“Oggi ho visto me stesso da bambino. E non ho avuto paura. Ho avuto tenerezza. Ho avuto pietà di me, e non mi sono perso. Non ero solo. Ero in attesa. Ho avuto forza, e non ho dimenticato. Ora scrivo, perché la mia storia merita di essere raccontata, e ora, finalmente, qualcuno mi ascolterà.”
Questa è una storia vera. Una fiaba di memoria, forza e trasformazione. L’ho scritta per chi, almeno una volta, si è sentito troppo sensibile, troppo fragile, troppo solo. Ma ha scelto di non piegarsi. Se un giorno ti sentirai triste, questa pagina è per te. Il lapislazzulo è anche tuo.
SE UN GIORNO TI SENTIRAI TRISTE…
Quel giorno, seduto sui gradini della nonna Vittoria, pensavo che il mondo fosse troppo grande per me. Ma i fiori mi guardavano come se fossi il loro re.
Avevo un sassolino blu che tenevo in tasca. Era il mio talismano contro la tristezza.
Oggi, nella mia tasca, ho un lapislazzulo al posto del sassolino. È il mio talismano. E come allora, l’ho toccato con le dita per farmi forza. Non c’era nessuno intorno, ma i fiori mi guardavano ancora. Forse non sono cambiato tanto: ho solo imparato a chiamare la tristezza con il suo vero nome.
Il tempo non ha cancellato il gesto, ha solo cambiato la pietra. Ma il cuore è lo stesso: cerca forza, e trova bellezza.
Oggi ho subito un’azione molto dolorosa, un evento che mi ha fatto male al cuore. Ma a differenza di un tempo, in cui la mia sensibilità era più vulnerabile, ho avuto una strana reazione: l’ho accolta.
Sì, l’ho accolta come un segno del destino. Il mio io interiore non mi ha permesso di piangere o arrabbiarmi. Ho capito che era inutile soffrire. Avendo sofferto troppo, ho deciso che tutto questo si trasformasse in polvere.
E come la polvere sollevata dal vento, è tornato in mente quel ricordo di bambino, che aveva quel piccolo sasso azzurro nella tasca come portafortuna. Come ora tengo un lapislazzulo blu con venature dorate, in tasca come protezione rituale.
Nonna Vittoria era apparsa sulla soglia della porta di quella vecchia casa di paese, con i fiori che la circondavano. Io, seduto sui gradini, con le mani sotto il mento e i gomiti appoggiati sulle ginocchia, cercavo di ricacciare indietro le lacrime.
Mi porse un panino con burro e marmellata come colazione, mentre nel cielo azzurro volavano delle colombe. Mi accarezzò la testa e si sedette vicino a me.
— Lo so, caro. A volte qualcuno ci fa del male, e il dolore è più forte se lo fa una persona che dovrebbe amarti…
Non risposi. Presi il panino e lo tenevo in mano, senza decidermi se addentarlo, anche se avevo un po’ di fame.
— Non vuoi rispondere, e capisco. Però lo sai che sei un bambino vivace e intelligente. Ma hai un pregio che potrà essere un difetto quando sarai grande.
Incuriosito, girai il faccino guardandola negli occhi, così uguali ai miei.
— Sei troppo sensibile e troppo emotivo.
Stavo per rispondere, ma lei, guardando in avanti, riconoscendo se stessa, continuò:
— Sai? Non sarà facile per te, e anche per altri bimbi come te. Dovrai imparare, a volte, a non mostrarti troppo. I colpi che ti colpiranno dalle persone che si chiamano invidia, cattiveria, ignoranza, possono farti soffrire molto. Ricorda che ci siamo sempre noi per starti vicino. Non devi avere paura.
— Non ho paura, nonna. Ma oggi quelle parole mi hanno fatto piangere. -
Nonna mi strinse a sé, e restammo in silenzio a guardare il cielo, il prato nel cortile, il pozzo al centro, e una vicina che ci faceva cenno di saluto dalla finestra di fronte.
— Paolino, c’è una frase forse complicata per te, ma te la voglio dire e spiegarti il significato, perché riguarda quello che è successo oggi… -
Non ero abituato a interrompere gli adulti, ma guardando nonna in viso, le feci segno verso i fiori poco lontano. Alcuni erano piegati dal vento del mattino, altri erano in piedi, e uno, di colore arancio intenso, era spezzato in mezzo agli altri.
— Nonna, scusami… ma perché quel fiore si è spezzato mentre gli altri si sono piegati? È perché era il più debole?
