Le strade che non sai
A chi ha camminato accanto a me senza chiedere dove stessimo andando. A chi ha acceso un falò nel cuore quando il cielo sembrava spento. A chi non ha avuto paura di perdersi, pur di trovarsi davvero. Queste pagine sono per voi. Per noi. Per le strade che non sappiamo, ma che ci portano sempre più vicino.
(da sinistra Bruno, Bjorn, Erik, Giampaolo)
Spiaggia del Mare del Nord
Mi sono seduto su un tronco, mentre il vento mi spettinava i pensieri. Erik, Bjorn e Bruno camminavano poco lontano, e sembravano parte del paesaggio — come se il mare li avesse disegnati lì per me. Avevo Take the Long Way Home in testa, e per la prima volta ho capito che non era solo una canzone. Era una direzione. E loro… erano casa.
Mi sono innamorato. Non di uno solo, ma di tutti. Di quello che siamo insieme. Di come mi guardano, di come mi ascoltano, di come mi fanno sentire. Forse non tornerò mai più lo stesso. Ma va bene così. Perché oggi, su questa spiaggia fredda, ho trovato qualcosa che non sapevo di cercare.
Milano – La partenza
Bruno chiuse la porta del camper con un colpo secco. Il rumore rimbalzò tra i palazzi silenziosi di Milano, ancora addormentati in quella mattina di marzo. Aveva lasciato un biglietto sul tavolo di casa, niente di drammatico: “Vado a cercare qualcosa che non so. Non aspettarmi.”
Aveva trent’anni, una barba che non curava più da settimane, e negli occhi il riflesso di una storia finita con Andrea. Non c’erano più parole da dire, solo chilometri da macinare. Il camper, vecchio ma fedele, sembrava capirlo. Il motore tossì, poi si mise in moto. Direzione: nessuna. O forse Monaco, solo perché era abbastanza lontana da sembrare un nuovo inizio.
Monaco – L’incontro
Il pub era caldo, affollato, odorava di birra e spezie. Bruno sedeva da solo, mangiando lentamente una zuppa che non sapeva di nulla. Fu allora che vide Erik, il barista, litigare con il proprietario: un uomo grosso, arrogante, che lo strattonava davanti a tutti.
Bruno non ci pensò: si alzò, intervenne. Le cose precipitarono. Altri uomini entrarono, minacciosi. Bruno e Erik fuggirono tra le strade umide di Monaco, ridendo per la paura e per l’assurdità della fuga.
Erik aveva ventisei anni, occhi chiari e un accento che non si capiva bene da dove venisse. “Grazie,” disse. “Non so perché l’hai fatto, ma ora siamo in due. Ti va di non avere una meta insieme?”
Berlino – L’incrocio
Il camper si fermò davanti a un piccolo hotel. Pioveva leggermente, quella pioggia sottile che non bagna ma entra nelle ossa. Fu lì che ti vedemmo, Giampaolo.
Avevi ventuno anni, uno zaino troppo grande per la tua schiena, e stavi attraversando la strada quando un ladro ti strappò la borsa. Cadesti. Bruno corse verso di te, Erik inseguì il ladro. Un poliziotto si unì alla corsa. Alla fine, la borsa tornò nelle tue mani. E tu, nei nostri cuori.
Verso Stoccolma
Nel camper, tra una canzone dei Supertramp e l’altra, Erik ci raccontò di Bjorn. Il suo compagno, ventitré anni, era ricoverato a Stoccolma in attesa di un trapianto di cuore. Erik lavorava in Germania per pagare l’operazione. Bruno ascoltava in silenzio. Non disse nulla, ma quando arrivammo in Svezia si mise in contatto con il suo vecchio ospedale. Era un medico. Lo scoprimmo solo allora.
Bjorn era pallido, ma sorrideva. Dopo settimane, un donatore fu trovato. Bruno aveva pagato tutto, senza dirlo. Solo Erik lo capì, e lo abbracciò.
La spiaggia danese
Bjorn stava meglio. Decidemmo di andare in Danimarca, su una spiaggia che sembrava uscita da un sogno. Erik e Bjorn sedevano davanti al falò, le mani intrecciate, gli occhi pieni di futuro. Tu e Bruno pescavate. Rubasti le esche, lui ti rincorse, e crollaste sulla sabbia ridendo.
Da lì, le storie si divisero: due coppie, due strade, un’unica colonna sonora.
