mercoledì 24 settembre 2025

Mistral - L' Elfo del Ghiaccio (Prima parte)

 

Mistral – L’Elfo del Ghiaccio


Prefazione

Ci sono storie che non si scrivono. Si ascoltano nel vento, si leggono nei fiocchi di neve, si sognano tra le radici degli alberi. Questa è una di quelle.

Non so quando ho cominciato a immaginare Mistral. Forse era già lì, tra le pieghe del tempo, tra le ombre del bosco, tra le lacrime di un bambino abbandonato. Forse è nato da una domanda che non avevo mai osato fare: “E se il gelo fosse amore?”

In questo libro troverete un elfo che non cerca gloria, ma verità. Che non combatte per dominare, ma per proteggere. Che non si innamora per convenzione, ma per destino.

Troverete anche una lince, una rosa bianca, sette fiori, un ghepardo delle nevi, e un altro elfo — Elyan — che porta il fuoco nel cuore e la luce negli occhi. Troverete silenzi che parlano, magie che non fanno rumore, e un mondo che non ha bisogno di essere spiegato, ma solo vissuto.

Questa storia è per chi ha camminato nella neve senza sapere dove portasse il sentiero. Per chi ha amato senza confini. Per chi ha ascoltato il vento e ha trovato la propria voce.

Benvenuti nel gelo che scalda. Benvenuti nel cuore di Mistral.


Dedica

A chi ha camminato nella neve senza sapere dove portasse il sentiero.

A chi ha amato senza confini, senza tempo, senza paura.

A chi ha ascoltato il vento e ha trovato la propria voce.

Questo è per te, che sei luce nel gelo.

 

A chi ha creduto che la magia non fosse solo nei libri,

ma anche nei sogni che non smettono mai di nevicare.

A Elyan, al vento che non smette mai.

E a me stesso, che ho camminato per millenni per arrivare fin qui.

Mappa del mondo di Mistral:

 

  • Bosco di Azhavan – La casa sull’albero, cuore del ghiaccio
  •  
  • Montagne di Barazar – Il confine del tramonto
  •  
  • Bosco dei Sambuchi – Luogo sacro della memoria
  •  
  • Regno di Samrah – Comunità elfica, fratelli e gnomi
  •  
  • Sentiero delle Nubi – Prova iniziatica tra verde e rosa
  •  
  • Villaggio di Farahys – Dove si diventa druido
  •  
  • Regno degli Alti Elfi – La soglia della ricompensa
  •  

Capitoli:

  1. . Il risveglio nella neve
  2. . La casa tra le gocce di cristallo
  3. . Il legame con Lohar
  4. . La prima missione
  5. . Il dono della voce interiore
  6. . Il viaggio nel Bosco dei Sambuchi
  7. . La visione della Regina Ysheah
  8. . La notte delle stelle cadenti
  9. . Il bambino sulla riva del fiume
  10. . La soglia del Regno degli Alti Elfi
  11. . Ricordo: La prova dei sette fiori
  12. . Epilogo – Il vento che non smette mai (incontro con Elyan, l’elfo del fuoco)

 

Il risveglio nella neve

Mi ero svegliato un mattino. Sentivo un freddo profondo nel corpo, un gelo che non faceva male ma sembrava voler dire qualcosa. Aprii gli occhi e vidi una radura innevata: attorno a me, grandi alberi scintillavano sotto la luce del sole, bianchi e argento, così intensi da farmi quasi male agli occhi.

Ero solo. Sopra di me, una calda coperta di pelle d’orso. Indossavo abiti rossi di lana cotta e un mantello verde di stoffa pesante. Il mio naso era gelato, e dalla bocca e dalle narici uscivano aliti densi, come nuvolette bianche.

Mi spaventai. Dov’era la mia casa di legno chiaro, nel paesino di montagna vicino al grande lago? Dov’erano mamma e papà?

Urlai i loro nomi. Ma nessuno rispose.

