venerdì 31 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 19° LA LUCE DELL' EST


 La Luce dell’Est

Mostar (Bosnia), 17.09.2010

In questo lungo viaggio fra i Balcani, abbiamo visto — anche se brevemente — le città più grandi e belle, da Fiume, Lubljana, la bellissima Zagabria, la caotica Belgrado con ancora segni del passato sovietico e poi altre più piccole.

Avevamo attraversato immense terre coltivate, il silenzio e i colori del cielo, così belli e diversi dai nostri. Ed il Ponte sulla Drina, che conoscevo tramite il suo omonimo e famoso Libro, un ponte che ha visto tanta storia e tragedie.

Ci siamo immersi, quasi con timore nella grande foresta che copre quasi tutte le montagne della Croazia del nord, della Serbia e della Bosnia, dove sui cigli della strada si vedevano cervi dalle grandi corna, falchi e aquile.

Dopo Sarajevo ancora con i segni della precedente guerra, con muri di case pieni di buchi di artiglieria e palazzi ancora da ricostruire, ci siamo fermati a casa di conoscenti nella nuova zona della città, con case moderne e palazzi che stavano nascendo dalle macerie.

L'aeroporto divideva in due la città dai sobborghi e spesso si vedevano alzarsi aerei civili e della protezione come grandi uccelli che spiccavano il volo verso una libertà appena conquistata. 

E poi la partenza sulla strada che costeggiava il fiume per decine di chilometri tra i monti, sembrava non finire mai e così eravamo arrivati in Bosnia.

Poco più avanti da un'altura, finalmente avevano visto la piana che portava verso il mare Adriatico e una città chiara lontana: Mostar.

Mostar, la città che mi aveva colpito più di tutte le altre.

La grande croce sulla montagna sovrastante la città testimonia la tragedia degli anni passati.

La moschea e il grande minareto, vicini alla chiesa cristiana con l’alto campanile, non sembravano sfiorati dalla guerra. Ma un cimitero arabo, pieno di stele, vicino alla strada, la ricordava.

Ci siamo fermati a un baracchino a mangiare del pollo fritto buonissimo. Accanto alla strada, vicino ai nostri tavolini, una piccola struttura commemorava i caduti, mentre sventolava su di essa attaccata ad un’alta asta, la bandiera bosniaca.

A poche centinaia di metri, visibilissimo fra la vegetazione rada, l’aeroporto militare.

L’aria tiepida che soffiava addosso non riusciva a distogliermi dai pensieri: qui, in questa selvaggia e bella terra, morirono in una guerra assurda tantissime persone.

Quando siamo ripartiti per la costa croata, mi giravo continuamente verso la città. Qualcosa mi è rimasto dentro. So davvero che non la dimenticherò mai più.

Pensiero per Mostar – Soglia del dolore e della luce

A Mostar, dove il ponte non unisce soltanto due rive, ma due ferite, due memorie, due speranze.

A Mostar, dove la croce sulla montagna non è solo simbolo, ma grido inciso nella pietra.

A Mostar, dove il minareto e il campanile si guardano da secoli, e oggi si sfiorano con pudore, come due testimoni che hanno visto troppo.

A Mostar, dove i cimiteri sembrano giardini di crisantemi, e ogni stele è una voce che non ha mai smesso di parlare.

A Mostar, che fu tra le prime vittime del carnefice umano, di quella guerra che non aveva senso, che non aveva pietà, che non aveva futuro.

A chi è passato, a chi è rimasto, a chi ha perso tutto, a chi ha trovato luce in mezzo alle rovine.

Il ricordo di tutto questo, perché la memoria è resistenza. E la bellezza, anche nel dolore, è una forma di giustizia.

Dedica per chi leggerà:

A te che hai guardato il cielo balcanico e sentito il vento dei pensieri accarezzarti.

Che hai camminato tra minareti e campanili, e visto il dolore incidere stelle nella pietra.

Che hai trovato luce impossibile in un paesaggio spezzato e testimone.

A te che non dimenticherai quella terra, perché hai capito che a volte la storia parla più forte del tempo.

Giampaolo Daccò Scaglione

giovedì 30 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 18° PAGINE


Pagine

Guardo le pagine del libro davanti a me. Le parole sbiadiscono, insieme a queste righe ormai diventate invisibili. La mente ora vaga nell’immensità dei pensieri, delle riflessioni, dei ricordi, dei sogni.

Passato, presente e futuro sono tutti in un libro. Spesso scritto da noi, altrettanto dal destino.

La sensazione è quella di percorrere una strada maestra, con dei punti stabiliti e due diramazioni da seguire: una bianca e una nera, una lucente e l’altra scura, una a destra e una a sinistra.

Secondo la propria scelta, si arriva a quei punti stabiliti dal destino, pronti oppure impreparati.

Se avremo sbagliato o fatto giusto, ne pagheremo le conseguenze o godremo le gioie. Avremo dolore o allegria, odio o amore, giustizia o torti.

Spesso daremo la colpa al destino, che ci ha fatto trovare una tappa difficile. Ma forse, la colpa è stata soprattutto nostra.

