giovedì 18 settembre 2025

Il Codice delle Stelle

 

Il Codice delle Stelle

Un’amicizia tra un sognatore e un realista


Il Treno e il Presagio

Il treno regionale lasciava Firenze con un sussulto metallico, come se avesse percepito l’umidità nell’aria. Giampaolo Stella sedeva accanto al finestrino, il libro di astrologia aperto sulle ginocchia, le dita che seguivano lentamente il transito di Mercurio in Vergine. Fuori, il paesaggio toscano si stendeva in colline grigie e ulivi silenziosi, mentre il cielo si faceva sempre più cupo.

Di fronte a lui, un uomo sui quarantacinque anni, capelli mossi con fili d’argento e occhiali leggermente appannati, lo stesso che era davanti a lui sul treno da Milano a Firenze, sul sedile 23, annotava qualcosa su un taccuino blu. Non sembrava leggere, ma ascoltare. Ogni tanto alzava lo sguardo verso Giampaolo, come se cercasse di decifrare un linguaggio che non conosceva. Gli sembrava di conoscerlo o di avero visto da qualche parte.

Il treno rallentò. Una goccia di pioggia si schiantò contro il vetro. Il cielo sembrava voler dire qualcosa.

“Lei crede nei segni?” chiese Giampaolo, senza staccare gli occhi dal libro.

L’uomo sorrise piano. “Solo quando coincidono con i dati.”

Giampaolo lo osservò meglio, aveva un’aria famigliare ma non sapeva il perchè, strano possedeva molto intuito e memoria fotografica, ma proprio quell’uomo gli ricordava qualcosa a cui non sapeva dare una collocazione. L’altro aveva un’aria assorta, ma non distante. Come se fosse abituato a pensare in silenzio, ma pronto a parlare se provocato.

“E se i dati non bastano?”

“Li interrogo. Come si fa con gli oracoli.”

L’uomo chiuse il taccuino e si voltò con un sorriso appena accennato. “Elia,” disse semplicemente, come se bastasse.

“Giampaolo,” rispose lui, “Giampaolo Stella. Ma a Milano, dove sono nato e vivo, mi chiamano il Giampy, alla milanese.”

Elia sollevò le sopracciglia, divertito. “Beh, è logico. A Milano si dà il diminutivo preceduto dall’articolo, no?”

“Esatto,” disse Giampaolo, accentuando con orgoglio l’inflessione: “Il Giampy.”

Elia rise più forte, ma con quella gentilezza che non invade. “Forse per questo i miei hanno scelto Elia. Così non si stropiccia il nome.”

Poi, come se fosse parte di un rituale, aggiunse: “Elia Vero.”

Giampy sollevò lo sguardo dal libro, distrattamente. “Vero?” ripeté. “Nel senso che è giusto non dare un nome lungo da farne un diminutivo?”

Elia lo guardò per la prima volta davvero. Gli occhi azzurri di Giampy avevano una luce strana, quasi magica, come se riflettessero qualcosa che non era nel paesaggio. Chiuse il libro con un sorriso.

“No, è il mio cognome,” disse. “Lei è troppo simpatico e divertente. È un piacere viaggiare con un giovane biondo con la testa tra le nuvole.”

Giampy arrossì appena, ma rispose con una risata. “Beh, a Milano mi chiamano il Giampy. È una regola non scritta: nome corto, articolo davanti, e via.”

Elia annuì, divertito.

Un lampo attraversò il cielo. Il treno si fermò a Grosseto. Entrambi scesero, valigia in mano, diretti verso lo stesso autobus. Destinazione: Talamone.

 La Pioggia e l’Hotel

Il cielo sopra Talamone sembrava aver dimenticato il concetto di estate. Una tromba d’acqua si era abbattuta sulla costa poco prima dell’arrivo, e ora il vento portava odore di salsedine e pini bagnati.

Giampaolo Stella scese dall’autobus con la valigia mezza fradicia e il libro di astrologia avvolto in una sciarpa di seta. Elia Vero lo seguiva, il taccuino stretto sotto il braccio, gli occhiali appannati e un sorriso che sembrava immune al maltempo.

