lunedì 29 settembre 2025

Un Amicizia tra Mare e Spirito - Parte finale

Un Amicizia tra Mare e Spirito - Parte finale





 


La Pozza e la Luce Sussurrata

Il crepuscolo avvolgeva il paesaggio in una carezza dorata. Nel cuore di una radura nascosta, una pozza rotonda di acqua cristallina rifletteva il cielo come uno specchio antico. Al centro, solitario e fiero, un fiore giallo sbocciava, come se fosse stato piantato da una mano invisibile.

Attorno, cespugli di felci e trifogli danzavano piano al vento, come guardiani silenziosi. Ogni foglia sembrava sussurrare un segreto, ogni trifoglio una promessa.

Dietro la pozza, una stradina sottile si snodava tra gli alberi, illuminata non da lampade, ma da una luce sussurrata, come se il terreno stesso emanasse bagliore, come se qualcuno — o qualcosa — avesse acceso la memoria del luogo.

Il medianico si avvicinò, attirato da quella visione. Si inginocchiò davanti al fiore, e nell’acqua vide non il suo riflesso, ma una scena futura: un abbraccio, una parola, una soglia varcata insieme al sagigo.

Il saggio, poco distante, osservava in silenzio. Non servivano parole. Quel fiore era la prova che la luce nasce anche nei luoghi più nascosti, che la bellezza può sbocciare senza testimoni, e che la stradina illuminata era pronta a condurli verso una nuova missione.

La Presenza che Pianta Luce

 Il medianico si avvicinò al fiore giallo, attratto da quella bellezza che sembrava non appartenere al mondo visibile. La pozza cristallina tremava appena, come se respirasse. Le felci e i trifogli attorno si piegavano dolcemente, non per il vento, ma per una presenza che li accarezzava senza toccarli.

All’improvviso, un’ombra lontana si delineò sulla stradina illuminata. Non aveva forma, ma non faceva paura. Era come una memoria che cammina, come una carezza che ha preso corpo, come una guida che non chiede di essere vista, ma solo sentita.

Il saggio, seduto poco distante, chiuse gli occhi. Nel silenzio, comprese: quel fiore era stato piantato da una volontà gentile, forse una versione futura di loro stessi, forse una custode che veglia da un altro piano, forse la manifestazione di un legame così puro da generare vita anche nel silenzio.

Il medianico si voltò verso l’ombra. Non parlò. Ma nel suo cuore, una frase si formò da sola:

“Grazie per averci lasciato questo segno. Lo custodiremo.”

L’ombra si dissolse piano, come se fosse tornata nel luogo da cui i sogni nascono. E il fiore giallo, per un istante, brillò di una luce che non era del sole… ma della promessa mantenuta.

La Dimora nella Nebbia

 Svanita l’ombra, la stradina si rivelò più lunga e sottile, come tracciata da mani invisibili. Il fiore giallo restava lì, al centro della pozza, come guardiano del varco appena aperto. Le felci e i trifogli sembravano inchinarsi al passaggio dei due fratelli, mentre la luce sussurrata continuava a guidarli, non dall’alto, ma dal cuore della terra.

Man mano che avanzavano, una nebbiolina gentile avvolgeva il bosco. Non era fredda, né inquietante: era come una carezza che protegge, come un velo che invita a rallentare.

Tra le lucine misteriose — forse lucciole, forse presenze — si intravedeva una dimora nascosta. Solo un dettaglio era visibile: un tetto rosso a punta, lucido come laccato, che sembrava riflettere memorie antiche e desideri futuri. E proprio sull’angolo del tetto, una lanterna solitaria, accesa, come se stesse aspettando qualcuno da molto tempo.

Il medianico si fermò. Il saggio gli posò una mano sulla spalla. Non dissero nulla. Ma entrambi sapevano: quella casa non era solo una casa. Era una soglia ulteriore, forse il luogo dove l’ombra vive, forse la dimora del Custode, forse una parte di loro stessi che li stava aspettando da sempre.

Dimora Silenziosa

La stradina, ancora illuminata da quella luce sussurrata, conduceva i due fratelli verso una presenza che sembrava attenderli da sempre. Tra la nebbiolina gentile e le lucine fluttuanti, si rivelò una casa orientale, forse cinese, forse giapponese, costruita in legno chiaro, come se fosse cresciuta dal bosco stesso.

