase che disse lo zio al ritorno dal camposanto.
"Il peggio è per chi rimane..."
Questa parole mi erano rimaste per molto tempo nella mente, quanto aveva ragione, lui sperava di raggiungerlo presto, un amore come il loro non poteva finire così.
Valerio era rimasto a vivere con una nipote di Claudio che lo aveva assistito fino alla sua partenza verso Claudio proprio pochi mesi fa ad ottantotto anni, 13 anni dopo senza il suo Claudio che aveva rimpianto per tutti quegli anni e che con lui ora, saranno nuovamente felici.
Perché ho voluto scrivere questa storia? 
Ho voluto, anzi dovuto farlo e non sono per il loro ricordo, per combattere nel 2017 ancora pregiudizi, perché l'amore non ha età e sesso, ma è stato un episodio triste a cui ho assistito ieri sera:
Due ragazzi per mano, due facce pulite, due giovani vestiti in jeans e giubbotto che passeggiavano in una via laterale alla mia e tre stupidi uomini che li avevano apostrofati: "Finocchi di m....a, andate a fare le porcate da un'altra parte..."
I due avevano affrettato il passo senza lasciarsi la mano e senza rinunciare al loro momento, al loro gesto affettuoso mentre gli altri vigliaccamente dalla loro auto, continuavano con epiteti terribili.
Mi erano tornati in mente zio Vale e Claudio che decenni prima avevano subito anche di peggio chiedendomi, come può l'essere umano non evolversi mentalmente? Come può un individuo insultare volgarmente un altro simile solo per il fatto di essere gay?
Tutti buoni e bravi a gridare uguaglianza, siamo tutti fratelli, siamo i figli di Dio, libertà per l'essere umano e poi?
Poi vedi violenze fisiche e verbali verso omosessuali, donne, anziani e tanto altro... 
Mi chiederò sempre quando verrà il giorno in cui davvero si capirà che le differenze e le barriere sono state create da noi stessi, da stupidi pregiudizi e ignoranza e soprattutto dalla paura.
Non succederà mai oppure forse, qualcosa cambierà?
Intanto rivedo i volti sorridenti di zio Vale e Claudio abbracciati in un foto con alle spalle uno splendido mare blu, indifferenti dalle brutture ma pieni d'amore l'uno per l'altro.

Giampaolo Daccò.

mercoledì 11 ottobre 2017

MAGICO SOTTOBOSCO



MAGICO SOTTOBOSCO

Autunno, una vacanza tra le colline ed i boschi... Tanto tempo fa.

Una lunga passeggiata, come tutte le mattine da quando avevo preso quella vacanza autunnale da un lavoro precario, mi aveva portato verso un bosco che ancora non avevo esplorato, verso quella macchia giallo-bruno-rossa che dalla finestra dell'albergo in cui ero ospite, mi aveva attratto subito da primo momento.
Non sapevo il perché della decisione di aver preso dieci giorni di ferie per visitare un posto poco conosciuto, come se lì, qualcosa o qualcuno mi stava aspettando.

L'istinto delle mie capacità esoteriche? Solo una scelta per un riposo assoluto?
Così dopo un'abbondante colazione, avevo intrapreso la via verso quella macchia, verso quel misterioso luogo. Con grande sorpresa, la strada proseguiva come un magico percorso coperto da foglie colorate in mezzo a alberi prima piccoli, poi più mi stavo addentrando, questi diventavano sempre più alti e profumati di resina.