Camminarono insieme fino all’hotel, un edificio basso, color ocra, con persiane verdi e un’insegna che oscillava nel vento. Entrarono nella hall, dove il profumo di legno e limone cercava di nascondere l’umidità.

Elia si fermò un attimo, guardando il ragazzo biondo accanto a sé. “A questo punto,” disse con tono neutro, “speriamo che non ci abbiano dato la stessa camera.”

Giampy si voltò di scatto, gli occhi azzurri spalancati, un rossore improvviso sulle guance. Elia lo notò e sorrise, subito consapevole.

“Stavo scherzando,” aggiunse, con una risata educata. “Ma vedo che ho colpito nel segno.”

Il rossore di Giampy aumentò, come se il mare gli fosse entrato nel volto. Fortunatamente, il proprietario dell’hotel intervenne con voce allegra: “Due camere singole, tranquilli. E asciugamani caldi, se volete. Sono Ludovico Varenti, il proprietario dell’hotel, benvenuti signori.”

Giampaolo si sentì sollevato, ma anche un po’ confuso. C’era qualcosa in quell’uomo, Elia Vero, che lo attirava. Non era solo il modo di parlare, o il sorriso gentile. Era una sensazione. Come se l’universo gli stesse dicendo: ascolta, questo incontro è importante.

Le Camere e i Balconi

Le chiavi tintinnarono nelle mani del proprietario dell’hotel, che le porse con un sorriso complice. “Camere singole, tranquilli. Vista mare. E come ho accennato prima, asciugamani caldi, se volete.”

Giampaolo Stella salì le scale con la valigia ancora umida e il cuore un po’ confuso. La battuta di Elia Vero lo aveva colto di sorpresa. Non era abituato a quel tipo di ironia elegante, né a sentirsi così… osservato.

Entrò nella sua stanza, semplice ma accogliente. Tende azzurre, letto bianco, profumo di pulito. Appoggiò il libro di astrologia sul comodino e si lasciò cadere sulla sedia accanto alla finestra.

Non pensò a Elia. O almeno cercò di non farlo. Si disse che era solo un incontro curioso, un uomo affascinante nel modo di parlare, certo, ma nulla di più. Meglio concentrarsi sul mare, sul viaggio, sui transiti planetari.

Nel frattempo, nella stanza accanto, Elia Vero si era tolto gli occhiali e stava asciugando il taccuino con un fazzoletto. Aveva sorriso per tutta la salita. Quel ragazzo biondo, con gli occhi azzurri e il rossore improvviso, lo aveva colpito più di quanto volesse ammettere.

“Sensibile, intelligente, e con la testa tra le nuvole,” pensò. “Un sognatore puro. E io… io sono qui per decifrare sogni, non per viverli.”

Poi, quasi per istinto, entrambi aprirono la porta del balcone. Il vento salmastro li accolse con una carezza. E lì, tra le tende che svolazzavano e il rumore delle onde, si ritrovarono faccia a faccia. I balconi erano vicini, divisi solo da una ringhiera sottile.

Giampy lo vide e scoppiò a ridere. Elia lo seguì, con una risata più forte, ma sempre educata.

“Beh,” disse Elia, “almeno non ci hanno dato la stessa camera. Ma i balconi… quelli sì.”

Giampy rise ancora, il rossore ormai dissolto nel vento. “Salvati dal destino. O forse no.”

Il Tramonto e la Cena

Il sole, dopo ore di pioggia e vento, decise di fare pace con il mondo. All’improvviso, il cielo si aprì in sfumature di arancio, rosa e oro, e il mare di Talamone si trasformò in uno specchio incantato.

Dal balcone della sua camera, Giampaolo Stella vide il promontorio dell’Argentario stagliarsi all’orizzonte, come un gigante addormentato. Più in là, l’Isola del Giglio brillava come una gemma, e a nord, Elba e Pianosa si lasciavano ombreggiare dal sole che scendeva lento. Forse, in un angolo più remoto, anche Montecristo osservava in silenzio.