Non è facile assumersi le proprie responsabilità. Non è facile dire: ho sbagliato.

Ma comunque sia, ogni giorno che viviamo, ogni percorso, ogni strada che scegliamo, ogni persona che incontriamo, è una pagina della vita.

Ogni volta è un’emozione diversa, un’avventura unica, qualcosa da raccogliere e mettere nel bagaglio dell’esistenza.

La mia mente ritorna al presente. Guardo di nuovo quelle righe, quelle parole del libro davanti a me. Osservo le pagine che scorrono nel leggero alito di vento caldo.

Seduto, guardo il tramonto rosso e quel mare nella sua grande bellezza e armonia.

Quanti lunghi giorni e pagine bianche ancora da scrivere nel mio libro…

Eppure, il tempo è qui, immobile. Aspetta ogni mia mossa, ogni pensiero, per poter scorrere verso vie sconosciute ed esperienze diverse.

Il vento caldo sul mio volto dice che fra poco ci sarà una nuova pagina da riempire con emozione.

E domani… la scriverò.

 Dedica per chi leggerà:

A te che apri questo libro, che ti siedi sulla roccia di fronte al mare, mentre il vento ti sfiora il volto e le pagine si muovono da sole…

A te che hai vissuto, sbagliato, scelto, amato, che hai cercato il destino tra le righe e tra le onde, che hai camminato tra la luce e l’ombra, tra la destra e la sinistra del cuore.

Questa è la soglia. Qui non si giudica, non si vince, non si perde.

Qui si scrive. E ogni parola è una pagina della vita, ogni emozione è un bagaglio, ogni ricordo è una vela.

Scrivila tu, la prossima pagina. Io ti accompagno, dal marciapiede al cielo… fino al mare.

Giampaolo Daccò Scaglione


mercoledì 29 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 17° IL VIAGGIO TRA CANALI E TULIPANI

 

 Il viaggio tra canali e tulipani  

Leiden (NL), Settembre 1982

Cielo azzurro e un venticello leggero e fresco. Dei gabbiani bianchi svolazzavano poco lontano. La barca scivolava leggera sul canale dall’acqua blu. L’aria fresca e il profumo dell’erba inebriavano i sensi.

Quanti paesaggi sono passati sotto i nostri occhi… e in ognuno, molti mulini a vento. Bellissimi, con le loro grandi pale stagliate nel cielo. Attorno, immensi campi di fiori. Migliaia di fiori colorati. 

Qualche fattoria dai muri bianchi e color del legno, spuntava tra quella natura creata dall’uomo.

Il silenzio era rotto solo dal gorgoglio dell’acqua e dalle grida degli uccelli bianchi sopra le nostre teste. Che tranquillità, in questo Paese.

Una vacanza iniziata in Italia, a Milano. Passata per la Svizzera, a conoscere i miei suoceri a Berna. Poi via, attraverso la Germania, fino all’Olanda.

Una vacanza d’amore e di felicità. Un viaggio iniziato pochi giorni dopo la nostra unione.

Più tardi, il sole rosso basso sull’orizzonte ci avvertì che era ora di rientrare. Quel dolce far niente tra il verde e il cielo stava per terminare.

Scendemmo dalla barca. Percorsi qualche centinaio di metri sulle rive del canale di quella cittadina vivace. Rientrammo nella nostra piccola locanda, da cui proveniva il profumo invitante di pesce appena cucinato.

Salimmo in camera e ci preparammo. Mentre mi vestivo, guardavo quell’ambiente così pulito, così semplice, che non sarei più andato via da quanto si stava bene.

Dopo cena, dalla veranda del salottino dell’albergo, guardammo le ombre della sera farsi lunghe sulla terra. Tutt’intorno si era fatto buio. 

Solo le lanterne appese fuori davano una luce strana al paesaggio, come qualcosa di irreale, come un dipinto impressionista.

Ci guardammo negli occhi. Prendendoci per mano, corremmo su per le scale fino alla nostra camera. Il buio, le lanterne, il canale erano ormai chiusi fuori dal nostro piccolo mondo.

Le luci del mattino penetrarono dal vetro delle finestre, facendosi spazio tra le tende di cotone ricamato. R. era già in bagno. Sentivo il rumore della doccia, ovattato dalla porta chiusa.

Mi alzai dal letto. Mi avvicinai alle finestre. Un’altra giornata splendida ci aspettava. La campagna e i canali erano illuminati da una luce dorata.

Quella mattina saremmo andati a L’Aia, a visitare quella bellissima città e a incontrare alcuni amici olandesi.

La colazione era ormai finita. Prendemmo i nostri zainetti e con la macchina fotografica al collo uscimmo di fretta.

Una navetta ci aspettava. Appena saliti, partimmo per la nostra meta. Il sole, alle spalle, saliva sempre di più nel cielo.

 Dedica per chi leggerà:

A te che hai amato nel vento, che hai navigato tra canali e tulipani, che hai sentito il silenzio diventare musica, e il paesaggio trasformarsi in promessa.

