Alla fine del bosco
Piccoli fasci di luce chiara filtravano tra le intense fronde e i lunghi rami di quella macchia verde scuro. I raggi scendevano obliquamente da un punto nel cielo fino a colpire i tronchi resinosi e bruni che celavano la visuale sui fianchi del sentiero. Un silenzio ovattato, interrotto solo da strani cinguettii, avvolgeva tutto intorno, mentre piccoli cespugli di bacche delimitavano il confine tra la foresta e la via erbosa che conduceva verso mete lontane.
Azavan, il biondo ragazzo chiuso nel caldo mantello di lana cotta del colore del mare, procedeva in quella boscaglia verso una meta sconosciuta, richiamato da una forza misteriosa a cui non sapeva dare un nome. Non conosceva il perché si sentisse obbligato a percorrere quel tragitto oscuro, né riusciva a capirne il significato. Vedeva solo i grandi alberi e i loro rami che formavano un arco sopra la sua testa, mentre raggi dorati provenivano da un sole lontano.
Sapeva solo della sua crisi mistica: non riusciva più a credere nella sua religione, nei suoi dogmi, nei suoi miracoli, né nelle figure e nelle parole di chi la rappresentava. Pensava a tutto questo mentre si vestiva nella sua stanza calda, e credeva che forse una passeggiata nel bosco vicino potesse dare ordine ai suoi pensieri. Eppure da giorni sentiva un richiamo misterioso provenire da quel luogo in cui non si era mai avventurato. Fu così che si ritrovò in quello strano posto, dove oltre al silenzio si percepiva un’atmosfera arcana.
Un nugolo di farfalle colorate apparve all’improvviso davanti a lui e, come in una danza angelica, ruotarono attorno alla sua figura per pochi secondi, poi volarono veloci tra i fitti alberi. Più avanti, sul sentiero, vide un uomo vestito di viola, con un mantello purpureo, seduto su una staccionata che bloccava il passaggio. Azavan pensò subito a un cavaliere che si riposava, ma non vedeva alcun destriero. Il volto dell’uomo, sempre più nitido nell’avvicinarsi, gli sembrava dolce e familiare.
L’uomo sorrise al saluto educato del ragazzo, che nel suo intimo provava timore. Subito dopo Azavan sentì un calore nel cuore che dissolse ogni tensione. Si accorse del rumore di acque che scorrevano veloci e, volgendo lo sguardo a destra, vide che al posto degli alberi c’era un grande fiume blu, delimitato dalla staccionata.
Al di là del fiume, un’immensa e bellissima città illuminata da una luce rosa-dorata. Da lì proveniva una musica dolce e allegra. Azavan scorgeva case dalle forme mai viste prima e una grande scalinata che partiva dalla riva fino ai tetti brillanti come cristalli.
Alle spalle dell’uomo apparvero decine di templi di ogni religione: minareti, campanili, chiese ortodosse, cattoliche, gotiche, protestanti, sinagoghe, templi arabi e indiani, statue animiste. Tutti vuoti, abbandonati, avvolti da liane e fronde contorte.
Azavan stava per parlare, ma l’uomo dagli occhi buoni e severi disse: — “Ti aspettavo da tempo. Quella città di luce è la casa di tutti, dove si giunge al termine della propria missione. I templi che vedi sono simboli creati dagli uomini: a volte hanno fatto bene, altre volte male. Ma non appartengono a quella città immensa piena di amore. Un mio figlio disse che il tempio di Dio è nei vostri cuori. Guardati dentro: lì troverai le risposte.”
Azavan sentì le lacrime scendere sulle guance, ma il sorriso illuminava il cuore dell’uomo. Quando allungò la mano per toccarlo, l’altro indietreggiò emanando una polvere d’oro dal mantello e disse: — “Questo non puoi farlo. Ma se lo vorrai, sentirai il mio abbraccio e il mio amore in ogni momento.”
All’improvviso Azavan aprì gli occhi e si ritrovò nel suo letto, mentre il gallo cantava nel cortile. Si chiese se fosse stato un sogno o una realtà magica. Guardando la sua mano destra, vide della polvere d’oro. E allora capì.
Giampaolo Daccò Scaglione

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