martedì 30 ottobre 2018

UNA STORIA VERA... UNA STORIA "D'AMORE"




"UNA VERA STORIA...
UNA STORIA D'AMORE"

Era un maggio di tanti anni fa, avevo 9 anni e per la mia salute, il dottore aveva consigliato ai miei di portarmi al mare in una stagione ne troppo calda ne fredda.
Nonna si era offerta ad accompagnarmi per quel mese fuori stagione, il lavoro dei miei genitori avrebbe impedito loro di seguirmi, avevo finita scuola in anticipo con pieni voti, uno strappo alle regole per ragioni più che evidenti.
Eravamo arrivati ai primi di maggio in quella località sul mare, dove ancora non c'erano i grandi alberghi, le super spiagge attrezzate, feste notturne e musiche assordanti.
Poche sere prima della partenza, avendo visto immagini alla televisione di posti esotici, ricordo che allora avevo pensato di essere arrivato in un posto bello come lo era il Libano o Isreaele allora.
Palme e mare.
Ingenuità e fantasia di bambino? Non saprei dirlo ma per me era così. Il mare era ancora un poco freddo anche se il sole brillava caldissimo nel cielo e qualche tedesco faceva il bagno tra le onde del verde mare.
Eravamo ospiti in una pensione molto carina dove la conduzione famigliare ed il buon cibo ti faceva sembrare di stare da amici.
Nonna con il suo carattere aperto, simile al mio aveva già fatto amicizia, dopo pochi giorni, con molte persone sia tra gli ospiti dell'albergo che i proprietari ed il loro personale.
Ma da quando frequentavamo la spiaggia, lei aveva subito intrapreso amicizia con una famigliola ebraico-araba, ospite anche loro nel nostro hotel.
Non ricordo di guerre se non quella del 1967 di due anni prima tra alcuni paesi medio orientali, ma Laylah e i suoi tre bambini erano in vacanza in quella località, il marito un ingegnere libanese era in tour per alcuni convegni in regioni vicine e lei, la moglie, aveva deciso di stare in vacanza non troppo lontano, con i loro figli.
Nonna mi aveva spiegato che quella signora e suo marito erano arabi ebraici, avevo fatto fatica a capire bene come stavano le cose, ma sinceramente potevano essere degli eschimesi che proprio tutto ciò non mi importava.
Il figlio maggiore di quella bella e giovane signora dagli occhi neri, nel giro
di poco era diventato un fratello per me.
Laylah pensava che nonna, vista la giovane età fosse mia madre così tra loro era nata una bell'amicizia, nonna aveva ancora nel cuore, il dolore di aver perso Helena la sua amica greca e Laylah gliela ricordava pur essendo, come età sua figlia.
Boaz Hamir era il nome del ragazzino, il figlio di Laylah, avevamo la stessa età... 
In principio la nostra amicizia era nata tra piccoli castelli di sabbia umida. Poi arrivarono gli indiani e cow boys, poi ancora estcontro ovest, poi ancora iniziarono i giochi come la dama, le carte, il nascondino.... Fino ad arrivare a noi due.
Seduti per la prima volta in silenzio sulla piccola duna di sabbia, guardavamo il mare e le barche veleggiare su quella distesa illuminata dal sole.
Le nostre famiglie sulla rena sotto gli ombrelloni ci guardavano a vista, da lontano potevano vedere due bambini seduti di spalle con due magliette una gialla e l'altra azzurra, due teste rivolte verso il mare: una era scurissima e riccia e l'altra rossa dai capelli diritti, mentre un vento caldo faceva ondeggiare quelle folte chiome come bandiere.
Boaz mi aveva raccontato della sua casa vicino ad Haifa, di suo padre che viaggiava molto e delle due sorelline piccole che piangevano sempre. Mi aveva raccontato della sua scuola dove c'erano altri bambini italiani ed è per quello che lo parlava un poco.
Amava andare al mare con i suoi nonni e giocare a pallavolo.
Così gli avevo raccontato la mia piccola storia di bambino sognatore, a cui piaceva leggere, disegnare, scrivere e guardare le cartine geografiche. Si era stupito della mia conoscenza di Beirut, Haifa e Tripoli.
All'improvviso mi aveva detto "Vieni".
E presomi per mano e trascinandomi sulla sabbia con alle spalle la voce di nonna che urlava "Non allontanatevi troppo.", eravamo arrivati in pochi secondi vicino ad una specie di baracca in pietra vicino a delle piccole dune di sabbia.
Entrati, ci siamo seduti davanti alla porta aperta, una porta di legno rovinata dal tempo e dipinta di verde, probabilmente un vecchio ripostiglio per pescatori.
"Ti piace il mare a quanto vedo." mi aveva detto guardandomi con quegli occhi neri e profondi, mi avevano fatto effetto, quasi di paura mista a una sensazione di magia. Avevo annuito sorridendo.
"Hai gli occhi dello stesso colore del mare Paulo, hai anche delle cose sul naso e viso sembrano ..."
"Sono lentiggini." gli avevo risposto ridendo, aveva riso anche lui. Poi aveva guardato davanti a se e per la prima volta, non appena aveva ricominciato a parlare, avevo compreso qualcosa che non conoscevo, la paura della guerra.
Mi aveva raccontato dei suoi nonni materni che vivevano in un posto chiamato Palestina, erano fuggiti dopo unaguerra... Mentre descriveva quella terribile storia, i suoi occhierano diventati lucidi.
Io non sapevo che cosa dire, lui continuava a narrare quella avventura, i suoi nonni si erano salvati fuggendo in Libano grazie ad una famiglia inglese, ma la colpa era di tutti come sosteneva suo padre ed ora aveva paura che poteva
essercene un'altra.
La sua mano aveva incontrato la mia, me la strinse forte ed io lo abbracciai. Avevo sentito qualcosa nel cuore, sentivo di doverlo fare, di dover abbracciare quell'amico dalla pelle scura e gli occhi neri.
Le sue braccia si strinsero al mio collo, tremava, mi ero spaventato al fatto di quello che aveva vissuto... Da lontano le voci di sua madre e di nonna ci chiamavano per il ritorno in albergo.
Boaz si era alzato per primo e allungando il braccio mi prese la mano e mi aveva aiutato ad alzarmi, stavamo per uscire dalla baracca, ma lui di scatto si era girato e mi aveva stretto a se forte. Mi era venuto da piangere e non capivo il perché.
"Saremo sempre amici vero?"
"Sempre anche quando saremo lontani."
"Ti darò il mio indirizzo di Haifa così potremo scriverci." avevo annuito.
"Il telefono non so, penso che costi molto chiamarsi ma dovremmo chiederlo ai nostri genitori... Andiamo ora, ma prima una cosa." mi pose le sue labbra sulla guancia "Ti voglio bene amico mio..."
Mi ero toccato il viso in quel punto, nessun bambino mi aveva dato un bacio, solo le bambine della scuola che facevano le smorfiose, avevo sorriso di sorpresa. Per mano avevamo incominciato a correre verso i nostri famigliari.
"Ricordati Paolo, saremo sempre amici, un giorno ti ritroverò."

