mercoledì 22 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 10° FANO, UN DOLCE RICORDO


 

FANO, UN DOLCE RICORDO

Fano, Dicembre 1979

Dal finestrino del treno, la costa e il mare scuro a nord di Fano scompaiono alla vista. Le colline che precedono Pesaro fanno da muro attorno, una calda protezione dal vento freddo dell’est.

Una leggera pioggia cade dal cielo plumbeo mentre il treno si inoltra fra quei colli. Alcuni ragazzi poco avanti ridono leggendo un fumetto, una coppia anziana chiacchiera a bassa voce.

Pochi minuti dopo siamo già alla stazione di Pesaro. Il treno riprende la corsa verso la Romagna. Sto tornando a casa per la breve licenza di Natale, dopo il primo mese di militare.

Il mare mosso, con onde verdastre, si infrange sulle spiagge che in estate brulicano di persone. Una leggera malinconia mi prende, e non capisco se è per l’inverno freddo o per la vita che mi attende lontano da casa.

Il paesaggio scorre veloce sotto i miei occhi. Dietro di me, una radiolina trasmette una canzone che resterà nella mia mente per tutto il viaggio.

Lasciata Rimini, il treno si immerge nella campagna romagnola, allontanandosi sempre di più da quel paesaggio bellissimo e malinconico.

Ancor oggi ricordo quella scena come fosse ieri. Per caso, oggi ho riascoltato quel brano, e subito mi sono ritrovato su quel treno…

Chissà perché alcune vicende, anche se agli occhi degli altri sembrano banali, restano indelebili nell’anima e provocano gli stessi sentimenti vissuti allora.

Atmosfere particolari, assaporate pienamente per vivere intensamente la propria vita.

Sigillo finale:

A chi, ascoltando una canzone, si ritrova su un treno che non ha mai smesso di viaggiare dentro di sé.

 

martedì 21 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 9° LA VALLE DELLA BELLEZZA

 

La Valle della Bellezza

Valle d’Aosta, estate 1994

Il panorama che si stagliò davanti ai nostri occhi ci fece mozzare il fiato da tanta bellezza. La vallata, incastonata fra alte montagne, era coperta da miriadi di fiori colorati: violetti, rossi, gialli, bianchi… un tappeto delicato diviso da un largo ruscello di acqua cristallina.

Maurizio ed io scendemmo dai nostri cavalli e camminammo per la sterrata, respirando quell’aria fresca piena di profumo di resina.

Campanelli di mucche al pascolo poco più in là, due cascinali col fieno arrotolato in grandi balle… quel quadro montano sembrava uscito da una cartolina.

Le montagne altissime, coperte di bianco sulle loro cime, circondavano quel paradiso. Mentre i nostri cavalli bevevano l’acqua fresca del ruscello, un rumore provenne dalla nostra sinistra, fra le rocce.

Due stambecchi, curiosi e impauriti dalla nostra presenza, scapparono veloci nel bosco di abeti sopra le nostre teste, mentre il sole tiepido illuminava la valle.

Riprendemmo il cammino, cavalcando lentamente verso il piccolo paese. Ma ogni tanto volgevo lo sguardo verso quel panorama… non sarei più andato via.

Ci aspettavano altri posti, altre meraviglie nei giorni seguenti di quella bellissima vacanza.

Dedica finale:

A chi, voltandosi una sola volta, sa che quel paesaggio resterà per sempre dentro di sé.

lunedì 20 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 8° LA STREGA BUONA DI CARONA

 

La strega buona di Carona

Carona, Estate 1974

La luna piena brillava sulle montagne di Carona. Non volli andare in discoteca con gli amici. Dopo la pizza, decisi di passeggiare da solo per le strade della cittadina turistica incastonata tra le vette.

I miei erano a cena in un paese vicino. Camminai lungo la strada che costeggia il lago, fino alla diga. Versi di uccelli notturni echeggiavano nei boschi.

Mi sedetti su una panchina nella piazzetta deserta. Un brivido mi attraversò la pelle: dei passi si avvicinavano.

Una figura femminile apparve sotto il lampione. Una donna anziana, sorridente, con un gatto nero fra le braccia. Vestita di verde, capelli raccolti in uno chignon. Il gatto mi fissava con occhi dello stesso colore del suo vestito.

“Sta birba nera scappa sempre nelle ore più impensate,” disse sedendosi accanto a me. “Che ci fa sto bel ragazzino dai capelli lunghi seduto da solo mentre gli altri sono a ballare?”

“Volevo guardare le stelle e stare un po’ da solo…” le risposi.

“Bene, ottimo, eccellente…” disse seria. “Un giovanotto che vuole stare solo e guardare le stelle è una cosa impensabile al giorno d’oggi.”

Poi, con voce leggera: “Ti confido un segreto…” Mi mise il gatto in braccio. “Ti ho visto dalla finestra arrivare dalla strada vicino al bosco e pensai che finalmente è arrivato… Scambiandoti per… meglio che non te lo dica.”