Giampy sospirò. Quel tramonto sembrava un segno. Non astrologico, non logico. Solo… vero.

Scese per cena, ancora con i capelli un po’ spettinati dal vento. La sala da pranzo dell’hotel era intima, elegante, con tavoli ben distanziati e luci calde. Non c’erano turisti rumorosi, solo viaggiatori silenziosi, coppie mature, e qualche solitario con un libro.

Elia Vero era già lì, seduto a un tavolo vicino, con un bicchiere di vino bianco e il taccuino chiuso accanto al piatto. Quando vide Giampy, sorrise.

“Ci risiamo,” disse, indicando il tavolo accanto al suo. “A questo punto, speriamo che non ci abbiano dato lo stesso tavolo.”

Giampy arrossì di nuovo, ma stavolta con un sorriso. Elia lo notò e aggiunse, con tono più morbido: “Stavo scherzando, ovviamente.”

Il rossore aumentò, ma fu salvato dal cameriere, che li sistemò in due tavoli vicini, separati da una pianta di rosmarino.

Durante la cena, tra un boccone di orata e un sorso di vino, i due si scambiarono sguardi, battute, e qualche commento sul tramonto. Era come se il mare avesse deciso di raccontare la loro storia prima ancora che loro la scrivessero.

 Il Cielo Parla

La cena era finita, ma il profumo del rosmarino restava nell’aria. Giampy era salito in camera con un sorriso che non riusciva a spegnere. Aveva parlato poco, ma ascoltato tanto. E ogni parola di Elia Vero sembrava avere un peso specifico, come se fosse stata scelta con cura.

Sul balcone, il cielo era ormai blu profondo. Le isole all’orizzonte si erano fatte ombre, e il mare respirava piano.

Giampy si affacciò. E come la sera prima, Elia era lì, sul balcone accanto.

“Il mare di notte è più sincero,” disse Giampy, senza pensarci.

Elia lo guardò, poi annuì. “E il silenzio è più intelligente delle parole.”

Rimasero lì, qualche minuto, senza parlare. Poi Giampy notò qualcosa sul bordo del balcone: un piccolo rametto di rosmarino, lasciato lì dal vento o da chissà chi.

Lo prese tra le dita. “Elia… lo sa che il rosmarino è una pianta che unisce? Respiri, amicizie, amori, memorie…”

Elia sorrise. “Lo so. E so anche che non è lì per caso.”

Il cielo, sopra di loro, sembrava ascoltare. Una congiunzione rara brillava tra le stelle: Giove e Venere, vicini come due amanti che si sfiorano, e più in là, la Luna al tramonto, lontana ma in perfetto trigono.

Giampy la indicò con un gesto timido. “Vede quella congiunzione? Giove e Venere… e la Luna che tramonta, ma le guarda da lontano, in armonia.”

Elia seguì il suo sguardo. “E cosa significa?”

“Che la mente si è incontrata con il sentimento,” disse Giampy, “che qualcosa di bello può nascere, se si ha il coraggio di ascoltare.”

Elia rimase in silenzio. Poi lo guardò, e per un attimo sembrò voler dire qualcosa. Ma si limitò a sorridere.

“Buonanotte, Giampy.”

“Buonanotte, Elia.”

Le porte dei balconi si chiusero piano. Il rosmarino profumava ancora. E il cielo, sopra Talamone, continuava a scrivere il suo codice.

Orbetello e Chirone

La mattina si aprì con un cielo terso, come se il temporale fosse stato solo un sogno. Elia Vero si era alzato presto, vestito con sobrietà elegante, e partito per Orbetello, dove si teneva una conferenza scientifica sull’intelligenza artificiale e il futuro delle emozioni computazionali con acceni alla biologia applicata.

Giampy, invece, si concesse una colazione lenta, con marmellata di fichi e pane caldo, poi uscì per esplorare la cittadina. Camminando tra vicoli assolati e negozi silenziosi, fu attratto da una libreria piccola e profumata di carta antica. Lì, tra scaffali di astrologia, mitologia e psicologia, trovò un libro che sembrava chiamarlo: “Chirone – Il ponte tra ferita e guarigione.”