A te che hai vissuto una vacanza d’amore, non come fuga, ma come inizio. Ogni lanterna accesa, ogni piatto di pesce, ogni finestra ricamata, è una pagina che non si dimentica.

Questa soglia è per te. Che hai corso su per le scale, chiudendo fuori il mondo per custodire un istante eterno.

E per chi leggerà, che possa trovare in queste righe il coraggio di partire, la dolcezza di fermarsi, e la bellezza di ricordare.

Giampaolo Daccò Scaglione


martedì 28 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 16° PARTITA SENZA VINCITORE

Partita senza vincitore

Milano, Dicembre 1982

The Winner Takes It All" 

La canzone degli ABBA faceva da sottofondo in quel gelido pomeriggio d’inverno, mentre preparavo le valigie.

Con un nodo in gola, mi fermai a guardare dalle finestre la sagoma lontana del Duomo innevato. Ombre grigie e azzurre giocavano sui tetti, sulle guglie, sui terrazzi spogli. Sotto, la gente camminava veloce, mentre una pioggerellina silenziosa scendeva giù.

"The Winner Takes It All" 

Quel giorno non c’era nessun vincitore. O forse entrambi. Attorno a me, il vuoto di quella casa, di quell’appartamento all’ultimo piano che aveva fatto parte della mia vita.

Errori involontari. Le cose che ci univano erano sparite quasi all’improvviso. L’insofferenza di essere vicini. La casa era quasi vuota. Qualche oggetto inutile sparso qua e là. Nessuna emozione, se non quella della fine.

"The Winner Takes It All" 

Chiusi le valigie con tristezza e rabbia. Come quel giorno, poco tempo prima, quando mi sentii dire che era finita. Che tutto ciò che ci univa non esisteva più.

Non volli chiedere il vero motivo. Forse pensavo fosse per un altro. O per le mie giornate piene di lavoro. O per la sua famiglia, che non amava troppo gli italiani. O per le vedute diverse di due paesi. Ma che importava ormai?

In quella casa fredda, senza amore, senza calore, restavano solo i ricordi di un’unione che avevo sperato fosse per sempre.

Mi voltai. Era l’ultima volta che l’avrei vista. Spensi la radio sopra la mensola vicino alla porta. La misi nello zaino.

"The Winner Takes It All" 

La canzone si chiuse come quella porta chiara alle mie spalle.

La pioggia mista al nevischio si era fermata. L’aria era azzurra e gelida. Le vetrine addobbate per Natale avevano qualcosa di stonato. Come le luminose appese sopra la via.

Misi tutto in macchina. Partii quasi sgommando. Dal retrovisore, piazzale Lodi si allontanava. Il semaforo segnava il verde.

Sul cavalcavia pensai alla vecchia casa, dove c’erano ancora i miei. Avrei avuto di nuovo la mia stanza, le mie cose, i miei vecchi oggetti. Ma non mi importava.

Avrei voluto scappare. Ma il destino era là.

Voltai a destra. Entrai in autostrada. L’auto si confuse con le altre. Una leggera bruma scura ci inghiottì.

"The Winner Takes It All" 

Capitolo chiuso. Ma quella canzone era ancora nella mia mente, accompagnandomi lontano da quel posto che avevo amato tanto.

Dedica finale

A te, amore che non ha vinto, ma che ha lasciato tracce di verità e di neve. A quella casa all’ultimo piano, che ha custodito sogni e silenzi. A me stesso, che ho chiuso una porta con una canzone nella mente e una bruma nel cuore. Questa pagina è per te. E per quel ragazzo che partì, senza sapere se stava fuggendo o tornando.

Giampaolo Daccò Scaglione

 

lunedì 27 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 15° VIAGGIO IN COLOMBIA

 

VIAGGIO IN COLOMBIA

Bogotá, Vila de Lleyva – Settembre 2008

Ezio, Vittorio, un amico colombiano ed io siamo partiti da Bogotá per un tour di tre giorni nel nord colombiano.

Abbiamo visto posti stupendi, di cui parlerò in altra occasione.

Ma quando siamo arrivati al Deserto della Candelaria e poi alla cittadina dove avevamo prenotato l’albergo… lì è successo qualcosa.

Lì ho avuto l’innamoramento.

Vila de Lleyva.

Una cittadina molto caratteristica. Case basse, bianche, con infissi verdi. Tanti locali turistici, semplici ma bellissimi. Colori, profumi, e tanta gente giovane di ogni luogo per le sue strade.

Il cielo notturno, con stelle equatoriali, dava un’atmosfera da sogno. Le luci giallastre della città, donavano agli edifici in stile coloniale un clima tratto dai libri di Sepúlveda.

L’albergo era ricavato da una casa coloniale, a 2800 metri di altezza. Fiori grandi e coloratissimi, su tappeti verdi di erba lucente, donavano al giardino un tocco di Eden.

I locali offrivano menù del luogo, davvero molto buoni. Alcune persone suonavano la chitarra, intonando canzoni dal sabor tropical.