Son passati cinquant'anni, non ci siamo mai più visti, qualche lettera fino al 1974, un anno terribile per il Libano ed Israele. Non voglio pensare che Boaz e la sua famiglia possano essere state vittime di quella guerra, ancora oggi penso che sia in America o in chissà quale altra parte del mondo con i suoi o con moglie figli... Ricordo quel giorno di quel terribile anno, era stato da quel momento che nessuno aveva mai risposto più alle mie lettere.
Mi piace pensare che da qualche altra parte ci sia Boaz che pensi a me, a quella vacanza in cui ho scoperto per la prima volta l'amore. L'amore che provano i bambini verso un amico con cui in un attimo avevano diviso la loro breve vita.
Un amore pulito ed ingenuo che rimarrà per sempre come una pietra miliare nella propria vita.

Giampoalo Daccò



domenica 21 ottobre 2018

NESSUN COLORE




NESSUN COLORE

Dal passato immagini,
immagini senza colori,
ricordi in bianco e nero,
rivivono nella mente.

Mari, montagne, pianure,
tutto rivisto senza arcobaleno,
come se volti e persone e cose
fossero stampati su pietra.

Strano, allora tutto
era tinto di vivaci colori,
come quadri di Dalì
come opere di Monet.

Eppure voltandosi indietro,
nelle mente le immagini
scorrono in bianco e nero
come vecchi film muti.

Nessuna tristezza infinita,
nessun dolore atroce,
nessun rimpianto ma
solo belli o tristi ricordi.

Un passato come una mostra,
una vetrina di scene e fotografie
che appartengono a una vita,
un'esistenza lontana.

Seppur tua ancor oggi, 
ma questi ricordi rivissuti
sono in bianco e nero...
I colori del passato.

Chiudere la propria mente
a quei pensieri lontani
gli occhi vedono il presente
tinto di colori sgargianti.

Ma anche questo presente, 
domani, tornerà ad essere
un recente passato tinto di
bianco, grigio e nero.

Loro resteranno per sempre
semi di vita senza colore
addormentati nel tuo giardino
fino a che li ridesterai.


Giampaolo Daccò








lunedì 15 ottobre 2018

NEL SILENZIO... IL VENTO


Dedicato a due persone speciali.