Mi inquietai. Mi alzai per andarmene. Lei sorrise.

“Hai paura? Ti ho fatto paura?”

“No, è che si sta facendo tardi…”

“Ragazzo dagli occhi grigi di stregone, quella persona dai capelli neri che speri di vedere domani partirà per due giorni. Non la vedrai finché non sarà tornata domenica.”

Mi girai di scatto. Come faceva a saperlo?

“Come lo so?” rise. “Io sono una strega. Di quelle buone… forse.”

Mi risedetti. Lei mi guardò negli occhi.

“Ora guarda quella casa bianca davanti a noi e dimmi chi ci abitava tanti anni fa. Pensa col cuore…”

Istintivamente risposi: “Un ragazzo dai capelli biondi che scalava le montagne… ma ora non c’è più.”

Lei perse la vivacità nello sguardo. “Vai caro, vai… è tardi. Ti aspetteranno.”

Il giorno dopo, la persona che speravo di vedere partì davvero. Nel bar dell’albergo chiesi del gatto e della signora. Il proprietario mi raccontò: una croata, tre figli, il secondo era guida alpina. Morto anni prima, caduto da uno strapiombo. Un bel ragazzo alto e biondo. Abitavano nella casa bianca davanti al monumento.

Scappai agitato. Mi sedetti sull’altalena in giardino. Voltando la testa verso la strada, la vidi passare. Si girò e mi salutò.

Mia madre, apparsa dalla porta, mi chiese chi fosse. “Una strega,” le dissi sorridendo. “Una strega… ma di quelle buone.”

Lei mi arruffò i capelli ridendo. “Sei sempre il solito fantasioso.”

Già. E se fosse vero?

Dedica finale:

A chi ha vissuto un incontro che sembrava impossibile, e ha scoperto che la magia esiste davvero, sotto la luna piena, tra le montagne, in una sera d’agosto che non ha mai smesso di brillare.

 


domenica 19 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 7° UNA GIORNATA NEBBIOSA A MILANO


Una giornata nebbiosa a Milano

Novembre 1981

Le luci delle vetrine spuntavano fioche tra la nebbia, come lanterne davanti a case di gnomi, nani ed elfi. Un venditore di caldarroste chiacchierava con un passante, mentre una musica dolce arrivava dalle porte aperte della Rinascente, ogni volta che qualcuno entrava o usciva.

Intorno a noi, le prime luci natalizie sembravano stelle colorate, offuscate da quel manto grigio e umido. Nonostante il freddo pungente, Milano sembrava un mondo ovattato, misterioso, incantato.

Nei locali pubblici, gente sorseggiava caffè e bibite calde. Ci rifugiammo in un noto magazzino di libri, dischi e video — un caldo tepore ci accolse come una tana. 

Colori, musica, addobbi, ragazzi con cappotti vivaci… uscimmo dopo un’ora con i nostri acquisti, ritrovandoci nella bruma grigia che sembrava volerci proteggere.

Quella nebbia che tanti odiano, a me ha sempre dato la sensazione di avvolgimento, di riparo. La guardavo dalla finestra, e le sagome dei tetti e delle case sembravano fantasmi gentili, apparsi per trasportarmi in un mondo di sogno, dove realtà e fantasia diventano tutt’uno.

 

Sigillo finale:

A chi si lascia trasportare dal mondo dei sogni, dove realtà e fantasia diventano tutt’uno.

 


sabato 18 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 6° TRAMONTI


 

Tramonti

Colline di San Colombano, Giugno 1976

Ho sempre pensato che giugno fosse il mese più bello dell’anno, e proprio quel tardo pomeriggio ebbi la conferma. 

Con tre amici, decidemmo di fare un giro in bicicletta sulle colline, zainetto in spalla, bibite e panini, e via di corsa per le strade immerse nel verde. 

Il sole caldo sulla pelle, l’aria tiepida sul viso, le nostre voci di ragazzini cantavano a squarciagola verso il cielo. Che risate quel pomeriggio…

Passata la fontanella vicino alle terme, risalimmo la strada del ritorno. Alzando gli occhi, vedemmo uno stormo a forma di V che migrava verso nord — sembrava un aquilone diviso a metà, che leggero si allontanava nell’azzurro carico.

Fu lì che lo vidi. Un sole di fuoco si stagliava all’orizzonte, immerso fra tonalità dell’arcobaleno. Nuvole violacee lo contornavano, montagne brune lontane ne delimitavano il confine. 

Ci fermammo tutti e quattro su una staccionata, incantati da tanta luce e colore. Il cielo attorno all’astro diventò aranciato, intenso, e una Venere grande e luminosa apparve sopra quella tavolozza.

Più tardi, sulla strada del ritorno, avevamo un’allegria spensierata e quella visione — quel tramonto — è rimasta con me per sempre.

Sigillo finale:

"A chi si fermava sulla staccionata per contemplare il cielo che cantava in colori."