Bene… devo dire che ci ho lasciato il cuore.

Il sole splendido del giorno sembrava brillare più intensamente fra quelle terre e montagne selvagge.

Le nuvole bianche e l’azzurro del cielo erano talmente intensi da sembrare dipinti.

L’allegria degli abitanti faceva capire che per loro Vila de Lleyva è un gioiello incastonato fra una natura incontaminata, dove si può vivere semplicemente… con felicità.

Dedica per chi leggerà:

A te che hai lasciato il cuore in un luogo lontano, che hai trovato Eden tra le montagne, che hai sentito il cielo brillare più forte perché l’amore era appena nato.

A te che hai camminato tra case bianche e infissi verdi, che hai ascoltato chitarre tropicali e guardato le stelle equatoriali come fossero promesse.

Questa soglia è per te. Che hai riconosciuto la bellezza, senza bisogno di spiegazioni. Che hai vissuto la semplicità come il dono più grande.

Giampaolo Daccò Scaglione

domenica 26 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 14° SOTTO LA MADONNINA IN VIAGGIO COL TEMPO





























Sotto la Madonnina in viaggio col tempo – Milano, Giugno 1981 / Giugno 2010

Milano, Giugno 1981

Lori, Francesca, Graziano, Max ed io. Una serata magnifica, calda, profumata, piena di colori, suoni, gente. I magnifici anni ’80.

In pieno centro, avevamo deciso di fare una passeggiata prima della discoteca. C’era vociare allegro fuori dai bar e dai locali. 

In vari angoli di piazze e vie, complessi e cantanti si esibivano dal vivo. Pensai che forse ballare lì era meglio di un locale assordante.

Ci prendemmo un gelato. Seduti sui gradini del Duomo, osservavamo la gente che rideva, parlava, camminava. Nell’aria c’era una sensazione di tranquillità, di divertente follia.

Facemmo amicizia con due ragazzi incontrati lì. Ridemmo, scherzammo. Altri ragazzi fermarono mia sorella, facendole i complimenti per le gambe — era in minigonna — senza cadere nel volgare. Che ridere.

Più tardi ci incamminammo verso il parcheggio, e proseguimmo in auto, la strada verso la discoteca.

Milano, Giugno 2010

L’altra sera, con alcuni amici, siamo usciti per una passeggiata e un gelato. Seduti a un tavolino esterno del bar, lo gustavamo nella prima vera sera calda dell’estate.

Osservando la gente che passava, mi è venuto in mente l’episodio del 1981.

Non so perché, non riuscivo a sentire i profumi, a vedere i colori, a percepire l’allegria di allora.

Qualcuno si esibiva col violino. Più in là, un’orchestrina di ragazzi stranieri suonava un pezzo classico — sempre quello — per tutto il tempo.

La gente camminava veloce. Solo qualche gruppo di ragazzi, alcuni correvano spintonandosi, rischiando di far cadere i passanti.

Più tardi, uno dei miei amici disse che voleva tornare a casa presto: aveva lasciato la macchina in un posto isolato e temeva brutti incontri.

Mi è piombata addosso una tristezza. Quasi un magone.

A casa, accesi la TV, ma non vedevo lo schermo. Mi chiesi solo se davvero le cose sono cambiate in peggio… oppure se, con l’età, mi sono disincantato io.

Dedica finale

A te, Milano, che mi hai fatto danzare sotto la Madonnina, tra gelati, complimenti innocenti e discoteche che sembravano sogni. A te, città che cambia, che corre, che si trasforma. A me stesso, che ho camminato tra due epoche, e ho sentito il profumo svanire, ma non il ricordo. Questa pagina è per te. E per il ragazzo che ero, che guardava il mondo dai gradini del Duomo, senza sapere che un giorno avrebbe scritto tutto questo.

Giampaolo Daccò Scaglione


sabato 25 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 13° AUTUNNO PIEMONTESE


Autunno Piemontese

Ottobre 2010, Monferrato

Per la prima volta dopo tanti giorni sono uscito di casa. Il mattino mi accoglie fresco, con un pizzico di bruma grigia. 

La strada in mezzo alle colline ha già i colori dell’autunno. Passeggio fra le foglie gialle cadute, mentre un leggero raggio di sole appare dalla nebbiolina all’orizzonte.

Una gazza gracchia su un ramo di fronte a me. Mi appoggio alla staccionata che spazia sulla valle e osservo il fiume che serpeggia fra i campi color ocra. Poco più in là, molte automobili sfrecciano sull’autostrada scura.

Il grigio del cielo lascia posto a un azzurro leggero. Un vento tiepido muove le fronde degli alberi sopra la mia testa. Una piccola volpe attraversa la strada saltando, mentre da lontano si odono latrati di cani.

È bello stare qui nel silenzio, guardando la natura attorno a me. Un altro autunno è arrivato, un’altra atmosfera che ci seguirà per qualche tempo prima di lasciare il posto al gelido inverno.