Nonna rise, mi accarezzò la faccia, e continuò il suo discorso senza rimproverarmi.
— No, era il più forte. O meglio… era.
— Era il più forte e si è spezzato?
— Paolino tesoro, la frase che volevo dirti prima era questa: “Mi spezzo ma non mi piego.” Sai che vuol dire?
Negai con un movimento della testa.
— È un modo di dire per dare forza alle persone sensibili come te, a chi non deve sottomettersi alle persone cattive o al destino che spesso è crudele.
— Crudele? Cattivo? Vuoi dire come le cose che ti sono capitate a te anni fa, nonna?
Rimase basita. Non si aspettava che un bambino di sette anni le rispondesse così, facendole tornare alla mente e al cuore il suo passato doloroso.
Non ero sicuro se si fosse asciugata una lacrima o si fosse sistemata un capello uscito dallo chignon.
— Come posso rispondere a un bambino troppo avanti come lo sei tu? Sì, hai ragione. Come il destino che mi ha fatto vivere quelle cose brutte che conosci. Ed è per quello che ti ho detto quella frase…
Rimase in silenzio. Si sentiva una cicala frinire. Io, in silenzio.
Riprese stringendomi a sé, mentre avevo iniziato a mangiare il panino.
— Si dice che è meglio spezzarsi che piegarsi. Se una persona si piega al volere degli altri, alla loro prepotenza, alla loro cattiveria, oppure se ti capita qualcosa di brutto, non dovrai mai — e dico mai, se non in casi impossibili — piegarti e abbassare la testa. È come un soldato che accetta una sconfitta e non fa niente per combattere, per vincere, o almeno tentare. Capisci, caro?
— Penso di sì. Non devo diventare triste e non dire nulla se qualcuno mi insulta, oppure mi fa un torto. O se, come dici tu, il destino mi fa perdere la bicicletta che mi hai regalato, magari rubata… io devo… devo…
— Reagire, intendi?
— Sì, nonna. Reagirei, anche se non so come. Magari mi verrà al momento.
— Giusto, tesoro. Ma non dovrai mai essere cattivo o reagire con violenza come risposta.
Avevo annuito. Compresi il significato, anche se — ricordo bene — non avrei mai saputo come si fa a reagire. Ma il fatto di averlo capito aveva fatto felice nonna.
Il fiore davanti a me aveva preferito spezzarsi, morire piuttosto che piegarsi al vento cattivo del mattino. Gli altri fiori, insieme, si erano piegati per non rompersi, cercando di vivere. Ormai erano tutti storti e uniti, come pecore che ubbidiscono solo al pastore.
Avevo dato un bacio a nonna e scappai in casa a bere. Lei si era girata a guardarmi. I suoi occhi erano un po’ tristi. Sono sicuro ora che quegli occhi, simili ai miei, avrebbero voluto dirmi:
“Non piegarti mai, tesoro. Ti faranno del male, ma ho paura che la tua sensibilità non riuscirà a difenderti da tutto questo.”
Alzandosi, mi aveva raggiunto vicino al tavolo.
Eccomi qui, ora, con il lapislazzulo in mano. Penso al bimbo di allora. Ricordo che, dopo il discorso della nonna, avevo pensato al fiore che si era spezzato. Aveva finito la sua vita, ma non si era piegato al vento cattivo.
Ero ingenuo, ma non sciocco. Avevo guardato gli altri fiori, con i petali rivolti verso la terra. Facevano pena. Avevo capito che non avrei mai voluto essere come loro, un domani.
“I fiori non mi facevano domande. Mi guardavano e basta. Come se sapessero che quel silenzio era tutto ciò che potevo sopportare. Ma io non sarò mai come loro.”
Guardo la mia pietra blu nella mano. La sento quasi vibrare tra le dita. Pensando a ciò che è capitato oggi, mi viene in mente un pensiero:
“Oggi, toccando il lapislazzulo, ho fatto lo stesso gesto di allora. Ma stavolta, non per nascondermi. Per ricordarmi che sono ancora qui.”
Sorrido a me stesso. Scaccio il pensiero di quella cosa negativa di oggi e mi dico ad alta voce:
“Mi piego, ma non mi spezzo.”
Dedica:
“Non ho mai raccontato questa storia. Non perché non fosse importante, ma perché non sapevo se qualcuno avrebbe ascoltato. Ora so che sì.”
Giampaolo Daccò Scaglione