Lo sfiorò, lo aprì, lo comprò. E mentre tornava all’hotel, pensava: Forse anche io sono un Chirone. Forse Elia lo è, ma non lo sa.

Dopo pranzo, Giampy era nel salottino dell’hotel, seduto su una poltrona azzurra, con il libro aperto e una bibita fresca tra le mani. Il rosmarino, sul davanzale, profumava ancora.

Elia entrò, stanco ma rilassato. Aveva pranzato con altri scienziati, discusso di algoritmi e coscienza, ma ora cercava solo silenzio intelligente.

“Posso?” chiese, indicando la poltrona accanto.

“Certo,” disse Giampy, chiudendo il libro.

“Chirone?”

“Un guaritore che non può guarire se stesso. Ma insegna agli altri come farlo.”

Elia annuì. “Interessante. Forse è quello che facciamo anche noi. Tu con le stelle, io con i dati.”

Rimasero lì, qualche minuto, in silenzio. Poi Elia si alzò. “Ti va una passeggiata sulla spiaggia? Il mare oggi sembra voler parlare.”

Giampy sorrise. “Solo se il rosmarino ci accompagna.”

Elia si alzò dalla poltrona, stirando le spalle. Aveva ancora il volto segnato dalla concentrazione della conferenza, ma ora sembrava più morbido, più curioso.

Si voltò verso Giampy, che stava sfogliando il libro su Chirone. Lo guardò con un’espressione tra il dubbioso e l’affascinato.

“Posso farti una domanda?” “Certo,” disse Giampy, chiudendo il libro.

“Tu credi davvero che un satellite, o un pezzo di roccia magari staccato dal cerchio delle meteore tra Giove e Marte, possa influire sul destino delle persone?”

Giampy sorrise, senza ironia. “Non proprio sul destino. Più che altro sulla personalità, sull’impronta energetica che ci portiamo dalla nascita. Il tema natale è come una mappa. Le previsioni… sono un’altra cosa.”

Elia rimase in silenzio per un attimo. Poi, istintivamente, appoggiò la mano sulla schiena del ragazzo, con un gesto naturale, quasi paterno, ma privo di distanza.

“Vieni,” disse aprendo la porta. “Andiamo a sentire cosa dice il mare oggi.”

Uscirono insieme, lasciando il salottino alle spalle. Il sole del pomeriggio accarezzava le persiane, e il rosmarino sul davanzale sembrava sorridere.

 Il Delfino e la Verità

Camminavano sulla spiaggia, in silenzio. Il mare era calmo, ma non immobile. Ogni onda sembrava portare una domanda, ogni granello di sabbia una risposta che non era ancora pronta.

Giampy si fermò, guardando Elia Vero con un sorriso timido. Poi, quasi senza pensarci, chiese:

“Perché tu sei così?”

Elia lo guardò, sorpreso. “Così come?”

“Affascinante. Bella persona, dentro e fuori—scusa, arrossisco solo a dirlo—con una mente forte, piena di idee geniali… eppure gentile. Non arrogante. Come fai?”

Elia sorrise, ma non rispose subito. Camminarono ancora qualche passo, poi fu lui a parlare.

“Non ho mai creduto nelle scienze esoteriche,” disse. “E mi chiedo come puoi tu, così dolce, modesto, avere una mente superiore ai soliti cartomanti da televisione. Tu dai spiegazioni a cose che sembrano… volevo dire, sono quasi vere.”

Giampy si fermò. Guardò il mare, poi Elia. E con voce calma, disse:

“Tu sei un Acquario. E hai sofferto una perdita. Qualcosa che ti ha spezzato, ma che hai nascosto dietro la logica.”

Elia rimase immobile. Il vento gli scompigliava i capelli, ma lui non si mosse.

Poi, abbassando lo sguardo, vide qualcosa tra la sabbia: un piccolo ciondolo a forma di delfino, consumato dal sale e dal tempo.

Lo raccolse. Lo riconobbe.