Riprendo il cammino verso casa. Appena varcato il cancello, mi accorgo che piccoli boccioli di rose selvatiche accanto alla fontana stanno sbocciando, come fosse primavera.

Mi rendo conto sempre di più di quanto sia bella la natura in tutti i suoi colori e profumi. Com’è piacevole lasciarsi andare a queste sensazioni, cui ormai molta gente non bada più.

Rientro in casa. Il buon profumo del caffè-latte mi aspetta invitante, accanto a biscotti, pane, burro e marmellata. 

E capisco che, dopo tutta questa poesia e romanticismo, anche il mio stomaco reclama la sua parte. Chiudendo la porta alle spalle, mi avvio verso la tavola.

Sigillo finale:

A chi cammina tra le foglie e si lascia avvolgere dal silenzio, dal profumo, e da un caffè-latte che sa di casa.


venerdì 24 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 12° OMBRELLONI COLORATI SULLA SPIAGGIA


Ombrelloni colorati sulla spiaggia

Riccione, Estate 1981

“Smettila, Luca…” grida una giovane mamma un po’ chic a uno dei suoi figli, mentre lui lancia sabbia contro di lei e gli altri due fratellini sotto l’ombrellone. Di sottecchi li guardo sorridendo, mentre giro una pagina del mio libro.

“Vieni a fare il bagno?” mi chiede mia sorella, impaziente. Nego con la testa. Lei sbuffa, poi corre verso il mare con mio cugino e altri ragazzi.

Li guardo tuffarsi nella distesa blu. Mia madre, accanto a me, chiacchiera con i miei zii. All’improvviso, un elicottero costeggia la spiaggia a bassa quota, e tutta l’attenzione si sposta verso il cielo.

Riprendo a leggere, ma ben presto mi perdo a osservare il mare, la gente che si diverte in acqua. Che meraviglia! Stare qui, rilassarsi, godersi giorni di tranquillità dopo il caos della città.

Mi alzo e vado al bar vicino alle docce. Mi siedo di fronte al mare. Un canotto si rovescia, gli occupanti scoppiano in urla di divertimento. Ordino una Coca-Cola. Il ragazzo che mi serve è fortissimo, e sulla testa ha un piccolo ombrellino per ripararsi dal sole.

D’improvviso, una voce alle mie spalle: “Hallo, sprechen Sie Deutsch?”

Mi volto, sorpreso. Davanti a me, una persona bionda, occhi verdi, pelle abbronzata. “Sie sind Deutsch oder Niederländisch?”

Scoppio a ridere. Mi guarda in modo strano.

“Sorry, but I’m Italian,” rispondo sorridendo.

Mi aveva visto vicino a mia madre, anche lei bionda, e pensava fossimo suoi connazionali. Voleva conoscermi.

Parlammo per un paio d’ore, poi ci demmo appuntamento per la sera.

Quando sparì fra gli ombrelloni, ordinai un’altra Coca-Cola. Faceva caldo. Il ragazzo del bar rise: “Giornata di conquiste, eh?”

“Già,” risposi sorridendo.

Una piccola folata di vento mi fece alzare gli occhi verso l’orizzonte. Un mare blu, un sole caldo, una spiaggia dorata costeggiata da ombrelloni colorati…

Che bello essere qui, pensai.

Iniziò così una vacanza incredibile.

Dedica finale 

A te, estate del 1981, che mi hai insegnato a guardare il mondo da sotto un ombrellone colorato, tra pagine di libro, Coca-Cola ghiacciate, e sguardi che sbagliavano nazionalità ma non il cuore. A te, spiaggia di Riccione, che hai custodito il mio primo incontro inatteso, tra un elicottero che ruggiva basso e un barista col cappello più buffo del mondo. A te, vacanza incredibile, che hai aperto una porta fatta di vento, di mare, di sorrisi. Questa pagina è per te. E per quel ragazzo che ero, che imparava a vivere, senza ancora sapere che stava scrivendo il suo primo talismano d’estate.

Giampaolo Daccò Scaglione

 


giovedì 23 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 11° IL TEMPORALE CHE CI FECE FRATELLI

 

Il temporale che ci fece Fratelli

Estate, casa della nonna – tra ciliegi, pioggia e destino

Avevo quindici anni. Lui ne avrebbe compiuti diciotto tra due mesi. Ci eravamo appena conosciuti, quando due dei nostri genitori, dopo il divorzio, regolarizzarono la loro relazione. Eravamo diventati fratellastri per destino, ma qualcosa ci legava già, come se il sangue avesse deciso di ignorare i confini.

Era estate. La casa della nonna era piena di voci, piatti, risate. I nostri genitori avevano organizzato un raduno di famiglia, per far sì che i figli dell’uno e dell’altra si conoscessero davvero, non solo nei passaggi fugaci.

Tra una fetta di torta e una battuta, io e lui ci osservavamo con quella curiosità che nasce quando scopri un volto nuovo che speri abbia qualcosa di tuo.

Volevo mostrargli la cascina dello zio, tra i campi di ciliegi e covoni di paglia. Camminavamo tra gli alberi, parlando poco, ma con quella naturalezza che non ha bisogno di parole.

