giovedì 11 settembre 2025

Lungomare d’estate



 Lungomare d’estate


ZEKHARIAH e GIAMPAOLO

C’erano giorni in cui il tempo sembrava fermarsi. Io e Chicco camminavamo sulla sabbia, con i capelli lunghi che il vento accarezzava come se volesse conoscerci meglio. Non servivano parole, bastava uno sguardo, un sorriso appena accennato, e il mare che ci ascoltava in silenzio.

Eravamo giovani, complici, un po’ ribelli e molto vivi. Le nostre differenze ci rendevano unici: lui con la pelle dorata dal sole, gli occhi neri come la notte; io con lo sguardo chiaro, sempre un po’ perso nei pensieri. Eppure, in quell’abbraccio di onde e cielo, eravamo una cosa sola.

Poi la vita ha fatto il suo mestiere: ci ha portati altrove. Ma quel ricordo, quel momento, è rimasto intatto. Come questo ritratto. Come una fotografia che non sbiadisce mai.

Ci eravamo conosciuti a vent’anni, in una vacanza al mare con i miei. Lui si chiamava Zekhariah, ma io lo ribattezzai Chicco, dopo che un cameriere confuse le nostre ordinazioni al bar e ci ritrovammo a ridere insieme. Non era italiano, ma di origine israeliana, viveva a Parigi con la madre e tre fratelli. Quell’estate fu un incanto.

Poi il destino ci fece un regalo: Chicco riuscì a venire a studiare a Milano, dove io vivevo e lavoravo come commesso. Lui all’università, io tra scaffali e clienti, ma ci vedevamo sempre. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno—quattro in tutto—il nostro legame si trasformò. Non era più solo affetto, era fratellanza. Eravamo gemelli dell’anima, anche se diversi fuori. Quando mi feci biondo, mi chiamava “Angel”, per prendermi in giro.

Avevamo un rituale: ogni festa, ogni vacanza, tornavamo al mare dove tutto era cominciato. Crescevano i nostri capelli, cresceva la nostra amicizia. Facemmo un patto: li avremmo tagliati solo quando uno di noi fosse andato via per sempre.

Per gli altri eravamo una coppia. Per noi, fratelli. Dormivamo insieme, a volte abbracciati. La sera cenavamo raccontandoci la giornata, e intanto lui si laureava, a ventiquattro anni, come me.

Poi il cielo si oscurò. Mia madre si ammalò gravemente, suo padre ebbe un infarto. Lui tornò a Parigi, io in campagna da mamma. L’ultima notte dormimmo abbracciati, piangendo. Il mattino dopo andammo a tagliarci i capelli, tenendo ciascuno la coda dell’altro. Una promessa.

Negli anni ci siamo rivisti: a Milano, a Parigi, d’estate. Lui con il suo partner, io da solo. Lo sono stato per anni. Poi nel ’95 tornai a Milano, e lui partì per New York con il suo compagno. Ora ci mandiamo saluti, ogni tanto. Credo che un giorno ci rivedremo. Perché un fratello così non ci sarà mai più.

E poi, c’è una cosa che ancora devo fare: presentargli la persona che ho sposato ventisette anni fa.

Dedica finale

A Chicco, fratello d’anima, compagno di estati e silenzi, di risate e lacrime. A quel patto fatto con il vento, ai capelli lunghi come promesse, alle notti abbracciati e ai giorni che sembravano eterni. Ovunque tu sia, il mare ci ricorderà. E quando ci rivedremo, ti presenterò chi ha camminato con me da allora— perché chi ha conosciuto te, ha conosciuto una parte di me che non morirà mai.

Con affetto eterno, Giampaolo

 

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