Non faceva molto freddo, la mia leggera giacca a vento azzurra strideva tra quei colori dorati ma il passo mio rallentava ad ogni metro, non avevo voglia di correre ma di assaporare quella magica atmosfera incredibile, fatta di luci soffuse quasi rosate che penetravano tra le fronde quasi spoglie, fatta di colori uguali ad un dipinto di Monet, fatta di rumori della natura: cinguettii, fruscii, gorgoglii di piccoli rii nascosti chissà dove.
Ero talmente preso da tutto questo che dentro di me sembrava uscire una musica, quasi la sentivo nelle mie orecchie tanto la mia mente l'aveva creata. Mi ritrovai così a cantarla a voce alta e tutto allora si era come fermato.
Dopo qualche metro avevo capito che qualcosa di strano stava per accadere: avevo avvertito un silenzio,  delle luci d'oro davanti a me, un profumo strano, tutto questi mi aveva circondato come per un incanto.
Dentro nel mio animo era vacillata la mia sensazione di sicurezza, quando avevo udito dei leggeri scalpitii che provenivano davanti a me. 
Istintivamente mi ero nascosto dietro ad un grande albero dal tronco scuro con i rami pieni di foglie color ocra, celato osservavo la strada di fronte a me che poco più avanti scendeva sparendo alla vista.
Era stata una grande emozione quando prima apparvero delle corna maestose, poi lui un grande cervo dagli occhi scrutanti e a seguito una femmina e tre cerbiatti di una bellezza incredibile. 
Avevo trattenuto il fiato per l'emozione e per non farmi sentire ma, il loro olfatto li aveva fatti voltare verso l'albero che mi nascondeva.
L'odore umano era molto forte per loro, in quell'istante avevo preso una decisione incosciente forse pericolosa e mi ero mostrato loro quasi immobile in messo al sentiero.
L'aria si era fermata, la luce dorata incorniciava quelle magnifiche bestie ferme ad osservarmi, non so chi aveva fatto il primo passo, ma mi ero reso conto che sia il maschio che io, ci stavamo avvicinando pericolosamente verso entrambi.
La femmina ed i tre piccoli, erano immobili in fondo alla strada, confesso che avevo paura e non capivo perché quello strano e magnifico animale si stava avvicinando a me.
Guardando il suo muso ed i suoi occhi neri e penetranti che si facevano più vicini, mi era passata nella mente una visione di un'isola circondata da una bruma azzurra, una barca e un vestito bianco che probabilmente indossavo chissà quanti secoli fa.
Eravamo a circa dieci metri l'uno dall'altro quando una piccola lepre bianco grigia si era messa tra noi fermandosi a metà percorso. Era arrivata all'improvviso e si era bloccata in mezzo al sentiero coperto di foglie, la testa era rivolta verso il grande cervo e in un attimo o forse dopo un secolo, la grande bestia si era girata e corse verso la sua famiglia scomparendo dopo la strada.
Lei, la lepre, stava ferma lì in mezzo alla strada, poi come un colpo di vento era fuggita nella boscaglia e in pochi istanti tutta la vita del sottobosco riprese a "cantare" come prima, nel momento in cui ero entrato in quella fitta macchia.
Durante il ritorno, ormai uscito da quel meraviglioso posto, mi chiedevo cos'era successo, sentivo ancora la canzone dentro di me mentre il mio albergo e le case del paese erano sempre più vicine.
Mii ero soffermato vicino ad una staccionata e mi appoggiai rivolgendomi verso quel bosco, il sole era alto e quel luogo era diventato un grande punto colorato ma non vedevo più la luce magica che c'era all'interno.
Rivedevo quelle stupende bestie, l'atmosfera ed il silenzio che aveva preceduto la loro presenza, l'immagine di quell'isola e la piccola lepre, avevo pensato di aver vissuto una magia, una piccola avventura strana che se fosse andata avanti, mi avrebbe portato chissà dove.
Avevo sorriso a me stesso e fischiettando la canzone che avevo nella mente, avevo ripreso la strada che portava all'albergo con un animo più leggero ed allegro.

Giampaolo Daccò

martedì 3 ottobre 2017

ACQUA MAGICA



ACQUA MAGICA

Estate,
un tramonto infuocato era stagliato davanti a noi con una Luna, la nostra Dea Madre, nel mezzo cielo blu verso oriente.
Nonna ed io eravamo tornati da poco dai campi colorati vicino al fiume con la borsa di canapa piena di fiori, erbe e radici...
La mia nonna la "strega buona", quella che mi aveva lasciato la pesante eredità del "segno".
Non era passato tanto tempo da quando mi aveva insegnato ad usare, lavorare e creare con le erbe, profumi e pozioni "magiche".
Ma mancava ancora qualcosa al suo insegnamento: l'Acqua. L'elemento da cui nasciamo, l'elemento della nostra Dea Madre, la fonte di vita, quella che ci nutre e purifica.
Nonna aveva guardato la Luna dalla porta dell'entrata verso il cortile, dopo averla chiusa dolcemente, mi aveva guardato dicendomi: "E' ora..."
Mi aveva condotto in cucina, ci eravamo avvicinati al lavello situato sotto la finestra con le inferriate che dava verso ovest, verso il tramonto, verso il fiume ed i campi.
Mi aveva sorriso dolcemente e i suoi occhi neri brillavano in quella luce rossa, i suoi capelli scurissimi e cotonati avevano bagliori di carminio sulle ciocche raccolte.
Aveva posto una bacinella di rame sul tavolino accanto e ne aveva versato dentro dell'acqua fredda da un vaso rotondo di cristallo.
"Paolo, conta molto il non usare oggetti quadrati o comunque con angoli, vedi?... Il cerchio, la sfera amalgama bene gli elementi, non ti sei accorto che nell'acqua c'era del sale e delle gocce di arnica? La bacinella di rame è rotonda anch'essa?" annuivo affascinato dalle mosse di lei.
"Fai quello che faccio io ora visto che abbiamo posato le erbe, le radici e le foglie nei loro vasetti, nome per nome. Ecco..."
Aveva posato le palme delle mani sopra l'acqua, formulando brevi parole che mi aveva insegnato e poi le aveva immerse fino a toccare il fondo e lentamente crescendo con il movimento, le aveva fatte ruotare in senso orario e poi anti orario.
"Ora fallo anche tu, lentamente e dolcemente... Lei ha bisogno di questo..." aveva continuato tenendole immerse per un breve periodo e non appena le aveva tolte dal recipiente, aveva girato le sue mani con le palme all'insù verso il sole quasi tramontato.
"Tutto questo serve per liberare l'energia cattiva accumulata durante il giorno, a scuola, sul lavoro e in altre momenti della giornata e va sempre fatta prima ci cena o preferibilmente prima di coricarsi a letto. Le si tiene immerse per un poco, almeno cinque minuti formulando le parole che ti avevo insegnato e le palme delle mani devono rimanere aperte fino a toccare il fondo. Intanto devi pensare con la tua mente alle cose brutte della giornata e farle perdere dentro quest'acqua magica... Visto?"
Sapevo che non era solo una purificazione ma una preparazione per l'arte esoterica che già, era inculcata dentro di me fin da quando ero venuto al mondo. Era un'iniziazione alle arti esoteriche notturne.
Più tardi, dopo cena mentre nonna parlava con mamma e zia, mi ero seduto vicino alla finestra dove avevamo fatto quel rituale, il tramonto aveva lasciato posto alla notte stellata e la mezza falce bianca della Dea Madre era là, sopra di me, sopra il mio sguardo.
Ero sereno quasi felice, Lei aveva visto tutto e quasi sentivo le maree lunari dentro di me anche se ancora non ne avevo preso coscienza ma... L'astro argenteo in alto mi "proteggeva" con la sua luce riflessa e l'energia femminile che ne scaturiva avvolgendo la nostra Terra.
Avevo sorriso alla Luna come un folletto dispettoso appoggiando la testa sul braccio e subito la mia mente, aveva preso la strada della fantasia.