Poi il cielo cambiò colore. Un temporale improvviso ci sorprese. Corremmo verso la stalla, tra lo starnazzare delle oche e delle galline. Appena entrati, ci accolsero l’asino, il carro, e il profumo del fieno: un rifugio antico.

Eravamo bagnati, ma il caldo della stalla ci proteggeva. Guardavamo la pioggia cadere. Lui sorrise: “Che bello sapere di avere un fratello nuovo dopo tanto tempo. Finalmente non dovrò discutere sempre con gli altri due: fratello e sorella rompiscatole.”

Rise. E io ricambiai quella risata simpatica.

Mi mise una mano sulla spalla. Poi un lampo cadde vicino. Spaventato, feci un salto. Mi ritrovai abbracciato a lui, senza sapere come.

Mi strinse forte. Mi diede un bacio sulla fronte. “Fratellino, quando sei con me non devi avere paura.” E poi, quasi per errore, un bacio lieve sulla bocca.

Si scusò subito. Disse che non sarebbe mai più successo. Ma io non ero arrabbiato. Appoggiai la testa sulla sua spalla. Restammo lì, in silenzio, mentre fuori il temporale si spegneva e le sue braccia mi proteggevano.

Da allora siamo sempre stati legati. Dormivamo spesso insieme, senza mai oltrepassare quel confine, anche se dentro l’istinto diceva altro.

C’era affetto. Bisogno. Comprensione.

E come un gioco del destino, anni dopo fu lui a presentarmi la persona che sarebbe diventata la mia metà. Come se quel primo abbraccio sotto la pioggia avesse aperto una porta che non si è mai più chiusa.

Sigillo verbale

A te, fratello mio, che sei arrivato come un temporale d’estate: inaspettato, travolgente, vero. Da quel giorno sotto la pioggia, non ho mai smesso di sentire la tua mano sulla mia spalla. Anche quando la vita ci ha portati lontano, sei rimasto vicino nel cuore, come un abbraccio che non si scioglie mai. Grazie per avermi scelto, per avermi protetto, per avermi fatto spazio nella tua storia. Questa pagina è per te. E per noi.

 

mercoledì 22 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 10° FANO, UN DOLCE RICORDO


 

FANO, UN DOLCE RICORDO

Fano, Dicembre 1979

Dal finestrino del treno, la costa e il mare scuro a nord di Fano scompaiono alla vista. Le colline che precedono Pesaro fanno da muro attorno, una calda protezione dal vento freddo dell’est.

Una leggera pioggia cade dal cielo plumbeo mentre il treno si inoltra fra quei colli. Alcuni ragazzi poco avanti ridono leggendo un fumetto, una coppia anziana chiacchiera a bassa voce.

Pochi minuti dopo siamo già alla stazione di Pesaro. Il treno riprende la corsa verso la Romagna. Sto tornando a casa per la breve licenza di Natale, dopo il primo mese di militare.

Il mare mosso, con onde verdastre, si infrange sulle spiagge che in estate brulicano di persone. Una leggera malinconia mi prende, e non capisco se è per l’inverno freddo o per la vita che mi attende lontano da casa.

Il paesaggio scorre veloce sotto i miei occhi. Dietro di me, una radiolina trasmette una canzone che resterà nella mia mente per tutto il viaggio.

Lasciata Rimini, il treno si immerge nella campagna romagnola, allontanandosi sempre di più da quel paesaggio bellissimo e malinconico.

Ancor oggi ricordo quella scena come fosse ieri. Per caso, oggi ho riascoltato quel brano, e subito mi sono ritrovato su quel treno…

Chissà perché alcune vicende, anche se agli occhi degli altri sembrano banali, restano indelebili nell’anima e provocano gli stessi sentimenti vissuti allora.

Atmosfere particolari, assaporate pienamente per vivere intensamente la propria vita.

Sigillo finale:

A chi, ascoltando una canzone, si ritrova su un treno che non ha mai smesso di viaggiare dentro di sé.

 

martedì 21 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 9° LA VALLE DELLA BELLEZZA

 

La Valle della Bellezza

Valle d’Aosta, estate 1994

Il panorama che si stagliò davanti ai nostri occhi ci fece mozzare il fiato da tanta bellezza. La vallata, incastonata fra alte montagne, era coperta da miriadi di fiori colorati: violetti, rossi, gialli, bianchi… un tappeto delicato diviso da un largo ruscello di acqua cristallina.

Maurizio ed io scendemmo dai nostri cavalli e camminammo per la sterrata, respirando quell’aria fresca piena di profumo di resina.

Campanelli di mucche al pascolo poco più in là, due cascinali col fieno arrotolato in grandi balle… quel quadro montano sembrava uscito da una cartolina.

Le montagne altissime, coperte di bianco sulle loro cime, circondavano quel paradiso. Mentre i nostri cavalli bevevano l’acqua fresca del ruscello, un rumore provenne dalla nostra sinistra, fra le rocce.