Era l’animale preferito di suo figlio. O forse… di sua moglie, che lo aveva lasciato anni prima, incapace di convivere con la sua dedizione assoluta al lavoro.

Guardò Giampy. E in quel momento, non vide un ragazzo. Vide un universo.

Lo abbracciò. Non come si abbraccia una persona, ma come si abbraccia una verità.

Poi, con voce rotta ma lucida, disse:

“Chi sei davvero?”

Il Terrazzo e la Verità di Giampy

Rientrarono all’hotel con il passo lento di chi ha appena attraversato un confine invisibile. Giampy, con il ciondolo del delfino ancora tra le dita, si voltò verso Elia e disse:

“Ti dirò chi sono… quando saremo in hotel.”

Elia non rispose. Ma invece di salire ognuno nella propria stanza, lo invitò sul suo terrazzo. “Da qui si vede tutto il mare toscano. Le isole lontane. È il mio osservatorio personale.”

Il terrazzo era ampio, elegante, con sedie in ferro battuto e piante aromatiche che profumavano l’aria. La luce del tramonto colorava l’Argentario di rame, e il Giglio sembrava galleggiare in un sogno.

Giampy si sedette, guardando l’orizzonte. Poi parlò.

“Da bambino… ero diverso. Troppo sensibile, troppo curioso. Vedevo cose che gli altri non vedevano. Sentivo il dolore degli altri come se fosse mio. E per questo… mi hanno bullizzato. Mi prendevano in giro. Mi isolavano.”

Elia lo ascoltava, senza interrompere.

“Le mie doti esoteriche non mi hanno aperto strade. Me le hanno chiuse. I preconcetti, la paura, il giudizio. E poi… il mio compagno di vita. Mi ha tradito. Mi ha lasciato. E io… mi sono ritrovato a trentacinque anni, solo. A Milano. Commesso in un negozio. Studiavo di notte, scrivevo quando potevo. Ma la mia famiglia… si è dissolta. E ora… ora mi sembra di cercare sempre qualcuno che mi voglia bene. Non per quello che faccio. Ma per quello che sono.”

Elia si sporse un po’ in avanti. Giampy continuò, con voce più bassa.

“Mi sento un giovane uomo abbastanza intelligente. Ma troppo sensibile. E vorrei avere il tuo carattere. La tua logica. La tua forza.”

Il silenzio cadde come una coperta leggera. Il mare respirava piano. Le isole sembravano ascoltare.

Elia si alzò, si avvicinò, e si sedette accanto a lui. Poi, con voce calma, disse:

“Giampy… tu hai una forza che io non ho. Io ho costruito muri per sopravvivere. Tu… hai costruito ponti per amare.”

 Il Ciondolo e la Fratellanza Celeste

Sul terrazzo, il cielo si stava tingendo di indaco. Le prime stelle spuntavano timide, come se volessero ascoltare senza disturbare.

Elia aveva ancora in mano il piccolo ciondolo blu a forma di delfino. Lo guardava, lo rigirava tra le dita, poi si voltò verso Giampy.

“Questo mi lega troppo a Luca,” disse. “E forse… è tempo che diventi qualcosa di nuovo. Non posso adottarti, Giampy. Tu hai trentacinque anni. Luca ne avrebbe venti. Ma posso… donartelo.”

Gli porse l’oggetto. Giampy lo prese con mani tremanti. Una lacrima gli scese lenta, silenziosa.

“È il primo gesto gentile che ricevo da tantissimi anni,” disse. “E mi dispiace che tu non abbia l’età per essere mio padre. Un uomo come te, con la tua logica, mi avrebbe aiutato. Mi avrebbe protetto.”

Rimasero in silenzio. Il mare sotto di loro respirava piano. Le isole lontane sembravano avvicinarsi.

Poi Giampy, con un impulso che non cercava permesso, disse:

“Potrei innamorarmi di te. Lo so, è una cosa impossibile. Ma quando tornerò a Milano, questo ciondolo mi ricorderà la splendida persona che me l’ha donato. Senza giudicare.”