 


venerdì 17 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 5° CAMPI DI GRANO


Campi di grano

Estate 1969, S. Angelo Lodigiano

"Corriamo forte, tutti insieme." dissi in quel tardo pomeriggio di piena estate, lanciandomi in uno dei campi di grano cosparso di papaveri che fiancheggiavano il fiume. 

Mi seguì subito un amico, e insieme correvamo con gli aquiloni legati al braccio, rotolandoci fra l’erba profumata dove facevano capolino fiori timidi e vivaci. 

Giocavamo a nascondino dietro ai piccoli alberi, e col fiatone ci sedemmo sotto un albero, intrecciando papaveri in corone che sembravano piccole magie. 

Un venticello tiepido ci scompigliava i capelli mentre tornavamo sulla strada che portava a casa, cantando a squarciagola Acqua azzurra acqua chiara di Battisti. 

Il sole scendeva piano nell’azzurro del cielo, e in due non raggiungevamo nemmeno i vent’anni. 

Eppure quel paesaggio — campi di grano punteggiati di papaveri, prati verdi e fiori vivaci — è rimasto nella mia mente come una tela dipinta. 

Ogni estate, lo cerco ovunque. È tra i doni più belli che la natura e l’uomo possano offrire.

 

Sigillo finale:

A chi correva con gli aquiloni legati al braccio e cantava per non dimenticare l’estate.

Giampaolo Daccò Scaglione

giovedì 16 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 4° Girasoli


 

Campagna Lodigiana, estate 1970

Quell'assolato pomeriggio, il frinire delle cicale invadeva l'aria e le fronde verdi degli alberi posti ai lati della piccola stradina sterrata ci regalavano un po' di ombra e sollievo. 

Ogni tanto la brezza calda sfiorava i nostri corpi ed un ruscello d'acqua trasparente e fresca scorreva poco lontano. Seduti accanto allo zio sul carro pieno di fieno trainato dal buffo e tenero asinello, stavamo avviandoci verso la fattoria. 

Questa apparve all'improvviso avvolta da un manto giallo, centinaia di girasoli le facevano da cornice. Alti, dai toni vivacissimi, sembravano seguire con lo sguardo il cocente sole. 

Rimanemmo incantati ad osservarli mentre lo zio sorrideva. Era uno spettacolo incredibile. Alcune rondini volteggiarono sopra di noi mentre ci avvicinavamo al cancello nel retro della casa, sempre attorno a noi questi magnifici fiori. 

L'ombra delle spesse mura di mattoni a vista dava un refrigerio incredibile. Dalle inferriate delle finestre nella rustica cucina, le tende ricamate volavano verso l'alto grazie alla corrente d'aria della porta aperta. 

Col bicchiere d'acqua fresca in mano, mi avvicinai a queste finestre e con gli occhi guardai la campagna seminata di girasoli, e rimasi lì come incantato in un mondo dipinto per farci amare sempre di più la natura.

Sigillo finale:

A chi si fermava alla finestra per contemplare il mondo dipinto.

Giampaolo Daccò Scaglione


mercoledì 15 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 3° Luna d' Argento


 LUNA D’ARGENTO

Riccione, agosto 1981

La pelle accaldata respirava piano, accarezzata da una brezza leggera che veniva dal mare. Sopra di me, la cupola stellata del cielo si apriva infinita, come un sipario silenzioso pronto a svelare il suo miracolo.

Ero in giardino, sul terrazzo della discoteca, tra le colline poco lontane dalla città. Le luci fioche disegnavano ombre morbide sulle siepi, e il profumo del gelsomino si mescolava alla salsedine. Intorno a noi, la notte aveva un odore preciso: fresco, salato, vibrante.

D’improvviso, la musica all’interno si spense. Fu come se il mondo si fosse fermato per lasciar spazio a qualcosa di sacro. Mi voltai verso il mare, e lì — all’orizzonte — vidi il primo bagliore.

Il grande cerchio bianco saliva lentamente, inondando la distesa blu sottostante di luce argentea. La luna piena si alzava come una regina silenziosa, e io rimasi lì, immobile, dimenticando tutto il resto. Il cuore batteva piano, in sincronia con le onde.

Una voce mi chiamò alle spalle. Mi voltai, sorrisi, e gli amici mi trascinarono dentro. La pista era piena di gente scatenata, luci forti, musica assordante. Il contrasto era totale: fuori il silenzio, dentro il battito.

Poco dopo, mi sedetti su una poltrona in disparte. Chiusi gli occhi. Nel buio, rividi quella meravigliosa immagine di prima. E mi ritrovai ancora lì, davanti a lei. La luna. Il mare. Il silenzio. Come se il tempo si fosse piegato per lasciarmi tornare.

Sigillo finale:

A chi si fermava sulla soglia a contemplare il mare di luna.

Giampaolo Daccò Scaglione

 

martedì 14 ottobre 2025

"DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 2° Prati Fioriti

 


Prati Fioriti

S. Angelo Lodigiano, estate 1968 – I pensieri sull’estate

Verde, rosso, giallo, blu, bianco… e tanta luce dorata nel cielo. Disteso sui prati che dominavano la riva dolce e scoscesa del fiume, dietro la casa della nonna, guardavo le nuvole passare sopra la mia testa. Quante forme strane, e quanto splendore c’era lassù.

