venerdì 5 settembre 2025

Un sogno tra sole, mare e... Un futuro lontano

Un sogno che diventa realtà non è solo il titolo di questo racconto. È una dichiarazione di intenti, un desiderio che si è fatto carne, onda, sguardo. Giampaolo Daccò ci accompagna in un viaggio che non è solo geografico — è interiore, emotivo, spirituale. Attraverso una scrittura limpida e intensa, ci racconta un incontro che ha il sapore del destino, della cura, della rinascita. Due anime si sfiorano, si riconoscono, si amano — senza bisogno di etichette, definizioni, spiegazioni. E poi si perdono, si ritrovano, si scrivono. Come accade solo nei sogni che non vogliono essere dimenticati.

Questa storia è un invito a credere che anche ciò che sembra impossibile può accadere. Che anche un addio può contenere una promessa. Che anche una lettera consegnata tra la folla può riaccendere la luce di un amore che non ha mai smesso di brillare.

Leggetela con il cuore aperto. Perché è lì che vive davvero.


Un sogno tra sole, mare e... Un futuro lontano

L’incontro

Avevo scelto quel posto meraviglioso per una vacanza indimenticabile, dopo tre anni difficili passati a lottare, pieni di contrasti, cercando di sistemare la mia vita dopo un cambiamento radicale di tutte le mie certezze: il mio lavoro, la mia ex casa, una nuova città, nuove amicizie e tanto altro.

Ne avevo bisogno come quando la gola è arsa dalla sete. Volevo solo mare, spiaggia, cielo azzurro e caldo, poter rilassarmi, dormire e anche divertirmi in ogni senso. Conoscere nuove persone, vivere insomma. E perché no? Lasciarmi andare ad avventure dopo tanta solitudine.

Quel giorno particolarmente bello, dove i colori sembravano più nitidi e mi sentivo come in paradiso, seduto su una sdraio comoda con gli occhi chiusi, sentivo le onde biancastre spumeggiare e infrangersi sulla rena vicino a me, su quella spiaggia dorata. L’ombra delle palme, il vento caldo… sospirai forte per assaporare il profumo salmastro dell’oceano. Non mi ero mai sentito così bene.

Era come se fossi in un Eden fantastico e incredibile. Un pomeriggio tardo, il sole meno caldo e forte per quell’ora, e il cielo si stava già tinteggiando di un arancione leggero, preludio del prossimo tramonto. Era stata una vacanza, in un certo senso, sudata e meritata dopo quel periodo intenso, pesante e difficoltoso.

Ero lì da pochi giorni e ne avrei passati altri venti, tra spiaggia, oceano, escursioni… Incominciavo a sentire l’energia entrare in me. L’hotel era elegante, incastonato in quel posto tropicale magnifico, e pensando all’autunno europeo appena arrivato, mi sentivo un privilegiato. Anche perché, al di là del personale del posto, non conoscevo ancora nessuno.

“È da tanto che stai pensando al paradiso?”

Una voce gradevole e ironicamente simpatica mi aveva scosso da quel tepore rilassante in cui stavo vivendo. Aprendo gli occhi, mi ero trovato di fronte, in piedi davanti alla mia sdraio, una magnifica creatura. Forse stavo dormendo e sognando? Una creatura del profondo oceano era apparsa silenziosa davanti a me?

Mi ero alzato dalla mia posizione e guardai quella figura come fosse un angelo caduto dal cielo: capelli neri, ricci e bagnati che scendevano fin sotto le spalle, occhi scurissimi dalle ciglia lunghe, bocca tumida leggermente imbronciata che incorniciava un sorriso bianco perfetto. Subito il cuore incominciava a battermi forte.

Aveva sorriso davanti al mio stupore. Balbettai qualcosa come:

“Sì… certo… qui è tutto un paradiso…”

“Hai gli occhi color del cielo e i capelli color del grano.”

Incominciavo a pensare di essere quasi preso in giro, era troppo strana la cosa.

“Non ti sto prendendo in giro!” mi aveva detto smettendo di sorridere.

“Che fa, mi legge nel pensiero?” avevo pensato.

“E non leggo nel pensiero…”

In quel momento eravamo scoppiati a ridere. Avevo tolto la fascetta che legava i miei lunghi capelli biondi, che scesero fino sotto le spalle. Avevo solo venticinque anni, sembravo un ragazzino. Ero anche in forma fisicamente grazie allo sport, e mi sentivo davvero soddisfatto da come mi guardava intensamente.

“Sembriamo Yin e Yang, sai di che parlo vero?”

Avevo annuito.

Non so come era accaduto, ma dopo mezz’ora di chiacchiere dove si era parlato di tutto, ci siamo ritrovati a passeggiare lungo la spiaggia che incominciava a tingersi di rosso per il tramonto. Il discorso prese la piega su argomenti esoterici, poi sulle nostre vite, infine sulle bellezze del posto.