Attorno a me, solo il silenzio ovattato della neve che scendeva lenta dal cielo. Cerbiatti, lepri e un alce mi fissavano incantati, immobili, come se sapessero qualcosa che io ignoravo.

Poi, all’improvviso, un vento gelido arrivò da nord. Mi colpì alle spalle, ma non sentii freddo. Anzi, quell’aria mi infuse un calore strano, profondo, come se mi stesse abbracciando.

Una nebbia d’oro apparve davanti ai miei occhi. Si trasformò lentamente in un piccolo cumulo di stelle dorate. E poi… apparve Lei.

Una donna elfica, bellissima, dai capelli d’argento. Mi sorrise appena vide i miei occhi pieni di pianto. Non parlò. Ma i suoi pensieri entrarono nella mia mente, chiari come parole.

“Norwenn…” “Piccolo mio, mio caro elfo. Tuo padre, un elfo senza cuore, ti ha lasciato qui nelle mie terre dopo aver scoperto che non eri suo figlio naturale. Tua madre, la principessa Rawynd, mia sorella da parte di madre, ti ha concepito con mio fratello Thaylen. Il tuo padre umano è duro, egoista, e ha fatto soffrire tua madre. Ma tu sei nato dall’amore segreto tra Rawynd e Thaylen. Tu sei Norwenn, e un giorno tutti ti chiameranno Mistral, l’elfo dei ghiacci. Io sono Ysheah, Regina della Neve. E sono tua parente.”

Ero confuso. Troppo piccolo per capire davvero. Ricordavo solo il volto dolce di mia madre, e quello serio, dagli occhi di ghiaccio e i capelli rosso fuoco, di colui che credevo fosse mio padre.

Ysheah, vedendomi impaurito, mi mandò vicino due cervi. Si sedettero accanto a me, guardandomi con occhi intensi, quasi umani. Lei continuò a parlarmi con la mente, in un silenzio che nessun altro poteva sentire.

“Vivrai qui per millenni, secondo gli anni umani. Avrai un compito da svolgere, anche se sei ancora piccolo.”

Si alzò. Una nuvola dorata la avvolse. Con un gesto della mano, una scia di stelle bianche mi circondò come una carezza. Il mio cuore si scaldò. Mi sentii pieno di amore.

“Da oggi potrai usare arti magiche con le mani e con la mente. Aiuta chi ha bisogno: umano, magico, animale, chiunque. Ma difenditi dai malvagi. Solo così crescerai in saggezza, bellezza e magia.”

Indicò un punto tra gli alberi. Mi girai e vidi un grande albero bianco, con occhi e bocca sorridente. In cima, tanti gnomi stavano costruendo una casa di legno pregiato.

“Quella sarà la tua casa. Ricorda, piccolo mio: solo aiuto e amore ti faranno crescere. Troverai tanti amici, ma le tue difese dovranno essere imperiose contro il male. Un giorno, molto lontano, riceverai la ricompensa per tutto questo. Non sarò io a dirti quale sarà, ma arriverà nel giorno giusto. E ogni volta che avrai bisogno, potrai invocarmi. Ora dimentica la tua famiglia: la tua nuova famiglia sono gli animali e gli esseri di questa terra incantata. Buona fortuna, Norwenn, piccolo dolce elfo.”

Così come era venuta, Ysheah svanì in una goccia trasparente, leggermente azzurra. Ma sentivo ancora la sua presenza attorno.

Da quel momento, la mia vita cambiò. Fatta di aiuti, di magia, di guerra al male. Un giorno lontano incontrai anche il mio vero padre, Thaylen. Ma mai più seppi nulla della mia famiglia d’origine.

Dopo molte avventure, tutti iniziarono a chiamarmi Mistral. L’elfo del ghiaccio.

La casa tra le gocce di cristallo

La casa era lì, sospesa tra i rami di un albero bianco che sembrava vivo. Aveva occhi, una bocca sorridente, e un tronco che pulsava come se respirasse. Gli gnomi lavoravano instancabili, intagliando il legno pregiato, incastonando cristalli, cantando melodie che sembravano fatte di luce.