Elia rimase colpito. Lo guardò. Poi lo avvicinò a sé, lo abbracciò con forza e dolcezza.

“Io non so se posso amare un uomo come te,” disse. “Sto ancora soffrendo per mia moglie. Ma… chi ha detto che tornerai da solo a Milano con un ciondolo?”

Giampy lo guardò, confuso. “Che vuoi dire?”

Elia lo fissò negli occhi. “Non ho l’età per esserti padre. Non ho la capacità di amarti come tu vorresti. Ma posso essere per sempre un fratello maggiore per te. Se vorrai.”

La Partenza e la Promessa

La notte era silenziosa. Giampy e Elia dormivano nella stessa stanza, vicini ma distanti quanto basta per rispettarsi. La luna entrò di soppiatto, con la sua luce gentile, e li illuminò come se volesse benedirli.

Nel sonno, Elia si mosse piano. Istintivamente, abbracciò Giampy come un figlio. E Giampy, nel sogno, sentì quell’abbraccio come quello di un padre che non aveva mai avuto. Un gesto semplice, ma pieno di tutto.

Al mattino, il cielo era azzurro fresco, come se avesse lavato via ogni dolore. Fecero l’ultima colazione insieme, sotto lo sguardo un po’ sornione del proprietario dell’hotel, che sembrava sapere tutto senza aver sentito nulla.

Pagano. Prendono le valigie. Giampy si avvia verso la fermata del pullman.

Ma Elia lo ferma. Ha affittato una macchina.

“Ti porto a Roma,” dice. “Da lì torniamo a Milano. Avremo più tempo per parlare.”

Giampy lo guarda, sorpreso. Elia sorride, con quella calma che non cerca conferme.

“Se ti va,” continua, “ti propongo di vivere con me. In quella casa vuota di fantasia. Tu avrai la tua camera, la tua vita, la tua logica accanto alla mia. Non ho più nessuno. E tu… tu sei una persona che non voglio perdere.”

Giampy resta in silenzio. Il cuore gli batte forte.

“Ti metto nel mio stato di famiglia,” dice Elia. “Come fratello adottivo. Non saremo più lontani. Non saremo più soli. E se l’amore arriverà, nelle nostre vite… non ci lasceremo mai.”

Giampy sorride. Una lacrima gli scende, ma stavolta è di gioia.

Poi sale in macchina. Il ciondolo blu a forma di delfino brilla sul cruscotto. E il mare, dietro di loro, sembra salutare con una carezza.

All’improvviso Giampy, dalla piccola sacca che portava appresso, mentre Elia guidava tranquillo e silenzioso, trasse fuori un sacchetto di panno azzurro e tirò fuori un’ampolla con il tappo si sughero, dentro un fiore secco azzurro: “Metterò il tuo delfino in questa ampolla che per me rappresenta una cosa importantissima, e deve contenere cose che hanno avuto un significato speciale nella mia vita e questa me l’aveva donata quando ero appena dodicenne…

“Ely” disse in un colpo Elia, mentre accostava la macchina nella corsia di emergenza, mentre lacrime scendevano sulle guance.

Giampaolo era impietrito “Te lo diede Ely, Elia, io ventitré anni fa nella stradina del fiume, Paolino.”

Giampy scoppiò a piangere mentre l’uomo lo stava abbracciando, si erano ritrovati e come allora il ragazzo disse: “Ci troveremo ma non ci riconosceremo.” tutto si era avverato. Si guardarono negli occhi.

“Fratellino” disse Elia.

“Fratellone.” rispose Giampy staccandosi da lui.

Elia prese la mano del ragazzo: “Ci siamo ritrovati, non ci credevo ma sentivo che un giorno sarebbe accaduto… Forse Chirone, la luna, Venere e Giove o le fredde probabilità di calcolo, hanno creato il momento giusto che aspettavamo da tempo, ma sappi Giampy che non ti lascerò più.”

L’auto riprese la marcia verso Roma in quel mattino caldo d’estate.

 “L’amore è anche amicizia, fratellanza, affetto, comprensione ed aiuto.”

Giampaolo Daccò Scaglione


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