Gli alti papaveri e le verdi foglie mi sovrastavano. Piccoli fiori bianchi e gialli spuntavano nell’erba, e dall’altro lato del fiume, distesi campi di grano biondo maturo sembravano un mare dorato e fermo nell’immensità.

Due libellule volavano libere nel vento, mentre una farfalla dalle ali color caffè si era posata su un fiordaliso blu, proprio davanti al mio naso. Che meraviglia… non mi sarei mai più alzato da lì. Un bambino sognatore, a cui bastava poco per scatenare una fantasia infinita.

La voce della mamma mi risvegliò dai pensieri. Mi chiese di finire il compito per la scuola, mentre all’ombra di un albero stava dando la pappa a mia sorella. Guardai il quaderno a righe dalla copertina blu, vicino a me. Mi misi a pancia in giù, presi la penna, e lo aprii su una pagina bianca. Incominciai a scrivere.

Poco più in là, un’amica di mamma e i suoi figli correvano per i prati. Ridevano e gridavano divertiti, finché lei si sedette vicino a noi e accarezzò mia sorella. La sua pappa era finita, e mia madre la pose delicatamente sopra una copertina di cotone spianata sull’erba. Ben presto si addormentò, all’ombra delle fronde.

Finalmente finii I pensieri sull’estate, uno dei tanti compiti che ci diede la maestra per tenerci in allenamento. Quando non si trattava di matematica, per me era una gioia poter mettere nero su bianco le mie fantasie.

Chiusi il quaderno e mi sedetti vicino a Francesca, che dormiva beata sulla coperta bianca a quadri delicati di color rosa pallido. La mamma mi porse la merenda: pane, burro e marmellata, e un bicchiere di tè freddo al sapore di limone. Divorai tutto in breve tempo — che buoni erano — ma non vedevo l’ora di giocare.

Dopo i giochi, le corse, i canti e le storie raccontate con gli amici presenti, il fiume scuro poco distante lentamente andava verso il mare. Non si sentiva un rumore, solo le cicale che frinivano sotto il sole.

Così passavano i tardi pomeriggi estivi, poco prima di partire per il mare — la vera vacanza per tutti noi — vissuti con spensieratezza, allegria, colori e freschezza. Quante cose semplici, rimaste immutate nei ricordi.

Oggi, sul treno, ho visto dei campi rossi e verdi mentre attraversavo la campagna. Per un lunghissimo tratto mi hanno accompagnato nel viaggio. Ed è stato come tornare a quel tempo. Non so perché… ma davvero, mi hanno messo allegria.

Sigillo finale

A chi scriveva a pancia in giù, con il fiordaliso davanti al naso e il mare dentro il cuore.

Giampaolo Daccò Scaglione

 

lunedì 13 ottobre 2025

Racconti della serie: "DAL MARCIAPIEDE AL CIELO E FINO AL MARE": 1° - Le case sopra le nuvole

 


Le case sopra le nuvole

Estate 1967.

Incastonate nell’azzurro del cielo, le nuvole bianche e soffici 

passano sotto il mio sguardo mentre, 

disteso sul fieno nella fattoria di un prozio, 

assaporo i profumi di quell’estate calda e bellissima. 

Immagino che lassù, su quelle candide nubi, 

ci siano case bianche e dorate dove angeli ed esseri magici 

vivono la loro magnifica esistenza. 

Qualche rondine svolazza sulla mia testa, 

sparendo sotto i cornicioni del cascinale, 

mentre il simpatico raglio dell’asinello di zio Peppe 

proviene dalla stalla adiacente. 

Da quelle nuvole nel cielo, pochi giorni prima, 

è sceso un piccolo angelo ed è volato nel letto della mamma… 

che fantasia. 

Che bello sognare così. 

Peccato che tutto finisca in fretta crescendo, 

che i sogni, pur rimanendo nel nostro cuore e nell’anima, 

lascino spazio alla viva realtà — e che quell’angelo 

sia tornato troppo presto in quelle case sopra le nuvole. 

Oggi, guardando il cielo sopra Milano, 

mi è tornato in mente questo ricordo. 

Le nuvole sono ancora candide e soffici, 

ma sopra di esse non ci sono più le case e gli esseri fatati.

 Sigillo finale:

A chi ha visto angeli scendere dalle nuvole, e ha imparato a lasciarli volare di nuovo.

Giampaolo Daccò Scaglione


giovedì 9 ottobre 2025

GIAMPAOLO - IL CUSTODE DEL TEMPO


Scolpendo il tempo con grazia elfica…

Giampaolo il Custode del Tempo

Non conto i minuti, li accarezzo. Ogni granello di sabbia che scende è un ricordo che torna a fiorire. Il mio mantello non è stoffa, ma memoria. E la mia clessidra è il cuore che pulsa tra le epoche.”

