“Scappiamo con le ciliegie?”
Estate 1974 – Colline di San Colombano al Lambro
Con Lucio, Alberto e Antonio decidemmo il giorno prima che quella mattina calda avremmo preso le nostre biciclette per fare un lungo giro sulle colline poco distanti. Volevamo mangiare un panino in qualche spiazzo verde, tra le alture rigogliose piene di vigneti e alberi da frutto.
Ovviamente, grazie a non si sa chi, la voce si sparse. A noi — che avremmo preferito restare soli — si aggiunsero una cugina di Lucio, due sue amiche e un paio di altri ragazzi.
Dopo colazione, la lunga fila di biciclette uscì dalla città, avviandosi sul “mio lungo”, la stretta via di campagna che portava su per le colline banine. Cantammo a squarciagola le canzoni dell’estate, ridemmo forte alle storielle di Alberto, prendemmo in giro Lucio come al solito. Poi, superata la sorgente della fontanella, ci avviammo verso le Terme di Miradolo.
Che fresco c’era tra quegli alberi… La musica proveniente dalla sala da ballo all’aperto ci accompagnò per un bel tratto. Passammo accanto alla grande piscina, invidiando chi faceva il bagno, e finalmente, dopo l’Hotel Milano, ci trovammo in cima a uno dei colli più alti.
Il panorama era magnifico. Queste colline, uniche nella pianura padana occidentale, facevano spaziare lo sguardo in ogni direzione: da Pavia al fiume Po, fino a Piacenza, al monte Penice e alle montagne ai confini della Liguria. Più in fondo, verso ovest, si stagliava la sagoma del Monviso. Alle nostre spalle, la pianura da Novara a Brescia, e le Alpi alte e maestose davano al paesaggio un che di fiaba.
Ci accampammo lì, mangiando panini, bevendo Coca-Cola e ridendo come stupidi — ma l’età lo permetteva. Erano già le due passate quando, pronti a ripartire, la cugina di Lucio esclamò: “Guardate quante ciliegie!”
Poco distante, un folto boschetto di ciliegi era pieno di frutti invitanti. “Prendiamone qualcuna e portiamole a casa…”
A me non piacque molto l’idea. Il boschetto era di qualcuno, e rubare anche solo un frutto non era nei miei pensieri. Ma prima che potessi dire qualcosa, quasi tutti corsero verso le piante e riempirono gli zainetti.
Lucio balbettava: “No… dai… no… dai…”
“Presto, andiamocene via!” gridò Alberto con la sua voce squillante. “Sento qualcuno arrivare!”
Il proprietario stava arrivando con un piccolo trattore. Ci avrebbe visti con le ciliegie nelle borse?
Quasi tutti sparirono sulla strada asfaltata, pedalando velocemente nella direzione opposta. Tranne me e Lucio: a lui era caduta la catena della bicicletta, e il proprietario era ormai vicinissimo.
Sudavo freddo. Avevamo con noi l’unica borsa di plastica in cui si vedevano le rosse amarene. Misi la tovaglia del picnic sopra, per nasconderle.
Lucio era preoccupatissimo. A piedi, eravamo sul sentiero quasi a fianco del proprietario.
“Che succede, ragazzini? Vi serve aiuto?” disse lui gentilmente, guardando la catena pendente dal carter della bici.
“Sì, sì…” dissi io. “Stavamo facendo un giro tra le colline, e l’unico riparo dal sole era qui, dove ci siamo fermati a mangiare un panino. Ma a mio cugino è caduta la catena, e ora dobbiamo andare fino a Sant’Angelo così…”
L’uomo rise. “Vi aiuto io…”
Fu gentilissimo. Ci aiutò a montare la dannata catena, poi guardando la borsa di plastica disse, facendo un cenno verso i ciliegi: “Se volete, potete prendere qualche amarena dalle mie piante…”
Sarei sprofondato. Lucio era paonazzo dalla vergogna.
L’uomo prese un sacchetto dal trattore, ci mise dentro una grossa manciata di ciliegie e la porse a me. “Toh, le puoi aggiungere alle altre nella borsa… Ma fate presto, prima che diventino marmellata con questo caldo.”
Scoppiai a ridere. Lucio chiese scusa, ma l’uomo sorrise: “La prossima volta non fatelo più. Siete dei balossi tremendi… Per ora va bene così, non sono certo andato in malora. Ciao fiuleti!”
Ci salutò bonariamente, e noi, velocemente, tornammo sulla strada verso casa.
Un paio di chilometri più a valle, i nostri amici ci aspettavano sotto una pianta, preoccupati. Quando raccontammo l’accaduto, la cugina di Lucio disse: “A saperlo, ci fermavamo anche noi… magari ci scappava un altro sacco di ciliegie!”
“Sì, sulla testa!” le rispose Alberto. Tutti risero, tranne Lucio e me, che eravamo rimasti davvero malissimo.
Ma l’età dell’incoscienza ci fece dimenticare presto l’avventura. Cantando nuovamente a squarciagola, tornammo alle nostre case.
Io mi tenni il sacco delle ciliegie regalatoci da quel brav’uomo. Così mi sentii meno in colpa… In fondo, ce le aveva regalate lui.
Dedica rituale
A chi ha rubato ciliegie e ha ricevuto in cambio una lezione di gentilezza. A chi ha pedalato tra le colline dell’incoscienza, e ha scoperto che la vergogna può diventare memoria, che la fuga può trasformarsi in racconto.
A chi, come il sottoscritto, trasforma ogni piccola avventura in una soglia di bellezza, dove il paesaggio è fiabesco, la vergogna è umana, e la ciliegia è un dono che profuma di perdono.
Questo racconto è una lanterna per chi ha vissuto, sbagliato, riso e ricordato. Un sigillo di estate, amicizia e crescita.
Giampaolo Daccò Scaglione

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