NEL SILENZIO... ILVENTO

Un silenzio ovattato portato da leggere folate di un vento freddo d'inverno, la spiaggia davanti ai suoi occhi, grigia come il cielo non lo aiuta a rendere serena quella sua giornata.
Un pomeriggio strano, dove D. aveva preso un permesso da quel posto dove doveva svolgere un lavoro se non pesante, almeno difficile da sopportare.
Si era svegliato presto quel mattino, con l'idea fissa di passeggiare solitario sulla spiaggia del mare poco distante, dopo aver attraversato i binari del treno, mentre la stazione pesarese era piena di frettolosi pendolari.
E' il giorno del suo diciannovesimo compleanno.
Lontano da una famiglia disastrata, lontano dai suoi pochi amici e da una cittaidna ipocrita piena di preconcetti, una scelta la sua di incominciare una nuova vita nonostante la sua igovane età, tanto nessuno lo avrebbe ne cercato ne rimpianto. 
La sabbia umida, i gabbiani nel cielo e poco lontano alcune barche che partono dai loro moli verso quella distesa d'acqua stranamente calma.
Le cabine di legno colorate di un indaco leggero, di una stazione balneare sono vicine e come attratto da qualcosa, D. si avvia verso la loro direzione.
Una panca azzurra riparata dal vento tra il porticato del bar e quella cabina chiusa del bagno sono ora il suo riparo, il suo rifugio, il lato dove può guardare il mare livido lasciandosi cadere una lacrima.
"Buon compleanno D., diciannove anni e sembrano un'eternità."
Mentre pensa a questo si mette il volto tra le mani, sapore amaro di gocce che dai suoi occhi verdi scendono sulle labbra e sulle gote cadendo poi per terra.
Nessun ragazzo così giovane dovrebbe stare solo, nessuno dovrebbe piangere di dolore e di solitudine nel giorno del suo compleanno.
All'improvviso una mano lieve, una dolce carezza arriva silenziosa come il vento, sui suoi capelli.
Nessuno spavento ma subito togliendo le mani dal viso alza lo sguardo verso chi ha fatto improvvisamente quel gesto così tenero.
"Non volevo spaventarti D., vedendoti da lontano ti ho seguito... Sapendo che oggi per te è un giorno particolare, volevo capire il perché ed il come avresti passato questa giornata di permesso visto che qui sei solo e la tua famiglia è lontana. Perdonami ma è stato un mio gesto istintivo prima."
D. guarda quel l'uomo, uno dei suoi datori di lavoro, il più giovane, quello dal sorriso brillante ed il meno dispotico e rigido.
"Grazie signore, non mi sono spaventato ma non mi aspettavo ne lei ne... la sua carezza. Credevo di essere solo." gli risponde con un sorriso strano.
F. guarda quel ragazzo, lo aveva sempre tenuto d'occhio e din considerazione da quando pochi mesi prima era entrato a far parte di quella società di cui lui, era uno dei fondatori.
"Sua moglie non c'è?"
F. sorride: "No è andata dai suoi con i ragazzi, avevano faccende da sbrigare e non ne avevo voglia di sorbirmi mia suocera e le sue lamentele."
D. sorride, quell'uomo dagli occhi penetranti e dai modi di fare decisi era davvero un esempio per lui, D. ha sempre pensato che vita e che percorso abbia avuto F. nella sua vita per diventare a soli trentaquattro anni l'uomo che è ora e come abbia creato quell'importante società, ciò rappresenta nell'ambito sociale.
La suaammiraizone per F. va oltre al semplice rispetto, voglia di arrivare come lui ed invidia bonaria, no era qualcosa di più... Forse. 
alzo lo guardo verso il cielo ed all'improvviso sente tra le mani un oggetto leggero racchiuso in un involucro di velluto sottile.
I suoi occhi guardano ora quel pacchetto tra le sue dita e di scatto si volta verso quell'uomo.
"Buon compleanno ragazzo mio, un piccolo gesto da parte mia. Non si passa una giornata così da soli e senza regali, ti pare?"
"Io... Io non so che dire dott..."
"Nessun dottore o signor in questo momento, sarò  per te sempre d'ora in avanti F., ma solo solo in privato." d'istinto l'uomo accarezza una guancia del giovane.
In un istante una volata fredda di vento scompiglia i capelli di entrambi e si ritrovano abbracciati stretti mente le loro labbra si sfiorano.
"Ed ora?" pensa D. guardando quel giovane uomo negli occhi, quell'uomo le cui guance si sono leggermente arrossite da quell'inaspettato gesto fatto da entrambi.
"Ed ora?"
Da lontano lassù nel cielo, solo i gabbiani possono vedere nuovamente un abbraccio tenero tra i due, chissà cosa stanno dicendosi in quel momento.
Intanto nel silenzio... il vento continua il suo percorso tra la spiaggia ed il mare,  con le sue folate leggere.

Giampaolo D.


giovedì 4 ottobre 2018

GIORNI LONTANI




GIORNI LONTANI

- Ti ridordi quella corsa sul pontile del faro mentre quell'onda gigantesca sta prendendosi tutto lo spazio? -

- Ahahah si, si ma ricordo di essere rimasto senza fiato quando eravamo arrivati sul lato della terra ferma, ero in un bagno di sudore o di acqua di mare? -

- Spiritoso, era un misto. Ricordo che mi piaceva sentire il salmastro sulle labbra e quel profumo dell'oceano che mi sembrava spaventosamente grande. -

- Lo è ancora spaventosamente grande, non vedi? -

- Oh si hai ragione ma è talmente blu e calmo confronto allora che mi da un'altra sensazione... Perché ridi sciocco? -

- Rido perchè lo vediamo con gli occhi da vecchi.... - 

- Vecchio sarai tu John... - 

- Ma se facciamo centosessant'anni in due, Alle... Di un po', tornaresti indietro? -