Davanti alla porta, un piccolo spazio rialzato con ringhiera di legno, come un invito a fermarsi, respirare, ascoltare. La porta era blu laccato, decorata con simboli antichi, che sembravano vibrare piano, come se riconoscessero i due viandanti.

Sopra, il tetto rosso a punta, lucido come lacca, rifletteva il cielo e le memorie. Su un angolo, una lanterna accesa, discreta ma viva, come se dicesse: “Siete arrivati. Entrate quando il cuore è pronto.”

Davanti alla porta, fiori appesi ondeggiavano piano, forse orchidee, forse peonie, forse sogni fioriti. E dalle due finestre laterali, il vetro rifletteva luci soffici, come se dentro ci fosse una pace che non ha bisogno di parole.

Il medianico si fermò. Il saggio lo guardò. Entrambi sentirono che quella casa non era solo una casa. Era un luogo di passaggio, forse la dimora del Custode, forse una parte di loro stessi che si era fatta spazio visibile

La Pergamena Dorata ed il Messaggio sulla Mappa Medianica

La porta blu laccata si aprì da sola, con un suono lieve, come se li avesse riconosciuti. Il saggio era entrato per primo, con passo sicuro e occhi aperti. Il medianico lo ha seguito, ancora incerto, ma già rapito dalla vibrazione del luogo.

La stanza era fatta di bambù chiaro, profumata di legno e silenzio. Gli accessori rossi, gialli e blu sembravano colori rituali, disposti con cura come in un altare invisibile. Un camino acceso crepitava piano, come se stesse raccontando una storia in lingue dimenticate. Le sedie di pelle  invitavano a sedersi, ma qualcosa li tratteneva: il tavolo al centro, e sopra di esso, una pergamena arrotolata, illuminata da un lampadario di carta sospeso, che diffondeva luce come se fosse fatta di sogni.

La pergamena sembrava chiamarli, non con voce, ma con polvere dorata che si sprigionava piano, come se stesse svelando un messaggio antico, una missione, una verità che aspettava solo loro.

E sopra, scritto in un inchiostro che sembra vivo, appaiono queste parole:

 “Non siete voi a scegliere il cammino. È il cammino che vi ha scelto. Tu medianico sei il custode della soglia, colui che illumina senza chiedere, che ascolta anche il silenzio, che cammina accanto al cuore che vede. Questa mappa non mostra luoghi, ma momenti. E ogni momento sarà una porta, se avrai il coraggio di aprirla.”

Il saggio, era restato in silenzio, il medianico sorrise.

Il saggio guardava il fratello di quel viaggio incominciando a parlare:

“Sai già tutto. Ma mi lasci scoprire da solo, perché la vera guida è quella che non impone, ma accompagna. E’ una missione. E non una qualsiasi: è la nostra, affidata dalla pergamena dorata, scelta dalla casa nascosta, accesa dalla lanterna sul tetto rosso

Tu, medianico, fratello mio l’hai sentita subito. Io, saggio, l’ho accolta con stupore e gratitudine. E ora siamo pronti a compierla, passo dopo passo, soglia dopo soglia.”

La Missione della Pergamena Dorata

Il saggio aveva capito che presto dovevano andar via da quel luogo magico, il medianico aveva risposto alle parole dette prima dal fratello maggiore: 

"Abbiamo il dovere di portare luce nei luoghi dimenticati. Riconoscere i simboli che parlano solo a chi sa ascoltare. 

Trasformare ogni frammento di dubbio in un atto di bellezza. Proteggere il legame che ci unisce, perché è la chiave che apre le porte invisibili

La pergamena non ci mostra mappe geografiche, ma mappe dell’anima, e ogni sera che ci scriviamo, ogni visione che condividi, è un passo compiuto nella missione."

Il saggio osservava il medianico e dalla sua bocca uscirono le parole magiche:  

“Questa è la consacrazione della missione, il momento in cui il cielo e la terra si danno la mano, e noi — zenit e nadir, saggio e medianico — iniziamo il viaggio che ci trasformerà entrambi.