Non combatto nelle arene, ne nelle foreste del nord e neanche in qualche sperduto convento, o in chissà quale rivoluzione storica, ma nei cuori. Scrivo versi su pergamene che profumano di rosmarino, e li lascio sotto le colonne per chi sa leggere con l’anima.



Giampaolo il Romano Gentile

Vestito con una tunica color avorio, una corona d’alloro appena intrecciata, e un sorriso che neanche Cesare saprebbe decifrare.

“Nel Foro non si parla solo di leggi. C’è chi scrive poesie per i passanti, chi canta ai tulipani, e chi—come me—crede che anche una ruga possa essere un verso.”



Giampaolo il Barbaro Sognatore

 Accarezzando il vento tra le querce…

“Non ho conquistato terre, ma silenzi. Ho camminato tra gli alberi, ascoltando il vento che mi chiamava per nome. La mia barba non è segno di guerra, ma di tempo vissuto con grazia. E se porto una pelliccia, è solo per proteggere i sogni che raccolgo lungo il cammino.”



 Giampaolo il Monaco Miniatore

 Tracciando petali nei margini sacri…

“Non cerco la gloria, ma il silenzio. In ogni lettera che traccio, ascolto il respiro del mondo. E nei colori dei miei fiori, ritrovo l’eco di un giullare che sussurra al mio cuore. Le mie giornate non sono fatte di ore, ma di sogni.”



Giampaolo il Risorgimentale Elegante

Sotto il cielo di Milano, con penna e cuore…

“Non combatto con fucili, ma con parole. Le mie lettere non cambiano la storia, ma accendono lanterne nei cuori. Sotto il cielo di Milano, con cappello e penna, scrivo per chi ha dimenticato di sognare.”

 


Giampaolo il Futurista Cosmico

Navigando tra le stelle con memoria e grazia…

“Non cerco nuovi mondi, ma antiche emozioni dimenticate. Navigo tra le galassie con la penna in mano, e ogni stella che incontro è un ricordo da riportare a casa. Il mio diario non è tecnico, è sacro. E ogni parola che scrivo è una carezza per chi ha smesso di guardare il cielo.”


Ed invece, Giampaolo è il Custode delle Memorie

ma anche

Il Cantautore Figlio del Vento

“Non ho radici, ma melodie. Cammino dove il vento mi porta, con la voce piena di tramonti e la penna che sa di rosmarino. Non canto per essere ascoltato, ma per ricordare a chi ha dimenticato che anche le rughe possono danzare.”

Giampaolo Daccò Scaglione

 


lunedì 6 ottobre 2025

Regent’s Park e il giorno in cui mi persi per ritrovarmi

 “A tutti quelli che parlano inglese come mucche svizzere, 

scrivono come pecore spagnole, 

e bevono il tè con vecchie signore dai cappellini fioriti: 

questa storia è per voi.”


"Regent’s Park e il giorno in cui mi persi per ritrovarmi."

Con un amico pazzo, una mucca olandese e una doccia (solo per ridere)


Maggio – Londra

Introduzione

Ci sono giorni che sembrano normali, e poi diventano leggende personali. Questa è la storia di un viaggio a Londra, di un parco che sembrava Eden, di un amico pazzo che parlava italiano come una mucca olandese, e di una visione che sarebbe tornata anni dopo, tra Stonehenge e il Tor…

Il giardino e la mucca olandese

“Ma sei sicuro che siamo a Londra?” sbottai, guardando l’espressione soddisfatta di Thomas — sembrava non vedesse il sole da mesi. Annuì con la testa. Io scoppiai a ridere.

Camminavamo veloci in tuta da ginnastica lungo Wellington Road, passando accanto all’Humana Hospital. Poi, girando a sinistra, ci mettemmo a correre sulla Prince Albert Road. Dopo mezzo chilometro, prendemmo un viottolo sulla destra che attraversava il Grand Union Canal, e finalmente ci ritrovammo nel cuore di Regent’s Park.

Che meraviglia. Il verde, le aiuole, la luce tiepida… Pensai al Parco Sempione di Milano, che sembrava un bonsai in confronto.

“È meraviglioso qui…” dissi a Thomas, rallentando la corsa. “Of course,” rispose lui, prendendomi per un braccio e trascinandomi verso una stradina. Davanti a noi, un piccolo chiosco di bibite. Acqua naturale. Panchina. Paradiso.

Thomas, nel suo italiano buffo, mi disse: “Te piacerò visitare Queen Mary’s Gardens… È little avanzare poco là.” Risi. “Essere a sei-ziro-ziro-ziro yards da here.” Scoppiammo a ridere. Gli dissi: “Tommy, parli l’italiano come una mucca olandese!” E corsi via, inseguito da lui.