- Mai, mi piacciono i ricordi. Tornerei solo se potessi rinascere e non come... Volevo dire non ritornare indietro solo di qualche decennio. Vorrei incominciare una vita diversa e tu lo sai bene. -

- Lo so caro amico mio, ma ormai le nostre lune sono tante, forse e chissà se un domani ritorneremo qui o su un altro pianeta, quando partiremo dalla amata terra. -

- Chissà... Guarda John quella vela laggiù, sembra quella che aveva messo Giampaolo a Karuv... Ahahah ma che sto dicendo? Quello era un gioco. -

- Per noi non lo era e neanche per Giampaolo e Stuart forse... Era come fossero miei figli, non so c'era qualcosa in quel gioco che mi faceva stare bene...  Giampaolo e Stuart, stanno bene, mi hanno spedito delle mail l'altro giorno. -

- A chi lo dici John, io ero Alle il vero Alle... Davvero? Salutameli, digli che... Lo zio Alle li pensa sempre anche se sono diventato Matusalemme-

- Cambio discorso altrimenti piango affogato dai ricordi, Giampaolo ora vive in riva al mare così anche Stuart... -

- Stranamente anche noi, a proposito grazie per essere venuto qui a farmi visita, non so quante lune avremo davanti ma è sempre bello incontrare gli amici di una vita, anzi di due vite diverse ahahah. - 

- Hai ragione! Senti Alle facciamo una corsa sul pontile come allora? -

- Ma dai, non ce la farai mai sei troppo vecchio ahahah. -

- Bene camminerò veloce con te come allora ok? -

- Ok caro amico mio... Pronti e via. -

John si alza e afferra la carrozzina dove siede Alle e dove ha passato tutta la sua vita e con una camminata lenta, vanno verso il pontile con il faro di allora, sempre uguale. Verso l'odore del mare, verso il profumo di salsedine e verso ricordi lontani.

Giampaolo Daccò.






domenica 23 settembre 2018

LA RECITA



LA RECITA

L'insegnante volta le spalle alla platea vuota, il suo sguardo è sugli allievi seduti per terra davanti a lui, poi alza leggermente il capo verso lo sfondo nero, chiuso da tendaggi rossi e pesanti.
In silenzio scruta i suoi giovani studenti, uno ad uno negli occhi, sta osservando i loro invisibili gesti delle mani, della bocca, delle posizioni del corpo, rivelando di ognuno, il proprio carattere, la sensazione d'attesa, il sentimento suscitato in quell'istante dai suoi occhi azzurri, quasi magici puntati su di loro.
L'insegnate, alto bello, dai capelli ricci e brizzolati, grande doppiatore, attore e soggettista questa volta sorride loro, nell'aria si respira già un clima più disteso ed i gesti o i segni che gli allievi mostrano ora, sono di rilassamento e di curiosità, mentre sente la sua voce quasi baritonale rimbombare nel teatro vuoto, prossimo per un loro esperimento di recitazione:

"Nella vita la maggior parte delle persone
recita un ruolo, un personaggio.
Un po' come voi che siete qui per imparare
la difficile arte dell'interpretazione
di personaggi teatrali caratterialmente
più o meno particolari.
Ogni essere umano, noi compresi ovviamente,
si sono creati un personaggio
nella propria esistenza
convincendosi che sia reale per tanti motivi
che possono arrivare sia dal subconscio
sia dall'esperienze della propria vita."

Ora lo sguardo dell'insegnante si posa su quello di un ragazzo seduto alla sua destra, un giovane bellissimo dagli occhi verdi, intelligenti e dal ciuffo ribelle, il ragazzo che aveva avuto già plausi durante alcune prove nel corso dell'anno e che, indubbiamente era quello più dotato come attore. Dentro di se, il professore prova un brivido, si è rivisto in quel giovane, se stesso vent'anni prima e per lui era scattata l'attrazione mai esibita verso quegli occhi verdi.
Un piccolo segreto, un'altra recita.

"Chi diventa carnefice o sadico in famiglia,
con il prossimo, con i sottoposti,
chi recita il ruolo della casalinga
vittima sacrificale dei propri cari,
chi si lamenta dei propri malanni
e ammorba il prossimo allontanandolo,
pur sapendo che le sue malattie
sono solo fisime per attirare l'attenzione.
C'è chi si sente maestro di vita
bacchettando chi gli è vicino
con rimproveri saccenti ed inutili,
chi invece assume il ruolo della donna fatale
e molto altro."

Il professore guarda l'allieva biondina seduta accanto ad un giovane barbuto, la ragazza sente un brivido e pensa già che le domanderà qualcosa.
Infatti lui le rivolge lo sguardo e con un sorriso impercettibile le chiede qual'è la sua finzione, se c'è, nella sua giovane vita.

"Professore, io veramente non saprei..."
gli risponde alzandosi in piedi
"Forse... a volte... Io..."

"Forse a volte o sempre?"
chiede lui abbassando gli occhi su un libro appoggiato nel leggio davanti a se.