Io osservavo tutto in silenzio. Ancora piccolo, ancora confuso, ma già diverso. Sentivo il gelo dentro di me non come una minaccia, ma come una forza. Le mie mani, quando le sfioravo tra loro, lasciavano scie di brina nell’aria.

La casa cresceva giorno dopo giorno. Aveva pareti di legno chiaro, finestre di vetro incantato, e luci che si accendevano da sole al tramonto. Gli gnomi mi chiamavano “piccolo vento”, e mi portavano bacche, miele, e racconti antichi.

Una sera, mentre il cielo si riempiva di stelle, uno di loro — il vecchio Garlim — mi portò una sfera di ghiaccio. Dentro, danzavano fiocchi di neve che non si scioglievano mai.

“Questa è tua, Norwenn,” disse. “È il tuo cuore. Non quello che batte, ma quello che guida.”

La tenni tra le mani, e sentii un fremito. La sfera si illuminò, e il gelo si fece luce. Era la mia prima magia.

Il legame con Lohar

Era notte. Una di quelle notti in cui il cielo sembrava una distesa di cristalli, e il silenzio era così profondo da sembrare sacro. Io sedevo sul ramo più alto della mia casa, le gambe penzoloni nel vuoto, il cuore pieno di domande.

Avevo vissuto settimane nel bosco di Azhavan. Gli gnomi mi avevano insegnato a riconoscere le piante, a parlare con gli alberi, a leggere le tracce nella neve. Ma dentro di me, qualcosa mancava. Una voce, una presenza, un respiro accanto al mio.

Fu allora che lo sentii.

Un suono lieve, come neve che si spezza. Mi voltai, e tra i rami vidi due occhi dorati. Una lince. Grande, fiera, con il pelo argentato e le orecchie appuntite come corone.

Non fuggì. Mi fissò. E io, senza sapere perché, allungai la mano.

Lei si avvicinò. Posò il muso sulla mia pelle. E in quell’istante, qualcosa si aprì.

Un legame. Non fatto di parole, ma di gelo e luce. Sentii i suoi pensieri, le sue emozioni, la sua storia. Era sola, come me. Era nata nel cuore dell’inverno, e aveva perso tutto. Ma non aveva mai smesso di cercare.

“Lohar,” dissi. “Questo sarà il tuo nome. E tu sarai la mia compagna.”

Lei non rispose. Ma si sedette accanto a me, e da quel momento non mi lasciò più.

Da quel giorno, Lohar fu la mia ombra, il mio specchio, la mia forza. Mi aiutava a cacciare, a proteggere, a meditare. Dormiva accanto a me, e quando sognavo, sognava con me.

Il gelo non era più solitudine. Era casa.

La prima missione

La neve cadeva lenta, come se il tempo avesse deciso di rallentare. Io camminavo accanto a Lohar, tra i sentieri ghiacciati del bosco di Azhavan. Il silenzio era profondo, ma non vuoto. Ogni ramo, ogni fiocco, ogni respiro sembrava custodire un segreto.Fu Lohar a sentirlo per prima. Si fermò, le orecchie tese, il muso rivolto verso nord. Io chiusi gli occhi, e lasciai che il vento mi parlasse.

Una voce. Debole, spezzata. Un richiamo.

Seguimmo il suono, attraversando radure e colline innevate, fino a una piccola riva. Lì, tra le radici di un albero spezzato, c’era un bambino. Avvolto in stracci, tremante, con gli occhi pieni di paura.

Mi avvicinai piano. Lohar si sedette accanto a lui, come faceva con me. Il bambino non parlava. Ma i suoi occhi dicevano tutto.

Era stato abbandonato. Come me, tanti anni prima.

Mi inginocchiai. Sfiorai la sua fronte con le dita. Una luce azzurra si sprigionò dalla mia mano, e il gelo si trasformò in calore.