Più tardi, sudati e accaldati, ci trovammo nell’Inner Circle. Da lì vedevo nitidamente il Regent College. Sembrava Eden. Vecchiette col cappellino portavano cani educatissimi. Case a semicerchio si affacciavano sul verde. Mi aspettavo Peter Pan volare sopra di noi. O Mary Poppins scendere con l’ombrello per aiutare qualche bambino solitario.

“Hey dreamer, look here.” La voce di Tommy mi riportò alla realtà. Due scoiattoli correvano verso una pianta. Un cerbiatto camminava lento sull’erba. Dove si firmava per la residenza in paradiso?

Thomas mi cinse le spalle con il braccio. “Tu rilassare, non esserci niente di brutto se ti abbraccio… Londra non è Italia ahahahah. Voi italians molti problemi fare.”

La casa, la doccia e il sogno verde

Effettivamente mi sentivo un po’ sciocco — il classico italiano pieno di pregiudizi — mentre attorno a me girava di tutto. Sul bus che ci riportava a Carlton Hill, dove abitava Thomas, sorrisi nel vedere un ragazzo punk baciare una ragazza addobbata come un cesto di rose. Erano fermi sul marciapiede, davanti al semaforo. A Londra nulla stupisce. Quel miscuglio di umanità è la norma, non l’eccezione.

L’autobus si fermò poco dopo il Malborough Hospital. Scendemmo e ci avviammo verso casa.

Avevo ancora sei giorni di vacanza. Stare a Londra era il massimo. L’indomani Thomas mi avrebbe portato da suo fratello ad Amersham, poco fuori città, per due giorni in campagna.

“Please Tom, Friday to take me to know Aunt Betty II?” (Mi faresti conoscere zia Betty — la regina?) chiesi con tono teatrale.

“Stupìdo!” mi rispose imitando Stanlio, e corremmo su per le scale di casa.

La porta si aprì prima che suonassimo. Sua madre — tipica signora inglese dagli occhiali rotondi — ci sorrise sulla soglia.

“Oh my God, Thomas is now a perfect Italian,” disse guardandomi, mentre lui lanciava le scarpe in aria appena entrato.

“Are you crazy, Tom?” continuò lei, osservando la mia faccia stupita. Avrei voluto dirle che io non lancio le scarpe in casa, ma capii che era una battuta.

Thomas mi guardò con aria sinistra, occhi da bischero, e disse: “Want to give you a shower before me? Maybe I wash first… or do together?”

Scoppiai a ridere. Sua madre, pur sorridendo, lo fulminò con lo sguardo: “Tom!”

Lui si avvicinò, l’abbracciò, e disse che era solo una battuta — sul fatto che noi italiani abbiamo un po’ di pregiudizi. Poi sparì in bagno.

Betty mi guardò, scosse la testa, e tornò in cucina a preparare la cena.

Io mi sedetti sulla poltrona davanti alla libreria. Chiusi gli occhi. E l’immagine di Regent’s Park tornò a farsi strada: il verde immenso, le aiuole fiorite, la luce tiepida che sembrava una carezza sul cuore.

Il verde che resta dentro

Quella sera, seduto sulla poltrona, mentre Regent’s Park tornava a fiorire nei miei occhi chiusi, capivo che Londra non era solo una città — era una soglia, un giardino, un teatro di stranezze e bellezze.

Thomas, Betty, gli scoiattoli, le battute, il punk e la ragazza-rosa… tutto era parte di una danza che mi aveva cambiato, senza che me ne accorgessi.

E forse è proprio questo il senso del viaggio: non cercare qualcosa, ma lasciarsi sorprendere da ciò che ci trova.

Londra mi aveva trovato. Mi aveva fatto ridere, correre, osservare, mi aveva fatto sentire sciocco e libero, mi aveva insegnato che la meraviglia non ha bisogno di spiegazioni.

Da quel giorno, il verde di Regent’s Park non mi ha mai lasciato. È rimasto dentro, come una visione gentile, come una carezza che torna ogni volta che chiudo gli occhi.

E anche se sono tornato a casa, quel giardino vive ancora in me — come una pagina che non si chiude, come una promessa che vibra nel cuore.

 E se qualcuno mi chiede se parlo bene inglese, rispondo sempre con sincerità: 

“I speak English like a Swiss cow and write like a Spanish sheep.”

Giampaolo Daccò Scaglione

 



giovedì 2 ottobre 2025

ACQUA MAGICA


ACQUA MAGICA

Estate.

Un tramonto infuocato si stagliava davanti a noi, e nel mezzo cielo blu verso oriente brillava la Luna — la nostra Dea Madre. Nonna ed io eravamo appena tornati dai campi colorati vicino al fiume, con la borsa di canapa piena di fiori, erbe e radici. Lei, la mia nonna — la strega buona — mi aveva lasciato la pesante eredità del segno. Non era passato molto tempo da quando mi aveva insegnato a usare, lavorare e creare con le erbe, i profumi, le pozioni “magiche”.

Ma mancava ancora qualcosa: l’Acqua. L’elemento da cui nasciamo, quello della Dea Madre, fonte di vita, nutrimento e purificazione.