"Ha ragione professore, ragionando,
per un attimo, ho voluto sempre
fare la dolce e buona bambina,
a volte e lo riconosco quasi melensa
con i miei famigliari, amici,
a scuola e mi sono sentita definire poi:
gatta morta o la biondina timida che invece
nasconde chissà quali segreti.
Ecco forse anzi certamente
questo è il ruolo che reci...
Che ho recitato."

L'insegnante sorride guardando tutti anche immaginando anche se stesso, percepisce quello del giovane dagli occhi verdi.

"Vedete ragazzi, a volte la mancanza di affetto,
una vita solitaria che sia volontaria
o creata dagli altri, poco importa
ma questo è un discorso difficile da affrontare.
Un complesso d'inferiorità nei confronti
degli amici o colleghi,
un difetto fisico più o meno evidente,
possono far si che la nostra mente,
crei un ruolo di difesa
e da qui nasce la nostra recita pubblica
ed il confronto degli altri e partendo da questo
la nostra immagine ed il nostro io
assumono ciò che vorremmo essere."

Brusii di approvazione, lui intanto domanda le stesse cose a vari studenti, ma la sua intenzione è poi di chiedere al ragazzo dagli occhi verdi qual'è il suo ruolo, sente che quel giovane abbia dentro di più di quel che espone verso gli altri, finalmente la domanda di turno arriva allo studente seduto alla sua destra.
Il giovane si alza ed osserva tutti i suoi colleghi che lo fissano incuriositi, Bruno è davvero un bel ragazzo, è diventato un ottimo interprete di vari ruoli affidatigli in questi tre anni di studio.
Alza il volto verso l'insegnante, i suoi occhi di mare incontrano quelli dell'altro, impercettibilmente arrossisce ed il cuore incomincia a battergli più forte.

"Professore potrei dire molte cose,
forse non saprei da che parte cominciare.
Da piccolo ero un bambino chiuso e
come forse pensa lei
recitavo il ruolo dell'incompreso.
Poi col tempo. crescendo, avevo capito
che per me tutto questo era un rifugio,
un riparo da tutto ciò che non mi piaceva.
Dove vivevo allora con la mia famiglia,
le regole di quel paesino di campagna
erano ancora legate ai ruoli tipici dove
il padre era il padre che lavorava
e a cui non si doveva dar fastidio
al suo ritorno perché stanco.
La madre era la regina e schiava della casa,
se non giocavi al pallone eri una femminuccia,
il parroco si intrufolava nelle case di tutti
per conoscere ogni cosa,
i bambini di ceto inferiore dovevano
stare con i propri simili e via dicendo."

L'insegnate sorride di nascosto mettendo la mano davanti alla bocca, ha capito che stava confessando la sua vita ma recitandola in modo quasi drammatico e sofferto, ne era sicuro, lo era sempre stato su quel giovane: sarebbe stato in futuro, un grande attore di successo grazie alle sua capacità interpretative e grazie ai suoi sentimenti interiori vissuti con passione.

"Fino al giorno in cui, dopo il liceo classico
decisi di iscrivermi al vostro corso di recitazione.
Avevo imparato nelle commediole a scuola,
poi nel teatro del paese quando organizzavano
recite o spettacoli d'intrattenimento,
ad assumere vari ruoli, da allora
avevo capito che la mia strada poteva...
(un attimo di silenzio carico di passione)
Anzi no, la mia strada è questa,
era quella che volevo da sempre.
Ecco forse il mio personaggio
che ho creato sin dall'infanzia
quello dell'attore,
attore di vari ruoli di cui uno,
non è ancora uscito dalla mia anima.
Ma so che si tratta di amore...
Sotto ogni forma."

Un applauso dai suoi colleghi, lui si siede arrossendo un poco ma con lo sguardo di nuovo posato sul professore. L'insegnante non lo sta guardando in quel momento, ma qualcosa di magico, un filo invisibile si è creato tra loro ed entrambi ne sono ormai consapevoli.
Bruno ha confessato inconsciamente qualcosa che ancora non lo aveva fatto con se stesso.
L'amore.
L'insegnante ha percepito questo verso di lui, lo sentiva già da tanto tempo, ma non era ancora il momento adatto per le confessioni fino ad oggi.
Provenienti dal suo cuore, pronuncia lentamente ora, le parole gli escono dalla bocca con un tono pacato quasi dolce.

"Non è mai facile guardare dentro se stessi,
far emergere ciò che si è e si prova
ed è per questo, forse,
che recitiamo le nostre parti,
i nostri ruoli adattandoli agli altri
ed alla vita che in teoria viviamo
ma che in pratica non è la nostra.
Accettare i propri limiti,
i propri sentimenti,
spesso ci vuole coraggio,
come pure ci vuol coraggio
accettarne sia le conseguenze,
sia ciò che di bello o brutto ci offrono."

Per un attimo l'insegnante fissa il volto di Bruno e con un sorriso si rivolge poi a tutti i presenti che in quell'attimo, nessuno di loro ha colto quella scia di sentimenti che è balenata tra di loro due.