“Non temere,” gli dissi. “Ora sei al sicuro.”

Il bambino chiuse gli occhi. Dormì per ore, mentre io e Lohar vegliavamo su di lui. Quando si svegliò, non chiese nulla. Ma mi guardò come si guarda un fratello.

 Quella fu la mia prima missione. Non una battaglia, non una magia spettacolare. Solo un gesto. Un abbraccio nel gelo.

Da quel giorno, capii che la mia forza non era solo nei cristalli che sprigionavo dalle mani. Era nella capacità di ascoltare. Di accogliere. Di ricordare.

Il dono della voce interiore

Il bosco dormiva. Non c’era vento, né canto, né luce. Solo il respiro lento degli alberi e il battito lontano della terra.

Io sedevo accanto a Lohar, sotto il grande albero dalle gocce di cristallo. Avevo chiuso gli occhi, lasciando che il silenzio mi avvolgesse. Non cercavo nulla. Ma qualcosa cercava me.

Fu come un sussurro. Non un suono, ma un pensiero. Una voce che non veniva da fuori, ma da dentro.

“Tu puoi ascoltare ciò che non viene detto.”

Aprii gli occhi. Lohar mi fissava. E capii che era lei a parlarmi. Non con la bocca, ma con la mente.

“Da sempre ti parlo. Ma ora tu puoi sentirmi.”

Mi alzai, confuso. Camminai tra gli alberi, sfiorando le cortecce, le foglie, la neve. Ogni cosa sembrava viva. Ogni cosa aveva una voce.

Un ramo mi disse di non spezzarlo. Una pietra mi raccontò di un’antica caduta. Un fiore mi chiese di non coglierlo.

E io… ascoltai.

 Quel giorno scoprii il dono della voce interiore. Non era magia. Era presenza. Era rispetto. Era amore.

Da quel momento, non parlai più come prima. Le parole erano lente, inutili. Il pensiero era più veloce, più puro, più vero.

Potevo comunicare con gli animali, con gli alberi, con gli spiriti del ghiaccio. Potevo sentire il dolore di chi non sapeva esprimerlo. Potevo consolare senza toccare, proteggere senza combattere.

Il viaggio nel Bosco dei Sambuchi

Il vento era diverso, quel giorno. Non tagliava, non cantava. Sussurrava. Avevo deciso di lasciare per qualche tempo la mia casa sull’albero. Sentivo un richiamo, un’eco lontana che mi portava a ovest, dove il sole tramonta dietro le montagne di Barazar. Lì, tra le radure nascoste, si trova il Bosco dei Sambuchi.

Un luogo antico. Profumato, silenzioso, vivo. Ogni albero sembrava ricordare qualcosa. Ogni foglia, un pensiero. Ogni fiore, una memoria.

Camminavo piano, con Lohar al mio fianco. Il suo passo era felpato, il suo sguardo attento. Io invece ero altrove. Dentro.

Ricordavo. Il giorno dell’abbandono. Il freddo sulla pelle. Il nome di mia madre urlato nel vuoto. Il volto di mio padre — o di colui che credevo tale — duro, distante, incapace di amore.

Mi fermai sotto un sambuco in fiore. Sfiorai i petali con le dita. Il profumo mi avvolse, e qualcosa si sciolse dentro di me.

“Non sei più quel bambino.”

La voce era mia. Ma anche del bosco. Era come se gli alberi mi stessero parlando, come se il dolore fosse diventato linfa.

Sedetti tra le radici. Lohar si accovacciò accanto a me. E per la prima volta, piansi. Non per tristezza. Per liberazione.

Il Bosco dei Sambuchi mi ha insegnato che il passato non si cancella. Si accoglie. Si trasforma. Diventa parte di noi, come il gelo che non brucia ma protegge.

Da quel giorno, ogni volta che passo tra quei fiori, sento la voce di Ysheah. E quella di mia madre. E quella di me stesso, bambino.

Giampaolo Daccò Scaglione

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