Avevamo scoperto che alloggiavamo nello stesso albergo. Inoltre, avevamo in comune molti gusti: pittura, mare, sport, ballo. Ed eravamo italiani entrambi, nonostante l’altra persona sembrasse caraibica. Osservavo la diversità fisica dei nostri colori, tant’è che mi misi a ridere tra me, pensando a dei biscotti famosi per essere uno chiaro e uno scuro incollati da un goccio di crema alla vaniglia.

Più tardi avevamo cenato in un piccolo locale, con indosso solo il costume da bagno coperto da un pareo. I nostri occhi si fissavano spesso, ma io mi sentivo arrossire. Non so perché, ma non mi era mai capitata una cosa del genere.

“Hai degli occhi blu molto intensi, ma credo che cambino colore in base alla luce, vero?”

Avevo annuito, mentre osservavo i suoi occhi neri e profondi come la pece, indecifrabili. Avevamo ascoltato musica in un locale, un genere francese anni Cinquanta — musica che amavo e amo tanto. Poi, prima di mezzanotte, quando in quella cittadina tutti si stavano divertendo con musica e balli, eravamo rientrati nel nostro hotel.

Era molto tardi, la notte era inoltrata e la luce della luna filtrava tra le finestre della sua camera. Guardavo quella creatura completamente nuda abbracciata a me. Le ombre disegnavano sul corpo curve e onde scure e sensuali. Era stata una notte piena di passione. Pensavo che sarebbe durata solo una volta. I suoi capelli neri lungo le spalle sembravano blu nella penombra e contrastavano con i miei. Ancora mi venne in mente il simbolo dello Yin e Yang.

Muovendosi, aveva aperto gli occhi su di me e subito un leggero bacio aveva colpito la mia bocca. Avevo anche notato in quell’istante una cosa che non avevo visto prima: il tatuaggio Yin e Yang sulla sua spalla sinistra. Sorrise mentre con un dito mi sfiorava le labbra.

“Non ci siamo incontrati per caso.” aveva detto all’improvviso, notando i miei occhi fissi sul tatuaggio. “Era destino, me lo sentivo quando ti avevo visto entrare nella hall la prima volta con la valigia blu e lo zaino in spalla. Sembravi un angelo con i capelli lunghi e lo sguardo un po’ perso, come un ragazzino del liceo.”

“Grazie…” avevo risposto così.

“E per cosa? Passeremo le vacanze insieme se ti… Ma sì che ti va, lo sai. Fino al giorno della partenza per le nostre città saremo insieme. Non possiamo farne a meno.”

Così era stato. Che giorni e notti meravigliose. Un sogno diventato realtà. Quello che desideravo da quando avevo prenotato il viaggio nei giorni precedenti alla partenza, sull’aereo che mi portava lì. Un premio che pensavo di meritare. Avevo scoperto che eravamo anche sul volo di ritorno insieme. Che meraviglia, fino all’ultimo. E se lo sapeva già dal principio?

Il ritorno e il destino

Milano Malpensa, venti giorni dopo. Venti giorni che non scorderò mai, per la felicità, per la bellezza e per le cose insieme fatte. Sentivo ancora dentro il profumo del mare, dei nostri corpi, dell’atmosfera vissuta in quell’angolo di paradiso. Passata la dogana, ci eravamo fermati in un bar per mangiare qualcosa. Non sapevo se chiedere il suo numero di telefono.

“Senti…” mi aveva detto all’improvviso, “Non scambiamoci niente, te l’ho letto negli occhi. Né telefono, né indirizzo, nulla. So che abiti a Milano e io a Roma… Se il destino vorrà, ci rincontreremo. Meglio così.”

Avevo risposto con un cenno della testa. Sembrava un gioco magico e crudele. In quel momento mi sentivo preso in giro, ma già in vacanza non avevamo parlato se ognuno di noi avesse una persona al fianco. Non avevamo sentito il bisogno di dircelo. Un bacio e un abbraccio durato un’eternità avevano suggellato il nostro addio, mentre sentivo le lacrime salire agli occhi. Ero stato troppo bene. Troppo felice.

Mi ritrovai a casa dopo due ore, pensando a quell’avventura stupenda e ai suoi occhi così penetranti. Ma chi era, infine? Avevamo parlato di tutto, ma di nessun progetto e futuro incontro. Era stata un’avventura magica. Avevo realizzato poi che mi aveva riempito il cuore da un vuoto che durava da anni. Forse mi era stato mandato un angelo per avere un po’ di felicità?

Erano passati circa una quindicina d’anni, o poco più. Per lavoro, mi ero ritrovato a un convegno internazionale molto importante nella città eterna. Un luogo fantastico, come ce ne sono tanti a Roma. Centinaia di persone da tutto il mondo, e una noia mortale nel partecipare a tre conferenze che non finivano mai. Pochi parlavano inglese, e con le cuffie del traduttore si dovevano sorbire, in lingue diverse e incomprensibili, lunghi e spesso inutili discorsi.