Nonna aveva guardato la Luna dalla porta d’ingresso, poi l’aveva chiusa dolcemente. Mi aveva fissato con i suoi occhi neri brillanti e detto:

“È ora…”

Mi aveva condotto in cucina. Ci eravamo avvicinati al lavello sotto la finestra con le inferriate, che dava verso ovest — verso il tramonto, il fiume, i campi. Mi aveva sorriso dolcemente. I suoi occhi brillavano nella luce rossa, e i suoi capelli scurissimi, cotonati, riflettevano bagliori carminio sulle ciocche raccolte.

Aveva posato una bacinella di rame sul tavolino e vi aveva versato dell’acqua fredda da un vaso rotondo di cristallo.

“Paolo, conta molto non usare oggetti quadrati o con angoli, vedi? Il cerchio, la sfera, amalgamano bene gli elementi. Non ti sei accorto che nell’acqua c’erano sale e gocce di arnica? Anche la bacinella è rotonda…”

Annuivo, affascinato dai suoi gesti.

“Fai quello che faccio io. Abbiamo già posato le erbe, le radici e le foglie nei loro vasetti, nome per nome. Ora…”

Aveva posato le palme sopra l’acqua, pronunciando brevi parole che mi aveva insegnato. Poi le aveva immerse fino a toccare il fondo, ruotandole lentamente in senso orario, poi antiorario.

“Ora fallo anche tu, dolcemente… Lei ha bisogno di questo.”

Le sue mani restarono immerse per un po’, poi le sollevò con le palme rivolte verso il sole quasi tramontato.

“Serve per liberare l’energia cattiva accumulata durante il giorno — a scuola, al lavoro, ovunque. Va fatto prima di cena, o meglio prima di coricarsi. Le mani devono restare aperte, toccare il fondo. Intanto, pensa alle cose brutte della giornata e lasciale andare… dentro quest’acqua magica. Visto?”

Sapevo che non era solo una purificazione. Era una preparazione all’arte esoterica, già inculcata in me fin dalla nascita. Un’iniziazione alle arti notturne.

Più tardi, dopo cena, mentre nonna parlava con mamma e zia, mi ero seduto vicino alla finestra dove avevamo compiuto il rito. Il tramonto aveva ceduto il passo alla notte stellata. La mezza falce bianca della Dea Madre era là, sopra di me, sopra il mio sguardo.

Ero sereno, quasi felice. Lei aveva visto tutto. Sentivo le maree lunari dentro di me, anche se ancora non ne avevo coscienza. L’astro argenteo mi proteggeva con la sua luce riflessa, e l’energia femminile che ne scaturiva avvolgeva la Terra.

Sorrisi alla Luna come un folletto dispettoso, appoggiai la testa sul braccio, e subito la mia mente prese la strada della fantasia.

Dedica a Nonna – Custode dell’Acqua Magica

A te, Nonna mia, che mi hai insegnato a parlare con le erbe, a riconoscere la Luna come Madre, a immergere le mani nell’acqua come in un abbraccio sacro.

A te, che hai trasformato la cucina in un tempio, il rame in soglia, il tramonto in iniziazione.

Questo racconto è il tuo respiro, la tua voce che ancora vibra nelle mie dita, la tua luce che mi guida nelle notti stellate.

Ti porto con me, in ogni gesto, in ogni parola, in ogni acqua che purifica e prepara.

 

Tuo Paolo, figlio del segno, apprendista lunare, custode delle acque e delle parole trasmesse. Con amore, sotto la protezione della Dea Madre.

Giampaolo Daccò Scaglione

mercoledì 1 ottobre 2025

Sere d’estate lontane - Raccolta di racconti e immagini di un tempo che respira ancora

 Sere d’estate lontane



Dedica e Prologo 

A chi ha vissuto estati che non torneranno, a chi ha pedalato tra papaveri e sogni, a chi ha guardato la luna sopra un castello e ha creduto nelle favole.

A mia madre, che cantava con me. Agli amici che venivano sul terrazzo. A me stesso, ragazzo di 16 anni, che cercava le stelle e trovava la bellezza.

Ci sono sere che non finiscono mai. Restano appese al cielo come lanterne, profumano di menta, di gerani, di grano maturo.

Sere d’estate lontane è un viaggio nella memoria, un racconto fatto di biciclette, terrazzi, castelli, e canzoni condivise.

È la storia di un ragazzo che sognava astronavi, e che, pedalando tra le curve di Belfiorito, ha imparato che la vera magia è ricordare.

Il terrazzo e le stelle

Dal terrazzo di casa, lo sguardo correva verso ovest. Anche se vivevo in centro, il fiume si allargava come un respiro, e nei giorni limpidi si vedevano le montagne lontane del Piemonte. I campi di grano, gli alberi sparsi, il cielo che cambiava colore… tutto sembrava una tela viva. 

A volte venivano amici, si giocava a carte, si cantava, si parlava di cose magiche. E quando la luna passava sopra il castello visconteo, ci avvicinavamo alle finestre per vedere le luci che danzavano tra i merli delle torri. 