Il falò
La spiaggia danese era silenziosa. Il mare respirava piano, e il cielo — tra il grigio e il ceruleo — sembrava ascoltare. Bjorn e Erik erano seduti vicini, le mani intrecciate, gli occhi rivolti alle fiamme. Bruno sistemava le ultime pietre attorno al fuoco, poi si sedette accanto a me.
Guardavo i tre, uno alla volta. Sentivo la musica nella testa — Take the Long Way Home — e qualcosa dentro di me si scioglieva. Il vento mi spettinava i pensieri, ma non li portava via. Li teneva lì, come se volesse che li dicessi.
Mi schiarii la voce. “Posso dirvi una cosa?” Si girarono tutti verso di me, senza fretta.
“Credo che… per la prima volta… mi sia innamorato davvero.” Silenzio. Ma non era imbarazzo. Era rispetto. Era ascolto.
“Non di uno solo,” continuai. “Ma di voi. Di questo. Di noi quattro. Di quello che siamo diventati. Di come mi fate sentire. Di come mi avete cambiato.”
Bjorn sorrise. Erik gli strinse la mano. Bruno mi guardò con quegli occhi verdi che non avevano bisogno di parole. Il fuoco crepitava. Il mare continuava a respirare. E io, seduto su quel tronco, capii che non serviva altro.
Take the Long Way Home suonava nel camper, mentre il sole tramontava lento sull’acqua.
Milano – Il ritorno
Il camper rallentò all’ingresso della città. Milano sembrava diversa, eppure era sempre la stessa: palazzi grigi, tram che sferragliavano, gente che correva anche se non pioveva. Bruno guidava in silenzio, lo sguardo fisso sulla strada. Io, seduto accanto, avevo lo zaino sulle ginocchia e un nodo in gola. Otto mesi di viaggio, e ora tornavamo. Ma chi eravamo, dopo tutto questo?
Parcheggiammo davanti alla casa di Bruno, quella dove Andrea aveva vissuto, dove le pareti avevano ascoltato litigi e silenzi. Entrammo piano, come se la casa potesse svegliarsi di colpo. Era tutto come prima, ma con la polvere del tempo.
Bruno aprì le finestre. Io mi sedetti sul divano. “Puoi restare qui finché vuoi,” disse. “Non è più casa mia. È casa nostra, se ti va.”
Nei giorni seguenti, Milano ci inghiottì piano. Io iniziai a cercare lavoro, portando il mio diploma d’arte come una bandiera fragile. Bruno tornò in ospedale, accolto con abbracci e domande. La sera, cucinavamo insieme. A volte parlavamo, a volte no. Ma c’era una musica che non mancava mai: Take the Long Way Home, che suonava mentre il sole calava dietro i tetti.
La lettera e la promessa
Fu una sera di ottobre. Milano era immersa in quella pioggia sottile che non fa rumore, ma che si sente dentro. Stavo dipingendo nel soggiorno, una tela ancora bianca davanti, ma con mille colori nella testa. Bruno era in cucina, preparava del tè alla menta — il suo preferito da quando eravamo stati in Bretagna.
La casa era silenziosa, tranne per il ticchettio della pioggia e la musica bassa che veniva dal vecchio stereo. Take the Long Way Home suonava ancora, come un rituale che non volevamo spezzare.
Bruno entrò con una busta in mano. “È arrivata una lettera,” disse, asciugandosi le mani sul grembiule. Si sedette accanto a me, aprì piano la busta, come si apre un ricordo.
La voce di Erik e Bjorn ci arrivò attraverso le parole scritte — calde, sincere, piene di gratitudine e nostalgia.
Leggemmo in silenzio. Ogni frase era un frammento di quel viaggio, ogni parola un richiamo.
Quando Bruno finì, rimase in silenzio per un momento. Poi mi guardò. “Che giorno era quando partii da Milano?” “Il 12 marzo,” risposi. Lui sorrise. “Allora il 12 marzo prossimo… partiamo di nuovo. Solo per una vacanza. Solo per rivederli. Solo per ricordarci chi siamo.”
Io annuii. La tela davanti a me non era più bianca. Avevo già iniziato a dipingere: un camper, una spiaggia danese, quattro sagome davanti a un falò. E sopra, un cielo pieno di stelle e di musica.
Lettera da Stoccolma
Mittenti: Erik & Bjorn Destinatari: Bruno & Giampaolo Data: 12 ottobre
Cari Bruno e Giampaolo,
Ci siamo svegliati stamattina con il cielo grigio che solo Stoccolma sa regalare, e con il desiderio di scrivervi. Bjorn sta meglio. Cammina ogni giorno un po’ di più, e ieri ha cucinato per la prima volta da mesi. Ha fatto delle polpette svedesi che sapevano di casa, anche se la cucina sembrava esplosa.