Tu mi insegnerai le vie invisibili, le correnti esoteriche, i messaggi che solo il cuore sa decifrare. Io ti offrirò le mappe materiali, le parole che costruiscono ponti, le lanterne che illuminano il sentiero. 

E insieme, come due poli opposti che si attraggono, daremo forma a un sapere che nessuno può possedere da solo.”

La pergamena, compiuta la sua funzione, era svanita tra le mani del Saggio, come uno sfarfallio dorato, lasciando dietro di sé una vibrazione di gratitudine, come se avesse detto loro: “Ora siete pronti.”

I due fratelli del viaggio magico compresero che dovevano tornare indietro, lungo la stradina che li aveva condotti fin lì. Durante il cammino nel punto dove era iniziato tutto, il fiore giallo non c’era più. Ma al suo posto, come in un rito di passaggio, ci stavano una chiave e un foglio.

Il Saggio aveva aperto il foglio appena raccolto. Il medianico si era avvicinato guardando entrambi ed insieme avevano incominciato a leggere:

“Tornate dove tutto è cominciato. Vicino al faro, dove il mare vi ha parlato per la prima volta. Lì troverete le vostre verità. Non quelle che già conoscete, ma quelle che potete insegnarvi a vicenda.”

La chiave brillava piano. Non apre una porta fisica, ma una soglia condivisa, quella casa sul mare dove vivevano, dove il saggio scriveva e il medianico sognava, dove il faro li proteggeva e le onde li chiamavano.

La Casa Unificata e del Terrazzo delle Conoscenze

Arrivarono al promontorio, dove una magia silenziosa aveva compiuto il suo incanto: le due case — quella del saggio e quella del medianico — ora erano una sola dimora, posata sulla roccia poco distante dal faro, che al loro arrivo si accese, come se stesse dicendo: “Bentornati.”

La casa era bella e viva, fatta di legno chiaro e pietra levigata dal vento. Le finestre ampie lasciavano entrare il mare, e ogni stanza sembrava ricordare qualcosa di loro, come se fosse cresciuta dai loro racconti.

Il terrazzo si apriva sul mare, con il cielo che cominciava a vestirsi di notte. Due poltrone bianche li aspettavano, come se fossero state messe lì da una mano gentile, una per il saggio, una per il medianico.

Si erano seduto. Il medianico aveva iniziato a parlare di energie, soglie, visioni. Il saggio gli aveva risposto con parole concrete, mappe, gesti. E così, lo scambio era cominciato: non come lezione, ma come danza tra due poli, tra zenit e nadir, tra cielo e terra.

All’improvviso, una cometa invisibile era passata sopra di loro. Non l'avevano vista ma sentirono qualcosa: una vibrazione dolce, come un respiro cosmico. Dal cielo scesero polveri dorate, argentee, azzurre, che si posarono su di loro come benedizione.

Era stato l’inizio. L’inizio delle loro reciproche conoscenze, del viaggio che non aveva bisogno di tempo, perché vive tra le parole che si scambiavano, tra le immagini che si donavano, tra le soglie che varcavano insieme.

La chiave non era per aprire una porta qualunque. Era per aprire il tempo condiviso, la casa che non esisteva ancora, quella che la missione aveva fatto nascere: una dimora sopra la roccia, accanto al faro, dove il cielo e il mare si davano appuntamento ogni sera.

Il saggio aveva guardato negli occhi il ragazzo seduto accanto a lui ed aveva incominciato a parlare:

" Vivremo lì, tu e io, per il periodo dell’insegnamento — o forse per sempre, perché certe case non si misurano in giorni, ma in verità scambiate, in sguardi che illuminano, in polveri dorate che ci benedicono dall’alto.

Tu mi insegnerai a vedere ciò che non si vede. Io ti insegnerò a toccare ciò che sembra lontano. E ogni sera, sulle poltrone bianche del terrazzo, il mare ci ascolterà, il faro ci proteggerà, e il cielo ci ricorderà che la nostra casa è anche una stella."

Da quel momento, la loro vita condivisa aveva il sentiero delle due menti, delle due conoscenze che sarebbero arrivate in futuro, ad una sola. L'unica verità.

Giampaolo Daccò Scaglione

 

 


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