"Oltre a questo sipario,
oltre ai nostri ruoli personali e di lavoro,
oltre ai "camerini" dove da soli
ci cambiano togliendo varie maschere,
c'è l'uscita, quella che serve per rinunciare
alle parti che ci siamo costruiti.
Dove finalmente con coraggio,
possiamo essere noi stessi.
Basta una corsa fuori dall'ultima
parte del corridoio per ritrovarci
sulla vera strada delle nostre vite,
dove spesso ci aspetta l'amore e tanto altro.
Questo amore poi oltre che dividerlo
con la persona che c'è o ci sarà accanto,
lo si dovrà portare su questi palcoscenici
per farlo vivere agli altri, agli spettatori
che non aspettano nient'altro che questo.
Aprite, apriamo la porta del nostro cuore
e solo così noi saremo veri attori in teatro
e protagonisti della nostra vita.
Bruno ha confessato ciò che tutti noi
dovremmo fare, aprirsi all'amore."

Le stelle viste da quel terrazzo sembrano immense nel blu del cielo, sotto le luci di auto e lampioni della metropoli, disegnano una scacchiera sfavillante, mentre da quell'attico il rumore della città arriva ovattato quasi cullando le persone.
Bruno e l'insegnate sono seduti su un divano tra i fiori del terrazzo della casa di quest'ultimo, uniti con le mani e gli occhi rivolti verso le stelle.
Finalmente la recita di oggi è finita e quel sentimento importante che è l'Amore è uscito dai loro cuori.

Giampaolo Daccò













martedì 4 settembre 2018

DI FRONTE AI MIEI OCCHI



UNA SCATOLA CINESE

Milano, settembre 2018.

Un'aria fresca che entrava dalle mie finestre, mi aveva fatto crescere la voglia di andare sul terrazzino del tetto nel palazzo dove vivo, per assaporare queste folate che da tempo, in questa passata estate calda, aveva impedito di godere di frescure, chiusi nelle nostre case o ambienti di lavoro con aria condizionata accesa per non morire di caldo.

Davanti a me una distesa infinita di palazzi, di grattacieli e di case, mattoni, marmi, cemento e finalmente anche alberi del grande giardino vicino, Tutto mi dava una sensazione di spazio infinito all'orizzonte. Un tardo pomeriggio ancora chiaro, dove al mattino era appena passato un leggero temporale, dove ancora la luce del sole illuminava i tetti bagnati mentre nuvole bianche correvano veloci verso nord, in direzione dei laghi.

Mi ero appoggiato al muretto, osservavo aerei nel cielo, le montagne azzurre così vicine dietro ai palazzi che quasi potevo toccarle, avevo chiuso gli occhi e fatto un respiro profondo, l'aria era pulita, senza umidità e smog, La sentivo entrare in me come una cascata d'acqua fresca, poi ad un rombo sordo in strada avevo aperto gli occhi.

Che strano, mi ero accorto in quell'istante di un palazzo alto e chiaro in direzione di Corso Buenos Aires, un palazzo visto migliaia di volte ma mai da quell' altezza. Al piano parallelo in direzione del mio sguardo c'era un lungo terrazzo e una vetrata aperta dove svolazzavano fuori delle tende bianche. Piccole per la lontanza, da sembrare ritagli si carta velina simili ad un piccolo ritaglio di mosaico.

Non so perchè, la mia fantasia era galoppata fino in quella casa mai vista ma immaginandola  nella mente: un ragazzo con la chitarra stava suonando un melodia mentre con gli occhi guardava lo spartito. Impaziente mentre sbagliava un accordo, imprecava contro i suoi errori. Capelli scompigliati, camicia a quadri e jeans sbiaditi, seduto su quella sedia di legno mentre di nuovo, ricominciava a strimpellare il suo strumento.

Una donna, forse la madre, gli veva portato da bere uscendo poi dalla sua camera arruffandogli i capelli, lui dopo l'ennesimo errore, aveva poggiato la chitarra ad una poltrona, imprecando nuovamente qualcosa, si era alzato mettendosi le mani prima in faccia e poi strofinando i ricci capelli scuri. La sua voglia di una boccata d'aria lo aveva spinto verso il terrazzo, appoggiandosi alla ringhiera.

All'improvviso si accorge che davanti a lui, da lontano c'era un palazzo alto dipinto di bianco ed una finestra grande circondata da edera che ne delineava il contorno, la sua mente aveva incominciato a vagare su quel punto: una giovane mamma stava allatando il suo piccolo neonato mentre altri due bambini più grandi le girvano attorno correndo mentre un'altra donna, forse la nonna cercava di fermali...

Dieci minuti più tardi è la stessa mamma ad affacciarsi alla finestra ed il suo sguardo fissava un punto più lontano, un grattacielo nuovo, pieno di piante verdi e senza vederli, aveva immaginato una giovane coppia di fidanzati abbracciati vicino ad un vaso di fiori rossi, contemplavano il panorama ai loro occhi, forse quella sarà la loro nuova casa non appena si saranno sposati, pensa la giovane mamma sorridendo e pensando al suo breve passato dal giorno del suo matrimonio.