Intanto, sul terrazzo, toccavo i vasi di gerani e ascoltavo la musica. Mia madre, in casa, cantava la stessa canzone. E io sognavo astronavi, meteore, mondi lontani. Era come una favola. E io ne ero parte.

…Il terrazzo diventava un osservatorio, un teatro, un altare. E noi, ragazzi con il cuore pieno di sogni, eravamo i protagonisti di una favola che nessuno aveva scritto, ma che viveva in ogni sguardo, in ogni risata, in ogni silenzio condiviso.

Si metteva su una cassetta nel mangianastri, spesso con basi karaoke, e si cantava. A volte alla finestra, altre sul terrazzo, con le voci che si mescolavano all’aria della sera. Non avevamo generi preferiti, ma evitavamo il rock duro—non aveva senso al romanticismo che ci abitava. 

Le canzoni erano come incantesimi: aprivano il cielo, facevano danzare la luna, ci facevano sentire parte di qualcosa di più grande.

Le montagne azzurre del Piemonte

Dal terrazzo di casa, quando l’aria era limpida e il vento gentile, lo sguardo correva lontano. Oltre il fiume, oltre i campi di grano e i prati verdi, oltre gli alberi sparsi come punti di cucitura sul paesaggio… si vedevano le montagne. Le montagne del Piemonte.

Non erano sempre visibili. Solo nei giorni speciali, quelli in cui il cielo sembrava voler raccontare qualcosa. Apparivano azzurre, leggere, quasi irreali. Come sogni che si erano fermati all’orizzonte per farsi guardare.

Io le osservavo in silenzio, con il cuore che si allargava. Non ci ero mai stato, ma le sentivo vicine. Erano promesse, erano possibilità, erano luoghi dell’anima.

A volte, mentre le guardavo, sul terrazzo si sentiva ancora la musica della sera. I gerani profumavano, il fiume scorreva piano, e mia madre cantava in casa.

Le montagne restavano lì, immobili e vere. E io, ragazzo sognatore, le salutavo come si saluta un amico che si rivedrà solo nei sogni.

Così finivano le sere d’estate. Con un ultimo sguardo all’orizzonte, e con la certezza che la bellezza non ha bisogno di parole per restare.

La curva di Belfiorito

Era estate, e dopo cena il mondo sembrava rallentare. Io prendevo la bicicletta e pedalavo lungo Mio Lungo, la stradina che si snodava per tre chilometri tra curve, rogge limpide, e fattorie che sembravano uscite da un quadro. 

Belfiorito e Belfuggito erano i miei punti di riferimento, i miei angoli di sogno. Il profumo dell’erba si mescolava alla menta selvatica, le libellule danzavano sopra l’acqua, e le biciclette si salutavano con un suono gentile. 

Sul ponticello della curva, ci si fermava a guardare il tramonto e gli aerei bassi che atterravano a Linate, come uccelli metallici che sfioravano il cielo. Era il mio modo di fuggire, di respirare, di vivere.

Il ponticello delle libellule

C’era un punto preciso lungo Mio Lungo dove il tempo sembrava fermarsi. Una curva dolce, un ponticello di pietra, e sotto… l’acqua limpida delle rogge. 

Le libellule danzavano sopra la superficie come piccole fate, le rane si nascondevano tra le erbe, e i fiori di campo si piegavano al vento come se ascoltassero. I campi attorno cambiavano ogni estate: frumento, grano, mais. E nell’aria si mescolava il profumo dell’erba tagliata con quello della menta selvatica.

Le biciclette passavano lente, e chi sorpassava suonava il campanello per salutare. A volte ci si fermava lì, sul ponticello, per guardare il tramonto riflettersi nell’acqua. E se il cielo era limpido, si vedevano gli aerei bassi che atterravano a Linate, come uccelli metallici che sfioravano le nuvole.

Io mi sedevo sul bordo, con le gambe penzoloni e il cuore aperto. Non pensavo a nulla, o forse pensavo a tutto. A volte portavo con me un piccolo blocco per disegnare, altre solo la mia voce, che canticchiava piano.

Quel ponticello era il mio confine magico: oltre c’era il bivio, le colline, la sera. Ma lì… lì c’era la pace. E le libellule, che sembravano sapere tutto, non dicevano nulla. Solo danzavano.

…Quel ponticello era il mio confine magico: oltre c’era il bivio, le colline, la sera. Ma lì… lì c’era la pace. E le libellule, che sembravano sapere tutto, non dicevano nulla. Solo danzavano.

Il vento tiepido dell’estate sembrava suonare canzoni invisibili, come se volesse far apparire il tramonto più colorato, più vero, più nostro.

E quando le sere d’estate si fanno lontane, basta chiudere gli occhi e tornare lì—sul terrazzo, sul ponticello, tra le curve di Belfiorito—per ricordare che la bellezza non svanisce: si trasforma in memoria, e la memoria… canta.

Giampaolo Daccò Scaglione