scrivono come pecore spagnole,
e bevono il tè con vecchie signore dai cappellini fioriti:
questa storia è per voi.”
"Regent’s Park e il giorno in cui mi persi per ritrovarmi."
Con un amico pazzo, una mucca olandese e una doccia (solo per ridere)
Maggio – Londra
Introduzione
Ci sono giorni che sembrano normali, e poi diventano leggende personali. Questa è la storia di un viaggio a Londra, di un parco che sembrava Eden, di un amico pazzo che parlava italiano come una mucca olandese, e di una visione che sarebbe tornata anni dopo, tra Stonehenge e il Tor…
Il giardino e la mucca olandese
“Ma sei sicuro che siamo a Londra?” sbottai, guardando l’espressione soddisfatta di Thomas — sembrava non vedesse il sole da mesi. Annuì con la testa. Io scoppiai a ridere.
Camminavamo veloci in tuta da ginnastica lungo Wellington Road, passando accanto all’Humana Hospital. Poi, girando a sinistra, ci mettemmo a correre sulla Prince Albert Road. Dopo mezzo chilometro, prendemmo un viottolo sulla destra che attraversava il Grand Union Canal, e finalmente ci ritrovammo nel cuore di Regent’s Park.
Che meraviglia. Il verde, le aiuole, la luce tiepida… Pensai al Parco Sempione di Milano, che sembrava un bonsai in confronto.
“È meraviglioso qui…” dissi a Thomas, rallentando la corsa. “Of course,” rispose lui, prendendomi per un braccio e trascinandomi verso una stradina. Davanti a noi, un piccolo chiosco di bibite. Acqua naturale. Panchina. Paradiso.
Thomas, nel suo italiano buffo, mi disse: “Te piacerò visitare Queen Mary’s Gardens… È little avanzare poco là.” Risi. “Essere a sei-ziro-ziro-ziro yards da here.” Scoppiammo a ridere. Gli dissi: “Tommy, parli l’italiano come una mucca olandese!” E corsi via, inseguito da lui.
Più tardi, sudati e accaldati, ci trovammo nell’Inner Circle. Da lì vedevo nitidamente il Regent College. Sembrava Eden. Vecchiette col cappellino portavano cani educatissimi. Case a semicerchio si affacciavano sul verde. Mi aspettavo Peter Pan volare sopra di noi. O Mary Poppins scendere con l’ombrello per aiutare qualche bambino solitario.
“Hey dreamer, look here.” La voce di Tommy mi riportò alla realtà. Due scoiattoli correvano verso una pianta. Un cerbiatto camminava lento sull’erba. Dove si firmava per la residenza in paradiso?
Thomas mi cinse le spalle con il braccio. “Tu rilassare, non esserci niente di brutto se ti abbraccio… Londra non è Italia ahahahah. Voi italians molti problemi fare.”
La casa, la doccia e il sogno verde
Effettivamente mi sentivo un po’ sciocco — il classico italiano pieno di pregiudizi — mentre attorno a me girava di tutto. Sul bus che ci riportava a Carlton Hill, dove abitava Thomas, sorrisi nel vedere un ragazzo punk baciare una ragazza addobbata come un cesto di rose. Erano fermi sul marciapiede, davanti al semaforo. A Londra nulla stupisce. Quel miscuglio di umanità è la norma, non l’eccezione.
L’autobus si fermò poco dopo il Malborough Hospital. Scendemmo e ci avviammo verso casa.
Avevo ancora sei giorni di vacanza. Stare a Londra era il massimo. L’indomani Thomas mi avrebbe portato da suo fratello ad Amersham, poco fuori città, per due giorni in campagna.
“Please Tom, Friday to take me to know Aunt Betty II?” (Mi faresti conoscere zia Betty — la regina?) chiesi con tono teatrale.
“Stupìdo!” mi rispose imitando Stanlio, e corremmo su per le scale di casa.
La porta si aprì prima che suonassimo. Sua madre — tipica signora inglese dagli occhiali rotondi — ci sorrise sulla soglia.
“Oh my God, Thomas is now a perfect Italian,” disse guardandomi, mentre lui lanciava le scarpe in aria appena entrato.
“Are you crazy, Tom?” continuò lei, osservando la mia faccia stupita. Avrei voluto dirle che io non lancio le scarpe in casa, ma capii che era una battuta.
Thomas mi guardò con aria sinistra, occhi da bischero, e disse: “Want to give you a shower before me? Maybe I wash first… or do together?”
Scoppiai a ridere. Sua madre, pur sorridendo, lo fulminò con lo sguardo: “Tom!”
Lui si avvicinò, l’abbracciò, e disse che era solo una battuta — sul fatto che noi italiani abbiamo un po’ di pregiudizi. Poi sparì in bagno.
Betty mi guardò, scosse la testa, e tornò in cucina a preparare la cena.
Io mi sedetti sulla poltrona davanti alla libreria. Chiusi gli occhi. E l’immagine di Regent’s Park tornò a farsi strada: il verde immenso, le aiuole fiorite, la luce tiepida che sembrava una carezza sul cuore.
Il verde che resta dentro
Quella sera, seduto sulla poltrona, mentre Regent’s Park tornava a fiorire nei miei occhi chiusi, capivo che Londra non era solo una città — era una soglia, un giardino, un teatro di stranezze e bellezze.
Thomas, Betty, gli scoiattoli, le battute, il punk e la ragazza-rosa… tutto era parte di una danza che mi aveva cambiato, senza che me ne accorgessi.
E forse è proprio questo il senso del viaggio: non cercare qualcosa, ma lasciarsi sorprendere da ciò che ci trova.
Londra mi aveva trovato. Mi aveva fatto ridere, correre, osservare, mi aveva fatto sentire sciocco e libero, mi aveva insegnato che la meraviglia non ha bisogno di spiegazioni.
Da quel giorno, il verde di Regent’s Park non mi ha mai lasciato. È rimasto dentro, come una visione gentile, come una carezza che torna ogni volta che chiudo gli occhi.
E anche se sono tornato a casa, quel giardino vive ancora in me — come una pagina che non si chiude, come una promessa che vibra nel cuore.
E se qualcuno mi chiede se parlo bene inglese, rispondo sempre con sincerità:
“I speak English like a Swiss cow and write like a Spanish sheep.”
Giampaolo Daccò Scaglione
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