Poi finalmente, finite le conferenze, il penultimo giorno era dedicato alle visite della città. Avevo scelto di andare con una comitiva di lombardi e svizzeri per un’escursione in Vaticano, per visitare gli stupendi musei. E mentre stavamo passeggiando tra quelle meraviglie, tra quadri e statue, all’improvviso avevo avuto un abbaglio. Non credevo ai miei occhi: poco distante, davanti a me, c’era la meravigliosa creatura di quella vacanza lontana.

Avevo riconosciuto subito gli occhi, la bocca. I capelli erano più corti, non era cambiato molto — solo la sua figura leggermente appesantita, ma ancora affascinante. Da perfetto idiota, mi ero nascosto dietro a una colonna dove erano appoggiate due persone, per non farmi vedere. Semmai mi avesse riconosciuto.

Non so perché lo avevo fatto, ma mi sentivo in imbarazzo. Non ero più solo sentimentalmente, e forse rivedendoci sarei rimasto imbambolato e non avrei saputo dire qualcosa, oppure comportarmi normalmente. Quando poi la sua figura era svanita tra la folla che usciva verso i giardini, mi ero spostato dalla colonna e raggiunsi il mio gruppo, vedendo lo sguardo stupito e interrogativo apparso sul volto della persona con cui mi ero sposato da poco. Come a dire: “Ma dov’eri finito?”

Dieci minuti dopo, mentre eravamo vicino all’uscita dei giardini, un signore con la divisa da guida si era avvicinato chiamandomi gentilmente.

“Signor Daccò? Giampaolo Daccò?”

“Sì, sono io.” avevo detto, stupito.

“Le devo consegnare questa busta da parte di una persona che mi ha fermato poco fa. Mi ha detto che non era riuscito a parlarle per le molte persone che impedivano di avvicinarsi. Mi scusi, ecco a lei.”

Presi la busta e lo ringraziai. Intanto mi ero guardato intorno per vedere se c’era. Era impossibile: troppa era la folla. Avevo le mani tremanti. Sapevo che quel messaggio era suo. Appena rimasto solo, l’avevo aperta. Le parole scritte in quel foglio, leggendole, mi bruciavano come il fuoco sulla pelle e nel cuore:

“Angelo biondo, ti ho finalmente rivisto dopo tutti questi anni. Ti osservavo da lontano mentre non ti eri accorto di me. Anche solo per pochi secondi, nel mio tempo disponibile, mi fermavo a guardarti. Avevo capito che non eri da solo in quel momento, così ho evitato di avvicinarmi. Volevo dirti che non ti ho mai dimenticato. Sei, e lo sarai per sempre, il mio angelo biondo. Il ragazzo indimenticabile che in quei giorni lontani mi aveva salvato da un dolore forte, dalla perdita dei miei per un incidente aereo. Ero in vacanza per dimenticare, ed eri arrivato tu. Non te lo avevo mai detto: mi hai salvato con il tuo cuore. Sono sicuro che ci rivedremo ancora, anche se non so quando. È destino, Jang. Sono sicuro che il mare sarà il luogo esatto, ma non so quanto tempo passerà. Per sempre, Ying.”

Avevo sorriso, mettendomi in tasca la busta, mentre un’emozione forte saliva dallo stomaco. Mi ero accorto che stavo piangendo. Mi ripresi subito, anche perché mi stavano chiamando per salire sul pulmino che ci portava a pranzo in hotel.

Mi sono sempre chiesto, e ancora oggi mi chiedo, se quel sogno fosse stato vero, nonostante tutto. Eppure, una busta messa nella scatola dei miei ricordi più belli lo conferma: quell’avventura e quel sogno erano stati reali.

Giampaolo.

Il tempo che abbraccia

Ci sono momenti che non appartengono a un solo tempo. Sono sospesi, come gocce di luce tra due epoche che si guardano da lontano. Io ero giovane, danzante, con il sale sulla pelle e il cuore aperto come il cielo. Lui era lì, come una risposta che non avevo ancora formulato. E poi, anni dopo, ero diverso — ma non meno vero. E lui, ancora lì, come una domanda che non aveva mai smesso di cercarmi.

Due tempi. Due versioni di noi. Due sguardi che si sono incrociati nel paradiso e poi tra la folla. Diversi, sì. Ma uguali nel battito che ci ha uniti.

Non so se il sogno era realtà, o se la realtà era sogno. Ma so che esiste un luogo — forse il mare, forse una lettera, forse solo il mio cuore — dove tutto è accaduto. E dove tutto continua ad accadere.

Perché ci sono incontri che non finiscono. Ci sono addii che non separano. Ci sono amori che non chiedono nulla — solo di essere ricordati.

E io ricordo. Ogni istante. Ogni parola. Ogni silenzio.

Giampaolo Daccò

 


 

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