Due stambecchi, curiosi e impauriti dalla nostra presenza, scapparono veloci nel bosco di abeti sopra le nostre teste, mentre il sole tiepido illuminava la valle.

Riprendemmo il cammino, cavalcando lentamente verso il piccolo paese. Ma ogni tanto volgevo lo sguardo verso quel panorama… non sarei più andato via.

Ci aspettavano altri posti, altre meraviglie nei giorni seguenti di quella bellissima vacanza.

Dedica finale:

A chi, voltandosi una sola volta, sa che quel paesaggio resterà per sempre dentro di sé.

lunedì 20 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 8° LA STREGA BUONA DI CARONA

 

La strega buona di Carona

Carona, Estate 1974

La luna piena brillava sulle montagne di Carona. Non volli andare in discoteca con gli amici. Dopo la pizza, decisi di passeggiare da solo per le strade della cittadina turistica incastonata tra le vette.

I miei erano a cena in un paese vicino. Camminai lungo la strada che costeggia il lago, fino alla diga. Versi di uccelli notturni echeggiavano nei boschi.

Mi sedetti su una panchina nella piazzetta deserta. Un brivido mi attraversò la pelle: dei passi si avvicinavano.

Una figura femminile apparve sotto il lampione. Una donna anziana, sorridente, con un gatto nero fra le braccia. Vestita di verde, capelli raccolti in uno chignon. Il gatto mi fissava con occhi dello stesso colore del suo vestito.

“Sta birba nera scappa sempre nelle ore più impensate,” disse sedendosi accanto a me. “Che ci fa sto bel ragazzino dai capelli lunghi seduto da solo mentre gli altri sono a ballare?”

“Volevo guardare le stelle e stare un po’ da solo…” le risposi.

“Bene, ottimo, eccellente…” disse seria. “Un giovanotto che vuole stare solo e guardare le stelle è una cosa impensabile al giorno d’oggi.”

Poi, con voce leggera: “Ti confido un segreto…” Mi mise il gatto in braccio. “Ti ho visto dalla finestra arrivare dalla strada vicino al bosco e pensai che finalmente è arrivato… Scambiandoti per… meglio che non te lo dica.”

Mi inquietai. Mi alzai per andarmene. Lei sorrise.

“Hai paura? Ti ho fatto paura?”

“No, è che si sta facendo tardi…”

“Ragazzo dagli occhi grigi di stregone, quella persona dai capelli neri che speri di vedere domani partirà per due giorni. Non la vedrai finché non sarà tornata domenica.”

Mi girai di scatto. Come faceva a saperlo?

“Come lo so?” rise. “Io sono una strega. Di quelle buone… forse.”

Mi risedetti. Lei mi guardò negli occhi.

“Ora guarda quella casa bianca davanti a noi e dimmi chi ci abitava tanti anni fa. Pensa col cuore…”

Istintivamente risposi: “Un ragazzo dai capelli biondi che scalava le montagne… ma ora non c’è più.”

Lei perse la vivacità nello sguardo. “Vai caro, vai… è tardi. Ti aspetteranno.”

Il giorno dopo, la persona che speravo di vedere partì davvero. Nel bar dell’albergo chiesi del gatto e della signora. Il proprietario mi raccontò: una croata, tre figli, il secondo era guida alpina. Morto anni prima, caduto da uno strapiombo. Un bel ragazzo alto e biondo. Abitavano nella casa bianca davanti al monumento.

Scappai agitato. Mi sedetti sull’altalena in giardino. Voltando la testa verso la strada, la vidi passare. Si girò e mi salutò.

Mia madre, apparsa dalla porta, mi chiese chi fosse. “Una strega,” le dissi sorridendo. “Una strega… ma di quelle buone.”

Lei mi arruffò i capelli ridendo. “Sei sempre il solito fantasioso.”

Già. E se fosse vero?

Dedica finale:

A chi ha vissuto un incontro che sembrava impossibile, e ha scoperto che la magia esiste davvero, sotto la luna piena, tra le montagne, in una sera d’agosto che non ha mai smesso di brillare.

 


domenica 19 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 7° UNA GIORNATA NEBBIOSA A MILANO


Una giornata nebbiosa a Milano

Novembre 1981

Le luci delle vetrine spuntavano fioche tra la nebbia, come lanterne davanti a case di gnomi, nani ed elfi. Un venditore di caldarroste chiacchierava con un passante, mentre una musica dolce arrivava dalle porte aperte della Rinascente, ogni volta che qualcuno entrava o usciva.

Intorno a noi, le prime luci natalizie sembravano stelle colorate, offuscate da quel manto grigio e umido. Nonostante il freddo pungente, Milano sembrava un mondo ovattato, misterioso, incantato.

Nei locali pubblici, gente sorseggiava caffè e bibite calde. Ci rifugiammo in un noto magazzino di libri, dischi e video — un caldo tepore ci accolse come una tana. 

Colori, musica, addobbi, ragazzi con cappotti vivaci… uscimmo dopo un’ora con i nostri acquisti, ritrovandoci nella bruma grigia che sembrava volerci proteggere.