Parliamo spesso di voi. Del camper, della spiaggia danese, del falò. Della corsa sulla sabbia, delle esche rubate, delle risate che ci hanno fatto dimenticare per un attimo la paura. Bruno, non abbiamo mai trovato le parole giuste per ringraziarti. Tu hai fatto più di quanto chiunque avrebbe fatto. Hai salvato Bjorn, ma anche me. Giampaolo, tu hai portato leggerezza, arte, quella voglia di vivere che ci ha contagiati. Sei stato il colore in un periodo in bianco e nero.
Abbiamo deciso di restare qui per un po’. Bjorn vuole studiare fotografia, io sto cercando lavoro in una libreria. Ma un giorno, torneremo a viaggiare. E magari ci ritroveremo, chissà, in Bretagna, in Olanda, o semplicemente a Milano, davanti a un caffè.
Vi mandiamo una foto scattata ieri: siamo sul balcone, con le coperte sulle gambe e Take the Long Way Home in sottofondo. Sì, la ascoltiamo ancora. Sempre.
Con affetto infinito, Erik & Bjorn
La strada che non sai – Canzone
Verso nord, con il cuore in tasca
Bruno guida e non guarda indietro
Erik ride, ma ha gli occhi stanchi
Io sogno Berlino sotto un cielo tetro
Un ladro, una corsa, una borsa persa
Un incontro che cambia il cammino
Bjorn ci aspetta, fragile e vero
In un letto d’ospedale, vicino al destino
RITORNELLO:
Prendi la strada che non sai
Dove il vento ti parla piano
Tra le piogge della Danimarca
E le mani strette al mattino
Prendi la strada che non sai
Che non ha fretta di arrivare
È lì che trovi chi sei
Tra chi non sapevi di amare
Falò acceso, sabbia tra i denti
Io rubo le esche, Bruno mi rincorre
Erik e Bjorn, seduti e silenti
Con gli occhi che brillano più delle stelle
Un camper, quattro anime in viaggio
Una canzone che non smette mai
Supertramp alla radio, finestrini abbassati
E il mondo che gira, ma non ci fa male
(RITORNELLO) PONTE:
E se un giorno torneremo
A quei luoghi che ci hanno cambiato
Sarà per dire grazie
A chi ci ha salvato, anche senza saperlo
(RITORNELLO FINALE)
Prendi la strada che non sai
Che ti porta lontano da tutto
Ma vicino a chi conta davvero
Nel silenzio, nel tempo, nel lutto
Prendi la strada che non sai
E non tornare mai uguale
Perché ogni curva, ogni volto
È un pezzo di te che vale
E se un giorno torneremo… sarà per ricordarci chi siamo. E per continuare a camminare, lungo le strade che non sappiamo.
Epilogo – Agosto 2025, Spiaggia del Mare del Nord
Il vento è lo stesso. Forse un po’ più stanco, forse più saggio. Ma spettina ancora i pensieri, come allora. Cammino sulla sabbia con passo lento, lo zaino sulle spalle, una vecchia foto in tasca. Quella con noi quattro, davanti al falò. Il cielo è grigio-ceruleo, come quel giorno. Il mare respira piano.
Mi siedo su un tronco, lo stesso — o forse uno simile. Accendo un piccolo altoparlante. Take the Long Way Home parte piano, come un ricordo che non ha fretta. Chiudo gli occhi. E li vedo.
Bruno, con la barba più bianca ma lo sguardo ancora verde. Erik e Bjorn, mano nella mano, con le rughe che raccontano solo sorrisi. E io, che non sono invecchiato davvero. Ho solo aggiunto luce.
Nessuno parla. Non serve. Il falò non c’è, ma il calore sì. E il tempo, per una volta, si siede accanto a noi.
Giampaolo.
Nota dell’autore
Questo racconto è nato da un ricordo, ma ha preso forma come un viaggio. Non è una cronaca, non è una confessione. È una mappa emotiva, tracciata con immagini, silenzi, e una canzone che non smette mai.
Ogni personaggio è reale, anche se non sempre riconoscibile. Ogni luogo è vero, anche se a volte inventato. Le emozioni, invece, non hanno bisogno di conferme: sono quelle che ci cambiano, che ci tengono svegli, che ci fanno partire.
Le strade che non sai non è solo un titolo. È una promessa. Che ogni curva, ogni volto, ogni incontro — anche il più breve — possa diventare un pezzo di te che vale.
Grazie per aver camminato con me.
Giampaolo
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