Poco dopo il fidanzato, mentre la sua ragazza in casa parlava con un architetto, osserva da quel verde terrazzo tutta Milano, illminata dal sole che scendeva piano all'orizzonte, poco sotto di lui un palazzo di uffici, tante vetrate e camere illuminate da neon e piene di scrivanie, sedie e computer e con la mente vede poi quell'uomo dai capelli grigi che leggeva qualcosa in una cartelletta che viene buttata su un fianco della sua scrivania con un gesto nervoso.

L'uomo dai capelli grigi si era alzato improvvisamente e affacciandosi alla finestra accanto guarda le auto sotto di lui ed la fila di negozi aperti, con un sorriso aveva osservato una vetrina addobbata in stile Liberty, immaginando una signora anziana che entra con il carrello della spesa, avev aintuito che forse decenni prima, questa bottega non era mai cambiata...

Lo squillo del mio telefono mi distoglie dalle mie fantasie, qualcuno mi stava chiamando per andare a gironzolare per le vie del centro, prima di scendere, mi ero girato verso il palazzo con le minuscole tende, la finestra era chiusa, come in quell'istante si era fermata la mia immaginazione. Sembravano sotire uguali ad una scatola cinese, dove una entrava nell'altra.

Avevo chuso la porta del terrazzo alle spalle e fischiettando sono sceso verso il mio appartamento. 
Più tardi sarei entrato nelle magiche ed affollatisssime strade della mia città e perché no? Magari fantasticando sui volti di chi avrò incontrato.

Giampaolo Daccò.



lunedì 20 agosto 2018

IL VENTO DI FINE ESTATE



IL VENTO DI FINE ESTATE

Un'altra estate sta andando via lasciando ben presto il posto ai colori accesi dell'autunno.
Lo sento, l'ho sempre sentito questo vento, quest'aria strana che arriva ed annuncia la fine delle giornate di sole.
Ogni volta per me era stato ed è un dolore tutt'ora sapere che ben presto il buio, l'oscurità avrebbero preso il posto della luce.

Quante passeggiate in riva ad un mare, ad un fiume, ad un lago, tra i boschi di montagne alte ed ogni volta quella sensazione del vento che porta via tutto.
Che porti con se giorni belli, caldi pieni di colori e vivacità, che allontani la voglia di viaggiare, di divertirsi, di vivere vacanze in posti da sogno.

Davanti a quella distesa d'acqua azzurra, a quelle onde bianche infrangersi sulla spiaggia dorata, a quel cielo indaco con bianche nuvole passeggere, mi faccio cullare dal vento di fine estate.
Un'aria tiepida che scompiglia capelli, stropiccia gli abiti indossati, che porta un profuno di salsedine mentre stridii di gabbiani sopra la testa, ti fanno pensare a lontane avventure in chissà quali posti tropicali.

Ed invece sono qui, fermo sul lungo mare rapito da fantasticherie, rapito da quelle folate leggere dal profumo quasi autunnale.
Molte sono le persone in acqua, tante le barche che veleggiano sulla piatta distesa salata, altri personaggi passeggiano su questo verdeggiante lungo mare chiacchierando, ridendo, salutando conoscenti ed amici, ma...

Nessuno si è accorto che è già quasi arrivata la fine dell'estate, dei giorni del sole, della luce, dei profumi, del riposo, sono ancora impegnati a godersi questi momenti dorati.
Nessuno si è accorto che lui è giunto all'improvviso, come sempre senza farsi sentire, prima con leggere folate poi con più forza mantendendo un tiepido calore.
Nessuno si è accorto che è tornato il vento di fine estate.

Giampaolo Daccò.


martedì 7 agosto 2018

L'ACQUA SOTTO IL PONTE



L'ACQUA SOTTO ILPONTE

"E' così che risolveresti i tuoi problemi?"

L'uomo sentiva dentro di se questa voce già da qualche ora, non appena di era affacciato dalla ringhiera d'acciaio sopra quel ponte che si innalzava alto sul quel fiume oscuro.
Da quanto tempo era lì?
Da quante ore, minuti stava fermo ad osservare il lento cammino dell'acqua, in quella giornata scura, calda e umida di una terribile estate?
Davvero non si era accorto, forse era giunto lì al mattino presto, magari nel primo pomeriggio e solo ora si è reso conto della sua ombra poriettata sull'asfalto da lampioni accesi.
La sera era arrivata silenziosa, solo poche auto distratte erano passate durante quel periodo in quell'agosto afoso, nuvoloso e deserto nella grande periferia della metropoli.
Un salto e chi se ne sarebbe accorto?
Forse qualcuno che lo aspettava a casa?
Forse qualche amico o lontano parente non vedendolo da giorni e si sarebbe chiesto senza preoccupazione:

"Chissà che fine ha fatto il Gianni? 
E' un po' che lo vedo. Magari è andato in ferie o 
a casa di qualche amico sfigato come lui."