Quella nebbia che tanti odiano, a me ha sempre dato la sensazione di avvolgimento, di riparo. La guardavo dalla finestra, e le sagome dei tetti e delle case sembravano fantasmi gentili, apparsi per trasportarmi in un mondo di sogno, dove realtà e fantasia diventano tutt’uno.

 

Sigillo finale:

A chi si lascia trasportare dal mondo dei sogni, dove realtà e fantasia diventano tutt’uno.

 


sabato 18 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 6° TRAMONTI


 

Tramonti

Colline di San Colombano, Giugno 1976

Ho sempre pensato che giugno fosse il mese più bello dell’anno, e proprio quel tardo pomeriggio ebbi la conferma. 

Con tre amici, decidemmo di fare un giro in bicicletta sulle colline, zainetto in spalla, bibite e panini, e via di corsa per le strade immerse nel verde. 

Il sole caldo sulla pelle, l’aria tiepida sul viso, le nostre voci di ragazzini cantavano a squarciagola verso il cielo. Che risate quel pomeriggio…

Passata la fontanella vicino alle terme, risalimmo la strada del ritorno. Alzando gli occhi, vedemmo uno stormo a forma di V che migrava verso nord — sembrava un aquilone diviso a metà, che leggero si allontanava nell’azzurro carico.

Fu lì che lo vidi. Un sole di fuoco si stagliava all’orizzonte, immerso fra tonalità dell’arcobaleno. Nuvole violacee lo contornavano, montagne brune lontane ne delimitavano il confine. 

Ci fermammo tutti e quattro su una staccionata, incantati da tanta luce e colore. Il cielo attorno all’astro diventò aranciato, intenso, e una Venere grande e luminosa apparve sopra quella tavolozza.

Più tardi, sulla strada del ritorno, avevamo un’allegria spensierata e quella visione — quel tramonto — è rimasta con me per sempre.

Sigillo finale:

"A chi si fermava sulla staccionata per contemplare il cielo che cantava in colori."

 


venerdì 17 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 5° CAMPI DI GRANO


Campi di grano

Estate 1969, S. Angelo Lodigiano

"Corriamo forte, tutti insieme." dissi in quel tardo pomeriggio di piena estate, lanciandomi in uno dei campi di grano cosparso di papaveri che fiancheggiavano il fiume. 

Mi seguì subito un amico, e insieme correvamo con gli aquiloni legati al braccio, rotolandoci fra l’erba profumata dove facevano capolino fiori timidi e vivaci. 

Giocavamo a nascondino dietro ai piccoli alberi, e col fiatone ci sedemmo sotto un albero, intrecciando papaveri in corone che sembravano piccole magie. 

Un venticello tiepido ci scompigliava i capelli mentre tornavamo sulla strada che portava a casa, cantando a squarciagola Acqua azzurra acqua chiara di Battisti. 

Il sole scendeva piano nell’azzurro del cielo, e in due non raggiungevamo nemmeno i vent’anni. 

Eppure quel paesaggio — campi di grano punteggiati di papaveri, prati verdi e fiori vivaci — è rimasto nella mia mente come una tela dipinta. 

Ogni estate, lo cerco ovunque. È tra i doni più belli che la natura e l’uomo possano offrire.

 

Sigillo finale:

A chi correva con gli aquiloni legati al braccio e cantava per non dimenticare l’estate.

Giampaolo Daccò Scaglione

giovedì 16 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 4° Girasoli


 

Campagna Lodigiana, estate 1970

Quell'assolato pomeriggio, il frinire delle cicale invadeva l'aria e le fronde verdi degli alberi posti ai lati della piccola stradina sterrata ci regalavano un po' di ombra e sollievo. 

Ogni tanto la brezza calda sfiorava i nostri corpi ed un ruscello d'acqua trasparente e fresca scorreva poco lontano. Seduti accanto allo zio sul carro pieno di fieno trainato dal buffo e tenero asinello, stavamo avviandoci verso la fattoria. 

Questa apparve all'improvviso avvolta da un manto giallo, centinaia di girasoli le facevano da cornice. Alti, dai toni vivacissimi, sembravano seguire con lo sguardo il cocente sole. 

Rimanemmo incantati ad osservarli mentre lo zio sorrideva. Era uno spettacolo incredibile. Alcune rondini volteggiarono sopra di noi mentre ci avvicinavamo al cancello nel retro della casa, sempre attorno a noi questi magnifici fiori. 

L'ombra delle spesse mura di mattoni a vista dava un refrigerio incredibile. Dalle inferriate delle finestre nella rustica cucina, le tende ricamate volavano verso l'alto grazie alla corrente d'aria della porta aperta. 

Col bicchiere d'acqua fresca in mano, mi avvicinai a queste finestre e con gli occhi guardai la campagna seminata di girasoli, e rimasi lì come incantato in un mondo dipinto per farci amare sempre di più la natura.

Sigillo finale:

A chi si fermava alla finestra per contemplare il mondo dipinto.

Giampaolo Daccò Scaglione