Giampaolo Daccò


mercoledì 20 settembre 2017

PRIGIONIERO DEL MONDO



PRIGIONIERO DEL MONDO

Avere voglia di scappare, di fuggire lontano da tutto. Lontano da tutte le brutture, le ipocrisie, le falsità e dai giochi di potere, di odio, di gelosia.
Avere voglia di andarsene per lontane terre isolate, dove raramente si incontra anima viva se non nativi che nulla sanno di ciò che succede sulla nostra terra.
Voler vedere l'incanto dell'alba rosa sugli oceani, la luce abbacinante del sole allo zenit tra rocce aride di deserti infuocati, il tramonto che cala dietro ad alti monti innevati che tinge il cielo  di malinconici colori.
Godere della luna bianca in cielo tra mille astri d'argento disteso su sabbie azzurre mentre le onde del mare cullano i miei sogni e contare quante stelle cadenti solcano il cielo della notte scura.
Assaporare l'atmosfera della nebbia in prati bruni d'inverno, sentire profumi di fiori tra campi adagiati ai piedi di colline in primavere tiepide.
Sentire il vento caldo dell'estate sulla pelle mentre navighi solitario su una barca di legno chiaro mentre all'orizzonte si stagliano isole incantate, gustare la polpa dell'uva tra vigneti dai mille colori mentre tra le colline incalza il rosso dell'autunno.
Vorrei...
Vorrei fare tutto questo, vorrei sentirmi libero di essere ciò che sono ma...
Ci sei tu accanto a me, non potrei farlo se ti lasciassi per vivere questa fantasiosa ed egoistica libertà, mai potrei stare senza te al mio fianco, tu mia splendida luce, anche nei lunghi momenti di buio.
Io resterò qui accanto a te, prigioniero di questo  mondo.
Prigioniero di un mondo che spesso impedisce di volare dove si vorrebbe, ostacola di vivere lontano da tutte le finzioni e i ruoli affidatici dal destino, dalle altre persone e da noi stessi.
Ma accanto a te è e sarà più facile proseguire questo cammino fatto di insidie e di giochi nascosti, un cammino che ci vede tutti i giorni prigionieri, prigionieri tranne che il nostro cuore e la nostra mente.
Vicino a te sarò sempre felice e prigioniero di questo mondo.

Giampaolo D.


venerdì 15 settembre 2017

MY PICS: A "photographer" who wants to be a photographer


History of an image/Storia di un'immagine

Alba metropolitana

Alba grigia

Tramonto rosa di Luna calante

Strada di neve

Spirali d'asfalto

Il riposo del Sole

Primavera rustica

Inverno nostalgico

Verdestate

Favola d'autunno

Sogno d'argento

Porto sicuro

Un angolo verde

L'arrivo

Blu metropolitano

Maestosa immensità

martedì 12 settembre 2017

PRIMA DELL'AUTUNNO




Alessandria, 12 settembre 2017

PRIMA DELL'AUTUNNO

Non è ancora arrivata
la bruna leggera
dell'autunno imminente.


Non ancora sono
cadute le foglie
rosse e gialle secche,


Eppure nell'aria
un profumo intenso
d'autunno pervade.


Alberi che presto
diventeranno come
ombre grigie malinconiche.


Tappeti colorati
saranno le stade
umide e scure.


Il vento pungente
il cielo sfregiato
di pallido grigio.


Tutto sarà intorno
a noi persone frettolose
pochi si accorgeranno.


Pochi vedranno
tutta la bellezza
che ci circonda.


Presto l'autunno
tornerà come
emigrano le rondini.


Il verde farà posto
ai colori accesi
dell'ombrosa oscurità.


Ed il tempo inclemente
percorrerà la sua strada
come sempre.


Giampaolo Daccò 
(photo GP Daccò)