Gianni guarda sotto di se, l'acqua sembra invitarlo ma ne ha paura allo stesso tempo, ma che sta facendo qui? Come pensa di risolvere i problemi della sua vita passando le ore cercando il coraggiodi buttarsi e scomparire tra le onde, dimenticando chi era, cosa aveva fatto e cosa era successo nella sua vita fino ai suoi quarant'anni.

Eppure in quell'istante, come un film degli anni trenta, in bianco e nero rivede quell'esistenza che mai aveva augurato a nessuno.

Non era stato amato dai genitori indaffarati con le proprie carriere, amanti e divertimenti.
Sballottato dai vari nonni ogni stagione, prima a Genova, poi a Bologna e spesso picchiato dai cugini più grandi, a volte gelosi di chissà cosa e a volte per la sua timidezza.
Poi messo in un collegio di lusso per gli studi lontano dai suoi, era un peso morto, avrebbe intralciato i loro progetti fino a che lo schianto di un aereo, lo avevano fatto diventare orfano.
E di nuovo con i nonni e finalmente dopo qualche anno la laurea e la sua indipendenza.

Poi era iniziata la vita come tante altre, la lotta per la carriera: l'onestà contro la furbizia, le conoscenze contro la meritocrazia, la lealtà contro i lecca piedi e così per la sua onestà e rispetto di se stesso, era finito in un noto studio d'architettura a svolgere e risolvere i lavori meno importanti e remunerativi.
Tanto era un uomo solo, ultimo arrivato della "nidiata", quindi gli altri con la scusa che avevano famiglia e frequentavano l'alta società, quindi meritavano di più.

Poi era arrivata lei, Laura con la sua bellezza e fascino esteriore portandosi dietro la sua fredda anima con un cuore di marmo. Gianni aveva perso la testa per lei.
Le aveva dato tutto: amore, consolazione, casa, regali, viaggi, tenerezza, aveva fatto qualsiasi cosa e donato ogni parte di se stesso, per poter ricevere l'amore che non aveva mai avuto nella sua vita.
Poi, dopo due anni, rientrando a casa aveva trovato quella lettera sul tavolo, scritta con poche parole crude e il colpo finale: lei se n'era andata via con Fabio, un collega di Gianni.

Che scherzi atroci a volte riserva la vita, soprattutto quando il tuo studio chiude e si trasferisce in una città lontana e non ha più bisogno di te.

Ecco l'acqua scorre sotto quell'alto ponte, chissà perché ora non gli fa più paura l'idea di fare un tuffo fino laggiù... E chi se ne accorgerebbe? Magari lo ritrovaranno dopo qualche settimana, forse mai o forse...

"Ehi amico, non avrai mica intenzione di fare una cazzata?"

Una voce alle sue spalle, non era la sua coscienza, una mano sul suo braccio destro e non era la sua che si toccava. Gianni si volta di scatto e si trova di fronte un uomo più o meno coetaneo, un volto sorridente con due occhi seri, intensi mentre l'alito di vento umido faceva volare i capelli ricci e lunghi sul viso di quello sconosciuto.

"No.. Io... Ecco..."

Gianni si ritrova a balbettare qualcosa, capendo che l'altro aveva intuito il suo gesto, abbassando la testa scoppia a pingere. Lo sconosciuto lo stringe a se in un abbraccio per qualche minuto forse lungo un'eternità. Era un angelo mandato per salvarlo da chissà chi?

"Mi.. mi scusi, io mi sono fatto prendere dallo sconforto e.."

L'altro lo guarda con degli occhi quasi magnetici, ma sempre con quel sorriso sereno e la voce calda, Gianni si sente stranamente rassicurato.

"Forse sarà meglio che tu mi segua, io sono Stefano 
abito poco lontano da qui e sono... 
Non rida, anche se la cosa potrebbe sembrare strana, 
io sono uno psico-terapeuta e mi occupo soprattutto
di donne e bambini che subiscono vioenze e soprusi. 
Che ne direbbe di passare del tempo a casa mia? 
Magari parliamo un po' e ci conosciamo. Sa?... "

Continua prendendo sotto braccio Gianni conducendolo verso la fine del ponte camminando con passo tranquillo.

"Era un po' che la stavo osservando di nascosto e 
sono intervenuto nel momento che mi sembrava giusto, 
quindi non sono ne un angelo ne un benefattore. 
Sono uno che aiuta gli altri pensando alla loro serenità 
ed essendo principlmente un uomo solo, 
anche io ho bisogno di amicizie e nuove conoscenze.
Un buon caffè lo gradirebbe così possiamo parlare un po'?"

L'altro lo guarda abbozzando un sorriso, seguendolo come avesse trovato una persona cara dopo tanto tempo.

"Volentieri ne avrei bisogno... Credo che poco fa,
stessi per commettere una... Io mi chiamo Gianni..."

Stefano sorride e staccando il suo braccio da quello dell'altro si incamminano velocemente sulla strada verso alcune ville poco distanti, le loro voci si perdono nel buio umido di quella sera nuvolosa.

Il fiume sotto quell'alto ponte, intanto continua la sua corsa ignaro della vita e dei problemi delle persone, una corsa tranquilla a volte agitata verso la sua meta perenne, il mare.

Giampaolo Daccò