Mostar (Bosnia), 17.09.2010
In questo lungo viaggio fra i Balcani, abbiamo visto — anche se brevemente — le città più grandi e belle, da Fiume, Lubljana, la bellissima Zagabria, la caotica Belgrado con ancora segni del passato sovietico e poi altre più piccole.
Avevamo attraversato immense terre coltivate, il silenzio e i colori del cielo, così belli e diversi dai nostri. Ed il Ponte sulla Drina, che conoscevo tramite il suo omonimo e famoso Libro, un ponte che ha visto tanta storia e tragedie.
Ci siamo immersi, quasi con timore nella grande foresta che copre quasi tutte le montagne della Croazia del nord, della Serbia e della Bosnia, dove sui cigli della strada si vedevano cervi dalle grandi corna, falchi e aquile.
Dopo Sarajevo ancora con i segni della precedente guerra, con muri di case pieni di buchi di artiglieria e palazzi ancora da ricostruire, ci siamo fermati a casa di conoscenti nella nuova zona della città, con case moderne e palazzi che stavano nascendo dalle macerie.
L'aeroporto divideva in due la città dai sobborghi e spesso si vedevano alzarsi aerei civili e della protezione come grandi uccelli che spiccavano il volo verso una libertà appena conquistata.
Mostar, la città che mi aveva colpito più di tutte le altre.
La grande croce sulla montagna sovrastante la città testimonia la tragedia degli anni passati.
La moschea e il grande minareto, vicini alla chiesa cristiana con l’alto campanile, non sembravano sfiorati dalla guerra. Ma un cimitero arabo, pieno di stele, vicino alla strada, la ricordava.
Ci siamo fermati a un baracchino a mangiare del pollo fritto buonissimo. Accanto alla strada, vicino ai nostri tavolini, una piccola struttura commemorava i caduti, mentre sventolava su di essa attaccata ad un’alta asta, la bandiera bosniaca.
A poche centinaia di metri, visibilissimo fra la vegetazione rada, l’aeroporto militare.
L’aria tiepida che soffiava addosso non riusciva a distogliermi dai pensieri: qui, in questa selvaggia e bella terra, morirono in una guerra assurda tantissime persone.
Quando siamo ripartiti per la costa croata, mi giravo continuamente verso la città. Qualcosa mi è rimasto dentro. So davvero che non la dimenticherò mai più.
Pensiero per Mostar – Soglia del dolore e della luce
A Mostar, dove il ponte non unisce soltanto due rive, ma due ferite, due memorie, due speranze.
A Mostar, dove la croce sulla montagna non è solo simbolo, ma grido inciso nella pietra.
A Mostar, dove il minareto e il campanile si guardano da secoli, e oggi si sfiorano con pudore, come due testimoni che hanno visto troppo.
A Mostar, dove i cimiteri sembrano giardini di crisantemi, e ogni stele è una voce che non ha mai smesso di parlare.
A Mostar, che fu tra le prime vittime del carnefice umano, di quella guerra che non aveva senso, che non aveva pietà, che non aveva futuro.
A chi è passato, a chi è rimasto, a chi ha perso tutto, a chi ha trovato luce in mezzo alle rovine.
Il ricordo di tutto questo, perché la memoria è resistenza. E la bellezza, anche nel dolore, è una forma di giustizia.
Dedica per chi leggerà:
A te che hai guardato il cielo balcanico e sentito il vento dei pensieri accarezzarti.
Che hai camminato tra minareti e campanili, e visto il dolore incidere stelle nella pietra.
Che hai trovato luce impossibile in un paesaggio spezzato e testimone.
A te che non dimenticherai quella terra, perché hai capito che a volte la storia parla più forte del tempo.
Giampaolo Daccò Scaglione

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